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D OLO DI DANNO , DISSESTO EVENTO ED INSOLVENZA EVENTO NELLA BANCAROTTA IMPROPRIA

L A FUNZIONE SELETTIVA DEL DOLO

4. D OLO DI DANNO , DISSESTO EVENTO ED INSOLVENZA EVENTO NELLA BANCAROTTA IMPROPRIA

La distinzione tra bancarotta “propria” e “impropria” trae le sue origine nella dottrina ottocentesca, quando la bancarotta era appunto considerata un reato “proprio” dell’imprenditore, poiché rivolto sul suo patrimonio-

107 NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., 71 ss. 108 PEDRAZZI, Il fine dell’azione delittuosa, cit., 261.

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impresa ed in danno dei suoi creditori. In effetti, è evidente che i soggetti diversi dall’imprenditore possono commettere fatti di bancarotta del tutto analoghi, ma su un patrimonio che non è proprio e nei riguardi di un’impresa non (necessariamente) propria109; certamente, poi, non vengono in tal modo lesi i creditori personali del componente dell’organo di amministrazione o controllo, bensì i creditori sociali.

Sulla delimitazione dei soggetti attivi nonché sulle cc.dd. figure di fatto si è già detto, così come sulla configurabilità di posizioni di garanzia o di semplici obblighi di sorveglianza, con considerazioni alle quali non si può fare a meno di rinviare110.

Il passaggio seguente comporta l’analisi delle fattispecie previste nell’art. 223, il quale, pur da una prospettiva particolare, estende i fatti previsti dall’art. 216 agli organi sociali e aggiunge altre tre fattispecie d’evento, le quali non sono tuttavia suscettibili di una trattazione unitaria, almeno in un primo momento. In questo contesto, non si potrà non far cenno alla teorica dei cc.dd. segnali d’allarme, “rivoluzione” che ha la sua ascendenza sostanziale nella necessità di individuare un criterio di ascrizione soggettiva in relazione alla dinamica collegiale delle decisioni (soprattutto con riguardo ai soggetti “non operativi”, ovverosia non direttamente incaricati di compiti gestori), che recentemente è approdata ben oltre la giurisprudenza penale-economica con la consacrazione dei cc.dd. “indici del dolo” nella sentenza delle Sezioni Unite sul caso Thyssenkrupp111, enumerati (pur non esaustivamente) al precipuo scopo di tracciare “la linea di confine” tra dolo eventuale e colpa con previsione. Infine, sarà mestieri chiedersi se vi sia (ed in che termini) una legittimazione per il dolo eventuale nel diritto penale fallimentare, anche

109 ZANCHETTI, Diritto penale fallimentare, cit., 416. Sul tema, ad esempio, del rapporto

tra il delitto di appropriazione indebita e bancarotta per distrazione cfr. VALBONESI,

Appropriazione indebita, bancarotta per distrazione e ne bis in idem processuale, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2009, 637 ss.

110 V. supra, Cap. I, §§ 6.2 e 6.3.

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in considerazione di quanto rilevato nel corso dell’analisi delle singole fattispecie: non certo perché in astratto inconcepibile o incompatibile con il tenore letterale delle norme, ma perché lontano da quelle sembrano essere le caratteristiche del dolo che si sono evidenziate, e sulle quali si tornerà ancora.

Iniziando dall’esame dell’art. 223, comma 1, esso sanziona con le stesse pene dell’art. 216 gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società dichiarate fallite che abbiano commesso i fatti ivi previsti: pertanto, tutte le fattispecie di bancarotta patrimoniale, preferenziale e documentale sono integralmente trasposte, con identità di interesse tutelato e, soprattutto, con analoga rilevanza della declaratoria fallimentare e dell’insolvenza.

Nondimeno, la scelta di una completa riproposizione dell’assetto delle incriminazioni non è immune da censure. In primo luogo, guardando in profondità, facilmente si rileva che non vi è alcuna specularità tra le fattispecie, essendo al contrario da sottolineare che quelle “improprie” hanno una conformazione offensiva assolutamente più marcata, poiché rivolta ad un oggetto materiale di proprietà “altrui”112. In secondo luogo, alcune delle fattispecie dell’art. 216, se rapportate alla dinamica societaria, finiscono col sovrapporsi alle ipotesi delineate nell’art. 223, comma 2113. Correlativamente, deve osservarsi che le condotte descritte nei nn. 1 e 2 nella norma appena menzionata non possono mai ascriversi all’imprenditore individuale, costituendo esse reati propri degli organi sociali, salva ovviamente l’applicazione della disciplina del concorso dell’extraneus.

