• Non ci sono risultati.

I L DOLO DI LESIONE DELLE FATTISPECIE POST FALLIMENTAR

L A FUNZIONE SELETTIVA DEL DOLO

2. I L DOLO DI LESIONE DELLE FATTISPECIE POST FALLIMENTAR

2.1 - SULLA DEFINIZIONE DEI CONTORNI DELLA CATEGORIA: LE FORME DI BANCAROTTA POST-FALLIMENTARE CONFIGURABILI…

Preliminarmente occorre delimitare il campo di indagine riferibile agli illeciti post-fallimentari, rilevando le incompatibilità di talune fattispecie con la loro realizzazione dopo l’intervenuta declaratoria civile.

α) Devono in primo luogo escludersi tutte le ipotesi di bancarotta semplice, le quali non solo non prevedono una clausola estensiva analoga a quella disposta dall’art. 216, comma 2, l.f., ma sono anche tipizzate secondo modalità che ne rivelano l’intrinseca natura pre-fallimentare. Circostanza, quest’ultima, evidente in relazione alle fattispecie enucleate ai nn. 3 e 4 (ove il riferimento al “ritardare il fallimento” e al “richiedere la dichiarazione di fallimento” non lascia spazio a controdeduzioni di sorta),

132

ma ampiamente dimostrabile anche con riferimento ai nn. 1 e 2 dell’art. 217, posto che l’effettuazione di spese personali eccessive, ovvero il compimento di “operazioni di pura sorte” (che determinino la consumazione di una parte notevole del patrimonio), non sono concepibili in costanza di spossessamento, se non ammettendo che vi è stata una precedente distrazione rilevante ex art. 216, comma 21.

Sembra apparentemente fare eccezione, in una logica del tutto distinta, la previsione dell’art. 217, n. 5, laddove incrimina l’imprenditore dichiarato fallito che “non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare”; tuttavia, tali obbligazioni, per dottrina e giurisprudenza unanimi, devono essere riferibili ad una diversa procedura, atteso che la “precedenza” non avrebbe alcun senso se non con riferimento ad una distinta (e già chiusa) procedura concorsuale2. Col che, com’è già chiaro, evidentemente quest’ultima non costituisce una forma di illecito post-fallimentare (rectius: post-concordatario), bensì un titolo di reato che si inserisce in un momento cronologicamente antecedente alla seconda epifania dell’insolvenza, nella cui valutazione penale risulta inevitabilmente attratta. Merita ancora sottolineare che l’art. 217, n. 5, è del tutto eccentrico rispetto alla tutela patrimoniale, in considerazione dell’evidenza che il mancato rispetto di una precedente obbligazione (qual che ne sia il fatto genetico) ha l’effetto non di depauperare il patrimonio, bensì di renderlo più capiente (salva l’ovvia insinuazione dei creditori insoddisfatti)3.

Ma un’ulteriore - e generale - considerazione pare chiudere il ragionamento svolto: avendo cognizione della sentenza dichiarativa, ogni

1 Così NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., 216 ss.

2 Per tutti cfr. PEDRAZZI, Sub art. 217, in PEDRAZZI -SGUBBI, Reati commessi dal fallito.

Reati commessi da persone diverse dal fallito. Artt. 216 - 227, parte di GALGANO (a cura di),

Commentario Scialoja - Branca. Legge fallimentare, Bologna - Roma 1995, 167 ss.

3 Ancora PEDRAZZI, Sub art. 217, cit., 168, cui si rimanda per ogni altra considerazione

sulla peculiare fattispecie, gravemente indiziata di incostituzionalità per la presunzione assoluta di colpa relativa alla continuazione dell’impresa, secondo un giudizio ex post.

133

fatto previsto all’art. 217 si connoterebbe, di per sé, di una fraudolenza capace di attrarlo in seno alle fattispecie post-fallimentari, senza apparente possibilità di argomentare in senso opposto4.

