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Il pluralismo sociale e culturale che caratterizza la Spagna ha radici antiche: per secoli territori pur formalmente riuniti sotto la Corona spagnola hanno goduto sostanzialmente del potere di autogoverno, dal punto di vista politico, amministrativo e finanziario, salvi i limitati doveri verso lo Stato, sul piano della difesa e dei tributi120.

Una tendenza di netto accentramento si avvia invece a seguito della guerra di Successione spagnola fra Borbone e Asburgo: nel 1698, versando Carlo II d'Asburgo in pessime condizioni di salute, Olanda, Inghilterra e Francia trovarono un accordo sulla spartizione del vasto impero spagnolo tra i possibili eredi. Alla morte del sovrano, Luigi XIV, re di Francia, scoprì che era stato nominato erede universale il nipote Filippo d'Angiò, con la clausola che le due monarchie di Francia e Spagna rimanessero separate. Il nuovo re si insediò sul trono di Madrid col nome di Filippo V ma nessuna potenza in Europa era disposta a riconoscerlo: tra gli altri il più agguerrito era l'imperatore Leopoldo I, che aspirava al trono per il figlio, l'arciduca Carlo d' Asburgo. La guerra di successione spagnola (1702-1713), combattuta in Italia, Paesi Bassi, Germania e Spagna, terminò con

120 R. SCARCIGLIA, D.DEL BEN, Spagna, Bologna, 2005, 19; L. SUÁREZ FERNÁNDEZ, Las raíces históricas

de la pluralidad, in AA.VV., La España de las autonomías. Pasado, presente y futuro, Madrid, 1981, 21 ss. Quest’ultimo Autore pone peraltro in luce come – a seguito del percorso di accentramento che si descrive nel prosieguo – «existen conexiones más bien escasas entre la estructura política resultado de la

Reconquista y las tensione regionalistas y nacionalistas que caracterizan a la centuria más próxima a nosotros», specificando però subito, d’altro canto, che le stesse rivestono importanza centrale (“decisiva”)

in casi come quello della Catalogna e della Navarra, nei quali i fatti differenziali derivanti da tale pluralismo permangono decisamente riconoscibili secondo una linea di continuità. Per un approfondimento problematico v. anche J.SOLÉ TURA, Nazionalità e nazionalismo in Spagna. Autonomie federalismo e

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l'attribuzione della corona spagnola a Filippo V. La pace fu firmata da Francia e Spagna a Utrecht con l'Inghilterra, l'Olanda e la Savoia (1713) e a Rastatt con l'imperatore Carlo VI d' Asburgo (1714)121. I territori che però avevano sostenuto gli Asburgo, fra i quali la Catalogna, in contrapposizione ai Borbone – storicamente portatori della cultura centralista propria della monarchia francese – videro sostanzialmente azzerata la propria storica autonomia, in favore di un modello di Stato accentrato, nettamente in contrasto con la tradizione di indipendenza e autogoverno di molti territori da secoli riuniti sotto la Corona spagnola: questa fase si apre con i noti Decretos de Nueva Planta del 1707 e 1716, particolarmente duri e punitivi nei confronti dei territori della Corona di Aragona (fra i quali la Catalogna)122. Il contenuto di tali decreti comportava sinteticamente: la soppressione delle istituzioni di autogoverno dei territori, l’imposizione del diritto castigliano, l’imposizione del sistema amministrativo (cd. corregimientos) e tributario castigliani, la soppressione di quasi tutte le università catalane, l’imposizione del castigliano come lingua, etc.123.

Da questo momento in poi, la questione territoriale agiterà profondamente l’esperienza del Paese e si porrà come problema da affrontare in tutti i numerosi “momenti costituenti” della storia spagnola. Peraltro, la storia costituzionale della Spagna nei secoli XIX e XX è estremamente complessa, agitata fra questioni dinastiche, guerre internazionali e civili, profonde fratture ideologiche che si assommano e si intrecciano con il profilo territoriale: in questa sede sarà dunque possibile dare conto soltanto di alcuni passaggi di particolare rilievo, senza pretesa di esaustività.

