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I L DOLO SPECIFICO QUALE “ SELETTORE ” DEL TIPO

L A FUNZIONE SELETTIVA DEL DOLO

3. I L DOLO SPECIFICO QUALE “ SELETTORE ” DEL TIPO

Si è appena dimostrato che le fattispecie pre-fallimentari a dolo specifico si caratterizzano per una minor capacità selettiva del fatto, che deve necessariamente accompagnarsi al movente tipizzato per giungere ad un sufficiente livello di determinatezza e di univocità di offesa del bene giuridico35. In effetti, anche un esame superficiale delle stesse rivela chiaramente questa realtà: α) la esposizione o il riconoscimento di passività inesistenti (art. 216, comma 1, n. 1, secondo periodo) non sono atti che sono soggettivamente univoci, poiché possono essere il frutto di un semplice errore, o ancora essere diretti ad ingannare altri soggetti (come, ad esempio, il fisco); β) le fattispecie documentali possono parimenti essere rette da un movente distinto, come il fine di sottrarsi alla responsabilità penale (occultando fondi “neri” impiegati per delitti di corruzione), ovvero ancora il fine di ottenere un indebito risparmio d’imposta; γ) ancor più chiaramente, infine, la condotta di simulazione di titoli di prelazione e il pagamento preferenziale del credito non hanno alcuna caratterizzazione certa in punto di oggettività, richiedendo necessariamente l’apporto selettivo del dolo specifico, che può qualificarsi distintamente in ragione delle due ipotesi di bancarotta preferenziale36.

Pur mantenendo fermo questo insieme di notazioni, va tuttavia osservato che il dolo specifico delle fattispecie penal-fallimentari non è sempre uguale a se stesso (anche se è sempre connotato dallo scopo di

35 Per tutti, PALAZZO, Il principio di determinatezza nel diritto penale, Padova 1979, 332 ss. 36 Analogamente NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., 72 ss.

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recare pregiudizio ai creditori), ma assume un ruolo diverso in ragione del titolo di reato coinvolto e dei suoi rapporti con le altre fattispecie incriminatrici37.

In ogni caso, il dolo specifico - tipico ma “trascendente” il fatto - è “elettivo” e deve avere ad oggetto una finalità non necessariamente implicata nella volizione del fatto tipico, altrimenti non “specificherebbe” alcunché: lo scopo, selezionato dal legislatore tra quelli possibili, è un elemento essenziale del reato38, ed è dunque anche esclusivo (proprio in quanto elettivo), essendo penalmente irrilevante di ogni altro movente39.

In questo senso, pertanto, si imporrà una trattazione separata dei vari illeciti, che ne metta in luce le particolarità, ma che mostrerà ugualmente il fil rouge che avvince le ipotesi in esame. Dalla fattispecie di esposizione o riconoscimento di passività inesistenti, perlopiù negletta nella prassi e nella dottrina, si procederà al cuore della trattazione con le fattispecie documentali, lette nel loro rapporto di alternatività tra dolo generico e specifico, nonché alla luce della “metamorfosi” che interviene nella forma post-fallimentare. Infine, pur essendo in qualche modo estranea al nucleo centrale della bancarotta fraudolenta, dalla quale si distingue anche per la

37 Sul tema del dolo specifico, in una prospettiva generale, oltre alla manualistica e alle

voci enciclopediche già citate, cfr. RUGGIERO, Gli elementi soggettivi della tipicità. Indagine

sui rapporti tra tipicità e antigiuridicità nella teoria generale del reato, Napoli 2011, 8 ss.;

MARINUCCI, Soggettivismo e oggettivismo nel diritto penale. Uno schizzo dogmatico e politico-

criminale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, 6 ss. e 11 ss.; MORSELLI, Condotta ed evento nella

teoria del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1998, 1112 ss.; GELARDI, Il dolo specifico, Padova 1996, in particolare 147 ss., 255 ss. e 343 ss.; PICOTTI, Il dolo specifico. Un’indagine sugli