β) Parimenti, posto che con la sentenza civile viene meno l’obbligo della tenuta delle scritture contabili, non potranno configurarsi neanche i reati che contemplino il medesimo tra i propri elementi costitutivi5; in particolare, come emerge dalla lettura dell’art. 216, comma 2, non sarà certamente configurabile in forma post-fallimentare la bancarotta fraudolenta documentale derivata dall’“aver tenuto i libri e le scritture contabili in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari”6.

Sempre con riferimento agli illeciti documentali, mentre resta pressoché immutato l’ambito concettuale-applicativo della falsificazione, trovano invece una specifica delimitazione i concetti di sottrazione e occultamento: il secondo, in effetti, sembra ridimensionarsi in favore del primo, sino quasi a scomparire, posto che con l’imposizione dell’obbligo di consegna delle scritture si opera una fisiologica estensione della nozione di “sottrazione”, la quale può immaginarsi anche senza un materiale spossessamento7 (si pensi all’omessa indicazione dell’esistenza e della collocazione delle scritture), di fatto erodendo il cono applicativo dell’occultamento.

Con riferimento all’esposizione o al riconoscimento di passività inesistenti, ipotesi a cavallo tra il “documentale” e il “patrimoniale”, va detto che la fattispecie pare concepibile in forma post-fallimentare con riguardo ai casi

4 In questi esatti termini PEDRAZZI, Reati fallimentari, cit., 148. 5 Così FIORELLA -MASUCCI, I delitti di bancarotta, cit., 908.

6 In questo senso, per la giurisprudenza, cfr. ex multis Cass. pen., Sez. V, 1 dicembre

2000, n. 12531, in Dir. prat. soc., 2001, 84.

7 In termini PEDRAZZI, Sub art. 216, cit., 114, il quale rileva altresì che “il concetto è

meramente funzionale e non va confuso con il significato che il termine assume in altri contesti, come quello dell’art. 624 cod. pen.”.

134

di acquiescenza, in sede di formazione del passivo, all’ammissione di domande per crediti simulati.

γ) Quanto alle fattispecie fraudolente patrimoniali, pur essendo totale il rinvio al comma 1 dell’art. 216, non pare concepibile la punizione di una dissipazione post-fallimentare, in considerazione del fatto che la stessa postula necessariamente il compimento di un atto distrattivo che re- immetta il fallito nel possesso dei beni, autonomamente punibile per se stesso.

δ) Infine, con riferimento alla bancarotta preferenziale, la sua realizzazione a dichiarazione intervenuta è ammessa con la precisazione che, ferma l’illiceità del comportamento, esso può anche non avere rilevanza ai sensi dell’art. 216, comma 3, nel caso in cui il fallito paghi un creditore privilegiato che avrebbe comunque trovato capienza nell’attivo fallimentare8.

2.2-…I LIMITI CRONOLOGICI E IL FALLIMENTO-PRESUPPOSTO…

Lo spazio temporale di commissione degli illeciti in esame, diversamente da quanto accade in relazione alle ipotesi pre-fallimentari, è inequivocabilmente delimitato dal rinvio - implicito, ma necessitato - alle norme fallimentari sostanziali.

Infatti, il dies a quo è costituito dalla data della dichiarazione fallimentare (che comporta lo spossessamento ex art. 42 l.f.), il quale si determina avendo riguardo alla data del deposito della sentenza in cancelleria (art. 133 c.p.c.), senza la necessità che il provvedimento passi in giudicato, stante la sua provvisoria esecutività; ai sensi dell’art. 120 l.f., poi, con la chiusura del fallimento cessano gli effetti sul patrimonio del

8 NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., 218; sul tema specifico si tornerà

135

decoctor e decadono gli organi preposti alla gestione coattiva. Pertanto, il termine cronologico ultimo per la commissione di fatti di bancarotta post- fallimentare è segnato dalla irrevocabilità del decreto di chiusura ex art. 119 l.f.