La nota Costituzione di Cadice del 1812, di impronta liberale, parla significativamente di «las Españas» al plurale e rappresenta una frattura con la politica centralista perseguita fino a quel momento, aprendo a un’articolazione territoriale dello Stato da disciplinare con legge costituzionale124 e attribuendo direttamente nel proprio

121 V. A. GIARDINA,G.SABBATUCCI,V.VIDOTTO, Nuovi profili storici, 2, Dal 1650 al 1900, Roma-Bari, 2008, 468.

122 V.VÁZQUEZ DE PRADA, La época moderna: los siglos XVI a XIX, in AA.VV., La España de las

autonomías. Pasado, presente y futuro, cit., part. 96 ss.

123 La cd. fine della «nació cathalana» è dettagliatamente descritta da N.SALES, Els segles de la decadència

(segles XVI-XVIII), in P. VILAR (dir.), Història de Catalunya, 1998, IV, 424 ss., la quale sottolinea come il 1714 segna la fine teorica dell’esistenza di uno Stato catalano all’interno di una monarchia spagnola teoricamente plurale e la fine della sovrapposizione di due strutture statali distinte.

124 Art. 11: «Se hará una división más conveniente del territorio español por una ley constitucional, luego

Titolo VI maggiori autonomie agli enti territoriali già esistenti125: nonostante il suo valore simbolico, legato all’ideologia liberale, ben poco è l’impatto concreto di questo documento costituzionale, approvato il 19 marzo 1812 in una Spagna teatro di guerra e occupata dalle truppe francesi e subito abolito dal re Fernando VII, due mesi dopo il suo rientro in Spagna (4 maggio 1814)126.

Di vero e proprio pensiero federalista si può invece parlare con riferimento a un altro importante esperimento costituzionale: quello della I Repubblica spagnola, proclamata l’11 febbraio 1873, della quale figura chiave fu Francesc Pi i Margall, intellettuale catalano dal pensiero federalista e socialista. La Costituzione, approvata nel giugno dello stesso anno, definiva la Spagna come Repubblica federale composta da 17 Stati membri127. Mentre questo esperimento prendeva corpo, tuttavia, a livello territoriale l’instabilità politica del momento si esprimeva tramite la proclamazione di svariate repubbliche sul territorio nazionale (Catalogna, Andalusia…), o meglio – secondo la terminologia allora seguita – di cantones128. Si tratta di una dialettica fra impostazioni bottom-up e top-down che rimarrà costante nella maniera di pensare e di costruire l’organizzazione territoriale dello Stato spagnolo. In ogni caso, la grande confusione istituzionale generata da questa situazione porterà verso la fine dell’esperimento repubblicano, soffocato manu militari un anno dopo, con il ripristino della monarchia129.

125 R.L.BLANCO VALDÉS, Introduzione alla Costituzione spagnola del 1978 (trad.it.), Torino, 1999, 21 ss.; M. SALVADOR CRESPO, Municipios, provincias y territorios de ultramar, in M. REVENGA SÁNCHEZ, P. BIGLINO CAMPOS (Coord.), Las huellas de la constitución de Cadiz, Valencia, 2014, 407 ss.

126 I. CASTELLS,A.MOLINER, Crisis del Antiguo Régimen y Revolución Liberal en España, Barcelona, 2000, 81 ss.

127 Essi non corrispondono totalmente alle attuali 17 CCAA.

128 A. BAHAMONDE,J.A.MARTINEZ, Historia de España. Siglo XIX, Madrid, 1998, 586 ss. descrivono con grande chiarezza la dialettica fra federalizzazione dall’alto (desde arriba), perseguita dal Parlamento di Madrid attraverso un processo costituente formale, e federalizzazione dal basso (desde abajo), perseguita tramite insurrezioni territoriali-

