• Non ci sono risultati.

S ULLA ( IN ) CONFIGURABILITÀ DEL TENTATIVO PRIMA DEL FALLIMENTO : IL PERICOLO DI UN PERICOLO

L’indagine circa la possibilità di configurare il tentativo nelle fattispecie di bancarotta richiede alcune necessarie delimitazioni preliminari, sulla scorta della variegata fisionomia delle fattispecie.

In prima battuta, va osservato che non è ovviamente concepibile in forma tentata la bancarotta colposa (art. 217, n. 2, n. 3 e n. 4, e art. 224, n. 2), né tanto può immaginarsi in relazione alle ipotesi omissive proprie della bancarotta semplice patrimoniale ex art. 217, n. 5, l.f. e della bancarotta semplice documentale ex art. 217, comma 2, pur limitatamente al caso della mancata istituzione delle scritture contabili257.

Quanto, poi alle fattispecie di cui all’art. 223, comma 2, occorre svolgere distinte considerazioni per i due titoli di reato coinvolti.

Con riferimento alla causazione dolosa del fallimento, il tentativo può in qualche modo essere ammesso in ragione del fatto che questo costituisce l’evento naturalistico del reato, ma solo in combinato disposto

256 La quale contempla esclusivamente le ipotesi descritte all’art. 3 c.p.p., ovvero i casi

di sospensione ex art. 479, nel quale potrebbe eventualmente rientrare anche il procedimento fallimentare. Cfr. sul tema Cass. pen., SS.UU., 28 febbraio 2008, n. 19601, in

Cass. pen., 2008, 3592 ss., a mente della quale “il giudice penale può disporre la sospensione del dibattimento a norma dell’art. 479 c.p.p. qualora sia in corso il procedimento civile per l’accertamento dello ‘status’ di fallito, ferma restando, una volta che sia intervenuta sentenza definitiva di condanna, la facoltà del condannato di chiederne la revisione ai sensi dell’art. 630 comma 1 lett. b) c.p.p.”.

257 MANGANO, Disciplina penale del fallimento, cit., 147; PAGLIARO, Il delitto di bancarotta,

cit., 152; ANTONIONI, La bancarotta semplice, cit., 240 ss. Contra, in linea generale, con riferimento al tentativo nei delitti omissivi propri, cfr. per tutti MANTOVANI F., Diritto

99

con l’art. 238 l.f.258; diversamente, essendo compresenti nella fattispecie gli elementi del fallimento-procedura-condizione e del fallimento-insolvenza- evento, si deve concludere che la società deve essere già fallita, poiché o non ricorre il fallimento-condizione (e allora non vi può essere punibilità), o vi è il fallimento-evento (e allora il delitto è già consumato). Una parte minoritaria della dottrina, tuttavia, osserva che il tentativo di far naufragare un’attività imprenditoriale mediante operazioni dolose, seguito da un fallimento dovuto ad altre cause o per cause indipendenti, ovvero dall’ammissione alla procedura del concordato preventivo, integrerebbe l’ipotesi di cui all’art. 56 c.p.259; il tentativo, pertanto, dovrebbe essere configurabile unicamente nei casi di interruzione del nesso causale a fronte di un’attività univoca e idonea a provocare il fallimento260.

Quanto alla fattispecie di bancarotta “societaria” di cui al n. 1 dell’art. 223, invece, pare comunque difficile ipotizzarlo, se non nel caso (di scuola) in cui non sia perfezionato il reato societario e si riesca a dimostrare l’univocità degli atti verso il compimento della bancarotta, e non già soltanto del primo261. Diversamente, se il dissesto-evento non viene ad esistenza, ciò che risulterà senz’altro punibile - senza ricorrere a forzature teoriche - è il solo reato societario consumato; qualora, poi, ci si attestasse sulla soglia del tentativo di quest’ultimo, la prospettiva che appare più convincente è quella che vede l’esclusiva punibilità del tentato delitto societario, con l’esclusione, ovviamente, della fattispecie contravvenzionale prevista all’art. 2627 c.c..

Passando all’esame delle norme incriminatrici previste all’art. 216 l.f., il tentativo pare configurabile sia nelle ipotesi di bancarotta preferenziale da

258 Così GIULIANI BALESTRINO, La bancarotta, cit., 436 ss.

259 Ancora GIULIANI BALESTRINO, La bancarotta, cit., 437; cfr. per maggiori

argomentazioni anche ID., Il tentativo della bancarotta fraudolenta pre-fallimentare nella teoria

del delitto tentato, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1995, 479 ss.

260 PEDRAZZI, Sub art. 223, cit., 320 ss. 261 CASAROLI, Disposizioni penali, cit., 1413.

100

indebito pagamento (e non anche nel caso della simulazione di titoli di prelazione, che può considerarsi un delitto unisussistente262), sia nelle ipotesi di bancarotta post-fallimentare, tanto documentale quanto patrimoniale, essendo assolutamente immaginabile la condotta di chi, dichiarato il fallimento, realizza atti idonei ed univoci alla commissione dei fatti al comma 1263 (con l’eccezione della condotta di “dissipazione”, anch’essa chiaramente unisussistente).

