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L A CONSUMAZIONE E LA REVOCA DELLA SENTENZA DICHIARATIVA

In considerazione di quanto già osservato, è facile trarre conseguenti conclusioni in punto di consumazione del delitto di bancarotta post- fallimentare, evidenziandosi come esso sia inequivocabilmente legato al momento della commissione della condotta; così come in relazione alle ipotesi previste agli artt. 223 e 224, che si collegano alla verificazione dell’evento ivi sanzionato.

Il tema, tuttavia, si complica notevolmente in relazione alle fattispecie pre-fallimentari, in ragione dell’ampia gamma delle opzioni teoriche sopra esposte.

Occorre subito precisare che la dottrina maggioritaria, pur con percorsi argomentativi diversi, converge alla medesima conclusione in tema di termine prescrizionale, poiché esso, in ogni caso, decorrerebbe proprio dalla data della dichiarazione, sia questa intesa come elemento costitutivo o come condizione (art. 158, comma 2, c.p.), e, parimenti, ritiene che il momento consumativo si individui secondo le cadenze della declaratoria

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civile237. L’indirizzo giurisprudenziale, coerentemente con la ritenuta natura di “elemento essenziale del reato” del fallimento, afferma che la bancarotta si consuma al momento della dichiarazione e nel luogo della sede dell’organo giudiziario competente.

In senso critico si esprime la minoritaria dottrina, osservando che, pur vero che senza il fallimento i fatti di bancarotta non costituirebbero un illecito, sarebbe del pari vero che il concetto di consumazione (inteso come massimo approfondimento concreto dell’offesa) non può arbitrariamente porsi in un momento diverso rispetto alla commissione del fatto, in ragione della natura (di per sé) inoffensiva dell’intervenuto fallimento238. In senso analogo, poi, si esprimono gli Autori che vedono nelle condizioni obiettive degli accadimenti esterni al reato, e non già soltanto al fatto, legate esclusivamente all’irrogazione della pena e supponenti un illecito già perfetto in ogni sua parte, propendendo così per la fissazione del momento perfezionativo con la commissione della condotta239.

Al netto del dibattito circa la collocazione delle condizioni obiettive - che evidentemente orienta il tema in esame nei suoi tratti ordinamentali240 - è mestieri rilevare, in opposizione a questo minoritario orientamento, che la condizione obiettiva del fallimento svolge una chiara funzione di unificazione normativa di (eventuali) diversi episodi delittuosi, così come previsto dalle norme in tema di c.d. “continuazione fallimentare” (art. 219 l.f.)241.

237 PEDRAZZI, Sub art. 216, cit., 34 ss. In tema cfr. KOSTORIS, Sul momento consumativo nel

reato di bancarotta, in Arch. pen., 1961, 38 ss.; MANGANO, La pregiudiziale fallimentare, cit., 703 ss.; DE BIASE, Il momento consumativo nei reati di bancarotta, in Arch. pen., 1958, 384 ss.

238 Così PAGLIARO, Problemi attuali, cit., 537 ss.; ID., Il delitto di bancarotta, cit., 141 ss.;

GIULIANI BALESTRINO, La bancarotta, cit., 6, 26 e 99 ss.

239 CONTI, I reati fallimentari, cit., 136; ANTONIONI, La bancarotta semplice, cit., 376 ss.;

ALIMENA F., La dichiarazione di fallimento come condizione di punibilità del reato di bancarotta, in Riv. it. dir. pen., 1939, 47; MANGANO, Disciplina penale del fallimento, cit., 145 ss.

240 Per tutti, cfr. BRICOLA, voce Punibilità (condizioni obiettive di), cit., 591 ss.

241 Sul tema cfr. PERDONÒ, Fatti plurimi di bancarotta, cit., 2460 ss.; PAGLIARO, Pluralità,

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Pur vero che l’offesa “potenziale” si collega al momento della commissione della condotta, in ragione del richiesto legame in con lo stato d’insolvenza, è del pari vero che la valutazione dell’offensività concreta non può che svolgersi in una prospettiva ex post, in ragione della misura (fisiologicamente elevata) del tempo che intercorre tra la condotta e la perseguibilità dei delitti in esame242. Ammettere il contrario, ancorando alla condotta tutto il portato dell’offesa, significherebbe consentire un esito paradossale: si faccia il caso di chi commette una grave distrazione consapevole dello stato di insolvenza, e poi provveda - o altri, o il caso, provveda - a sanare la situazione, pur con esiti concorsuali. Se davvero si dovesse prescindere da ciò che segue la condotta, condannando il soggetto agente, si dovrebbe contestualmente ammettere la natura di pericolo presunto delle fattispecie di bancarotta e disconoscere il fenomeno della c.d. “riparazione”243.