129 Durante il periodo monarchico rimarrà comunque presente una forte cultura regionalista e, nel caso della Catalogna, essa troverà anche un concreto sbocco istituzionale. A seguito della divisone “dall’alto” del territorio statale, secondo il modello francese, in provincias – opera del Ministro Javier de Burgos nel 1833 – la Catalogna non trovava un’espressione istituzionale unitaria, ma era divisa in quattro province:

Barcelona, Girona, Tarragona e Lleida. La Lliga Regionalista, affermatasi politicamente a Barcellona e in

altre città catalane, riuscì a ottenere l’approvazione da parte del Parlamento di Madrid di una legge che permise la costituzione di un’istituzione unitaria, la Mancomunitat de Catalunya, nel 1914 (unica in tutta la Spagna). Questa istituzione durerà fino al 1923, anno d’inizio della dittatura di Primo de Rivera. V. J. TERMES, De la Revolució de setembre a la fi de la guerra civil (1868-1939), in P. VILAR (dir.), Història de

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Il centralismo di quest’ultima venne poi accentuato durante la prima delle due dittature novecentesche spagnole, quella di Primo de Rivera (dal 1923 al 1930).

La seconda Repubblica spagnola nasce in un contesto di crisi economica e sociale, nel quale – a fronte del sorgere di regimi autoritari in altri Paesi europei130 – in Spagna si vede la fine della dittatura di Primo de Rivera, la caduta della monarchia e l’inizio di una complessa fase di transizione che culmina con l’adozione della Costituzione del 9 dicembre 1931131.

Si tratta di un’esperienza limitata nel tempo, in quanto nel volgere di pochi anni la guerra civile e l’avvento del franchismo soffocheranno anche questa breve esperienza costituzionale132. Ciononostante, essa merita di essere trattata proprio perché si tratta del primo caso, per certi versi paradigmatico, che viene normalmente ascritto alla categoria dello “Stato Regionale”: nella Costituzione del 1931 – che rientra nel genus delle costituzioni liberal-democratiche133 – l’articolazione territoriale dello Stato riveste un’importanza centrale134: essa è disciplinata nel Título primero (artt. 8-22), subito dopo i primi articoli che contengono i principi fondamentali.

La nuova Costituzione dovette affrontare diverse tematiche e tentare di risolvere diversi problemi: doveva cercare di instaurare quella democrazia che per lungo tempo era mancata in Spagna, introdurre diritti e libertà e garantire il loro riconoscimento nonché risolvere la questione del decentramento dello Stato, tentando di configurare un sistema che potesse funzionare in modo adeguato viste le diversità dei territori. Essa rappresentò un importante approdo nella storia non solo spagnola, ma anche europea; basti pensare che essa sarà la base per delle scelte che verranno poi compiute dai costituzionalisti spagnoli nell’elaborare la Costituzione del 1978 (ad esempio per il riconoscimento dei

130 Si tratta del Portogallo salazariano (dal 1926), dell’Italia fascista (dal 1922) e della Germania nazionalsocialista (dal 1933), esperienze tutte riconducibili alla categoria dello “Stato autoritario”, secondo M.VOLPI, Libertà e autorità. La classificazione delle forme di Stato e delle forme di governo, Torino, 2016,

41 ss.

131 F.F. SEGADO, Las constituciones históricas españolas (Un análisis histórico-jurídico), Madrid, 1986, 439 ss.

132 A. GIARDINA,G.SABBATUCCI,V.VIDOTTO, Nuovi profili storici, 3, Dal 1900 a oggi, Roma-Bari, 2008, 327-330.

133 In questo senso v. C. DE CABO MARTÍN, La República y el Estado liberal, Madrid, 1977, 175 ss.; in senso critico, invece, L. SÁNCHEZ AGESTA, Historia del constitucionalismo español, Madrid, 1984, 467 ss. 134 F.F. SEGADO, Las constituciones históricas españolas, cit., 609, sostiene che l’organizzazione territoriale dello Stato abbia costituito il tema più dibattuto dai Costituenti dopo quello religioso.

diritti civili), nonché dai costituenti italiani nel redigere il progetto di Costituzione nel 1946, i quali guardarono, per alcuni elementi, proprio a questo prototipo spagnolo135.