“elementi finalistici” delle fattispecie penali, Milano 1993, in particolare 471 ss., 533 ss. e 578

ss;MAZZACUVA N., Sciopero o serrata per “coazione alla pubblica autorità”: ovvero a proposito

del dolo specifico quale (unico) elemento di disvalore della fattispecie, in Riv. giur. lav., 1983, IV,

177 ss.; BRICOLA, Considerazioni esegetiche sul dolo specifico del reato di falso in scrittura

privata, in Arch. pen., 1960, 63 ss.; MALINVERNI, Scopo e movente nel diritto penale, Torino 1955, 150 ss.; PEDRAZZI, Il fine dell’azione delittuosa, in Riv. it. dir. pen., 1950, 259 ss.; FINZI, Il

cosiddetto “dolo specifico”. Volizioni dirette verso un risultato che sta fuori degli atti esterni di esecuzione di un reato, in AA.VV., Studi in memoria di Arturo Rocco, I, Milano 1952, 383 ss.

Sui reati fallimentari, oltre alle opere monografiche già citate, cfr. BIANCONELLA, Dolo

specifico nei reati di bancarotta fraudolenta, in Riv. pen., 1952, 115 ss.

38 In questi termini GELARDI, Il dolo specifico, cit., 163 ss.

39 In tema cfr. MORO, L’antigiuridicità penale, Palermo 1947, 123 ss., secondo il quale la

distinzione tra movente e fine specifico risiede esclusivamente nella tipicità. Cfr. anche PICOTTI, Il dolo specifico, cit., 520 ss.

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notevole riduzione del compasso edittale, pare impossibile prescindere da un compiuto esame delle caratteristiche del dolo specifico della bancarotta preferenziale, nonché dal suo raffronto con il principio costituzionale di offensività.

3.1 - IL DOLO SPECIFICO DIFFERENZIALE: LA BANCAROTTA DA ESPOSIZIONE O RICONOSCIMENTO DI PASSIVITÀ INESISTENTI

La fattispecie in esame, prevista al secondo periodo del n. 1 dell’art. 216, comma 1, si colloca sul piano delle fattispecie che comportano una diminuzione fittizia della garanzia, posto che la condotta si concreta, a mezzo della manomissione dei relativi documenti, nel far risultare un patrimonio di entità minore. Al contrario, deve distinguersi il fatto di chi contrae nuove passività effettive, il quale non è punibile a titolo di bancarotta fraudolenta, bensì ai sensi dell’art. 218 l.f., pur con la precisazione, a livello temporale, che l’insolvenza dell’impresa deve già essere manifesta (e dissimulata)40. Ancora, dall’ipotesi in esame si deve poi differenziare la simulazione di titoli di prelazione, che dà vita al più lieve delitto di bancarotta preferenziale ex art. 216, comma 3, sul quale si tornerà più avanti41.

La distinzione accennata tra le fattispecie evocate non è priva di riverberi logico-giuridici. Mentre con la deminutio prodotta a mezzo delle

40CASAROLI, Qualche riflessione sull’oggetto materiale del delitto di bancarotta, in Riv. trim.

dir. pen. econ., 1991, 405; NAPOLEONI, Notule rapsodiche sulla bancarotta fraudolenta per

manomissione di beni provenienti da reato, in Cass. pen., 1988, 151. Avverte tuttavia PEDRAZZI, Sub art. 216, cit., 65, che è innegabile una rilevanza indiretta dell’indebitamento nell’ambito della bancarotta fraudolenta patrimoniale, poiché esso riduce il margine di libera disponibilità dell’imprenditore e può finanche essere strumentale ad una sottrazione di attività, anche se la dissipazione “non si identifica con la creazione di nuove

passività, bensì con il cattivo uso delle disponibilità che il soggetto si procura a fronte dell’obbligazione differita di pagamento o rimborso. […] Il parametro di liceità non è dato dall’indebitamento come tale, ma dalle utilità che l’imprenditore trae dal credito ottenuto: non costituisce ovviamente bancarotta fraudolenta il finanziamento di spese produttive […]”.