A parità di disvalore, posta l’identità sanzionatoria, si impone quindi una approfondita analisi dei requisiti costitutivi che contribuisca a metterne in luce le specificità e rifugga da sperequazioni valoriali tra

112 PEDRAZZI, Reati fallimentari, cit., 159.

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ipotesi proprie e improprie. In breve: si tratta di differenze sostanziali, pur tuttavia non determinanti una modificazione sostanziale dell’ubi consistam oggettivo-soggettivo della bancarotta fraudolenta, che continua ad essere caratterizzata per una gestione non iure del rapporto debito-credito, diretta all’offesa alla garanzia patrimoniale114.

Si è detto che l’art. 223 include, oltre al rimando all’art. 216, anche delle ipotesi ulteriori che delineano figure di bancarotta impropria sconosciute al sistema penale dell’imprenditore individuale: la scelta legislativa denota un maggior rigore legislativo, giustificato dalle considerazioni appena spese, che tuttavia non si esprime nel senso dell’inasprimento sanzionatorio, bensì operando un ampliamento delle fattispecie punibili. La ratio è orientata, appunto, dalle intuibili considerazioni politico- criminali connesse alla maggiore gravità del fatto e delle sue propaggini lesive e alla “flessione delle remore alla mala gestio - rispetto all’imprenditore individuale che rischia in proprio - conseguente alla spezzata (o ridotta) correlazione tra rischio economico e potere di gestione tipica dell’impresa svolta in forma di società”115.

4.1 - LA BANCAROTTA DA REATO SOCIETARIO: DAL PERICOLO PRESUNTO AL MODELLO DELL’ILLECITO DI LESIONE

L’art. 223, comma 2, n. 1, punisce gli organi sociali che hanno cagionato o concorso a cagionare il dissesto della società mediante la commissione di alcuni illeciti societari precisamente individuati: si tratta, in particolare, dei reati di false comunicazioni sociali (artt. 2621 e 2622 c.c.), di indebita restituzione di conferimenti (art. 2626 c.c.), di illegale ripartizione degli

114 In termini analoghi cfr. FIORELLA -MASUCCI, I delitti di bancarotta, cit., 975.

115 NAPOLEONI, Le mariage qui a mal tourné: lo strano caso dell’infedeltà patrimoniale e

della bancarotta “da reato societario”, in Cass. pen., 2009, 297, il quale peraltro richiama le

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utili o delle riserve (art. 2627 c.c.), di illecite operazioni sulle azione o sulle quote sociali (art. 2628 c.c.), di operazioni in pregiudizio dei creditori (art. 2629 c.c.), di formazione fittizia del capitale (art. 2632 c.c.), di indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori (art. 2633 c.c.) e di infedeltà patrimoniale116 (art. 2634 c.c.)117-118.

Tra le ipotesi di bancarotta, si tratta dell’unica fattispecie oggetto di un relativamente recente intervento riformatore, avvenuto con la novella del diritto penale societario recata dal d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61. È importante tracciare, in proposito, un breve quadro riassuntivo dell’evoluzione normativa, poiché essa segna, almeno in parte, il riconoscimento di una necessaria dimensione lesiva nel sistema penal-fallimentare, facendo transitare la fattispecie dall’alveo dei reati di pericolo presunto a quello dei delitti di danno119.

116 Sul rapporto strutturale tra le fattispecie di bancarotta da infedeltà patrimoniale e

di bancarotta per distrazione ex art. 223, comma 1, anche in un’ottica giurisprudenziale, cfr. FIORELLA -MASUCCI, I delitti di bancarotta, cit., 987 ss.; BARTOLO, Bancarotta e infedeltà

patrimoniale infragruppo, cit., 103 ss.; NAPOLEONI, Le mariage qui a mal tourné, cit., 301 ss.; ID., Geometrie parallele e bagliori corruschi nel diritto penale dei gruppi (bancarotta infragruppo,

infedeltà patrimoniale e “vantaggi compensativi”), in Cass. pen., 2005, 3787.

