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La tutela industriale delle opere di Appropriation Art

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Indice

Introduzione Capitolo Primo

Il problema: “The Giacometti Variations” di John Baldessari

1.1 La fattispecie

1.2 Inquadramento normativo della fattispecie 1.2.1 Il quadro costituzionale

1.2.2 La l. 22 Aprile n. 633/1941 (L.A.)

1.2.2.1 In particolare: il diritto esclusivo di elaborazione e .. 1.2.2.2 .. la tutela delle elaborazioni di carattere creativo 1.3 Alla ricerca di una definizione per l'“opera d'arte” 1.3.1 “Kitchen utensils and hospital supplies”

1.3.2 Dalla teoria dell'indiferenza visiva di Marcel Duchamp alla nascita dell'arte concettuale

1.3.3 La crisi dell'originalità nell'arte moderna

Capitolo Secondo

L'opera parodistica nell'ordinamento giuridico italiano

Introduzione

2.1 La parodia: origini ed evoluzione letteraria 2.2 La dicotomia fra forma e contenuto 2.2.1 In particolare: la forma espressiva ..

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2.2.2 .. e il carattere creativo

2.2.3 Il contenuto di un'opera d'arte: la teoria di Arthur C. Danto 2.3 Il fondamento sistematico della parodia nell'ordinamento giuridico italiano

2.4 Target parody e weapon parody

Capitolo Terzo

Appropriation Art nel sistema statunitense del fair use Introduzione

3.1 La Section 107 del Copyright Act: il c.d. fair use 3.1.1 Il four factors fair use test

3.2 La giurisprudenza in materia di fair use richiamata nel caso Fondazione Giacometti v. John Baldessari e Prada

3.2.1 Due processi contro Koons

3.2.2 Mattel v. Walking Productions (2003) 3.2.3 Cariou v. Prince (2013)

3.3 La normativa italiana: le c.d. utilizzazioni libere (Artt. 65 - 71 decies L.A.)

3.4 La Direttiva 2001/29/CE

3.4.1 La nozione di parodia nel diritto dell'Unione Europea

3.4.2 Le conclusioni dell'Avvocato Generale: elementi strutturali e funzionali della parodia

Capitolo Quarto

Diritto di seguito e Appropriation Art

(3)

4.1 Il diritto di seguito: origini ed evoluzione normativa

4.2 La normativa italiana (Artt. 144 e s.s. L.A.) in seguito all'intervento comunitario

4.2.1 Le opere oggetto del diritto di seguito 4.2.2 Ambito soggettivo di applicazione 4.2.3 Vendite pubbliche e vendite private 4.3 L'esemplare originale

4.3.1 La disciplina dell'esemplare originale nella L.A. del 1941... 4.3.2 … e nella Direttiva 2001/84/CE

4.4 La problematica applicazione del diritto di seguito alle opere di

Appropriation Art

Conclusioni Ringraziamenti Bibliografia

(4)

Introduzione

“La parodia risponde ai bisogni intimi ed indistruttibili della natura umana, non reprimibili da alcuna potenza di umano legislatore”.

Tribunale penale di Napoli (27 maggio, 1908)1

Con ricorso proposto nel Dicembre 2010 alla Sezione Specializzata del Tribunale di Milano, si apriva la vicenda processuale che ha visto protagonisti, da una parte, gli eredi dello scultore svizzero Alberto Giacometti2, dall'altra, l'artista californiano John Baldessari, la Fondazione Prada e Prada s.p.a.

1 Trib. Penale di Napoli, 27 maggio 1908, E. Scarpetta, in “Giur. It.”, 1909, n. 2, p. 1. 2 Gli eredi di Giacometti sono costituiti nella Fondation Alberto et Annette Giacometti. La Fondation, soggetto giuridico di diritto francese, persegue lo scopo di “proteggere, difondere e promuovere l'opera di Alberto Giacometti esercitando in particolare la sorveglianza di pubblicazioni, mostre o vendite, con tutte le azioni legali necessarie a detta tutela”, nonché di esercitare “la concessione delle autorizzazioni a pubblicare, riprodurre o esporre le opere o alcuni dei suoi elementi” (Art. 2 dello Statuto).

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John Baldessari: “The Giacometti Variations”

Le immagini riportate testimoniano la grandiosità dell'installazione dal titolo “The Giacometti Variations” ideata da Baldessari per Prada: le sue sculture disposte in fila indiana evocano una sfilata di moda le cui dimensioni titaniche portano all'estremo il concetto di bellezza da passerella. Una mostra pungente e provocante che viene chiusa al pubblico in tempi prematuri – circa un mese in anticipo rispetto alla data prefissata per la fine dell'evento – a causa di un sequestro cautelare “per riproduzione non autorizzata” ai sensi della normativa sul diritto d'autore.

L'ordinanza con la quale il Tribunale di Milano si è espresso in favore dell'installazione di Baldessari ofre lo spunto per approfondire la tutela industriale dell'opera parodistica nel nostro ordinamento in cui la legge di riferimento è la l. 22 Aprile n. 633 del 19413: un testo normativo che il legislatore da un lato, la giurisprudenza dall'altro,

3 Da ora in avanti indicata come L.A. Il testo aggiornato della Legge n. 633/1941 è reperibile a: http://www.interlex.it/testi/l41_633.htm (ultimo accesso: 15/05/2015).

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cercano di adattare alla continua evoluzione tecnologica che tocca da vicino questa materia e alle sempre nuove richieste di tutela provenienti dal mondo della creatività.

Quella del caso Baldessari è la prima decisione della giurisprudenza italiana ad aver afrontato la qualificazione e la conseguente regolamentazione giuridica di un'opera d'arte appartenente alla c.d.

Appropriation Art, una corrente artistica che è stata così descritta:

“(Appropriation Art) borrows images from popular culture, advertising, the mass media, other artists and elsewhere, and incorporates them into new works of art”4. 

Nel Capitolo Primo di questo lavoro si spiegherà come, dal punto di vista giuridico, la spinta proveniente dalla comunità artistica5 a stravolgere creazioni artistiche altrui, a distruggere per ricominciare6 piuttosto che creare ex novo, richieda un'accorta analisi in sede interpretativa: tale pratica si colloca in efetti al confine fra la fattispecie del plagio e quella dell'elaborazione creativa che costituisce una nuova opera originale, autonomamente tutelata dalla legge sul diritto d'autore. In particolare, dottrina e giurisprudenza considerano le opere di Appropriation Art tutelabili come opere parodistiche: esse si fondano infatti al tempo stesso sul riconoscimento e sul contrasto, l'artista appropriativo copia la forma dell'opera altrui ma se ne discosta radicalmente sul piano del contenuto.

Per questo motivo il Capitolo Secondo è dedicato allo studio della parodia, un'opera dell'ingegno la cui legittimità, in Italia, si basa

4 W. M. Landes, “Copyright, Borrowed Images and Appropriation Art: An Economic

Approach”, 2000.

5 Già a partire dagli anni della corrente Dada, movimento culturale nato in Europa e sviluppatasi tra il 1916 e il 1920 che ha interessato le arti visive, la letteratura, il teatro e la grafica.

6 Si veda in tal senso John Baldessari “The Cremation Project” (1970), un'urna

contente biscotti creati con le ceneri dei suoi dipinti che aveva realizzato tra il 1953 e il 1966.

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sull'interpretazione sistematica di alcune disposizioni della legge sul diritto d'autore. A diferenza di altri Paesi di analoga tradizione giuridica come Francia e Spagna, nella legislazione italiana non compare infatti un'eccezione relativa alla parodia, né esiste una norma generale cui ancorare la sua legittimità come nel caso della Section 107 del Copyright Act del 19767. Anna Marina Tavassi, giudice del caso Baldessari, ha ammesso “la peculiarità della materia e l'efettiva incertezza delle questioni di diritto implicate”8.

