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L E MODALITÀ DELL ’ OFFESA E IL RUOLO DELLA SENTENZA DICHIARATIVA NELLE FATTISPECIE PRE FALLIMENTAR

Alla riflessione sul bene giuridico pare subito opportuno far seguire lo svolgimento di una correlativa indagine in punto di offensività, muovendo, anzitutto, dalla modalità di tutela desumibile dalle norme. Fulcro dell’analisi è la qualificazione da assegnare alla sentenza dichiarativa di fallimento; tema centrale della materia, che come pochi altri ha visto confrontarsi così tanti illustri Autori51, con così diverse

50 PEDRAZZI, Sub art. 216, cit., 117.

51 Per una panoramica dei diversi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali cfr.

FONDAROLI, La collocazione della sentenza dichiarativa di fallimento nella struttura dell’illecito

penale, in CARLETTI (a cura di), I reati nel fallimento e nelle procedure concorsuali, parte di BRICOLA - ZAGREBELSKY (diretto da), Giurisprudenza sistematica di diritto penale, Torino 1990, 202 ss.; COCCO, Nota introduttiva agli artt. 216-237, in PALAZZO -PALIERO (a cura di),

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opinioni e ricostruzioni. Pare imprescindibile, pertanto, anteporre questo tema ad ulteriori considerazioni di dettaglio: sia perché dall’interrogativo in esame dipende l’assetto delle fattispecie incriminatrici, la loro portata, finanche la loro finalità, come in qualche modo si è già anticipato; sia perché, per delineare una ricostruzione di qualsiasi tipo, non può prescindersi da una ricognizione dell’esistente, che verrà ripartito - con una buona dose di approssimazione - in quattro macro-aree, più o meno omogenee, ma sorrette da premesse e/o finalità che paiono essere comuni.

2.1 - LE TESI DELLA BANCAROTTA “CONDIZIONATA” E LA DISPUTA CIRCA L’APPARTENENZA DEL FALLIMENTO AL DISVALORE PENALE DEL FATTO

Una primo gruppo di opinioni dottrinali intende la dichiarazione di fallimento come una condizione obiettiva di punibilità. Nell’ambito di questo filone, poi, si può operare una centrale divisione tra chi assume che si tratti di una condizione estrinseca e chi invece ritiene che si tratti di una condizione di punibilità intrinseca, ossia partecipe del disvalore del fatto52.

CASAROLI, Disposizioni penali, in MAFFEI ALBERTI (a cura di), Commentario breve alla legge

fallimentare6, Padova 2013, 1408 ss.; ZANCHETTI, Diritto penale fallimentare, in PULITANÒ (a cura di), Diritto penale. Parte speciale, II, Torino 2013, 361 ss.; D’ALESSANDRO, Reati di

bancarotta e ruolo della sentenza dichiarativa di fallimento: la Suprema Corte avvia una revisione critica delle posizioni tradizionali?, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 3/2013, 357 ss.; ALESSANDRI,

Profili penali delle procedure concorsuali. Uno sguardo d’insieme, Milano 2016, 13 ss. Per

un’interessante disamina dei più risalenti orientamenti dottrinali, anche della dottrina commercialistica, cfr. PERDONÒ, Fatti di bancarotta e declaratoria di fallimento: dal

problematico inquadramento dogmatico ad una proposta de iure condendo, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2004, 447 ss.

52 Sul tema delle condizioni obiettive di punibilità (estrinseche ed intrinseche), anche

in relazione alla quaestio del ruolo della dichiarazione di fallimento, oltre al fondamentale contributo di NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., 13 ss. e 132 ss., e di PEDRAZZI,

Incostituzionali le fattispecie di bancarotta?, cit., 898 ss., e senza alcuna pretesa di

completezza, cfr. COCCO, Il ruolo delle procedure concorsuali, cit., 67 ss.; ZANCHETTI,

Incostituzionali le fattispecie di bancarotta?, cit., 111 ss.; SPURI, Alcune osservazioni sulla natura

giuridica delle condizioni di punibilità, in Cass. pen., 2013, 1172 ss.; ROMANO M., Teoria del

reato, punibilità, soglie espresse di offensività (e cause di esclusione del tipo), in DOLCINI - PALIERO (a cura di), Studi in onore di Giorgio Marinucci, II, Milano 2006, 1721 ss.; PERDONÒ,