La prima questione che la Legge fondamentale dovette dirimere fu la scelta del tipo di Stato alla luce del quale strutturare le istituzioni spagnole. La scelta intercorreva tra la tipologia dello Stato federale e quella dello Stato accentrato; prevalse quest’ultima, anche se si trovò il modo di lasciare un significativo spazio di azione alle autonomie locali. Infatti, nel suo primo articolo, la Costituzione autodefinisce la Spagna come «Estado integral, compatible con la autonomía de los Municipios y las Regiones»136. In questa sede comincia a farsi strada il principio dispositivo – del quale si parlerà più ampiamente a breve – secondo il quale spetta agli enti locali il potere d’iniziativa rispetto alla costituzione di Regiones dotate di poteri legislativi da individuare tramite i rispettivi Statuti di autonomia137. Le competenze legislative statali vengono sostanzialmente divise in due gruppi: competenze esclusivamente statali, materie di competenza legislativa statale la cui esecuzione può essere attribuita alle Regioni138. Relativamente invece alle competenze regionali veniva fissato il principio di residualità, per cui tutti gli ambiti non deliberatamente affidati alla legislazione dello Stato potevano essere assunti dalle Regioni tramite gli Statuti. Vi era però ugualmente una possibilità per lo Stato di intervenire anche nella legislazione prettamente territoriale, qualora ciò servisse a determinare dei principi fondamentali, inderogabili, di una certa materia139. All’indomani dell’elaborazione di questo testo costituzionale, il sistema evolse in maniera asimmetrica: soltanto alcuni territori – in particolare Catalogna e Paesi Baschi – elessero subito un proprio Parlamento, con la nomina di un Esecutivo regionale e l’elaborazione di uno Statuto che regolamentava i propri poteri e le proprie attribuzioni140.

Anche l’esperienza repubblicana fu però destinata a vita breve: essa venne sanguinosamente distrutta dalla rivoluzione guidata da Francisco Franco, che culminò

135 M. IACOMETTI, La Spagna, in P. CARROZZA, A. DI GIOVINE, G.F. FERRARI (cur.), Diritto costituzionale

comparato, Roma-Bari, 2009, 242.

136 Sulla Costituzione del 1931, v. ad esempio S. JULIÁ, La Constitución del 1931, Madrid, 2009; G. DEMARCHI, Provincia y territorio en la constituyente española de 1931: las raíces europeas del estado

integral, Madrid, 2016; specificamente sull’organizzazione territoriale, v. S. MUÑOZ MACHADO, Derecho

público de las Comunidades Autónomas, Madrid, I, 2007, 90-106.

137 Art. 11 ss., Cost. 1931. 138 Art. 14 e 15, Cost. 1931. 139 Art. 16 e 19, Cost. 1931.

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nell’instaurazione di un regime dittatoriale destinato a durare più di trent’anni. Come molti altri autoritarismi, anche in questo caso la tendenza fu quella di accentrare l’organizzazione statale e il suo funzionamento, annullando così lo spazio e l’autonomia degli enti locali ed allontanandosi dunque il più possibile dal modello regionale, per evitare un eventuale indebolimento del governo centrale e per disincentivare la nascita di potenziali focolai di ribellione141. Eccezione a questo quadro fece il regime forale di Paese Basco e Navarra, che anche sul piano finanziario rimarrà costantemente peculiare e che sarà trattato in un apposito capitolo142. Con la caduta della dittatura, avutasi con la morte di Franco nel 1975, si presentò per l’ennesima volta la necessità di riallineare lo Stato ai principi della democrazia e del pluralismo; ne derivò un nuovo dibattito che portò nel 1978 alla promulgazione dell’attuale Carta costituzionale.

Al pari delle precedenti, la Costituzione spagnola del 1978 si pone quindi al termine di un processo di transizione costituzionale, mirando a distaccarsi nettamente dal modello dello Stato autoritario e potendo allo stesso tempo, per ragioni cronologiche, fare tesoro dell’elaborazione testuale, dottrinale e giurisprudenziale che in altre esperienze costituzionali avevano preso corpo al termine della Seconda guerra mondiale143.