La normativa europea non ofre maggiore chiarezza: la Direttiva 2001/29/CE, intervenuta per armonizzare taluni aspetti del diritto d'autore all'interno del panorama europeo, nomina la parodia nell'elenco delle eccezioni ai diritti esclusivi di riproduzione e di comunicazione al pubblico spettanti all'autore di un'opera d'ingegno (Art. 5, par. 3, lettera k) senza specificare tuttavia cosa debba intendersi esattamente con questo termine. Preso atto di ciò, la Corte di Giustizia CE ha individuato una nozione autonoma di parodia in base alla quale essa presenta due caratteristiche essenziali: quella di evocare un'opera preesistente e quella di essere un atto umoristico o canzonatorio. Una definizione evidentemente troppo sintetica e riduttiva che resta ancorata alla prospettiva della parodia come eccezione anziché a quella della parodia come libertà.

Il Capitolo Terzo indaga il trattamento dell'opera parodistica nella giurisprudenza americana sul c.d. fair use.

Nelle loro memorie difensive, Baldessari e Prada richiamano infatti una serie di cause che si sono svolte nell'ultimo decennio di fronte alle

7 Il testo del Copyright Act del 1976 è reperibile a: http://www.law.cornell.edu/uscode/text/17/107 (ultimo accesso: 15/05/2015).

8 Si veda punto 11 della ordinanza:

http://www.iusexplorer.it/Riviste/ArticoloRivista?

idDocMaster=2995047&idDataBanks=126&idUnitaDoc=0&nVigUnitaDoc=1&pagi na=1

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corti nordamericane9 e che hanno visto protagonisti Appropriation

artists10. Si crea in questo modo un collegamento fra i due modelli di tutela autoriale – quello del droit d'auteur di matrice europea e quello del copyright inglese – che a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso hanno cominciato ad avvicinarsi fra loro. A parere di chi scrive la decisione del caso Baldessari costituisce una prova evidente di tale avvicinamento: pur ammettendo, infatti, che diferenze strutturali fra i due sistemi di diritto impediscono di esportare tout court le argomentazioni e i ragionamenti elaborati oltreoceano, il giudice italiano si appoggia in verità a quegli sviluppi, adottando un criterio di giudizio molto simile a quello proprio del c.d. four factors fair use

test11.

L'ultimo capitolo esamina infine la disciplina del c.d. diritto di seguito, una prerogativa economica spettante all'autore di opere d'arte figurativa originali, al fine di valutare la sua possibile applicazione alle opere di Appropriation Art.

Nell'interpretazione dottrinale più tradizionale, il diritto di seguito spetta alle opere d'arte “originali” nel senso di creazioni prodotte

personalmente dall'autore, per cui l'Appropriation Art sembra a prima

vista tagliata fuori; per gli artisti concettuali esiste infatti una scissione precisa fra la fase speculativa dell'opera e quella della sua realizzazione materiale: mentre la prima è quella in cui si concentra il momento creativo, la seconda è meramente esecutiva (“un fare

tecnico-artigianale”12) e viene normalmente delegata ad altri soggetti.

9 L'Appropriation Art nasce agli inizi degli anni Ottanta negli Stati Uniti ragion per cui la giurisprudenza americana è più consolidata in materia.

10 I casi richiamati dalle parti convenute sono Rogers v. Koons (1992), Blanch v.

Koons (2006), Cariou v. Prince (2011) e Mattel v. Walking Mountain (2003) che

verranno analizzati nel Capitolo Terzo. 11 Si veda il Capitolo Terzo.

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Un possibile rimedio a tale esclusione proviene dalla giurisprudenza della Cour de Cassation: quest'ultima nel caso Rodin del 1986 ha considerato “originale” ai fini dell'applicazione del diritto di seguito un'opera d'arte alla quale lo scultore francese aveva lavorato personalmente solo in fase ideativa.

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Capitolo Primo

Il problema:

“The Giacometti Variations” di John Baldessari

“Good artists copy, great artists steal” Pablo Picasso13

Sommario: 1.1 La fattispecie. 1.2 Inquadramento normativo della fattispecie.

1.2.1 Il quadro costituzionale. 1.2.2 La l. 22 Aprile n.633/1941 (L.A.). 1.2.2.1 In particolare: il diritto esclusivo di elaborazione e .. 1.2.2.2 .. la tutela delle elaborazioni di carattere creativo. 1.3 Alla ricerca di una definizione per l'“opera d'arte”. 1.3.1 “Kitchen utensils and hospital supplies”. 1.3.2 Dalla teoria dell'indiferenza visiva di Marcel Duchamp alla nascita dell'arte concettuale. 1.3.3 La crisi dell'originalità nell'arte moderna.

1.1 La fattispecie

Nel 2009 John Baldessari, architetto e artista californiano considerato uno dei massimi esponenti dell'arte concettuale in America14, è

13 Picasso fa riferimento alla pratica degli artisti cubisti di appropriarsi di oggetti di uso comune per la realizzazione delle loro opere.

14 Nato nel 1931 a National City in California, John Baldessari è conosciuto soprattutto per le sue opere concettuali che si avvalgono di tecniche come la fotografia, le parole, i testi, le cui regole vengono sovvertite e svelate, interrogando lo spettatore in una sorta di gioco decostruttivo. Baldessari ha insegnato al California Institute of the Arts a Valencia e presso l'University of California a Los Angeles. I suoi lavori sono stati esposti in più di duecento mostre personali e in oltre novecento collettive negli Stati Uniti e in Europa. Gli sono stati conferiti numerosi premi fra cui il Leone d'oro alla carriera della Biennale di Venezia nel 2009. Ha ricevuto la laurea ad honorem dalla National University irlandese, dalla San Diego State University e dall'Otis Art Institute of Parsons School of Design.

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invitato dalla Fondazione della celebre maison di moda Prada a realizzare un'installazione site specific per il proprio centro a Milano. Germano Celant, curatore della mostra, formula una richiesta alla Fondation Alberto et Annette Giacometti al fine di ottenere, dietro pagamento del corrispettivo, il diritto di utilizzare per la suddetta installazione alcune opere del Maestro Giacometti, la “Grande Femme

III” e la “Grande Femme IV”.

La Fondazione francese nega l'autorizzazione in quanto preoccupata che un tale utilizzo delle opere di Giacometti avrebbe potuto creare un collegamento fra queste ultime e l'attività di Prada “con possibili

implicazioni di tipo pubblicitario e di marketing”15.

Baldessari decide allora di creare lui stesso delle sculture che si ispirassero in generale alle “Grandes Femmes” giacomettiane senza però riprodurne nessuna in particolare: le silhouette allungate e l'epidermide sono le stesse di Giacometti ma le sue nove creature femminili sono molto più alte (quattro metri e mezzo per l'esattezza) e il materiale usato per realizzarle è diverso (resina e acciaio spruzzati di bronzo). Inoltre a ognuna di esse viene assegnata una mise (diciotto in tutto, presentate a rotazione in due diversi momenti-sfilata), disegnata dallo stesso Baldessari e ispirata al mondo dell'arte, del cinema e delle favole: un grande fiocco rosa sull'abito da sera è un tributo al glamour anni Cinquanta, il trench poggiato sulla spalla richiama alla mente il fascino di Humphrey Bogart in “Casablanca”, le scarpette rosse sono quelle di Dorothy ne “Il Mago di Oz”, le trecce lunghissime e una scala bastano a riconoscere la principessa Raperonzolo.