V’è, tuttavia, la possibilità che il fallimento sia riaperto (nei casi e modi previsti dall’art. 121 l.f., e comunque entro cinque anni): in questa ipotesi, ovviamente, si ripresenterà il presupposto per la commissione di fatti di bancarotta post-fallimentare. Nondimeno, deve chiaramente affermarsi l’irrilevanza ai sensi delle norme in tema di bancarotta per tutto quanto occorso nelle more della riapertura: da un lato, poiché la sentenza di riapertura non è affatto assimilabile alla sentenza dichiarativa, e dunque non può integrare validamente la condizione di punibilità; dall’altro, poiché una nuova incriminazione per bancarotta pre-fallimentare deve logicamente legarsi ad una “nuova” e “diversa” insolvenza9.

A considerazioni analoghe, mutatis mutandis, si può pervenire con riferimento alla disciplina in tema di concordato preventivo (artt. 130 ss.), pur con tutte le notevoli criticità rilevate supra, principalmente con riferimento alla necessità dell’accertamento dell’insolvenza ed all’estensione agli accordi e alle convenzioni di moratoria operata dalla novella del 201510.

Senza eccezioni di sorta, tanto la dottrina quanto la giurisprudenza assegnano al fallimento il ruolo di presupposto della condotta della bancarotta post-fallimentare, essendo logicamente antecedente a quest’ultima11; altrettanto concordemente, si afferma che il momento consumativo coincide con la commissione della condotta integratrice del

9 In questi termini PEDRAZZI, Sub art. 216, cit., 105. 10 V. supra, Cap. I, § 3.

136

fatto tipico12 e che il termine prescrizionale del reato deve ovviamente posticiparsi in coincidenza con la consumazione.

Naturalmente, pur così giuridicamente delimitato l’arco cronologico coperto dalle fattispecie in esame, la realtà fattuale vedrà molto probabilmente una riduzione ulteriore del medesimo, concentrandosi nel momento in cui il curatore non abbia ancora effettuato la presa in consegna dei beni del fallito, ovvero abbia (posteriormente ad essa) lasciato i beni nella detenzione dello stesso.

Costui, in questa prospettiva, li possiede tanto nomine proprio (in quanto di sua proprietà), quanto nomine alieno (atteso che di essi ha perso la disponibilità, transitata verso gli organi fallimentari)13: lo spossessamento conseguente alla dichiarazione di fallimento, pertanto, costituisce la vera e propria matrice della bancarotta post-fallimentare, della quale contrassegna inequivocabilmente la tipicità, valendo a distinguerla da ogni altro reato ad offesa patrimoniale.

In proposito, come è già stato magistralmente rilevato, lungi dall’essere unicamente un fatto storico, la dichiarazione di fallimento è “fonte di effetti giuridici: in quanto essa priva il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni (art. 42), e lo grava di una serie di obblighi nei confronti degli organi preposti alla procedura”14-15. È dunque inutile sottolineare il fatto che essa si riverbera sul tema della rilevanza o meno dell’errore circa la qualifica di fallito e circa l’esistenza della procedura concorsuale in essere.

12 In giurisprudenza cfr. Cass. pen., Sez. V, 21 gennaio 2011, n. 18565, in CED, rv.

250082.

13 NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., 218. 14 Ancora PEDRAZZI, Sub art. 216, cit., 105.

15 Sul tema, ad esempio, del rapporto tra omesso deposito delle scritture e bancarotta

documentale post-fallimentare, cfr. CAVALLINI, Bancarotta documentale e omesso deposito

137

2.3 - …L’OGGETTIVITÀ GIURIDICA E LE MODALITÀ DELL’OFFESA: DAL PERICOLO ALLA LESIONE

La collocazione di una fonte produttiva di effetti giuridici nel ruolo di presupposto della condotta comporta rilevanti ripercussioni in punto di oggettività giuridica specifica delle forme di bancarotta post-fallimentare.