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Scendendo subito nel dettaglio del primo orientamento, vivificato dalle riflessioni di PEDRAZZI, nel silenzio della legge si afferma che le fattispecie pre-fallimentari previste dall’art. 216 l.f. non sembrano potersi classificare quali reati nei quali il fallimento dell’impresa costituisce l’evento naturalistico, già in ragione di una superficiale analisi dell’espressione

nell’analisi delle condizioni obiettive di punibilità, Napoli 2004, 220 ss.; EMANUELE,

Controversie dottrinali e distorsioni giurisprudenziali in tema di condizioni obiettive di punibilità,

in Ind. pen., 2004, 1139 ss.; LICCI, Criteri di imputazione normativa nel codice Rocco, in Giur.

it., 2003, 1507 ss. e 1744 ss.; MAGLIO -GIANNELLI, Le condizioni obiettive di punibilità, in Riv.

pen., 2003, 183 ss.; DI MARTINO, La sequenza infranta. Profili della dissociazione tra reato e

pena, Milano 1998, 169 ss.; DONINI, Le condizioni obiettive di punibilità, in St. Iuris, 1997, 592 ss.; MORMANDO, L’evoluzione storico-dommatica delle condizioni obiettive di punibilità, in Riv.

it. dir. proc. pen., 1996, 610 ss.;ZANOTTI, voce Punibilità (condizione obiettive di), in Dig. disc.

pen., X, Torino 1995, 534 ss.; D’ASCOLA, Punti fermi e aspetti problematici delle condizioni

obiettive di punibilità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, 652 ss. e, in particolare, 666 ss.;

VENEZIANI, Spunto per una teoria del reato condizionato, Padova 1992; DE SIMONE, Sentenza

dichiarativa di fallimento, condizioni obiettive di punibilità e nullum crimen sine culpa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 1145 ss.; ROMANO M., Meritevolezza di pena, bisogno di pena e teoria del

reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 39 ss.; DURIGATO, Ancora un interrogativo sulle condizioni

obiettive di punibilità, in Ind. pen., 1989, 733 ss.; FLORA, La difficile penetrazione del principio di

colpevolezza: riflessioni per l’anniversario della sentenza costituzionale sull’art. 5 c.p., in Giur. it.,

1989, 337 ss.; ANGIONI, Condizioni di punibilità e principio di colpevolezza, in Riv. it. dir. proc.

pen., 1989, 1440 ss.; BELLINI, Le condizioni obiettive di punibilità, Torino 1988; NEPPI MODONA, voce Condizioni obiettive di punibilità, in Enc. giur., VII, Roma 1988, 881 ss.; GIULIANI BALESTRINO, Le condizioni obiettive di punibilità sono istituti sostanziali o

processuali?, in Arch. pen., 1986, 3 ss.; PAGLIARO, Fatto, condotta illecita e responsabilità

obiettiva nella teoria del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1985, 623 ss.; ANTONINI, La funzione

delle condizioni obiettive di punibilità. Applicazioni in tema di rapporti tra incesto e violenza carnale presunta, in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, 1278 ss.; VASSALLI, Il fatto negli elementi del

reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, 529 ss.; ZANOTTI, Riflessioni in margine alla concezione

processuale delle condizioni di punibilità, in Arch. pen., 1984, 82 ss.; DURIGATO, Osservazioni

sull’art. 44 del codice penale, in Ind. pen., 1980, 417 ss.; BERETTA, Attuale atteggiamento della

giurisprudenza sulla natura giuridica della sentenza dichiarativa di fallimento nel quadro dei reati pre-fallimentari, in Ind. pen., 1972, 292 ss.; NEPPI MODONA, Concezione realistica del reato e

condizioni obiettive di punibilità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1971, 184 ss.; RAMACCI, Le condizioni

obiettive di punibilità, Napoli 1971, 230 ss.; NUVOLONE, voce Fallimento (reati in materia di), cit., 476 ss.; BRICOLA, voce Punibilità (condizioni obiettive di), in Noviss. Dig. It., XIV, Torino 1967, 588 ss.; GIULIANI BALESTRINO, Il problema giuridico delle condizioni obiettive di

punibilità, Padova 1966; CURATOLA, voce Condizioni obiettive di punibilità, in Enc. dir., VIII, Milano 1961, 807 ss.; VASSALLI, voce Cause di non punibilità, in Enc. dir., VI, Milano 1960, 618 ss.; PETROCELLI, Reato e punibilità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1960, 669 ss.; DI LORENZO, Le

condizioni di punibilità nella sistematica del reato, in Riv. it. dir. pen., 1955, 432 ss.; ESCOBEDO,