15 Vedi punto 2 dell'ordinanza del Tribunale di Milano, 13 Luglio 2011: http://www.iusexplorer.it/Riviste/ArticoloRivista?

idDocMaster=2995047&idDataBanks=126&idUnitaDoc=0&nVigUnitaDoc=1&pagina =1

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John Baldessari: “The Giacometti Variations”

È proprio nella scelta di vestire e personalizzare le sculture che si rintraccia la diferenza più profonda con il lavoro di Giacometti che riguarda il significato dell'opera creativa: quella che Baldessari mette in scena è una sfilata di moda dal significato fortemente provocatorio che vede protagoniste top model anoressiche, vittime dei rigori e degli eccessi della moda e rese ancora più ridicole e allo stesso tempo

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John Baldessari: “The Giacometti Variations”

indifese dagli accessori kitsch e coloratissimi che le connotano come dive dello spettacolo. Nella poetica giacomettiana, invece, l'estrema magrezza del corpo femminile esprimeva la depressione, il dolore e l'angoscia che la guerra aveva lasciato nell'esistenza umana.

Ne sarebbe nata la mostra “The Giacometti Variations”, la cui apertura al pubblico era prevista dal 29 Ottobre al 31 Dicembre 2010.

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Alberto Giacometti: “Grande Femme”

A distanza di poco tempo dall'inaugurazione dell'evento, la Fondazione Giacometti, valutando il lavoro di Baldessari una riproduzione non autorizzata dell'opera del Maestro svizzero, propone ricorso ex. Art. 156 L.A.: con decreto in via cautelare, emesso inaudita

altera parte, il giudice milanese inibisce l'ulteriore produzione,

commercializzazione, pubblicizzazione, esposizione al pubblico, difusione anche a mezzo Internet delle presunte copie non autorizzate della scultura “Gran Femmes II” e dispone il sequestro

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dell'installazione di Baldessari.

Instaurato il contraddittorio tutti i provvedimenti suddetti vengono revocati con ordinanza16.

La domanda della parte attrice circa il presunto danno alla reputazione è ritenuta infondata in quanto dalle difese delle resistenti è emerso che Baldessari non ha lavorato su richiesta della Fondazione Prada e tanto meno di Prada s.p.a.: gli abiti e gli accessori delle sculture sono stati ideati e creati autonomamente dall'artista e nulla hanno a che vedere con i prodotti Prada.

Con riguardo poi all'accusa di riproduzione non autorizzata, il giudice meneghino ha innanzitutto distinto concettualmente la rivisitazione di un'opera dalla sua rielaborazione e dal plagio. Con il primo termine si intende rendere omaggio a un artista, seguirne ed attuarne gli insegnamenti tramite la creazione di una scuola o di una corrente; la rielaborazione invece è volta a realizzare una critica, una parodia o simili. Entrambe le ipotesi si caratterizzano comunque per la creatività dell'elaborazione, tutelabile autonomamente ex. Art. 4 L.A. ove esteriorizzata. Il giudice si riferisce infine all'ipotesi della contrafazione e a quella del plagio in maniera indistinta per indicare

“una sostanziale riproduzione dell'opera originale con diferenze di mero dettaglio che sono frutto non di un apporto creativo ma del mascheramento della contrafazione”17.

16 Tribunale di Milano, ord. 13 Luglio 2011, in “Rivista di Diritto Industriale”, 2011, p. 347.

17 Vedi punto 7 dell'ordinanza: http://www.iusexplorer.it/Riviste/ArticoloRivista? idDocMaster=2995047&idDataBanks=126&idUnitaDoc=0&nVigUnitaDoc=1&pagina =1

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Il Tribunale di Milano conclude che Baldessari ha posto in essere un'opera di trasformazione – sia esteriore che concettuale – tale da rendere le sue sculture portatrici di un significato totalmente nuovo rispetto a quelle di Giacometti dalle quali senza dubbio ha tratto inizialmente ispirazione. In applicazione dei principi consolidati dalla giurisprudenza in materia di parodia, tale trasformazione vale a caratterizzare la sua opera come non derivata (Art. 4 L.A.) e tanto meno contrafattiva (Art. 171 L.A.) bensì come opera creativa nuova e originale.

1.2 Inquadramento normativo della fattispecie

Al fine di delineare la cornice normativa all'interno della quale si è mosso il giudice del Tribunale di Milano nella decisione della controversia ora esposta, si ritiene opportuno esaminare dapprima la disciplina costituzionale posta a tutela della libertà di espressione artistica per poi passare ad analizzare la legislazione speciale in materia di proprietà intellettuale.

1.2.1 Il quadro costituzionale

La Costituzione italiana dedica alla c.d. libertà artistica – la libertà cioè di creare (o non creare) l'opera dell'ingegno, infondendole il prescelto contenuto e dandole forma sensibile18 – l'Art. 33, 1° comma, Cost., una disposizione dal tenore apodittico: “L'arte e la scienza sono libere

e libero ne è l'insegnamento”19.

In seguito a un'analisi comparativa all'interno del panorama europeo

18 A. De Cupis, “Limiti alla creazione artistica di fronte alla tutela della personalità”, estratto da “Il Diritto d'Autore”, n. 2, 1970.

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si può constatare che enunciazioni analoghe a quella dell'Art. 33 Cost. si ritrovano nella Legge fondamentale tedesca del 1949 (Art. 5, 3° comma: “L'arte e la scienza, la ricerca e l'insegnamento sono liberi”20), nella Costituzione greca del 1975 (Art. 16, 1° comma: “L'arte e la

scienza, la ricerca e l'insegnamento sono liberi. Il loro sviluppo e il loro miglioramento costituiscono un obbligo dello Stato”21) e nella Costituzione portoghese del 1976 (Art. 42, 1° e 2° comma: “There

shall be freedom of intellectual, artistic and scientific creation. This freedom comprises the right to invent, produce and divulge scientific, literary and artistic work and includes the protection of copyright by law”22).

Per quanto riguarda l'Unione Europea, la Carta europea dei diritti fondamentali, approvata a Nizza il 7 dicembre del 2000, contiene all'Art. 13 una disposizione pressoché identica a quella nostrana: “Le

arti e la ricerca scientifica sono libere”23.

Sono inoltre da richiamare le disposizioni contenute in due documenti adottati in seno all'Assemblea generale delle Nazioni Unite: la Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, approvata a Parigi il 10 dicembre del 1948 (Art. 27: “1. Ogni individuo ha diritto di prendere

parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici”24) e il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, concluso a New York il 16 dicembre 1966 ed entrato in vigore il 23 marzo del 1976 (Art. 19: “1.

Ogni individuo ha il diritto alla libertà di espressione. 2. Tale diritto 20 http://ospitiweb.indire.it/costituzione/estero/germania.htm

21 http://host.uniroma3.it/progetti/cedir/cedir/Lex-doc/Gr_cost.pdf

22 http://www.parlamento.pt/Legislacao/Documents/Constitution7thRev2010EN.p df. La traduzione italiana del testo della Costituzione portoghese non è disponibile sul Web.

23 http://www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf 24 http://www.interlex.it/testi/dichuniv.htm

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comprende la libertà di cercare, ricevere e difondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta”25).

In sede di Assemblea costituente la scelta della formula dell'Art. 33 Cost., tra le più asciutte sotto il profilo dei limiti, è stata dettata dalla volontà di porre una cesura rispetto al passato: essa doveva servire ad allontanare il rischio che, in momenti di grave fazione, le manifestazioni artistiche potessero essere preordinate a particolari fini politici. Si è quindi parlato di una “tutela assolutamente rigida” della libertà artistica e addirittura di una “libertà totale”26.