Diversamente, la valutazione del pericolo deve necessariamente rapportarsi alla data del fallimento, in cui si palesa l’offesa per i creditori derivante dal reato; si noti: ciò non vale a restituire al fallimento- condizione quel contenuto disvaloriale che gli è stato in precedenza sottratto, costituendo invece la semplice ricognizione di un dato (ancora una volta) procedural-processuale, che nasce e vive in ragione dell’accennato - e fisiologico - iato temporale, il quale consente attività di “recesso” capaci di influire nettamente sull’offesa in concreto244.

242 Si faccia il caso della bancarotta semplice documentale ex art. 217, comma 2, la

quale fissa chiaramente al momento della declaratoria fallimentare il dies ad quem per la rilevanza penale della condotta, non operando dunque sul piano della modalità della condotta, bensì unicamente sul piano cronologico.

243 Così PAGLIARO, Oggetto della tutela e consumazione nei delitti di bancarotta, in AA.VV.,

La legge fallimentare. Bilancio e prospettive dopo trenta anni di applicazione, Milano 1975, 1179,

secondo il quale “la lesività del fatto di bancarotta è quella connessa alla distrazione,

dissipazione, ecc. dei beni; l’eventuale attività successiva rivolta a reintegrare il patrimonio, a rendere possibile la ricostruzione del movimento di affari ecc., può soltanto valere ai fini delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62 n. 6 c.p.”.

244 Per una peculiare lettura del “recesso” nella bancarotta cfr. FALCINELLI, I delitti di

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La sentenza di fallimento, in breve, ha la funzione di contestualizzare e cristallizzare (anche) il pericolo ingenerato con la condotta: non costituisce, né tantomeno approfondisce l’offesa, ma semplicemente la certifica, “dichiarandola”245, senza essere minimamente idonea a “richiamare in vita” episodi delittuosi la cui potenzialità offensiva sia già estinta246.

Se, pertanto, ancorare la condotta al requisito dell’insolvenza è necessario per operare una prima selezione delle azioni in ragione del tipo criminoso della bancarotta, questo secondo scrutinio afferisce direttamente all’esame delle conseguenze concrete delle medesime. Il risultato è dunque quello di punire unicamente le condotte connotate da un forte disvalore d’azione, rapportate poi al momento del fallimento in funzione dell’esclusione di ogni possibile “fortuito” e/o della verifica di eventuali “riparazioni”, così stabilendosi in via inequivoca l’offensività della condotta e dei suoi portati (in termini di “attuale” pericolo o di danno, a seconda della fattispecie coinvolta) sulle aspettative creditorie della massa.

Riepilogando: nella bancarotta pre-fallimentare v’è (spesso) un ampio distacco temporale tra il momento del fatto e quello dell’esigenza di punibilità; la condotta, per assumere una qualche rilevanza penale, deve essere realizzata in stato d’insolvenza, ovvero esserne la causa. In linea teorica sarebbe del tutto ipotizzabile eliminare lo iato cronologico che crea

245 Sia consentito, solo ad adiuvandum, ancora un riferimento al diritto processuale, per

di più nella prospettiva giurisprudenziale - che, come si è visto, ritiene il fallimento un (centrale) elemento costitutivo della fattispecie -, allo scopo riprendendo in toto le argomentazioni spese da Cass. pen., Sez. V, 16 marzo 2012, n. 11633, in CED, rv. 252308, a mente della quale “in tema di misure cautelari personali, in relazione al delitto di bancarotta

fraudolenta, il tempo trascorso dalla commissione del fatto, cui il giudice deve far riferimento ai fini della eventuale esclusione della sussistenza delle esigenze cautelari, va determinato con riguardo all’epoca in cui sono state poste in essere le condotte illecite e non al momento in cui è intervenuta la dichiarazione giudiziale di insolvenza, la quale, ancorché determini il momento consumativo del reato, non costituisce riferimento utile per vagliare il comportamento dell’indagato, sfuggendo alla sua sfera volitiva”.

246 PEDRAZZI, Reati fallimentari, in PEDRAZZI - ALESSANDRI - FOFFANI - SEMINARA -

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questa impasse, ma la scelta del legislatore impone di fare i conti non solo con il presupposto sostanziale (l’insolvenza, appunto), ma anche con la sua formale consacrazione (la dichiarazione di fallimento)247.