Le condizioni obiettive di punibilità, in Giust. pen., 1940, II, 795 ss.; ALIMENA F., Le condizioni

di punibilità, Milano 1938, 17 ss. Nel panorama della giurisprudenza costituzionale, anche

per la riflessione in rapporto al principio di determinatezza in ragione dell’estraneità delle condizioni obiettive al disvalore del fatto, resta un riferimento obbligato Corte cost., 16 maggio 1989, n. 247, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989, 1194 ss., con nota di PALAZZO,

Elementi quantitativi indeterminati e loro ruolo nella struttura della fattispecie (a proposito della frode fiscale), ivi.

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testuale delle previsioni dell’art. 223, comma 2, l.f. e della causazione del dissesto autonomamente incriminata all’art. 224, n. 2., l.f. In questo senso, il fallimento è visto in chiave puramente condizionante53, recuperandosi una dimensione non solo formale dell’illecito mediante l’arricchimento interpretativo in chiave di concreta offensività delle modalità della condotta tipizzate del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Il fallimento, spossessando il fallito, pone fine alla vita dell’impresa, facendo venire meno la “preoccupazione” circa l’intervento penalistico, naturalmente traumatico per un sistema fondato sulla libera iniziativa economica e sull’etero-finanziamento, del quale è legittimo ritenere la soddisfazione finché le difficoltà non siano insuperabili. In questa prospettiva, il condizionamento della repressione penale si spiegherebbe chiaramente secondo le valutazioni tipiche dello schema del reato condizionato54, le quali possono certamente sorgere intorno al medesimo interesse protetto dal reato55; in breve, la punibilità sarebbe posticipata per mere ragioni di opportunità56.

L’operazione descritta passa necessariamente attraverso una lettura dell’enunciato normativo illuminata dal costante riferimento al bene giuridico, quale lente capace di selezionare efficacemente le condotte penalmente rilevanti57, sotto pena di relegare il delitto di bancarotta ad

53 Così la maggioranza degli Autori, che ritiene che si tratti di una condizione obiettiva

di punibilità estrinseca: cfr. DELITALA, Contributo, cit., 437 ss.; PEDRAZZI, Sub art. 216, cit., 11 ss.; MANTOVANI F., Responsabilità oggettiva espressa e responsabilità oggettiva occulta, in

Riv. it. dir. proc. pen., 1981, 456 ss.; ZANOTTI, Riflessioni, cit. 82 ss.; ROSSI, I reati fallimentari, 39 ss.; D’ALESSANDRO, Reati di bancarotta, cit., 357 ss.; MUCCIARELLI, Sentenza dichiarativa di

fallimento e bancarotta: davvero incolmabile il divario tra teoria e prassi?, in Dir. pen. cont., 23

febbraio 2015.

54 Per tutti, GALLO M., Il concetto unitario di colpevolezza, Milano 1951, 25.

55 PEDRAZZI, Incostituzionali le fattispecie di bancarotta?, cit., 913: “Sappiamo che una

repressione precipitosa dei fatti di bancarotta sarebbe inopportuna anche nell’ottica creditoria!”.

56 Contra COCCO, Il ruolo delle procedure concorsuali, cit., 77, secondo il quale non si

comprenderebbe per quale motivo tali ragioni sarebbero sussistenti con riferimento ai reati fallimentari e non già ad altre categorie di delitti altrettanto “penetranti” rispetto alle dinamiche imprenditoriali (ad esempio, i delitti societari e tributari).

57 Cfr. PEDRAZZI, Sub art. 216, cit., 12: “Solo in apparenza il linguaggio delle norme è

puramente descrittivo. Termini come ‘distrazione’ o ‘dissipazione’ sono impregnati da una connotazione negativa che solo una tangibile incidenza sul bene tutelato può riempire di

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una dimensione squisitamente formale, cui osterebbe peraltro un triplice dato.