La giurisprudenza è concorde nel ritenere che l'attività di elaborazione e creazione artistica sia espressione della libertà di manifestazione del pensiero tutelata all'Art. 21 Cost.27 e in tal senso vada intesa come una situazione attiva costituente – in analogia a quanto elaborato a proposito dei diritti di cronaca, di critica, ecc. – un vero e proprio diritto soggettivo denominato “diritto di creazione”28.

Secondo una nota ricostruzione dottrinale29, tuttavia, le manifestazioni artistiche30 sarebbero assistite, a diferenza delle altre tipologie di cui all'Art. 21 Cost., da una forma di tutela speciale e privilegiata: le suddette manifestazioni non sarebbero cioè soggette al limite del

25

http://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/19660262/201110270000/0.103.2.pdf

26 A. Mura, “Commentario della Costituzione. Rapporti etico-sociali” a cura di G. Branca, Bologna-Roma, Zanichelli – Il Foro italiano, 1976, p. 230.

27 https://www.senato.it/1025?sezione=120&articolo_numero_articolo=21 28 L. Boggiano, “Il diritto di creazione artistica e i suoi rapporti con la tutela

dell'onore”, in “Giurisprudenza italiana”, 2002, Fascicolo 12, p. 2310 e s.s.

29 S. Fois, “Principi costituzionali e libera manifestazione del pensiero”, Milano, 1957, p. 45 s.s., 83 s.s., 102 s.s.

30 Lo stesso ragionamento vale per le manifestazioni del pensiero in materia scientifica, religiosa e politica.

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buon costume – testualmente previsto dall'Art. 21, 6° comma, Cost. – né a limiti riconducibili ad altri interessi parimenti tutelati a livello costituzionale (onore, riservatezza, ecc.). Altra parte della dottrina31 pone in dubbio questa impostazione obiettando che la circostanza che la Costituzione contempli delle specifiche disposizioni in materia di libertà artistica non autorizza di per sé a ritenere che tali situazioni giuridiche soggettive identifichino un tertium genus rispetto alla generale libertà di manifestazione del pensiero; al contrario si sostiene che la libertà artistica rappresenti semplicemente un aspetto qualificato della libertà di manifestazione del pensiero. Sul piano letterale poi l'Art. 21, 6° comma, Cost., nel prescrivere il rispetto del limite del buon costume, fa esplicito riferimento non solo alle

“pubblicazioni a stampa” ma anche agli “spettacoli” e a “tutte le altre manifestazioni” ed è difcilmente contestabile che a tali ampie

formulazioni non possano essere ricondotte anche le manifestazioni di carattere artistico.

Anche per la giurisprudenza costituzionale non si può parlare di un'emancipazione della libertà artistica dall'Art. 21 Cost. per quanto riguarda il limite del buon costume: nella sua ricostruzione sistematica32 l'Art. 33 Cost. opera in termini di ampliamento e raforzamento della libertà artistica con esclusivo riferimento alla fase di creazione e di formazione dell'opera mentre la fase relativa alla difusione dell'opera è regolata dall'Art. 21 Cost. Di conseguenza, poiché la problematica posta dal reato di difamazione (Art. 595 c.p.) attiene al momento di difusione dell'opera, la regola da applicare nel giudizio di bilanciamento tra i contrapposti interessi alla tutela

31 Si veda A. Pace, “Problematiche delle libertà costituzionali. Parte Speciale”, Padova, 2003, p. 322 s.s.

32 Corte Cost., sentenza n. 59 del 1960, in “Giurisprudenza Costituzionale”, 1960, p. 690.

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dell'onore e a quello alla tutela della creatività, sarà quel generale principio enunciato dalla Corte Costituzionale secondo cui “limite

generale di legittimità alle restrizioni ad ogni diritto di libertà è che esso non ne risulti praticamente soppresso, ovvero gravemente affievolito o compromesso”33.

A partire dalla giurisprudenza costituzionale ora citata potrebbe operarsi una diversa ricostruzione del diritto di creazione artistica e dei suoi limiti: abbandonando cioè quella concezione che identifica l'attività creativa con una vera e propria vis compulsiva scaturente dallo spirito dell'artista, essa sarà soggetta, al pari di ogni altra professione, alle sue regole e ai suoi rischi; si tratta infatti di un'attività che è naturalmente destinata a entrare in contatto con il pubblico, caratteristica quest'ultima particolarmente enfatizzata dallo sviluppo di nuovi mezzi di difusione e comunicazione. L'artista sarà pertanto tenuto al rispetto del principio del neminem laedere, non potendo invocare a sua discolpa la sussistenza di particolari immunità derivanti dall'esercizio della foga artistica; egli avrà l'obbligo di adottare accorgimenti e cautele purché non comportanti uno snaturamento del senso dell'opera e sarà responsabile di quelle lesioni (alla reputazione, all'onore, ecc.) che avrebbe potuto evitare adoperando l'ordinaria diligenza. Risulta evidente come, aderendo a tale impostazione, il sindacato sull'opera d'arte diventi particolarmente penetrante e vada a incidere non solo sui limiti esterni del diritto di creazione ma anche sulla struttura interna e sulle scelte estetiche dell'autore stesso.

1.2.2 La l. 22 Aprile n.633/1941 (L.A.)

33 Corte Cost., sentenza n. 126/1985, in “Giurisprudenza Costituzionale”, 1985, p. 230.

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In base alla L.A., l'autore, al momento della creazione dell'opera d'ingegno34, diviene titolare di un fascio di diritti esclusivi, alcuni posti a difesa della sua personalità (c.d. diritto morale d'autore), altri aventi contenuto di tipo economico (c.d. diritti di utilizzazione economica). Iniziando dalla prima categoria, disciplinata nella Sez. II, Capo III, Titolo I, L.A., l'Art 20, 1° comma, attribuisce all'autore “il diritto di

rivendicare la paternità dell'opera” e il diritto “di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione e ad ogni atto a danno dell'opera stessa che possano essere di pregiudizio al suo onore e alla sua reputazione”. Entrambi i diritti ora richiamati sono

inalienabili35, indisponibili e autonomi rispetto ad eventuali atti di disposizione dei diritti economici36.

Ex. Art. 20 L.A. l'autore potrà impedire soltanto quelle modifiche della sua opera che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione; la tutela del diritto all'integrità dell'opera è infatti prevista da una norma speciale – l'Art. 126 L.A. – per le sole opere letterarie oggetto di un contratto di edizione.

L'azione a tutela del diritto morale alla paternità è cumulabile con quella a tutela del diritto all'integrità dell'opera.

I diritti esclusivi di utilizzazione economica dell'opera d'ingegno si trovano invece elencati agli Artt. da 12 a 18-bis, nella Sez. I, Capo III, Titolo I, L.A.37. L'elencazione in questione è ritenuta unanimemente

34 Ex. Art. 6 L.A e Art. 2576 c.c. non sono richieste formalità particolari per la nascita del diritto d'autore (registrazioni, depositi o quant'altro), a diferenza di altri diritti esclusivi previsti dal sistema di proprietà industriale quali la registrazione del marchio o il deposito del brevetto.

35 Art. 22, 1° comma. 36 Art 20, 1° comma.

37 Si tratta in particolare dei seguenti diritti esclusivi: diritto di pubblicazione (Art. 12), di riproduzione (Art. 13), di trascrizione (Art. 14), di esecuzione (Art. 15), di rappresentazione e recitazione in pubblico (Art. 15), di comunicazione al pubblico (Art. 16), di distribuzione (Art. 17), di traduzione e di elaborazione (Art. 18), di noleggio (Art. 18-bis.).

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non tassativa da dottrina e giurisprudenza: di conseguenza, nel caso di nuove forme di utilizzazione dell'opera non conosciute all'epoca del trasferimento dei diritti economici a favore di un terzo, l'autore vanterà l'esclusiva di sfruttamento delle stesse, salvo che il trasferimento abbia riguardato l'intero spettro dei diritti patrimoniali sull'opera.