Il processo di elaborazione della Carta costituzionale spagnola non iniziò nel momento immediatamente successivo alla fine del governo franchista, vi fu invece una fase di incertezza. Infatti, se da un lato l’intenzione e il convincimento collettivo erano quelli di rifondare il sistema statale in senso democratico, dall’altro era discusso il metodo con il quale condurre questa transizione. Il punto di partenza del processo costituzionale fu rappresentato dalla scelta delle camere insediate durante il regime franchista di approvare la Ley para la reforma política, base per la configurazione del riformato Stato spagnolo: essa prevedeva innanzitutto l’elezione di un nuovo Parlamento democratico

141 Non a torto, peraltro, visto che la matrice territoriale sarà uno dei principali elementi di catalizzazione dell’opposizione politica al regime, assieme a quelli socio-economici presenti fra operai e studenti: C.MIR

CURCÓ (ed.), Dossier. La represión bajo el Franquismo, in Ayer, 43, 2001, 11 ss.; J.M. MARAVALL,

Dictadura y disentimiento político. Obreros y estudiantes bajo el franquismo, Madrid, 1978.

142 V. infra, cap. 5. Al proposito risulta interessante notare che – come si vedrà – il Franchismo eliminerà l’autonomia finanziaria forale di due delle tre Diputaciones del País Vasco, ritenute “province ribelli” nei confronti del nuovo regime per la posizione assunta durante la Rivoluzione franchista. Si conferma anche in questo caso una concezione “punitiva” dell’accentramento che non era nuova nella storia del Paese. 143 E. D’ORLANDO, Lo statuto costituzionale della pubblica amministrazione. Contributo allo studio dei

che poi si sarebbe dovuto occupare della riforma costituzionale144. Già nel preambolo di tale legge – poi stralciato per volontà del Governo dal progetto sottoposto al voto del Parlamento –fra i temi da affrontare per il tramite del procedimento democratico vi è «la istituzionalizzazione delle peculiarità regionali come espressione della diversità dei popoli che costituiscono l’unità del Regno e dello Stato». Va sottolineato come, durante il periodo franchista, non vi fosse una vera e propria costituzione ma soltanto un insieme di Leyes fundamentales di natura materialmente costituzionale: la Ley para la reforma política verrà approvata proprio secondo le forme previste per tale tipologia di leggi, secondo l’idea fondamentale di una transizione costituzionale che avvenisse senza un colpo di Stato ma nel rispetto delle forme del regime precedente145.

A seguito dell’elezione delle nuove Cortes avvenuta nel 1977, si iniziò dunque a lavorare per creare lo “scheletro costituzionale” della Spagna e venne stesa una bozza di Costituzione (ad opera di una commissione composta da sette parlamentari): tale processo culminò nell’agosto 1978 con l’approvazione del testo definitivo sia dal Congresso che dal Senato, seguita, in data 6 dicembre, dalla ratifica mediante referendum (con un consenso molto ampio) da parte del corpo elettorale146.

L’opzione di fondo in senso democratico della Costituzione147 si rispecchia prima di tutto nel Parlamento (Cortes generales), composto dal Congresso dei Deputati e dal Senato. Occorre a questo punto aprire una piccola parentesi relativa proprio al Senato; esso, nonostante venga definito dall’art. 69 della Costituzione come «la Camera di rappresentanza territoriale», non può essere considerato un organo realmente rappresentativo delle CCAA: solamente un quinto dei senatori viene nominato dalle

144 G. DE VERGOTTINI, Diritto costituzionale comparato, cit., 266-267, si tratta di un “procedimento costituente provvisorio” in quanto tale Legge fondamentale, pur adottata nel rispetto formale del sistema precedente, «era destinata a infrangere nella sostanza l’ordinamento del tempo e prevedere tutta una serie di nuovi antitetici principi costituzionali da realizzare in futuro».