In primo luogo, assume rilievo centrale la misura della pena, associata ad una dimensione economico-imprenditoriale sempre più soggetta a violenti e frequenti squilibri, che impone oculatezza nelle attribuzioni di responsabilità.

In secondo luogo, occorre tener presente il bilanciamento degli interessi in gioco: la tutela del patrimonio del fallito in funzione di garanzia per il ceto creditorio, infatti, postula e richiede una spinta uguale e contraria verso la compressione del diritto di proprietà e di impresa, costituzionalmente tutelati (artt. 41 e 42 Cost.), a fronte di un interesse, anch’esso, di natura privatistico-patrimoniale58.

In terzo luogo, riconosciuta pari dignità costituzionale alla libertà di iniziativa economica, e dunque affermata la piena legittimazione del rischio d’impresa, non sarebbe possibile concepire una tutela incapace di modulazione rispetto al dinamismo patrimoniale della stessa, che deve essere lasciata libera di operare sul mercato con la piena disponibilità dei suoi averi; in effetti, ritenere il contrario sarebbe singolare, considerato anche il fatto che la tutela civilistica (in particolare le azioni previste dagli artt. 2900 ss. c.c.) - che si pone come logicamente antecedente rispetto a quella penale - pacificamente richiede che il creditore abbia il fondato sospetto che il patrimonio del debitore sia incapiente.

La garanzia non potrebbe estendersi al di là della sua funzione: l’obbligo di conservazione dovrebbe essere circoscritto ai valori attivi

contenuto: intese come modelli astratti di condotta, la distrazione e la dissipazione si sottrarrebbero ad una soddisfacente determinazione. D’altra parte l’‘occultamento’ e la ‘dissimulazione’ sottintendono un interlocutore concreto (a chi?) reperibile solo nell’orbita dell’oggettività giuridica. La stessa ‘distruzione’ non può esaurirsi in termini di pura materialità: nessuno penserebbe di punire l’imprenditore che ‘distrugga’ attrezzi divenuti inservibili o scarti di lavorazione; solo l’interesse tutelato può fornire l’indispensabile parametro valutativo”.

58 Diversi sono i casi, a mero titolo di esempio, dell’art. 423, comma 2, e dell’art. 499

c.p., laddove il diritto di proprietà viene sì compresso, ma nel bilanciamento con interessi sovra-individuali di rilevante portata (rispettivamente, l’incolumità e l’economia pubblica).

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necessari alla soddisfazione delle obbligazioni, secondo la scadenza di ciascuna di esse59. In questo senso, gli atti dispositivi che esulano dalla garanzia summenzionata non sarebbero leciti in quanto espressione di un diritto scriminante, bensì in ragione di un limite di tipicità della fattispecie, la quale non potrebbe pertanto annoverarsi tra i reati di pericolo presunto, bensì tra i reati di pericolo concreto60.

In conclusione, la dichiarazione di fallimento non sarebbe posta “a carico dell’agente […] ancorché al suo verificarsi maturino taluni parametri di qualificazione del fatto in senso stretto”61: in quanto condizione estrinseca, essa (ed il suo ruolo nella fattispecie) sarebbe pertanto immune da censure di costituzionalità. Il criterio selettivo della punibilità sarebbe, pertanto, la concreta offensività del fatto rispetto alle ragioni dei creditori, il cui accertamento andrebbe rapportato al momento della condotta, disconnettendolo dal momento dell’intervento della declaratoria civile62; conseguentemente, gli atti dispositivi resterebbero leciti fintantoché non siano causa di una incapienza patrimoniale in forza di un limite di tipicità- offensività della fattispecie, e non già per l’intervento dell’art. 51 c.p.63.

L’autorevole insegnamento di PEDRAZZI, oggi ancora maggioritario, è tuttavia esposto a critiche consistenti64.

Tale impostazione pare essere il viatico per il disconoscimento della rilevanza del fenomeno della c.d. “bancarotta riparata”, sul quale si tornerà compiutamente più avanti: in effetti, cristallizzando il (pur concreto) pericolo al momento della condotta, si corre il rischio di mutare

59 Così PEDRAZZI, Sub art. 216, cit., 14; CONTI, I reati fallimentari, cit., 88 ss.; LANZI A., Le

responsabilità penali nelle procedure concorsuali: legislazione attuale e prospettive di riforma, in Riv. it. dir. proc. pen., 1987, 494 ss.