I diritti di utilizzazione economica sono indipendenti fra loro: l'esercizio esclusivo di uno di essi non preclude l'esercizio esclusivo di ciascuno degli altri diritti38. Da questa caratteristica deriva che, in caso di trasferimento dei diritti economici, l'individuazione dell'oggetto del trasferimento dovrà essere efettuata con estremo rigore: il trasferimento di un diritto non comporterà il trasferimento di un altro, almeno che quest'ultimo non sia strettamente dipendente da quello trasferito, avuto riguardo all'oggetto e allo scopo del singolo contratto.

1.2.2.1 In particolare: il diritto esclusivo di elaborazione e ..

All'interno del catalogo dei diritti di utilizzazione economica, l'Art. 18 L.A. disciplina il diritto esclusivo di elaborazione dell'autore di un'opera creativa. Il 1° comma di questa disposizione attribuisce all'autore il diritto di porre in essere “tutte le forme di modificazione,

di elaborazione e di trasformazione dell'opera previste nell'Art. 4”.

La disposizione fa riferimento quindi al diritto dell'autore-elaboratore di modificare la propria opera fino al punto di crearne un'altra, nuova e originale, autonomamente protetta (l'Art. 4 L.A. tutela infatti “le

modificazioni ed aggiunte che costituiscano un rifacimento sostanziale dell'opera originaria”).

Il 3° comma dell'Art. 18 L.A. aggiunge che l'autore “ha infine il diritto

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esclusivo di introdurre nell'opera qualsiasi modificazione”: si fa

riferimento cioè al diritto esclusivo dell'autore di modificare la sua opera, a prescindere dal valore creativo di tale successivo intervento.

1.2.2.2 .. la tutela delle elaborazioni di carattere creativo

L'Art. 4 L.A tutela le elaborazioni di carattere creativo di un'opera di ingegno ovvero “(..) le traduzioni in altra lingua, le trasformazioni da

una in altra forma letteraria od artistica, le modificazioni ed aggiunte che costituiscono un rifacimento sostanziale dell'opera originaria, gli adattamenti, le riduzioni, i compendi, le variazioni non costituenti opera originale”.

Autore dell'elaborazione è l'elaboratore “nei limiti del suo lavoro”39. È pacifico che una stessa idea possa essere oggetto di diverse opere dell'ingegno; non si richiede tuttavia che l'opera elaborata presenti diferenze individualizzanti, tali da escludere la confondibilità con l'opera originaria40, alla stregua del giudizio d'impressione utilizzato in

tema di segni distintivi dell'impresa.

La legge precisa che la tutela è attribuita “senza pregiudizio dei diritti

esistenti sull'opera originaria”: poiché l'Art. 18 L.A., come si è visto nel

paragrafo precedente, riconosce all'autore il diritto esclusivo di elaborare l'opera da lui creata, il terzo-elaboratore non può procedere all'elaborazione della stessa opera senza l'autorizzazione del primo. Ne consegue che ogni elaborazione non autorizzata, o realizzata in forme diverse da quelle autorizzate, costituisce una violazione dei diritti dell'autore dell'opera originaria.

39 Art. 7 L.A.

(24)

A partire dal dettato della L.A., la dottrina41 ha individuato tre tipi diferenti di elaborazione che possono essere poste in essere su un'opera dell'ingegno e che si distinguono fra loro per il diverso livello di creatività. Una prima ipotesi è quella della elaborazione non

creativa, vale a dire del plagio: l'opera posteriore rivela i tratti

essenziali dell'opera originale plagiata rispetto alla quale presenta diferenze marginali; la seconda ipotesi è quella, ora vista, dell'elaborazione creativa che dà vita a un'opera derivata che verrà tutelata autonomamente ex. Art 4. L.A. ma che necessita, per essere legittima, del consenso dell'autore dell'opera originale. Infine l'elaborazione può essere talmente importante dal punto di vista dell'apporto creativo da costituire il titolo di acquisto di una nuova opera originale, che verrà tutelata come tale dalla L.A.

1.3 Alla ricerca di una definizione per l'“opera d'arte”

Il caso “Fondazione Giacometti v. John Baldessari e Prada” dimostra come al giorno d'oggi non sia più possibile stabilire con certezza cosa sia arte, elaborare cioè una definizione di questo concetto che sia valida allo stesso tempo in ambito artistico, filosofico e giuridico. Questa difcoltà è sorta più o meno a metà dell'Ottocento ed è andata crescendo durante tutto il secolo scorso, mano a mano che l'opera d'arte ha cominciato ad assumere forme nuove e confini sempre più labili.

La prima scossa alla visione delle opere d'arte come categoria relativamente omogenea avvenne con il riconoscimento del carattere

41 Marchetti P.G. – Ubertazzi L.C., “Commentario breve alle leggi sulla proprietà

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artistico dell'opera fotografica: nel 1955 Edward Steichen, direttore del Museum of Modern Art di New York, inaugurò la prima mostra dedicata alla fotografia, sancendo così ufcialmente il suo valore artistico42.

Rinviando ai Capitoli II, III, IV, lo studio dei profili squisitamente giuridici legati alla tutela autoriale, i paragrafi che seguono hanno lo scopo di introdurre il discorso su l'Appropriation Art, cercando in particolare di chiarire quelle che sono state le sue premesse artistiche e filosofiche. Nel primo paragrafo si dà conto della storica controversia

“Costantin Brancusi v. United States” (1928) in cui per la prima volta

un giudice si è trovato nella posizione di dover decidere cosa debba intendersi per “opera d'arte” ai sensi della legge. Il secondo paragrafo si concentra sulla nascita dell'arte concettuale – all'interno della quale si colloca l'Appropriation Art – di cui Marcel Duchamp è considerato il primo rappresentante. L'ultimo paragrafo ripercorre la crisi del concetto di originalità in ambito artistico: a partire da “Le Déjeuner

sur l'herbe” di Édouard Manet (1863), si arriverà a presentare l'opera di alcuni dei più importanti appropriationists americani.

1.3.1 “Kitchen utensils and hospital supplies”

Sbarcato nel porto di New York nel 1926, lo scultore rumeno Costantin Brancusi è stato costretto a pagare una tassa di importazione di 240

42 La mostra, intitolata “The Family of Man”, raccoglieva più di cinquecento fotografie; fra i fotografi coinvolti compaiono i nomi di Dorothea Lange, Robert Capa, Henri Cartier Bresson, Robert Doisneau. L'allestimento fu progettato in modo modernista e innovativo: le fotografie furono scelte soprattutto per il loro potere evocativo, più che per un criterio storico-geografico e il visitatore, camminando tra le immagini appese alle pareti e al softto, si ritrovava immerso in un percorso intenso e visionario.

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dollari per il trasporto della sua scultura intitolata “Bird in Space”. Il funzionario della dogana ha ritenuto infatti che lo strano oggetto in bronzo lucido posato su un piedistallo, lungi dal poter essere considerato un'opera d'arte rafgurante un uccello e in quanto tale “duty free”43, potesse piuttosto rientrare nella categoria legale “Utensili da cucina e supporti per ospedale”44.

A distanza di un mese dall'accaduto, si apre il processo “Brancusi v.

United States”. La posta in gioco è alta: si tratta infatti di stabilire quali

requisiti oggettivi una creazione artistica – in quel caso una scultura – debba presentare per poter essere considerata “opera d'arte” ai sensi della legge. “Bird in Space” è divenuto elemento di prova, l'“Exhibit 1”. Durante lo svolgimento del processo, fra le parti c'è accordo nel ritenere che una scultura debba essere creata da un artista professionista, debba essere originale e non debba avere nessuna finalità pratica.