117 Val la pena di sottolineare che, per unanime dottrina e giurisprudenza, il rinvio alle

disposizioni penali summenzionate ha natura non recettizia e, pertanto, gli articoli del codice civile devono intendersi richiamati nella loro attuale formulazione. Per tutti, rispettivamente, cfr. PEDRAZZI, Sub art. 223, cit., 311, e Cass. pen., Sez. V, 24 settembre 1987, n. 2943, in Giust. pen., 1990, II, 285 ss., secondo cui “l’art. 223 l. F. Sub. 1, richiamando

l’art. 2630 cod. civ. non opera un rinvio ricettizio (tale cioè da inglobare nella fattispecie delittuosa della bancarotta fraudolenta gli elementi costitutivi del reato societario, soltanto nei termini previsti dalla formulazione originaria dell’articolo) ma un rinvio non ricettizio, idoneo a ricondurre nel testo dell’art. 223, senza bisogno di altri interventi, tutte le modifiche eventualmente apportate, nel corso del tempo, alle norme precettive e sanzionatorie degli artt. 2630, primo comma e 2357 cod. civ.”.

118 Per una completa analisi delle fattispecie in rapporto all’art. 223, comma 2, n. 1,

anche con riguardo alla distinta delimitazione dei soggetti attivi, cfr. BRICCHETTI, Sub art.

223, in PADOVANI (a cura di), Leggi penali complementari, Milano 2007, 2190 ss. Fin da ora, tuttavia, atteso che la maggior parte dei reati societari elenca come soggetti attivi i soli amministratori e liquidatori, può osservarsi che non pare possibile estendere la responsabilità ex art. 223, comma 2, n. 1 a diversi soggetti, salvi, anche in questo caso, i principî in tema di concorso dell’extraneus nel reato proprio (cfr. ROSSI, I reati fallimentari, cit., 216 ss.; contra SANTORIELLO, La bancarotta fraudolenta impropria, in Le Soc., 2015, 629).

119 Per una panoramica delle criticità relative alla previgente formulazione, oltre alle

opere monografiche già citate e alla manualistica, cfr. MAZZACUVA N., False comunicazioni

sociali e fallimento: un rapporto controverso fra normativa vigente, interpretazione e prospettive di riforma, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2001, 660 ss.; per una chiara illustrazione, al contrario,

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Nella previgente formulazione, infatti, se da un lato erano richiamati diversi reati societari (che sono stati contestualmente modificati), dall’altro lato la più significativa distinzione afferiva alla mancanza del requisito della causazione del dissesto: l’aggravio di pena (che in alcuni casi si avvicinava al raddoppio) scattava pertanto al ricorrere della semplice dichiarazione di fallimento, elemento specializzante elevante slegato eziologicamente e psicologicamente dal reato-base120, con conseguente violazione del principio costituzionale di personalità della responsabilità e della pena121. La bancarotta da reato societario costitutiva dunque un delitto di pericolo presunto122, per di più caratterizzato dalla tutela dei medesimi beni giuridici protetti dai reati societari, e suscettivo di colpire anche l’amministratore che avesse commesso un reato societario in epoca molto remota e sconnesso dalla successiva crisi dell’impresa. È forse superfluo sottolineare che, anche all’epoca, era possibile addivenire ad una interpretazione costituzionalmente orientata della fattispecie (se non altro richiedendo almeno il nesso di causa), la cui affermazione tuttavia non ha mai sfiorato la giurisprudenza, la quale, all’estremo opposto, si è addirittura spesa nel sostenere la compatibilità costituzionale della fattispecie123, e, quando si è “risvegliata” dal “torpore”, troppo tardi ha provato ad invocarne l’illegittimità costituzionale, essendo già intervenuta la citata novella del 2002124.

dei progetti di riforma successivi al 2002, cfr. MASULLO, Bancarotta impropria e reati

societari: prospettive di riforma, in PISANI (a cura di), Diritto penale fallimentare. Problemi

attuali, Torino 2010, 123 ss.

120 Per tutti, NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., 349. 121 Così PROSDOCIMI, Tutela del credito, cit., 148 ss.