A questo proposito, una questione centrale è posta dalle conseguenze dell’instaurazione del giudizio di opposizione al fallimento e/o della revoca della relativa sentenza, anche in relazione a procedimenti penali che ormai hanno acquisito l’autorità del giudicato. Giova ricordare, infatti, che la sentenza dichiarativa è immediatamente esecutiva (art. 16, comma 2), salva la possibilità di sospendere la liquidazione dell’attivo (art. 19, comma 1); tuttavia, va del pari osservato che la revoca della dichiarazione di fallimento, in esito al reclamo ex art. 18 l.f., ne deve risolvere ogni ripercussione penalistica, con effetto ex tunc248. Diverso, e ininfluente, è invece il caso in cui la procedura termini mediante un concordato fallimentare ex art. 124 l.f., che ne determina la chiusura secondo un particolare meccanismo, ma certamente non ne implica la revoca249.

Pur non potendosi affrontare compiutamente il tema in questa sede250, va tuttavia evidenziato che sono possibili due distinti approcci alla

247 In termini analoghi, pur con diverse premesse, cfr. MANGANO, L’impresa come bene

giuridico, cit., 20.

248 Ancora PEDRAZZI, Reati fallimentari, cit., 113.

249 Così, ex multis, Cass. pen., Sez. V, 25 febbraio 2011, n. 7468, in Cass. pen., 2012, 245. 250 Per un quadro d’insieme, cfr.SPINOSA, Giudizio civile per la dichiarazione di fallimento

e processo per bancarotta: un nuovo banco di prova per l’autonomia del diritto penale fallimentare,

in Ind. pen., 2015, 50 ss.; FAUCEGLIA, Brevi riflessioni sul rapporto tra sentenza dichiarativa di

fallimento e provvedimenti di ammissione all’amministrazione straordinaria, in Il fall., 2014, 284

ss.; CASAROLI, Disposizioni penali, cit., 1402 ss.; BRICCHETTI, Sub art. 216, in PADOVANI (a cura di), Leggi penali complementari, Milano 2007, 1899 ss.; PERDONÒ, Opposizione alla

sentenza di fallimento e sospensione del processo per bancarotta: si apre una breccia nella giurisprudenza di merito in conseguenza della mutata qualificazione della sentenza di fallimento,

in Cass. pen., 2005, 199 ss.; MANNA, Dalla riforma dei reati societari alla progettata riforma dei

reati fallimentari, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, 699 ss.; PATTI, La sentenza dichiarativa di

fallimento, cit., 1033 ss.; DE AMICIS, La pregiudiziale fallimentare: essere o non essere?, in Cass.

pen., 2001, 186 ss.; BUSETTO, Giudice penale e sentenza dichiarativa di fallimento, Milano 2000, in particolare 20 ss, 105 ss. e 188 ss.; APRILE, Sentenza dichiarativa di fallimento nel giudizio

per reati di bancarotta, in Il fall., 1999, 1135 ss.; ALLEGRI, Processo penale e reati fallimentari, in

Riv. pen., 1996, 817 ss.; CARRERI, Ancora sulla pregiudiziale fallimentare e sui rapporti tra

processo penale e sentenza dichiarativa di fallimento opposta, in Cass. pen., 1992, 191 ss.; ID.,

Pregiudizialità fallimentare: rivisitazione e semplificazione di una vecchia questione, in Cass. pen.,

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questione: l’uno che prenda le mosse dalla prospettiva processuale in senso stretto; l’altro, invece, che si focalizzi sulla disciplina penale sostanziale. In effetti, avendo riguardo agli artt. 2, 3 e 479 c.p.p., non appare incongruente l’idea che il giudice penale possa accertare in via autonoma l’insolvenza, ovvero disattendere l’attività del tribunale fallimentare, ovvero ancora condannare l’imputato pur in presenza di un giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa, avendo il codice Vassalli chiaramente optato per l’indipendenza, per l’autosufficienza e per la piena cognizione del giudice su tutte le questioni strumentali alla pronuncia, salvi alcuni tassativi limiti. Nel secondo degli approcci possibili, invece, si può risolutivamente osservare che l’espressione “se è dichiarato fallito”, indipendentemente dalla configurazione della disciplina delle pregiudiziali di rito, evoca una chiara realtà: per celebrare un processo per i reati di bancarotta occorre necessariamente la preventiva pronuncia del competente organo giudiziario, poiché, anche a ritenere consentito un autonomo scrutinio del giudice penale rispetto all’insolvenza (peraltro auspicato, in relazione alle condotte prefallimentari, nei termini già detti251), certamente non è concepibile assegnargli il compito di dichiarare formalmente lo stato di fallimento dell’impresa252.