Per l'avvocato della dogana, Marcus Higginbotham, portavoce della teoria secolare secondo cui scopo dell'arte è ofrire la più accurata imitazione della realtà, il nodo centrale della questione è che “Bird in

Space” non assomiglia minimamente a un uccello, come il suo titolo

suggerirebbe: egli richiama la decisione della causa “United States v.

Olivotti” (1916), in cui si era stabilito che la qualifica di opera d'arte

spettasse solo ai manufatti che fossero “imitation of natural objects”. Fra i testimoni e periti di Brancusi – rimasto contumace – compaiono artisti, mercanti d'arte, giornalisti e direttori di musei, il parterre de

rois della scena artistica newyorkese degli anni Venti45; essi difendono

43 Come previsto dal par. 1704 del Tarif Act del 1922. 44 “Kitchen utensils and hospital supplies”.

45 Nella lista testimoniale di Brancusi compaiono: E. Steichen, fotografo; J. Epstein, scultore; F. Watson, editore della rivista “The Arts”; F. Crowninshield, editore di “Vanity Fair”; W. H. Fox, direttore del Brooklyn Museum of Art; H. McBride, critico

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Costantin Brancusi: “Bird in Space”

il lavoro astratto di Brancusi la cui ricerca artistica aveva condotto a una progressiva stilizzazione delle forme.

Il 26 Novembre 1928 viene emessa la sentenza46: vi si legge che “Bird

in space” è da considerare un'opera d'arte – e come tale può circolare

libera da tasse di transito – in quanto “i suoi lineamenti sono

armoniosi e simmetrici e, nonostante qualche difficoltà ad associarlo a un uccello, è comunque piacevole da guardare e molto decorativa (…) ed è il prodotto originale di uno scultore professionista”47.

d'arte. A favore della tesi della dogana testimoniarono due scultori, R. Aitken e T. Jones.

46 United States Customs Court, Third Division, 26 Novembre 1928.

47 “It is beautiful and symmetrical in outline and, while some difficulty might be

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È con queste parole che la corte americana supera la teoria dell'arte come “mimesis” della natura e apre le porte alla soggettività dell'artista: la somiglianza può essere soggettiva, un'opera d'arte può essere astratta48.

1.3.2 Dalla teoria dell'indiferenza visiva di Marcel Duchamp alla nascita dell'arte concettuale

Nella storia della teoresi filosofica artistica si ammetteva che le opere d'arte avessero una forte identità precostituita e si potessero distinguere facilmente dagli oggetti comuni49; questa distinzione era così ovvia che i Greci evidentemente non avevano bisogno di un termine particolare per indicare le opere d'arte, anche se iniziavano a spiegarle con un imponente apparato metafisico50.

Arthur Coleman Danto51, critico d'arte statunitense, prende le distanze dalla tradizione filosofica precedente sostenendo che la distinzione tra le opere d'arte e gli oggetti comuni, dopo Duchamp, non potesse più essere data per scontata.

Il filosofo Thierry De Duve considera a sua volta i ready-made “opere

paradigmatiche”52, in grado di mettere in luce alcune problematiche

and highly ornamental and (..) it is the original production of a professional sculptor and is in fact a piece of sculture and a work of art according to the authorities above refered”.

48 “In the meanwhile there has been developing a so-called new school of art,

whose exponents attempt to portray abstract ideas rather than imitate natural objects. Whether or not we are in sympathy with these newer ideas and the schools which represent them, we think the facts of their existence and their influence upon the art worlds as recognized by the courts must be considered”.

49 Croce afermava non essere una risposta bizzarra, alla domanda “cos'è arte?” quella che l'avesse identificata con il locus omnium: tutti sanno cosa sia.

50 A. C. Danto, “Arte e Significato”, 2000; in “Alle origini dell'arte contemporanea”, Di Giacomo G. e Zambianchi C., Ed. Laterza, 2013, p. 139.

51 A. C. Danto, “The transfiguration of the Commonplace”, Cambridge, 1981. 52 T. De Duve, “Résonances du ready-made”, Chambon, Nimes, 1989, p. 7.

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cruciali legate allo statuto stesso dell'arte e dell'artista nell'epoca contemporanea.

Marcel Duchamp scelse i suoi primi ready-made negli anni Dieci del Novecento: si tratta di oggetti qualsiasi, una pala da neve, uno scolabottiglie, un pettine, un attaccapanni.. comuni utensili prelevati dal loro contesto, firmati dall'autore, inseriti in uno spazio artistico – un museo, un'esposizione – e considerati a quel punto autentiche opere d'arte53.

André Breton, poeta e teorico del Surrealismo ma anche critico d'arte, definì il ready-made un “oggetto usuale promosso alla dignità di

oggetto artistico dalla semplice scelta dell'artista”54. Secondo la poetica sottesa al ready-made, quindi, ogni cosa può potenzialmente diventare arte e l'arte può, a sua volta, essere costituita da qualsiasi cosa.

Nel suo scritto “À propos des ready-made”55, Duchamp chiarisce che la scelta – “iscrizione” – del ready-made è guidata non “da un qualche

diletto estetico” ma al contrario da quella che egli definisce una

sensazione di “indiferenza visiva” (“indiférence visuelle”): “è difficile

scegliere un oggetto che non vi interessi assolutamente e non soltanto il giorno in cui lo scegliete, ma per sempre, e che non abbia mai nessuna possibilità di diventare bello, carino, gradevole da guardare; oppure brutto.”

53 I più celebri ready-made sono senz'altro la ruota di bicicletta fissata su uno sgabello (“Rue de bicyclette”, 1913), lo scolabottiglie (“Égouttoir”, 1915), l'orinatoio di porcellana bianca, capovolto e posato su di un piedistallo (“Fountain”, 1917). Tutte e tre queste opere sono andate perse e sono state in seguito sostituite da copie, a dimostrazione dello scarso valore attribuito da Duchamp dall'oggetto materiale in sé.

54 A. Breton, “Dictionnaire abrégé du Surréalisme”, 1938.

55 Si tratta una breve esposizione riguardante i suoi ready-made che Duchamp ebbe modo di fare al Museum of Modern Art di New York, nel 1961.

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Marcel Duchamp: “Ruota di bicicletta”

I ready-made, con il loro successo, sono stati la concreta dimostrazione di come fosse possibile fare arte senza alcuna abilità tecnica e prendendosi gioco completamente del “buon gusto”: “(...)

Eccola qui la cosa che io definisco arte. Non l'ho nemmeno fatta io; come si sa, arte significa fare, fare con le mani, fare a mano”56.

In alcuni dei suoi ready-made Duchamp porta alle estreme conseguenze la teoria della indiferenza visiva, fino al punto di dissolvere il supporto materiale dell'opera. Si pensi, ad esempio, al

56 M. Duchamp, 1959, in “Efemeridi su e intorno a Marcel Duchamp e Rose

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“ready-made malheureux” (1919), un libro di geometria lasciato volontariamente all'aria aperta a logorare per opera degli agenti atmosferici; oppure al “ready-made performance”: durante una cena, Duchamp firmò alcuni sigari e li diede da fumare ai suoi ospiti, facendo così in modo che l'opera venisse consumata in pochi minuti; oppure ancora ad “Air de Paris” (1919), un'ampolla di vetro per usi medici, rotta, svuotata e riparata così che contenesse un campione di aria della Ville Lumière.

La tensione verso il vuoto, il desiderio di raggiungere i termini ultimi del riduzionismo e portare così l'opera d'arte a rinnegare perfino il suo supporto materiale, si pongono storicamente come un'importante eredità per numerosi artisti che, soprattutto a partire dalla metà del Novecento, daranno un nuovo importante respiro alla teoria dell'indiferenza visiva, giungendo a soluzioni al limite della non-visibilità, del puro-concetto.