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condotte di bancarotta patrimoniale il soggetto tende a procurarsi un profitto, attribuendosi alcuni beni ovvero distruggendoli o dissipandoli, nelle ipotesi di diminuzione fittizia previste dal secondo periodo dell’art. 216, comma 1, n. 1, l’autore del reato commette un fatto prodromico alla sottrazione di attività con lo scopo di produrre un danno ai creditori: una quota del patrimonio, infatti, viene vincolata al soddisfacimento degli pseudo-creditori e, pertanto, sottratta a quelli effettivi42.

Come si è accennato, l’affinità dell’oggetto materiale consente di assimilare tale incriminazione alle fattispecie documentali anziché a quelle strettamente patrimoniali, incidenti con una diminuzione reale sul patrimonio del decoctor43, sebbene l’ipotesi in esame differisca chiaramente dalle prime, trattandosi di un falso ideologico che non cade sulle scritture contabili44.

L’alternativa tra “esposizione” e “riconoscimento” apre l’orizzonte sulla possibilità, nel secondo caso, di una collusione con il creditore fittizio in qualità di concorrente nel reato; questi, tuttavia, non deve automaticamente qualificarsi come coautore necessario, posto che egli può anche essere in buona fede, rilevando in tal caso unicamente il comportamento del fallito45. La casistica generalmente ricordata in dottrina è quella relativa alla iscrizione di una passività (anche parzialmente) fittizia nel bilancio, ovvero all’inclusione di un credito insussistente nei documenti presentati al curatore ex art. 86 l.f., ovvero ancora all’acquiescenza rispetto a pretese infondate nei confronti dell’imprenditore medesimo46. Nel diritto giurisprudenziale, peraltro, si

42 In senso parzialmente analogo cfr. PEDRAZZI, Reati fallimentari, cit., 125; contra ROSSI,

I reati fallimentari, cit., 101 e 114.

43 In termini PAGLIARO, Riflessioni sulla riforma, cit., 858;FIORELLA -MASUCCI, I delitti di

bancarotta, cit., 893. In giurisprudenza cfr. Cass. pen., Sez. V, 19 giugno 2014, n. 41051, in CED, rv. 260773.

44 NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., 281. 45 PEDRAZZI, Sub art. 216, cit., 67.

46 CONTI, I reati fallimentari, cit., 167; BRICCHETTI -PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati

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afferma comunemente che non è sufficiente una ammissione episodica e priva di tracce, bensì è necessario che sia posta in essere la simulazione di una situazione giuridica vincolante. Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha ristretto la nozione di “passività” (di per sé comprendente qualunque elemento di contenuto negativo), limitandola ad un’accezione contabile, per la quale risultano escluse le componenti negative del reddito, anche se fittizie47.

La non univocità offensiva del fatto si palesa avuto riguardo alle notevoli analogie che possono instaurarsi rispetto all’illecito previsto nella prima parte dell’art. 220 l.f., laddove si incrimina “il fallito, il quale, fuori dai casi preveduti dall’art. 216, nell’elenco nominativo dei suoi creditori, denuncia creditori inesistenti”. Essendo quest’ultimo punibile, oltre che per dolo generico, anche a titolo di colpa (comma 2), la distinzione si accentra - al di là della (scarsa) efficacia della clausola di riserva - proprio nello scopo tipizzato dall’art. 216, nel quale si racchiude il significativo divario di pena che separa le due fattispecie.

È infatti evidente la profonda diversità di ratio che sostiene l’incriminazione, specialmente laddove si abbia riguardo alla possibilità di concepire l’illecito ex art. 220 in forma colposa, il che esclude in radice il finalismo offensivo della “fraudolenza”. La strumentalità del comportamento alla soddisfazione del movente tipizzato costituisce un dato sintomatico dello stesso contenuto oggettivo del fatto tipico: l’agente lo pone in essere finalisticamente tendendo alla lesione dell’interesse protetto, col che il fine non può ridursi ad un dato meramente interiore, dovendo invece esistere e insistere sul fatto, ovviamente a prescindere

47 In termini cfr. Cass. pen., Sez. V, 20 aprile 2007, n. 29336, in CED, rv. 237255;

diversamente cfr. Cass. pen., Sez. V, 26 ottobre 2004, n. 45431, in CED, rv. 230353, in cui la Corte ha ritenuto la sussistenza degli estremi del reato nell’applicazione di coefficienti di ammortamento superiori a quelli fiscalmente ammessi, a prescindere dal rilievo che tale condotta costituisce un illecito fiscale; tale comportamento, infatti, si tradurrebbe nell’esposizione di costi fittizi che incidono sul risultato d’esercizio e dunque nell’esposizione di passività non reali, in pregiudizio dell’interesse dei creditori.