122 In questo senso PEDRAZZI, Sub art. 223, cit., 308; MANNA, La riforma della bancarotta

impropria societaria, cit., 494; DONINI, Per uno statuto, cit., 46.

123 Così Cass. pen., Sez. V, 9 dicembre 1980, n. 481, in Il fall., 1981, 510, nella quale si

afferma che il più grave trattamento sanzionatorio è giustificabile in ragione della esigenza di una repressione penale dell’insolvenza (in quanto tale). Sul tema, per tutti, cfr. COCCO, Sub art. 223, in PALAZZO - PALIERO (a cura di), Commentario breve alle leggi

penali complementari2, Padova 2007, 1268 ss.

124 Cfr. Corte Cost., 10 luglio 2002, n. 369, in www.giurcost.org, con la quale si

restituiscono gli atti al rimettente per ius superveniens in relazione alla questione di legittimità dell’art. 223, comma 2, n. 1, per omessa previsione del nesso di causalità tra il

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Parte della dottrina, prima della riforma delle aggravanti intervenuta con la legge 7 febbraio 1990, n. 19, aveva peraltro provato a ricondurre a sistema l’incriminazione ritenendo qualificabile il fallimento ex art. 223, comma 2, n. 1, come circostanza125 ovvero come condizione di maggior punibilità126. Ovviamente, a seguito della riscrittura dei criteri imputativi delle circostanze aggravanti, la ricostruzione in esame appariva del tutto incompatibile col sistema del codice penale, posta l’assenza di un qualsivoglia nesso causale e, soprattutto, di un collegamento soggettivo tra la realizzazione del fallimento e l’agito del reo127. In ogni caso, la configurazione di una simile circostanza avrebbe posto alcuni problemi non secondari (e difficilmente risolvibili): la giustificazione del diverso nomen iuris; l’immane sproporzione sanzionatoria; la necessaria anteposizione del momento consumativo al tempo della commissione della condotta128.

Con la riforma del 2002, come si è anticipato, si è attuata una profonda metamorfosi dell’illecito, inserendo chiaramente il dissesto in qualità di evento della fattispecie, come tale coperto dal nesso di causa e dal dolo, e trasformandolo così in un reato di danno a forma vincolata129. Sul punto, a

delitto di false comunicazioni sociali ed il fallimento in relazione al principio di personalità della responsabilità sancito dall’art. 27, comma 1, Cost.

125 In particolare, cfr. CADOPPI, La natura giuridica dell’ipotesi di cui all’art. 223 cpv. n. 1 l.

fall., in Il fall., 1981, 824; ID., La distinzione fra circostanze aggravanti ed elementi costitutivi

specializzanti al vaglio di un caso concreto: la bancarotta impropria realizzata tramite reati societari, in Giur. merito, 1985, II, 657 ss.; MELCHIONDA, Appunti sulla circostanza aggravante

di cui all’art. 223, comma 2, l.f., in Giur. comm., 1981, II, 160 ss.; MACCAGNO BENESSIA, voce

Reati fallimentari, cit., 4; LANZI A., La tutela penale del credito, cit., 247.

126 NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., 349; contra PERINI A. - DAWAN, La

bancarotta fraudolenta, cit., 305, per l’estraneità della categoria alla teoria del reato.

127 PERINI A.-DAWAN, La bancarotta fraudolenta, cit., 306. 128 In tema cfr. PEDRAZZI, Reati fallimentari, cit., 169.

129 Sul tema della continuità normativa, com’è noto, le Sezioni Unite (Cass. pen.,

SS.UU., 26 marzo 2003, n. 25887, in Cass. pen., 2003, 3310 ss.) hanno sancito che la riformulazione delle fattispecie (societarie e fallimentare) ha comportato una abolitio

criminis solo parziale, relativa ai fatti commessi prima della delle modifiche e non

integranti i “nuovi” reati societari e ai casi per i quali non si ravvisi il nesso di causa richiesto dal riformato art. 223. In argomento cfr. PUTINATI, La nuova bancarotta “societaria”

di cui all’art. 223, comma 2, n. 1 legge fallimentare. Problemi di imputazione oggettiva e soggettiva, in Dir. prat. soc., 2002, 14 ss.; LANZI A., La nuova bancarotta fraudolenta per

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nulla vale il rilievo che la medesima entità concreterebbe sia l’evento che la condizione obiettiva del reato, costituendo invece il riformulato art. 223, comma 2, n. 1, una ulteriore conferma dell’elaborazione qui proposta130.