In breve: il disposto del diritto sostanziale osta al perseguimento della “nuova” direzione intrapresa dal diritto processuale col codice del 1988; tale conflitto, non certo per una “partigianeria sostanzialistica”, deve risolversi in favore del primo, in considerazione delle argomentazioni

un problema antico in una prospettiva nuova, in Il fall., 1990, 1085 ss.; PROTO, La bancarotta

prefallimentare: problema della pregiudizialità prima e dopo la riforma del codice di procedura penale, in Cass. pen., 1989, 299 ss.; LANZI, Riflessi penali delle procedure concorsuali vecchie e

nuove, in Ind. pen., 1982, 223 ss.; NUVOLONE, Opposizione al fallimento, bancarotta fraudolenta

e mandato di cattura, in Ind. pen., 1981, 410 ss.

251 V. supra, § 2.5.

252 Il sistema delineato, peraltro, era perfettamente consono alla disciplina della

pregiudizialità delle questioni civili e amministrative delineata nel codice del 1930 (artt. 19, 20, 21), che prescriveva, in ossequio al principio di unità della giurisdizione, la sospensione obbligatoria del processo e l’efficacia vincolante della decisione extra-penale.

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appena svolte, che conducono ad esiti insostenibili, anche dal punto di vista processuale; pare poi doveroso aggiungere che, in ossequio ai principî generali sulla successione di fonti normative, lex posterior generalis non derogat priori speciali. A ben vedere, infatti, il giudice penale non può ignorare le decisioni del tribunale fallimentare, ma deve prenderne atto, da un lato, come condizione di punibilità del fatto posto al suo giudizio (pur suscettibile di annullamento253), e, dall’altro, come pregiudiziale sostanziale sull’accertamento dell’insolvenza al momento del fallimento, e non già al momento della condotta.

Ciò posto, si può osservare che l’unica strada realmente percorribile, secondo minime coordinate di uguaglianza, è quella di ritenere, pur in assenza di un obbligo per il giudice penale di sospendere il procedimento254, che questi sia tenuto ad assolvere l’imputato che si veda revocare la sentenza fallimentare prima del passaggio in giudicato della pronuncia penale. Correlativamente, qualora la revoca del fallimento intervenisse successivamente al passaggio in giudicato della sentenza penale, la prima dovrà necessariamente considerarsi come “nuova prova”, con l’applicazione dell’art. 630, lett. c), c.p.p., in tema di revisione255,

253 GROSSO, Osservazioni, cit., 571.

254 In pendenza del giudizio di opposizione, tuttavia, la sospensione ex art. 479 c.p.p.

dovrebbe imporsi, in quanto dalla controversia civile viene dipendere non già l’esistenza del reato, bensì lo stesso consolidamento di un requisito di fattispecie. L’applicazione della sospensione in esame, pur letteralmente prevista per il dibattimento, è stata progressivamente estesa in via interpretativa ai riti speciali (Cass. pen., Sez. V, 10 aprile 2002, n. 13780, in CED, rv. 221315) e all’udienza preliminare (Cass. pen., Sez. V, 17 novembre 2009, n. 43981, in CED, rv. 245099).

255 In questi termini PAGLIARO, Riflessioni sulla riforma, cit., 857; in senso conforme, per

la giurisprudenza, cfr. ex multis Cass. pen., Sez. V, 5 febbraio 1992, n. 3670, in CED, rv. 189788.CORUCCI, La bancarotta e i reati fallimentari, Milano 2013, 48, osserva, in critica alla tesi della bancarotta “condizionata”, che “non può esservi affermazione di responsabilità per

bancarotta in caso di mancanza della sentenza di fallimento e quindi anche in caso di revoca di essa, tant’è che, come già osservato, potrà esperirsi il giudizio di revisione in ipotesi di revoca successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Dunque, ove di condizione di punibilità si trattasse, detta condizione (intesa fenomenicamente) dovrebbe essere considerata realizzata una volta per tutte con la pronuncia di fallimento e quindi anche in caso di revoca di quest’ultima, con la conseguenza, inaccettabile, che si dovrebbe giungere a condannare l’imprenditore, o a mantenerne la condanna, anche in presenza di revoca della dichiarazione di fallimento”.

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ovvero in ossequio al disposto della lett. b), con riferimento alle ipotesi di sospensione ex art. 479 c.p.p.256.

5. SULLA (IN)CONFIGURABILITÀ DEL TENTATIVO PRIMA DEL FALLIMENTO: IL