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Nel 1958 l'artista francese Yves Klein organizzò nella galleria Iris Clert di Parigi una mostra in cui non fece altro che dipingere di bianco le pareti dello spazio espositivo, proponendo quella che egli stesso definì una “manifestazione del vuoto”. Pochi anni prima il compositore statunitense John Cage aveva presentato il brano 4'33'' sulla cui partitura non compariva nemmeno una nota ma soltanto la dicitura

“tacet”: il brano infatti è composto di solo silenzio, un silenzio in realtà

apparente perché pieno dei rumori che provengono dalla sala dove è eseguito.

A partire dagli anni Sessanta episodi di questo tipo si moltiplicarono: lo scultore svizzero Jean Tinguely nel 1961 fu autore dell'opera dal titolo “Étude pour une fin du monde”, un grande macchinario progettato con lo scopo precipuo di autodistruggersi; dello stesso anno è “Consumazione dell'arte” di Piero Manzoni, un happening posto in essere nella galleria milanese Azimut durante il quale l'artista, dopo aver impresso la sua impronta digitale su una serie di uova sode,

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invitava il pubblico a mangiarle.. negli stessi anni Hans Haacke realizza teche di vapore condensato.

Si tratta di un nuovo “vuoto”, denso di significati, un vuoto che segna idealmente un punto di arrivo e di fusione delle ricerche artistiche elaborate nel periodo delle avanguardie.

Fu l'americano Joseph Kosuth, verso la metà degli anni Sessanta, a coniare il termine “concettuale” per definire la sua ricerca artistica. Nel suo scritto “L'arte dopo la filosofia” (1969), Kosuth attribuisce a Duchamp il merito di aver dato all'arte la sua identità: “(...) Con il

ready-made l'arte spostava il proprio obiettivo dalla forma del linguaggio a quanto veniva detto. Il ready-made mutò la natura dell'arte da una questione morfologica a una questione di funzione. Questo mutamento segnò l'inizio dell'arte moderna e dell'arte concettuale. Tutta l'arte dopo Duchamp è concettuale (...)”.

Possono essere considerate “concettuali” esperienze artistiche molto diverse fra loro: oltre l'Appropriation Art, si ricordano il movimento

Neo-Dada, la Minimal Art, la Land Art, l'Arte povera, la Body Art e la Narrative Art. Il loro comune denominatore è la volontà di sottrarre

l'arte ai vincoli formali e culturali che ne avevano costituito la tradizione per porre l'idea al centro del lavoro artistico: “l'idea diventa

la macchina che fa l'arte” scriveva l'artista statunitense Sol LeWitt nel

suo saggio “Paragraphs on Conceptual Art” (1967).

Il rischio insito nella grande libertà d'azione ottenuta dall'arte grazie al processo d'avanguardia è che essa non possa più, di fatto, distinguersi da qualsiasi fenomeno non artistico. Scrive il filosofo Theodor W. Adorno a questo proposito: “è ormai ovvio che niente più di ciò che

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ovvio non è più nemmeno il suo diritto all'esistenza”57. 1.3.3 La crisi dell'originalità nell'arte moderna

Robert Motherwell, pi ttore statunitense, esponente dell'espressionismo astratto, osservò: “Ogni artista intelligente tiene a

mente l'intera cultura della pittura moderna. È questo il suo vero soggetto e qualsiasi cosa egli dipinga di questo soggetto è sia un tributo che una critica”; ma “tributo” e “critica” sono espressioni

anodine, la dinamica dell'arte contemporanea è meglio descritta dalle parole “copia” e “distruzione58. La pratica di copiare per distruggere o, in alternativa, copiare e distruggere divenne presto un topos dell'arte moderna59.

“Le Déjeuner sur l'herbe” di Édouard Manet, esposto per la prima volta a Parigi nel 1863 in occasione del Salon des Refusés, fu un vero e proprio scandalo per l'epoca: il dipinto era infatti una versione ridicolizzata di due opere ben note al pubblico parigino, la “Festa

campestre” (1505 ca.) di Giorgione e “Il giudizio di Paride” (1520 ca.)

di Rafaello.

Storicamente gli artisti copiavano le opere altrui per imparare la tecnica, per rendere omaggio oppure perché il loro lavoro si inseriva

57 T. W. Adorno, “Teoria Estetica”, 1970; in “Alle origini dell'arte contemporanea”, Di Giacomo G. e Zambianchi C., Ed. Laterza, 2013, p. 173.

58 A. Julius, “Trasgressioni: i colpi proibiti dell'arte”, Milano, Bruno Mondadori Editori, 2003, p. 95.

59 Un esempio estremo di opera d'arte in cui la “distruzione” ha la prevalenza sulla

“copia” è oferto dall'artista americano Robert Rauschenberg, il quale nel 1953

prese un disegno del pittore astratto Willem de Kooning e lo cancellò, incorniciò quindi l'immagine cancellata e la appese nel suo studio con il titolo “Erased de

Kooning Drawing”. L'operazione non fu facile, Rauschenberg dovette ripassare

sopra alle linee finché queste non scomparvero, compiendo così una speciale operazione di copiatura.

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Édouard Manet: “Le Déjeuner sur l'herbe”

Rafaello: “Il giudizio di Paride”

in un genere riconosciuto, dominato dall'opera di alcuni maestri. Manet stravolse completamente l'ideologia della copia: egli si rivolgeva al passato per deriderlo.

(36)

In questo senso si può afermare che “Le Dèjeuner” ebbe la stessa forza distruttiva e immorale del gesto di Duchamp quando dipinse i baf sulla cartolina de “La Gioconda” di Leonardo da Vinci; tuttavia mentre Manet ebbe la pretesa di fare quello che altri pittori avevano già fatto, Duchamp si rifiutò: “Le Dèjeuner” ofriva un adattamento parodistico, in “L.H.O.O.Q.” (1919) Duchamp replicava e sfigurava.

Marcel Duchamp: “L.H.O.O.Q.”

Esiste una versione politica di questo progetto, quello di un'arte che depreda le immagini della cultura popolare per rivoluzionarle: i

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principali esponenti furono l'artista concettuale britannico Victor Burgin e i situazionisti. “Ebbi l'impressione che il mondo fosse saturo

di immagini e che non vi fosse alcun motivo di produrne altre (…). Pensai che il compito di un artista fosse quello di prendere immagini esistenti e riarrangiarle in modo da far apparire dei significati nuovi”60. Con queste parole Burgin descrive il suo progetto che aveva lo scopo di sviluppare un atteggiamento critico dell'individuo rispetto alle immagini del vivere quotidiano, utilizzando elementi provenienti da campi diversi: dalla pubblicità al giornalismo, dalla moda ai

magazines. La sua è una rifessione metalinguistica in cui le immagini

e i testi si rincorrono e si respingono. I situazionisti – al cui movimento politico-culturale Burgin aderì negli anni Settanta – svilupparono la pratica del c.d. “détournement” (“deviazione”), che il suo principale teorico, Guy-Ernest Debord, definì: “il riutilizzo di elementi artistici

precedenti in circostanze nuove”; in questo modo la sperimentazione

estetica divenne l'occasione per una trasformazione, anche politica, dell'individuo che veniva ad assumere una nuova consapevolezza.

Nella versione postmoderna dello stesso progetto, l'artista cerca di dimostrare l'impossibilità dell'originalità e l'inevitabilità delle citazioni visive. Anche in questo caso esiste un importante risvolto a livello politico perché questo tipo di pratica artistica si scontra inevitabilmente con il sistema del diritto d'autore.