145 Quest’idea è usualmente sintetizzata con l’espressione “de la ley a la ley”, coniata da Torquato Fernández-Miranda, presidente delle Cortes dalla morte di Franco.

146 R.L. BLANCO VALDÉS, Introduzione alla Costituzione spagnola del 1978, cit. Bisogna segnalare che densa di conseguenze politico-istituzionali è in questa fase la mancata partecipazione al processo costituente del Partido Nacional Vasco (PNV): A. SÁIZ ARNAIZ, País Vasco. Venticinco años de

Constitución en la Comunidad Autónoma del País Vasco: entre el pacto estatutario y la fractura social y política, in E. ESPÍN TEMPLADO (coord.), La Constitución de 1978 y las Comunidades Autónomas, Madrid, 2003, 497 ss.

147 L’art. 1 della stessa recita: «España se constituye en un Estado social y democrático de Derecho, que

propugna como valores superiores de su ordenamien- to jurídico la libertad, la justicia, la igualdad y el pluralismo político».

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stesse (e precisamente dalle rispettive assemblee, con sistema elettorale proporzionale). Inoltre, in Spagna il ruolo delle due Camere è diverso, non sussistendo, a differenza dell’Italia, un bicameralismo paritario148.

Sul piano dell’articolazione territoriale, da un lato veniva elaborato un sistema unitario, dall’altro si dava riconoscimento anche al principio dell’autonomia, proclamato dall’art. 2 Cost., che rappresenta la “colonna vertebrale” del testo: «la Costituzione si basa sull’indissolubile unità della Nazione spagnola, […] e riconosce e garantisce il diritto all’autonomia delle nazionalità e regioni che la compongono e la solidarietà fra tutte le medesime». In questo articolo il Costituente spagnolo riconosceva dunque il diritto all’autonomia, cercando di risolvere il lungo conflitto storico-politico che aveva interessato in special modo alcuni territori e popolazioni della Spagna (es. Paesi Baschi e Catalogna), ma affermava altresì il principio di unità.

L’autonomia e il decentramento trovano poi la loro disciplina specifica nel Titolo VIII (art. 137 ss.)149. L’art. 137 Cost. stabilisce che l’organizzazione del territorio si articola in comuni, province e Comunità autonome. Queste ultime, configurate come “ente eventuale” la cui istituzione dipendeva dall’iniziativa degli altri enti territoriali150, diventarono nella realtà l’ente territoriale “principe” del sistema spagnolo.

Differentemente dalla Costituzione italiana (art. 131), quella spagnola non si occupava di individuare a priori e singolarmente le diverse Comunità autonome che dovevano formare la Spagna; non c’era quindi un’imposizione dall’alto della divisione territoriale ma si lasciava alle varie Diputaciones provinciales il potere di iniziativa della costituzione della CA, con un sistema che potremmo dunque definire “dal basso”. La Costituzione infatti indicava quali erano le caratteristiche che i territori che volessero unirsi in una CA dovevano possedere per poter avviare il procedimento: doveva trattarsi di Province limitrofe oppure territori insulari con delle caratteristiche storiche, economiche e culturali condivise e doveva esserci una percentuale di comuni favorevoli

148 Art. 90, Cost. spagnola.

149 È opportuno richiamare in questa seda alcune opere di riferimento sull’organizzazione territoriale spagnola alle quali si farà costante riferimento nel corso del lavoro, anche ove non espressamente richiamate: E. ÁLVAREZ CONDE,A.GARCÍA MONCÓ,R.TUR AUSINA, Derecho autonómico, Madrid, 2013; J. LÓPEZ-MEDEL BÁSCONES, Tratato de Derecho Autonómico, Madrid, 2005; S. MUÑOZ MACHADO,

Derecho Público de las Comunidades Autónomas, I e II, Madrid, 2007; J. RODRÍGUEZ-ARANA, P. GARCÍA

MEXÍA (dir.), Curso de derecho público de las Comunidade Autónomas, Madrid, 2003. 150 Da qui la dizione contenuta nell’art. 137, che parla delle CCAA “che si costituiscano”.