60 CONTI, I reati fallimentari, cit., 94.

61 PEDRAZZI, Incostituzionali le fattispecie di bancarotta?, cit., 916.

62 In senso parzialmente difforme PULITANÒ, Una sentenza storica che restaura il principio

di colpevolezza in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, 699 ss., il quale qualifica la dichiarazione di

fallimento come condizione obiettiva estrinseca, pur tuttavia ammettendone la significatività rispetto alla pena.

63 PEDRAZZI, Riflessioni sulla lesività della bancarotta, cit., 1111 ss. 64 In tema cfr. COCCO, Il ruolo delle procedure concorsuali, cit., 77 ss.

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fisionomia all’illecito, costituendolo nella forma del delitto di pericolo “concretamente presunto”, poiché davvero esistente in principio, ma forzosamente ritenuto al momento del fallimento, alla cui data sarebbe ininfluente un’eventuale azione riparatoria di segno opposto.

Rispetto alla tematica in esame, l’Autore propone un correttivo fondato sull’interpretazione sistematica dell’art. 219 l.f.65, che suppone la verifica delle circostanze al momento dell’intervenuto fallimento e che conserva senso compiuto unicamente qualora l’offesa sia attuale al momento della verificazione della condizione obiettiva66. È tuttavia chiaro che la più stringente critica di ritorno si centra sul fatto che l’argomento è fondato su elementi circostanziali, e dunque intrinsecamente non indefettibili, per quanto strettamente connessi all’oggettività giuridica patrimoniale.

In questo filone interpretativo si inserisce, poi, una sotto-tesi, sostenuta in particolare da ANTOLISEI, che, muovendo dalle medesime premesse teoretiche, specifica che con riferimento all’art. 216, comma 1, l.f. il dolo specifico sarebbe indistintamente richiesto sia per l’ipotesi della bancarotta consistente nella esposizione di passività inesistenti, sia per l’ipotesi della bancarotta patrimoniale in senso stretto67. Così, espulso dal fatto tipico, il contenuto di offensività viene recuperato tramite l’elemento psicologico, inserendo nel modello legale, in via interpretativa, il fine specifico di danno ai creditori sociali. L’argomento si sviluppa muovendo dalla ritenuta inaccettabilità di una divergenza tra modelli di comportamento ritenuti equivalenti e alternativi: all’indiscutibile ostacolo letterale ad una

65 Per una panoramica dei temi associati all’art. 219 l.f., cfr. PAGLIARO, Pluralità dei fatti

di bancarotta e unità di reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1976, 705 ss.; PERDONÒ, Fatti plurimi di

bancarotta: unità o pluralità di reati, in Giur. merito, 2006, 2460 ss.

66 PEDRAZZI, Sub art. 216, cit., 24 ss.

67 In questo senso, ANTOLISEI, oggi in ROSSI, I reati fallimentari, cit., 123;CASAROLI, Sub

art. 216, in MAFFEI ALBERTI (a cura di), Commentario breve alla legge fallimentare6, Padova 2013, 1445 ss.; DE SIMONE, La bancarotta fraudolenta, in CARLETTI (a cura di), I reati nel

fallimento e nelle procedure concorsuali, parte di BRICOLA - ZAGREBELSKY (diretto da),

Giurisprudenza sistematica di diritto penale, Torino 1990, 54; LANZI A., La tutela penale del

credito, Padova 1979, 223; PIACENZA, L’elemento psichico del delitto di bancarotta, in Giur. it., 1948, 123 ss.

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simile opzione, la dottrina in parola contrappone l’unicità del nomen iuris, da ritenersi espressiva del particolare animus che deve muovere l’agente, frutto della secolare tradizione che individua nella “fraudolenza” proprio l’intento di nuocere ai creditori.

Tuttavia, così opinando si corre il concreto rischio di non richiedere, già in punto di materialità, una concreta attitudine lesiva della condotta, che resterebbe esangue e solamente formalizzata nelle condotte indicate dall’art. 216 l.f.; in effetti, osserva lucidamente PEDRAZZI, “data una

disposizione patrimoniale che lasci i creditori sufficientemente garantiti, non basterebbe a fondare la tipicità un animus nocendi alimentato da un abbaglio del debitore: sarebbe se non altro ineluttabile il ricorso all’art. 49 2° comma cod. pen., indipendentemente da ogni controversia interpretativa”68. Tuttavia, come si osserverà compiutamente più avanti, è certamente ben possibile supplire alla critica in esame richiedendo la concreta idoneità obiettiva della condotta a perseguire il fine, pur con tutti gli evidenti problemi probatori indissolubilmente connessi69.