In parziale dissonanza con quanto rilevato in relazione alle altre ipotesi, va osservato che la tutela creditoria in questo caso non dipende dal riferimento all’art. 2740 c.c., bensì dallo spossessamento effettivo dell’imprenditore insolvente, che dà inizio alla gestione coattiva dei suoi beni. In breve, al vincolo sostanziale agli atti dispositivi (derivabile dall’impero della legge civile) si “sostituisce” la sentenza che accerta l’insolvenza dell’imprenditore, costituendo essa un diverso vincolo, preciso e formalizzato - ma si potrebbe dire “processuale” - rispetto alla disposizione dei beni dell’impresa. Pertanto, ciascun atto non autorizzato costituisce prima facie una sottrazione dei beni al vincolo instaurato dalla procedura16 e certamente vale a rendere gli organi della stessa soggetti passivi della condotta.

In senso contrario, si è rilevato che una vocazione esclusivamente processualistica del bene giuridico specifico della bancarotta post- fallimentare non sarebbe coerente con la disciplina e le conseguenze poste dalla revoca della sentenza dichiarativa, che non eliderebbe certo l’avvenuta “parentesi processuale”17, e che sarebbe parimenti discutibile la tesi della plurioffensività, attesa l’identità del trattamento sanzionatorio tra fattispecie pre- e post-fallimentari18.

In particolare, occorre aver primario riguardo al fatto che la bancarotta, in ogni sua forma, è strutturalmente (e storicamente) un illecito posto a

16 NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., 25. 17 PEDRAZZI, Sub art. 216, cit., 107.

18 Sul tema, più in generale, cfr. DURIGATO, Rilievi sul reato plurioffensivo, Padova 1972;

ARAGONA, Reato plurioffensivo, categoria operativa e non meramente descrittiva, in Riv. it. dir.

138

tutela del diritto di credito, e che soltanto lo scopo della norma ha una vocazione intimamente pubblicistica; in questo senso, l’offesa agli organi della procedura accede naturalmente all’offesa patrimonialistica, ma non pare essere concepibile in assenza della medesima. Si dia il caso, per esempio, di un fatto di bancarotta preferenziale post-fallimentare che soddisfi un unico credito prededucibile, o comunque privilegiato: assegnare alla dimensione di tutela pubblicistica un ruolo fondativo dell’illecito significherebbe, in ogni caso, ritenere meritevole di sanzione penale la condotta testé indicata, per il sol fatto di essere sprezzante dell’autorità della curia fallimentare. La conseguenza sarebbe del tutto paradossale: non vi sarebbe alcuna offesa proprio ai soggetti per i quali - storicamente, socialmente e funzionalmente - la tutela è stata apprestata.

Pertanto, la connotazione dell’oggetto giuridico della bancarotta post- fallimentare deve dimensionarsi nel senso di una non pariteticità degli interessi, dei quali l’uno (pubblicistico-processuale) “accede” all’altro (privatistico-sostanziale), ma senza di esso non può sopravvivere autonomamente come bene degno di tutela. Pertanto, si tratterebbe a tutto concedere di un reato a bene giuridico (non alternativamente, ma) cumulativamente composito dagli interessi sopraindicati.

Quanto alle modalità dell’offesa, deve ribadirsi che la bancarotta post- fallimentare concreta un reato di lesione, e non già di pericolo19: depone in questo senso non solo la ricostruzione del bene giuridico, ma anche e soprattutto l’opera di delimitazione delle fattispecie configurabili, che mostra una “selezione naturale” di ipotesi concepibili anche nella forma del danno. Parallelamente, deve osservarsi che non ogni disposizione patrimoniale, di per sé, costituisce una distrazione rilevante ex art. 216, essendo rilevante il momento dell’impiego e soprattutto le finalità che lo

19 Così NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., 142 e 216; PEDRAZZI, Sub art. 216,

139

motivano, le quali, se confacenti con la procedura, valgono certamente ad escludere la rilevanza penale della condotta20.

