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Il contenuto di un'opera d'arte: la teoria di Arthur C Danto Di fronte a due oggetti di forma identica, cosa ci porta a considerare

nell'ordinamento giuridico italiano

2.2 La dicotomia fra forma e contenuto

2.2.3 Il contenuto di un'opera d'arte: la teoria di Arthur C Danto Di fronte a due oggetti di forma identica, cosa ci porta a considerare

Rimini, 2005.

98 A. Ferretti, “Il Diritto d'Autore”, Ed. Simone, Napoli, 2007.

99 Il confitto fra due opere simili (o uguali?) create autonomamente potrà essere risolto o subordinando la tutela autoriale alla presenza della novità oggettiva, attribuendo il diritto d'autore a chi abbia creato per primo e precludendo quindi al secondo la possibilità di utilizzare la “propria” opera; oppure si può adottare la soluzione propria degli ordinamenti di common law che consiste nel richiedere in aggiunta all'originalità (tendenzialmente ridotta a ciò, che l'opera deve essere realizzata dall'autore e non essere stata copiata) che l'opera testimoni “skill,

judgment and labour” (che abbia cioè richiesto “abilità, giudizio e lavoro”).

100 Cass., sent. 4 febbraio n. 773 del 1980, in “Il Diritto di Autore”, 1980, p. 288 e ss. 101 S. Dell'Arte, “Fotografia e Diritto”, Forlì, Ed. Experta, 2004.

l'uno opera d'arte e l'altro no?

Nel suo scritto del 1981, “The Transfiguration of the Commonplace”, Arthur Coleman Danto cerca di rispondere a questa domanda giungendo a una provvisoria formulazione della definizione di arte che ruota intorno al concetto di “Aboutness”: le opere d'arte – sostiene – sono sempre “a-proposito-di” [“about”] qualcosa, hanno cioè sempre un contenuto o significato; per poter essere considerata arte, un'opera deve incarnare il suo significato.

Fra le varie obiezioni che sono state avanzate a questa teoria, una risulta particolarmente interessante ai fini del nostro discorso sulla forma espressiva: Noel Carroll, filosofo statunitense, ha fatto notare come un'opera possa sia possedere l'“a-proposito-di” [“abouness”], sia incarnare il suo significato e tuttavia non essere un'opera d'arte. Per dimostrare questo assunto, Carroll mette a confronto le famose “Brillo Boxes” di Andy Warhol con le comuni scatole di spugnette della Brillo vendute nei supermercati: queste ultime, in particolare, sono certamente “a-proposito-di” qualcosa (l'azienda Brillo) e incarnano il loro significato grazie ai disegni sulle confezioni. Di conseguenza – conclude Carroll – la teoria di Danto, non riuscendo a spiegare in ogni caso la diferenza fra un'opera d'arte e un oggetto di uso comune, risulta, in ultima analisi, inafdabile.

Danto risponde a questa critica spiegando che con il termine

“contenuto” delle “Brillo Boxes” si può voler intendere che le scatole

contengono fisicamente le spugnette insaponate, oppure ci si può riferire a qualcosa che non è nell'opera in senso fisico: il “contenuto” della “Brillo Box” come opera d'arte è cioè un fatto di interpretazione. Per meglio convincerci, Danto chiama in causa una terza opera, la scatola Brillo dell'artista appropriazionista Mike Bidlo, il quale, in una

mostra a Zurigo dal titolo “Not Andy Warhol” (2005), ha installato, nello stesso modo in cui furono esposte nel 1968 al Pasadena Museum of California Art, ottantacinque scatole Brillo da lui stesso fatte produrre.

Andy Warhol: “Brillo Box”

La comune scatola di spugnette Brillo

È evidente che fra l'opera di Warhol, quella di Bidlo e la scatola Brillo

“reale”, le diferenze sono talmente minime da un punto di vista visivo

da poter essere considerate opere fra loro indiscernibili.

Il design della scatola Brillo è stato ideato dal pubblicitario Steve Harvey: la sua non è una semplice scatola per spugnette, è una celebrazione visiva della Brillo, trasmette emozione, persino enfasi, è un capolavoro di retorica visiva che sollecita la mente ad acquistare e a usare. La scatola è rossa bianca e blu, i colori del patriottismo, le zone rosse sono ondulate come una bandiera. “BRILLO” è stampato a lettere squillanti e la parola stessa richiama il suo significato latino “RISPLENDO”. La banda bianca ha la sua origine storico-artistica nell'astrattismo di Ellsworth Kelly e Leon Polk Smith. Si comprende bene come l'opera di Harvey incarni perfettamente il suo significato. La critica d'arte messa a punto per la scatola di Harvey non vale, tuttavia, per quella di Warhol: quest'ultimo riproduceva l'opera di Harvey ma non era motivato dalle sue stesse cause. La sua è un'opera,

per dirla con Danto, “a-proposito-di” arte pubblicitaria. Egli considerava esteticamente bello il mondo comune e ammirava immensamente le cose che Harvey e gli astrattisti ignoravano o condannavano; amava la superficie della vita di tutti i giorni, il potere nutritivo e la prevedibilità dei prodotti in scatola, le poetiche del banale. Dopo tutto, la scatola Brillo era solo uno dei contenitori di cui si era appropriato (si pensi alla “Campbell's Soup Cans” o alle “Green

Coca-Cola Bottles”, entrambe del 1962), tutti avevano un loro contenuto ma nessuno ebbe tanto successo quanto le “Brillo Boxes”.

Questa è, almeno in parte, la critica d'arte della “Brillo Box”: come si vede gli ambiti delle due critiche sono separati perché non c'è alcuna relazione diretta tra la retorica di Warhol e quella di Harvey.

Stesso discorso vale anche per l'opera di Mike Bidlo il quale si appropria di opere d'arte famose per comprendere cosa si provi nel crearle. Nella sua opera “Not Andy Warhol” è importante che il numero e l'ordine delle scatole Brillo corrisponda al numero e all'ordine di quelle scelte da Warhol a Pasadena. La sua è un'installazione, quella di Warhol era una mostra di opere d'arte102.

Una volta chiarite le diferenze fra le tre opere, si può concludere che, nonostante appaiano a prima vista identiche fra loro, ognuna ha un diverso significato che è compito della critica d'arte esplicitare: per Danto la definizione dell'arte rimane quindi un problema filosofico.

2.3 Il fondamento sistematico della parodia nell'ordinamento