Sono dunque due i principali rilievi critici che possono muoversi: da un lato, occorre necessariamente verificare il riflettersi delle note offensive tipiche nella sfera rappresentativa dell’agente, senza relegarle all’angusto spazio della finalità nel dolo specifico, posto poi che tale fine sarebbe del tutto estraneo al dolo della fattispecie patrimoniale per distrazione. Dall’altro lato, non pare possibile attribuire decisivo rilievo alla circostanza che all’operazione sia impressa una finalità lesiva, a fronte di comportamenti obiettivamente sprovvisti di un reale contenuto di pericolosità70.

In antitesi alla tesi appena esposta, una diversa teorica postula l’esistenza di una “zona di rischio penale” legata all’insolvenza, quale sfondo temporale necessario per la commissione di fatti di bancarotta pre-

68 PEDRAZZI, Sub art. 216, cit., 15.

69 V. infra, Cap. II, § 3, e gli Autori ivi citati.

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fallimentare, pur mantenendo ferma la classificazione del fallimento nelle condizioni obiettive di punibilità (stavolta, però, di natura intrinseca)71.

L’orientamento in esame, che notoriamente si deve a NUVOLONE, muove da un bene giuridico di natura processuale, riferito al regolare svolgimento delle procedure concorsuali e al soddisfacimento delle ragioni creditorie in misura paritaria; da tale premessa discende che le condotte incriminate, per recuperare la lesività espressa nel modello legale, debbano essere realizzate, appunto, in un periodotemporale in cui l’impresa si trova quanto meno in stato di “pre-insolvenza”, ovverosia veda dinanzi a sé la concreta possibilità di non riuscire a far fronte alle obbligazioni assunte.

Conseguentemente, tutti gli atti diretti “a creare una situazione di squilibrio tale tra attivo e passivo che, in rapporto alla capacità dell’impresa e alle normali vicende commerciali, si può ritenere insuperabile”72, sarebbero da

71 NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., 28; LANZI A., Interpretazione

giurisprudenziale della bancarotta patrimoniale nel sistema penale, in Il fall., 2013, 565 ss.; LA MONICA, I reati fallimentari, cit., 244 e 249 ss. (pur senza riferimento alla zona di rischio e con riguardo ad un bene giuridico di natura patrimoniale); DURIGATO, Ancora un

interrogativo, cit., 735; BRICOLA, voce Punibilità (condizioni obiettive di), cit., 594; CASAROLI,

“Fallimento” e bancarotta: una convivenza difficile ma obbligata, in BORSARI (a cura di), Crisi

dell’impresa, procedure concorsuali e diritto penale dell’insolvenza. Aspetti problematici, Padova

2015, 314 ss. Implicitamente contra MARINUCCI, Fatto e scriminanti. Note dommatiche e

politico-criminali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, 1202, secondo il quale se le condizioni

obiettive fossero “fuse nel Gesamttatbestand, come esigerebbe il metodo della concezione

unitaria, resterebbero indistinguibili nel magma di ‘elementi egualmente indispensabili a certi effetti’. Diventano invece giuridicamente ‘intellegibili’ se, abbandonando quel metodo, si spezza il reato come tutto almeno in due tronconi, analizzandolo sul piano degli interessi: il reato vero e proprio, con un suo ‘carattere di giuridicità’ ‘già acquisito’, quale espressione del piano ‘interno’ degli interessi; e le condizioni di punibilità, come incarnazione di interessi ‘esterni’ al reato”.

Analogamente MANTOVANI F., Diritto penale. Parte generale9, Padova 2015, 389, il quale, pur accogliendo la distinzione, ritiene che le condizioni intrinseche debbano essere più esattamente intese quali elementi costitutivi del fatto. In senso marcatamente critico, COCCO, Il ruolo delle procedure concorsuali, cit., 77, secondo il quale “[…] la soluzione è

cancellare dal vocabolario penalistico il concetto di condizione intrinseca, che - creato dalla dottrina nazionale per cercare di risolvere la questione del ruolo della sentenza di fallimento nella