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dalla circostanza che lo scopo venga materialmente conseguito o pienamente soddisfatto48.

In questo senso, pertanto, può affermarsi che il dolo specifico della bancarotta “da esposizione…” sembra essere un dolo specifico c.d. differenziale, ovverosia posto allo scopo di distinguere la punibilità rispetto a fatti di pari offensività oggettiva e comunque meritevoli di pena. Con la necessaria conseguenza di dover obiettivizzare il fine del dolo specifico, allo scopo di recuperare l’illecito al diritto penale dell’offesa, la quale pare attuabile secondo due diverse prospettive.

Un primo gruppo di opinioni ritiene necessario dover richiedere l’obiettiva idoneità della condotta a realizzare il movente tipizzato dalla norma, allo scopo di rendere meno disarmonica la differenziazione delle pene49. Ad esse si contrappone un secondo orientamento, il quale, pur non disconoscendo l’esigenza anzidetta, ritiene che sia ultroneo colorare di valenze obiettivamente causali il dolo specifico, rischiando una possibile sovrapposizione concettuale con il delitto tentato50: in questa prospettiva, il nesso eziologico andrebbe eventualmente ricostruito in termini rovesciati, posto che la “causa-movente” deve essere già compiutamente visibile nell’esecuzione dell’azione da cui soltanto dipende la sussistenza del reato, rendendo così coerente anche la determinazione del momento perfezionativo51. In altri termini: pur entrambi mossi dalla medesima esigenza, il primo orientamento obiettivizza il fine inserendo nella

48 Così PICOTTI, Il dolo specifico, cit., 506 ss.

49 Sulla necessità di riferire alla condotta l’elemento di specificazione contenuto nelle

locuzioni di previsione del dolo specifico, costituendo la descrizione normativa del dolo un elemento conformatore della condotta nel senso dell’obiettiva adeguatezza, cfr. MANTOVANI F., Diritto penale. Parte generale9, cit., 215 ss.; STORTONI, L’abuso di potere nel

diritto penale, Milano 1976, 83 ss. e 265 ss.; PADOVANI, La frode fiscale. Profili generali, in GROSSO (a cura di), Responsabilità e processo penale nei reati tributari2, Milano 1992, 201; FORNASARI, I criteri di imputazione soggettiva della bancarotta semplice, in Giur. comm., 1988, 677 (il quale si riferisce alla “potenzialità eziologica”).

50 Cfr. PICOTTI, Il dolo specifico, cit., 506 ss., il quale osserva che “così si finisce per

trasformare o confondere la finalità dell’agente, espressamente tipizzata come soggettiva, con la tendenza dell’azione, richiesta quale sua qualificazione oggettiva, modellando - senza fondamento giuspositivo - la struttura dei reati a dolo specifico su quella del tentativo”.

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fattispecie un’idoneità causale, mentre il secondo, al contrario, immagina un’azione finalisticamente diretta al conseguimento del medesimo.

3.2 - L’ALTERNATIVA TRA FINE SPECIFICO ED EVENTO (DI PERICOLO) NELLA BANCAROTTA FRAUDOLENTA DOCUMENTALE

Come appare chiaro già da una prima lettura della norma, il n. 2 dell’art. 216, comma 1, contempla due distinte fattispecie in rapporto di alternatività: l’una, focalizzata sulle modalità della condotta (sottrazione, falsificazione e distruzione) e assistita dal dolo specifico di profitto o di danno per i creditori; l’altra, che concreta un reato causalmente orientato in cui è tipizzato l’evento dell’impossibilità di ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. Per di più, come si è avuto modo di vedere, mentre questa seconda fattispecie non è concepibile in forma post-fallimentare, in tale frangente la prima fattispecie viene amputata del dolo specifico, in favore di un “semplice” dolo generico.