2.4-SULLE CARATTERISTICHE DEL DOLO DI BANCAROTTA POST-FALLIMENTARE

In accordo con l’importanza assegnata alla dichiarazione di fallimento e ai relativi effetti giuridici, il dolo della fattispecie post-fallimentare ha delle caratteristiche tipiche che valgono a distinguerlo in modo peculiare. Diversamente da quanto si è osservato con riferimento alla bancarotta pre- fallimentare, infatti, non solo la dichiarazione costituisce certamente un elemento del fatto tipico (il presupposto), ma, di più, la qualifica di fallito pare entrare a pieno titolo nei requisiti di soggettività della fattispecie. In breve: la qualificazione giuridica appartiene alla norma incriminatrice; il suo substrato concreto, invece, è parte integrante del fatto di reato21.

20 Si pensi ancora all’anzidetto esempio del fallito che paghi l’unico credito

privilegiato o prededucibile, in apparente violazione dell’art. 216, comma 3.

21 PEDRAZZI, Sub art. 216, cit., 111. In giurisprudenza, tuttavia, le considerazioni

appena spese sono contraddette da (discutibili) affermazioni di segno opposto, fondate sull’unitarietà della bancarotta pre- e post-fallimentare: in questo senso, si è sostenuto che non è richiesta, sotto il profilo soggettivo, la prova che l’agente abbia avuto contezza della intervenuta dichiarazione fallimentare, attesa l’identità strutturale con la bancarotta pre- fallimentare, nella quale la sentenza civile opera per il sol fatto del suo sopravvenire. Merita riproporre uno stralcio, ad esempio, di Cass. pen., Sez. V, 18 ottobre 2007, in CED,

rv. 237977, per testimoniare quanto la giurisprudenza di legittimità sia talora del tutto

“persa” - pur con grande coerenza - nel “particolarismo” fallimentare: “[…] costituendo

tale dichiarazione elemento costitutivo del reato di bancarotta, come chiarito dalla giurisprudenza largamente maggioritaria sul punto. È evidente, pertanto, che perché possa ravvisarsi il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è affatto necessario, anzi è escluso per come è descritta la fattispecie incriminatrice astratta, che l’imprenditore sappia di essere stato dichiarato fallito, dal momento che i fatti distrattivi puniti vengono commessi prima della dichiarazione di fallimento, anche se in presenza di una situazione di insolvenza di fatto. Con la L. Fall., art. 216, comma 2 il legislatore ha inteso punire con le stesse pene previste dal comma 1 - ipotesi della bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale - anche l’imprenditore che compia atti distrattivi e/o dissipativi del patrimonio sociale durante la procedura fallimentare […]. L’esigenza del legislatore è evidente: è necessario punire le condotte distrattive dell’imprenditore verificatesi durante lo stato di insolvenza, ma anche reprimere quelle condotte di distrazione di beni che l’imprenditore riesca a porre in essere dopo la dichiarazione di fallimento […]. Anzi per certi versi la distrazione successiva alla dichiarazione di fallimento appare ancora più grave dal momento che viene posta in essere quando oramai la disponibilità del patrimonio aziendale è stata sottratta all’imprenditore fallito. […]. Ricostruito in tal modo l’istituto è del tutto evidente che appare irrilevante la

140

Conseguentemente, si palesa, almeno seguendo la logica della tradizionale dottrina della “bancarotta condizionata”, un ingiustificabile diaframma che separa le ipotesi pre- e post-fallimentari in punto di elemento psicologico: mentre nelle prime il fallimento sarebbe una semplice condizione obiettiva, nelle seconde esso sarebbe necessariamente oggetto di rappresentazione, sia sotto il profilo ontologico che di significato. Tale separazione, tuttavia, non ha ragione di sussistere laddove si ritenga - come si è già argomentato22 - che, indipendentemente dalla dichiarazione, l’insolvenza sia comunque un elemento la cui necessaria consapevolezza è richiesta per la commissione dei fatti pre- fallimentari. Quel che è certo, invece, è un diverso dato: la componente psichica assume una diversa connotazione, rivolta non più alla generica diminuzione della garanzia, nella forma del pericolo, bensì al depauperamento dell’attivo fallimentare nella forma del danno, che vede direttamente aggrediti gli organi della procedura.