Come si è già dimostrato, infatti, dissesto e fallimento rappresentano concetti del tutto distinti e chiaramente afferrabili. Il “dissesto” è un evento quantitativo, un apprezzabile squilibrio di risorse economiche che assume rilevanza solo unitamente all’insolvenza131, essendo altrimenti ininfluente ai fini delle procedure concorsuali, non incrinando minimamente l’interesse creditorio tutelato dalla norma. A differenza dell’insolvenza può essere concepito in termini gradati, e finanche di “aggravamento” (ex art. 224, n. 2, l.f.), laddove la prima costituisce uno

precedente reato societario, in Dir. prat. soc., 2002, 20 ss.; PULITANÒ, La legalità discontinua?

Paradigmi e problemi di diritto intertemporale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, 1285 ss.;

PADOVANI, Bancarotta fraudolenta impropria e successione di leggi: il bandolo della legalità in

mano alle Sezioni unite, in Cass. pen., 2003, 3329 ss.; GAMBARDELLA, Il nesso causale fra i reati

societari e il dissesto nella “nuova” bancarotta fraudolenta impropria: profili dogmatici e di diritto intertemporale, in Cass. pen., 2003, 97 ss.; DONINI, Discontinuità del tipo di illecito e amnistia.

Profili costituzionali, in Cass. pen., 2003, 2857 ss.; DELLI PRISCOLI, Successione di leggi nel

tempo. Falso in bilancio e bancarotta fraudolenta, in Giust. pen., 2003, II, 1 ss.;, Continuità

normativa e bancarotta fraudolenta, in Il fall., 2003, 420 ss.; IACOVIELLO, Bancarotta fraudolenta

e successione di leggi: la scelta tra sano pragmatismo e cattiva metafisica, in Cass. pen., 2003, 616

ss.; MICHELETTI, La continuità intertemporale della bancarotta fraudolenta “cagionata” tramite

reati societari, in Dir. pen. proc., 2003, 715 ss.; BRICCHETTI, Prevale l’approccio di tipo

strutturale imperniato sul principio di specialità, in Guida dir., 2003, 26, 72 ss.; LANZI A., Per le

Sezioni Unite il vecchio falso in bilancio resta reato, in Dir. prat. soc., 2003, 6 ss.; MANNA, Dalla

riforma dei reati societari, cit., 185.

130 Contra CASAROLI, “Fallimento” e bancarotta, cit., 296, nel senso che la dichiarazione di

fallimento manterrebbe un ruolo analogo a quello ricoperto nell’art. 216 soltanto nel comma 1 dell’art. 223, mentre al comma 2, avendo il fallimento la natura di evento tipizzato del reato, sarebbe del tutto superfluo richiedere che la società venga dichiarata fallita. Pur finemente argomentata, la tesi in esame “prova troppo”: la tipizzazione del dissesto, proprio nella disposizione incriminatrice in commento, non implica necessariamente la declaratoria civile, che, ove non richiesta, consentirebbe di punire ex art. 223, comma 2, n. 1, i reati societari che conducono ad uno squilibrio patrimoniale in assenza del citato provvedimento, con una radicale sovversione della ratio stessa dell’enunciato normativo e dell’attuale sistema penal-fallimentare. In tema, pur con riferimento al n. 2, cfr. PEDRAZZI, Reati fallimentari, cit., 170.

131 Chiarissime, sul punto, le parole di DONINI, Per uno statuto, cit., 48: “C’è insolvenza

anche senza dissesto (una società in bonis, dotata di un cospicuo patrimonio immobiliare, ma priva di liquidità, che non riesca a far fronte ad alcuni debiti), mentre non c’è dissesto senza insolvenza”. In senso sostanzialmente analogo CASAROLI, Sub art. 223, in MAFFEI ALBERTI (a cura di), Commentario breve alla legge fallimentare6, Padova 2013, 1536, secondo cui “il

termine ‘dissesto’ […] deve qui essere inteso nel senso di insolvenza così come normativamente definita dall’art. 5, 2° co., l. fall.”, nonché, ugualmente, ROSSI, I reati fallimentari, cit., 218.