Quanto al bene giuridico, sia consentito brevemente ricordare che la tutela apprestata dall’art. 216, comma 1, n. 2 - il quale ha ad oggetto materiale la documentazione contabile ex artt. 2214 ss. c.c. - è rivolta alla protezione dell’ostensibilità del patrimonio del fallito in funzione del massimo soddisfacimento dei creditori: pertanto, l’oggetto giuridico è di matrice essenzialmente patrimonialistica.

Sul tema, oltre a quanto già osservato52, valgano tre ulteriori e specifiche considerazioni.

In primo luogo, si deve rilevare che la bancarotta semplice documentale, limitando il suo ambito applicativo ai tre anni antecedenti il fallimento, mostra chiaramente una ratio legis focalizzata sulle esigenze

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della procedura, piuttosto che sull’interesse del “buon andamento” o dell’“ordinato esercizio” dell’economia53.

In secondo luogo, pur rientrando il sindacato penalistico nelle finalità della procedura (art. 33, comma 1, l.f.), l’obbligo penalmente rilevante di documentazione contabile non può nondimeno ritenersi in contrasto con il principio del nemo tenetur se detegere, corollario dell’art. 24 Cost.54, posto che tale obbligo non è funzionale al magistero punitivo, bensì all’interesse patrimoniale dei creditori55. Col che pare possibile argomentare che la fondazione degli illeciti documentali come “reati contro l’interesse alla conservazione e alla veridicità della prova”56, presupponendo la pubblicizzazione-processualizzazione del bene giuridico, avvicini

53 PEDRAZZI, Reati fallimentari, cit., 138. In giurisprudenza, pur se risalenti, cfr. Cass.

pen., Sez. V, 8 gennaio 1987, n. 43, in CED, rv. 174756, secondo cui “la ratio della

repressione del reato di bancarotta fraudolenta documentale, di cui all’art. 216, primo comma, n. 2 legge fallimentare, postula una concezione sociale dell’impresa, poiché i documenti, i libri e le scritture non costituiscono soltanto un fatto interno dell’impresa, ma sono destinati anche a tutelare i terzi che con l’impresa vengono in contatto”, e Cass. pen., Sez. V, 24 novembre 1977,

n. 14905, in CED, rv. 137338, a mente della quale la bancarotta fraudolenta documentale

“mira a tutelare l’interesse dei creditori alla conoscenza del patrimonio dell’imprenditore destinato a soddisfare le loro ragioni”.

54 Sul tema, senza pretesa di completezza e da diverse prospettive, cfr. TASSINARI,

Nemo tenetur se detegere. La libertà dalle autoincriminazioni nella struttura del reato, Bologna 2012, passim; FORNASARI, Nemo tenetur se detegere sostanziale: qualche nuova

riflessione alla luce di recenti contrasti giurisprudenziali, in Dir. pen. proc., 2008, 907 ss.;

BELLAGAMBA F., I problematici confini della categoria delle scriminanti, Milano 2007, 305 ss.; INFANTE, Nemo tenetur se detegere in ambito sostanziale: fondamento e natura giuridica, in

Riv. trim. dir. pen. econ., 2001, 831 ss.; PULITANÒ, Nemo tenetur se detegere: quali profili di

diritto sostanziale?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 1271 ss.; PERINI A., Ai margini

dell’inesigibilità: nemo tenetur se detegere e false comunicazioni sociali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 538 ss. ed in particolare 561 ss.; FORNASARI, Il principio di inesigibilità nel diritto

penale, Padova 1990, in particolare 356 ss.; ZANOTTI, Nemo tenetur se detegere: profili

sostanziali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989, 174 ss.; NUVOLONE, I limiti taciti della norma penale, Palermo 1947 (ristampa Padova 1972), in particolare 152 ss. Costituisce poi un riferimento giurisprudenziale obbligato Corte Cost., 13 luglio 1984, n. 236, in Foro it., 1984, I, 2923 ss., a mente della quale “il diritto di difesa, nel senso qui considerato, opera solo in favore