Le considerazioni appena svolte aprono un interrogativo circa il mantenimento in vita del dolo specifico di talune delle fattispecie fraudolente previste all’art. 216, comma 1: si tratta, in particolare, della

questione, sulla quale ha, invece, molto insistito il ricorrente, della conoscenza o meno da parte dell’imprenditore della dichiarazione di fallimento, costituendo quest’ultima un necessario presupposto, non necessariamente conosciuto dall’imputato, perché siano perseguibili tutte le condotte distrattive, in qualunque momento esse siano state poste in essere. […]. Insomma si vuol dire che la previsione della L. Fall., art. 216, comma 2 non muta la struttura dei reati fallimentari nel senso che la dichiarazione di fallimento è necessaria perché certe condotte siano perseguibili, ma non è affatto necessario che tale dichiarazione sia conosciuta dall’imputato, dal momento che nella normalità dei casi la condotta punibile viene posta in essere prima della dichiarazione di fallimento. Sarebbe del tutto irragionevole ritenere che per ravvisare una ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale non vi sarebbe ovviamente bisogno della conoscenza della dichiarazione di fallimento, mentre per una ipotesi di bancarotta consumata dopo la dichiarazione di fallimento siffatta conoscenza sarebbe necessaria; non si comprenderebbe, invero, la ratio di una tale impostazione. In ogni caso è bene dire che la legge non richiede tale conoscenza […]. In conclusione va detto che colui il quale venga dichiarato fallito sarà punito per fatti distrattivi commessi prima della dichiarazione di fallimento ai sensi della L. Fall., art. 216, comma 1, mentre sarà punito ai sensi del comma 2, citato articolo, per fatti distrattivi commessi dopo la dichiarazione di fallimento. Il ragionamento sviluppato dimostra la infondatezza del secondo e del quarto motivo di impugnazione perché l’attività di distrazione […] sarebbe comunque punibile, ai sensi della L. Fall., art. 216, comma 1 se commessa prima della dichiarazione di fallimento o in virtù del comma 2, citato articolo se realizzata dopo la dichiarazione di fallimento”.

141

bancarotta da esposizione o simulazione di passività e della bancarotta documentale, circoscritta nei termini detti supra; ipotesi che, per la loro netta somiglianza e per la solo mediata rilevanza patrimoniale, possono certamente accomunarsi in una medesima ratio di disciplina, sebbene aventi distinti oggetti materiali.

In relazione alle ipotesi documentali, avuto riguardo alla dizione del comma 2 - la cui formulazione è tutt’altro che felice - si osserva che viene a cadere proprio il requisito del dolo specifico. Nella relazione ministeriale alla legge fallimentare (n. 51), tale peculiarità si giustifica avuto riguardo al fatto che il fallito in casi simili “non può mirare se non ad impedire la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, donde la inutilità di richiedere questo estremo per la incriminazione del fatto”23. L’asserzione, pur richiamando chiaramente un dolus in re ipsa, può essere tuttavia recuperata nel senso di una seria valorizzazione della conoscenza del presupposto, che non concreti necessariamente una presunzione di dolo, bensì un ridimensionamento della fattispecie tipica legittimo a fronte di un quadro fattuale del tutto diverso rispetto all’ipotesi pre-fallimentare, che nel dolo specifico trova un alternativo fattore di selezione.

In altri termini: mentre prima del fallimento è necessaria la presenza del movente tipizzato verso lo scopo del pregiudizio per i creditori, nel corso della procedura (ricorrendo la consapevolezza dell’esistenza della stessa),