Anche in questo settore della disciplina, com’è già intuibile, i maggiori problemi sono posti dalle fattispecie pre-falllimentari fraudolente in senso stretto. Ritenendo che il fallimento costituisca una condizione di punibilità, sorge infatti immediatamente l’interrogativo circa la configurabilità del tentativo in relazione ai delitti condizionati264, che viene da taluno ammessa unicamente nel caso in cui la condizione possa verificarsi anche nel caso in cui l’illecito non si sia perfezionato, essendo indipendente dalla consumazione del reato (pur, si noti, con una punibilità differita). Esemplificando, sarebbe punibile l’imprenditore dichiarato fallito che ha posto in essere atti diretti a distrarre o sottrarre, e non anche chi tentasse di indurre al matrimonio mediante inganno, poiché la condizione dell’annullamento del matrimonio tipizzata nell’art. 558 c.p. è logicamente posteriore alla consumazione265.

Altri, ancora, ammettono il tentativo sulla base di ulteriori argomenti. In particolare, si è sostenuta l’irragionevolezza della configurazione del

262 NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., 483; COCCO, La bancarotta preferenziale,

cit., 178 ss.

263 PUNZO, Il delitto di bancarotta, cit., 275; NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit.,

482; MANGANO, Disciplina penale del fallimento, cit., 147.

264 Negano la prospettiva in esame, pur con argomentazioni distinte, NUVOLONE, Il

diritto penale del fallimento, cit., 481; ID., voce Fallimento (reati in materia di), cit., 497; PEDRAZZI, Sub art. 216, cit., 37 ss.; ROVELLI, Reati fallimentari, cit., 107; PETROCELLI, Il delitto

tentato. Studi, Padova 1955, 51; FRIGO, Il tentativo nei delitti di bancarotta, Pavia 1959, 250 ss.

265 Così, anche per l’esempio, MANTOVANI F., Diritto penale. Parte generale9, cit., 449; ammettono il tentativo ANTONIONI, La bancarotta semplice, cit., 240; PUNZO, Il delitto di

bancarotta, cit., 276 ss.; LA MONICA, I reati fallimentari, cit., 620 ss.; GIULIANI BALESTRINO, La

bancarotta, cit., 436 ss.; MACCAGNO BENESSIA, voce Reati fallimentari, cit., 17; PERINI A. - DAWAN, La bancarotta fraudolenta, cit., 355; CONTI, I reati fallimentari, cit., 313 ss.

101

medesimo nelle meno frequenti ipotesi post-fallimentari e della negazione della stessa nel caso in cui il tentativo intervenga nella fase pre- fallimentare (si noti, talora perfettamente immaginabile, anche in ragione della pacifica frazionabilità della condotta). Inoltre, si osserva, la disposizione dell’art. 238 l.f. condurrebbe ad una facile soluzione poiché, se applicata all’art. 223, comma 2, n. 2, come già visto, porterebbe proprio alla configurazione del tentativo, posto che si procederebbe (almeno inizialmente) in assenza dell’evento266.

Un’altra autorevole voce dottrinale afferma, poi, a) che anche nel caso in cui si considerasse il fallimento una condizione obiettiva, non vi sarebbe motivo per negare la fattispecie tentata qualora questo sia stato dichiarato, ma il fatto non sia stato compiuto; b) che l’irrilevanza del nesso causale nelle ipotesi ex art. 216 l.f. non avrebbe alcuna conferenza rispetto al tema in parola; c) che la bancarotta non sarebbe un reato di pericolo, ma di lesione del bene giuridico dell’ordinato esercizio del commercio267.

A sostegno della tesi che propugna l’ammissibilità del tentativo, infine, si osserva che tra il delitto consumato e il delitto tentato sussiste l’identità dell’oggetto di tutela e che, in ragion di questo, dovrebbe automaticamente estendersi la condizione di punibilità anche alle ipotesi ex art. 56 c.p., rilevandosi che se essa è determinante per il delitto consumato lo deve essere a fortiori ratione per il delitto tentato, che costituisce un quid minus del primo268.

In questa prospettiva, occorre peraltro verificare quali siano gli spazi per l’applicazione della desistenza volontaria269 e del recesso attivo (art. 56, comma 3 e 4, c.p.). Il tema sembra ridursi alla stessa ipotizzabilità della

266 GIULIANI BALESTRINO, La bancarotta, cit., 437.

267 PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, cit., 150 ss.; in proposito, si veda quanto osservato

supra in relazione all’oggetto giuridico (§ 1) e alla particolare posizione dell’Autore circa

la rilevanza della dichiarazione di fallimento (§ 2.2).

268 CONTI, I reati fallimentari, cit., 316.

269 Per un’originale prospettiva ricostruttiva della bancarotta come ipotipo del

102

c.d. bancarotta riparata (già esaminato supra270), per la quale l’imprenditore non soggiace alla sanzione poiché al momento del fallimento viene semplicemente meno quella diminuzione patrimoniale e/o documentale che è richiesta per la sussistenza dell’illecito penale271.