dell’imputato o dell’indiziato di reato e che neppure nella più lata concezione é ipotizzabile il suo esercizio in relazione a comportamenti che in sé considerati non costituiscono autodenunzia o confessione di reati. Che sul piano probatorio una condotta (nel caso di specie una dichiarazione o un adempimento penalmente imposti) possano essere utilizzati dall’autorità inquirente come indizio o anche prova della precedente commissione di un diverso reato é del tutto legittimo e non viola un inesistente diritto all’impunità, nel che si vorrebbe far consistere il diritto di difesa”.

55 In proposito cfr. PEDRAZZI, Riflessioni sulla lesività della bancarotta, cit., 1122 ss.

56 Così in particolare NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., 248 ss. e 268, nonché

ID., voce Fallimento (reati in materia di), cit., 486 ss.; cfr. anche LA MONICA, I reati

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eccessivamente l’ambito fallimentare e quello penale, collocandosi in una prospettiva che appare tracimare proprio l’argine segnato dal diritto costituzionale di (auto)difesa.

In terzo luogo, va detto che, dal punto di vista del pericolo per le pretese creditorie, l’equiparazione - soprattutto quoad poenam - della diminuzione patrimoniale effettiva e apparente (occultamento, dissimulazione, esposizione di passività inesistenti, Buchdelikte) si giustifica chiaramente poiché il pericolo per le pretese creditorie sorge ogniqualvolta il curatore non riesca a ricondurre un bene allo stato attivo del fallimento: “Se non ci riesca perché il bene è stato distrutto, perché è stato nascosto, o perché non risulta dalle scritture contabili della società, resta indifferente, proprio perché l’effetto sul ceto creditorio è il medesimo”57.

Le scritture, pertanto, hanno una funzione sostanzialmente processuale- fallimentare, in quanto atte alla ricostruzione patrimoniale; al di fuori della procedura, al contrario, sono normalmente inaccessibili ai terzi58; dell’impronta patrimoniale dell’interesse protetto, infine, è chiara indicazione l’estensione alle fattispecie documentali delle circostanze basate sull’entità del danno per i creditori (art. 219, commi 1 e 3)59.

Nell’oggetto materiale, qual che sia l’ipotesi di reato, rientrano i libri e le scritture obbligatorie ex art. 2214 c.c. (libro giornale, libro degli inventari, corrispondenza commerciale), le scritture relativamente obbligatorie richieste dalla natura dell’impresa o dalle sue dimensioni (scritture di magazzino, degli acquisti e finanziarie; libro soci e delle adunanze), le scritture facoltative previste dalla legislazione civilistica, previdenziale o tributaria60 e, infine, le scritture non ufficiali (promemoria e copie), financo “nere”.

57 ZANCHETTI, Diritto penale fallimentare, cit., 396.

58 ZANOTTI, Osservazioni e riserve sulla riconducibilità del falso contabile all’ipotesi di falsa

comunicazione sociale, in Giur. comm., 1989, 447 ss.

59 PEDRAZZI, Sub art. 216, cit., 93.

60 Merita rilevare che il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità è nel

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Entrambe le fattispecie, pur con le loro peculiarità reciproche, costituiscono illeciti di pericolo concreto, non essendo necessario, in relazione alla prima ipotesi, che la condotta impedisca del tutto la ricostruzione del patrimonio, né richiedendosi nel secondo caso una impossibilità assoluta di pervenire al medesimo risultato. In ossequio alla dottrina quasi totalitaria e all’indirizzo maggioritario della giurisprudenza, poi, pare possibile valorizzare tale natura facendo ricorso proprio alla contabilità non ufficiale, purché non si tratti di fonti esterne di cognizione dei dati aziendali. Tuttavia, aprendosi il giudizio di pericolo alla valutazione di circostanze indipendenti dall’agito del reo (secondo il c.d. criterio della base totale), pare doversi concludere per l’insussistenza del pericolo anche laddove intervengano altri fattori di diversa natura a scongiurare il superamento della soglia del penalmente rilevante61; sul