Tentando di abbozzare una soluzione congruente con le premesse poste in precedenza, pare preferibile configurare il tentativo solo nelle ipotesi post-fallimentari, essendo impossibile addivenire, pur a fronte di una possibilità concreta di immaginarlo, alla punizione del delitto tentato di bancarotta pre-fallimentare272.

Le ragioni a sostegno della tesi proposta sono molteplici.

a) In primo luogo, imponendo una condizione obiettiva, il legislatore tipizza un evento che deve necessariamente legarsi ad un fatto inteso e realizzato nella sua interezza. La riprova sta nella logica dell’istituto: se neanche la ricorrenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie è suscettiva di azionare la risposta penale, in ragione della sottoposizione alla condizione, sarebbe del tutto assurdo, una volta che questa viene ad esistenza, “accontentarsi” di un minus, ovverosia di una sola porzione di quel fatto che, di per sé, non era meritevole di essere sanzionato, e che peraltro diverrebbe punibile proprio in deroga al giudizio specifico espresso dal legislatore (ed in deroga al principio lex specialis derogat generali).

In questo senso, peraltro, si palesa l’assurdo di ritenere trasferibile la condizione al delitto tentato in ragione della mera identità di oggetto giuridico, che, com’è già stato lucidamente rilevato, non costituisce altro che un’applicazione dell’analogia in malam partem, per di più con

270 V. supra, §§ 2.4 e 4.

271 CARRERI, Ancora sulla pregiudiziale fallimentare, cit., 307 ss.; SCALERA, La bancarotta

fallimentare, Milano 2001, 240.

272 In giurisprudenza v’è un singolo, risalente, precedente di legittimità che si pone in

senso conforme a quanto detto: cfr. Cass. pen., Sez. V, 12 settembre 1967, n. 875, in CED,

rv. 105381, secondo la quale “in tema di bancarotta fraudolenta il tentativo è incomparabile rispetto a fatti anteriori alla dichiarazione di fallimento”.

103

riferimento a norme incriminatrici273. D’altra parte, il tentativo di un fatto che non costituisce di per sé un illecito non è immaginabile: perché questo vi sia, infatti, occorre che al momento della condotta vi sia l’astratta possibilità di attuare completamente il proposito criminoso.

b) Secondariamente, la natura di reati di pericolo delle fattispecie di bancarotta pre-fallimentare osta chiaramente alla configurazione del tentativo, che si risolverebbe nell’imputazione di un “pericolo di pericolo”, dalla carica offensiva più che ridotta e, nondimeno, profondamente incidente sulla dinamica della gestione imprenditoriale274.

c) Infine, il rilievo, solo suggestivo, per cui sarebbe illogico ed irragionevole prevedere il tentativo con riferimento alle fattispecie post- fallimentari e non alle altre ipotesi sconta un triplice errore: nelle premesse di fondo, nel contenuto, nella metodologia.

Preliminarmente, è dimostrata la rilevanza, nella tesi che si propone, della distinzione tra norme incriminatrici in ragione dell’intervenuto fallimento, con specifico riguardo alla forma dell’offesa, che è ravvisabile nella lesione, stavolta inevitabilmente concreta e palpabile, dell’interesse creditorio e della funzione giurisdizionale.

L’argomento, poi, della maggiore frequenza e/o della maggiore gravità delle fattispecie pre-fallimentari, come tutti gli argomenti meta-giuridici, sconta un’inevitabile dose di arbitrarietà: non solo perché non è affatto chiaro ove risiederebbe la maggior gravità, che pare anzi porsi in un rapporto decisamente invertito; ma soprattutto perché l’incidenza statistica dei delitti non decide del loro disvalore normativo, altrimenti

273 NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., 482, nota 2.

274 PEDRAZZI, Sub art. 216, cit., 37; così, in linea generale, cfr. MANTOVANI F., Diritto

penale. Parte generale9, cit., 447 ss.; PADOVANI, Diritto penale10, cit., 282 (limitatamente ai delitti di pericolo concreto). Contra, per la graduabilità del pericolo, e dunque per la semplice regressione del medesimo ad una soglia minore, senza che ciò impedisca la configurabilità della fattispecie tentata, cfr. PERINI A.-DAWAN, La bancarotta fraudolenta, cit., 347. Per una soluzione intermedia, che si leghi al caso concreto senza perdere di vista il principio di offensività e di proporzionalità della pena cfr. BRICCHETTI, Sub art. 216, cit., 1966.

104

sarebbe certo perorabile con successo la causa della parificazione quoad poenam dell’omicidio colposo rispetto all’omicidio doloso275.

In ultimo, è probabilmente fuorviante - in ogni prospettiva ricostruttiva del fenomeno della bancarotta - far ricorso al canone della ragionevolezza in funzione criminalizzante.

6.PUNTI FERMI (E CRITICI) SUI SOGGETTI ATTIVI DEI DELITTI DI BANCAROTTA