Il termine “Arte Appropriativa” fu coniato negli anni Ottanta61: è in questo periodo che operarono gli appropriationists americani più

60 A. Julius, op. cit., p. 98.

61 Il gruppo di teorici e artisti inglesi riuniti intorno alla rivista “Art and Language”, il collettivo di artisti canadesi “General Idea” e l'artista concettuale bosniaco Braco Dimitrijevic, tutti attivi a partire già dagli anni Settanta, appartengono a una fase criticamente più rigorosa e analitica della ricerca artistica appropriativa.

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conosciuti fra cui Sherrie Levine, Cindy Sherman, Robert Longo, Barbara Kruger, Louise Lawler e Richard Prince62 – la c.d. “Pictures

Generation”63. Molti di loro avevano avuto come professori importanti artisti concettuali degli anni Settanta tra cui Douglas Hueber, Jhon Baldessari e Michael Asher che insegnavano al California Institute of Fine Art: la loro formazione culturale li spinse a ripensare i mezzi di comunicazione, in particolare la fotografia. “Questi postmodernisti – scrive Hal Foster, tra i più autorevoli sostenitori di questa tendenza –

trattarono la fotografia non solo come un'immagine 'seriale', un multiplo senza una stampa originale, ma anche come un'immagine 'simulacrale,' una rappresentazione senza un referente sicuro al mondo”.

Con l'Appropriation Art le idee di autenticità e di autorialità che per secoli erano state considerate i due cardini del concetto di opera d'arte vengono messe in crisi. Come aveva preannunciato già negli anni Trenta Walter Benjamin nel suo saggio “L'opera d'arte nell'epoca

della sua riproducibilità tecnica”, sono in primo luogo i nuovi mezzi di

riproduzione delle immagini a mettere in crisi il concetto di autenticità: “Anche nel caso di una riproduzione altamente

perfezionata, manca un elemento: l'hic et nunc dell'opera d'arte, la sua esistenza unica e irripetibile nel luogo in cui si trova”. Con

l'introduzione della riproduzione tecnica veniva a distruggersi questo singolare intreccio di spazio e tempo che egli chiama “aura” dell'opera d'arte. Gli appropriationists violano sistematicamente l'“aura” considerando le opere d'arte alla stregua di semplici immagini di cui fare uso; in questo senso essi si collocano a pieno titolo nella

62 Per quanto riguarda l'opera artistica di R. Prince si rimanda al Capitolo Terzo. 63 “Pictures” era il titolo della loro prima esposizione curata dal critico d'arte

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tradizione del ready-made.

Secondo la critica d'arte americana Rosalind Krauss, il medium di Sherrie Levine è “la stampa pirata”64. La sua arte ha un efetto demistificante poiché rivela che la stampa richiama una serie di modelli dai quali a sua volta ha rubato e dei quali è essa stessa riproduzione. Le sue immagini sono riconcettualizzazioni di determinate opere d'arte e dunque vicine a pratiche tipiche dell'arte contemporanea quali il pastiche e la parodia. Levine prende a prestito per ricordarci che tutti gli artisti lo fanno: “l'unica cosa che possiamo

fare è imitare un gesto che è sempre posteriore, mai originale”. In “Afer Edward Weston” (1979), ad esempio, l'artista ri-fotografa la

serie “Neil” (1924) di Edward Weston, fotografie di suo figlio a loro volta chiaramente ispirate alla lunga serie dei kouroi dell'arte greca. Le diferenze fra le fotografie di Levine e quelle di cui si appropria sono minime: variano le dimensioni, l'inquadratura e la risoluzione dell'immagine65.

Cindy Sherman, Robert Longo e Barbara Kruger ricercano la materia grezza per le loro opere nelle immagini sublimate dai mass media. Nel suo progetto più noto “Untitled film stills”66 (1977-1980), la Sherman reinventa il genere dell'autoritratto adoperando fotogrammi tratti dai B-movies americani degli anni Cinquanta e Sessanta dai quali estrapola gli immaginari senza citarli direttamente. Lo scopo

64 R. E. Krauss, “L'originalità dell'avanguardia”, 1981, in Di Giacomo G.; Zambianchi C., “Alle origini dell'opera d'arte contemporanea”, Laterza, Bari, 2008, p. 152. 65 La tecnica della ri-fotografia si ritrova anche in "Afer Walker Evans" (1981) e in

“Afer Alexander Rodchenko”(1987).

66 Le fotografie mise en scène sono tutte rigorosamente senza titolo come se si trattasse di quadri astratti in cui l'immagine deve veicolare soprattutto un concetto.

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dell'artista, in questa come in altre opere successive, è richiamare l'attenzione del pubblico sullo stereotipo della donna così come emerge dal cinema, dai programmi televisivi e dai magazines: dalla moglie tradita alla pin-up, dall'amante sensuale alla quarantenne fragile. Ogni scatto è particolarmente studiato e ha lo scopo di mostrare che persino la femminilità risulta essere costruita in risposta ai dettami della società del momento.

Per il progetto “Gang of Cosmos”, Robert Longo, riproduce alcuni capolavori dell'espressionismo astratto fra cui le opere di Willem de Kooning, Franz Kline and Jackson Pollock. L'artista americano rifiuta però un'appropriazione diretta e predilige invece il processo manuale: le sue opere sono disegni per realizzare i quali egli proietta le fotografie dei suoi soggetti sulla carta, ricalca quindi i contorni con la grafite e rifinisce l'immagine creata con la tecnica del carboncino. La femminista Barbara Kruger si appropria delle fotografie pubblicitarie aventi come protagonista la donna, recuperandole dalla stampa americana degli anni Cinquanta. Le immagini vengono ritagliate e convertite in bianco e nero; attraverso la tecnica del collage, l'artista vi aggiunge brevi testi, aforismi stringati e spesso ironici, utilizzando sempre lo stesso font – Futura Bold Italic – così da creare uno stile immediatamente riconoscibile e molto comunicativo. Le sue opere vengono quindi distribuite in larga scala sotto forma di poster, cartoline, T-shirt, tazze, ombrelli, ecc., sfruttando cioè gli stessi mezzi della società consumistica cui vogliono andare contro. Lo scopo del suo lavoro è stimolare una rifessione politica e sociale sugli stereotipi legati al sesso, ma anche alla religione e alla razza.

(41)

fotografando opere appartenenti a collezioni private o museali in ambienti diversi, inusuali, o scegliendo inquadrature e prospettive molto lontane dai canoni fotografici classici: in “Carpeaux” (1988) ad esempio, la scultura del celebre artista dell'Ottocento è leggermente controluce e tagliata in due dall'inquadratura, in modo che l'attenzione dello spettatore si sposti dalla scultura stessa al contesto in cui essa si trova (il cartello con le spiegazioni, il piedistallo). In

“Pollock and Tureen” (1984) protagonista della fotografia è una

zuppiera mentre l'opera d'arte (un quadro di Jackson Pollock) risulta inclusa nell'immagine in modo frammentario: essa non ha più valore in quanto tale ma in quanto parte dell'arredamento domestico del collezionista.

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Capitolo Secondo

L'opera parodistica

nell'ordinamento giuridico italiano

“È parodia? Non ne sono certo.

Detesto categorie e definizioni, sicuramente sto citando. Non è questo ciò che fanno gli artisti? L'arte non nasce dall'arte?

Quello che sto facendo è approfondire un’idea, che è il requisito di ogni buona arte.”

John Baldessari67

Sommario: Introduzione. 2.1. La parodia: origini ed evoluzione letteraria. 2.2

La dicotomia fra forma e contenuto. 2.2.1 In particolare: la forma espressiva .. 2.2.2 .. e il carattere creativo. 2.2.3 Il contenuto di un'opera d'arte: la teoria di Arthur C. Danto. 2.3 Il fondamento sistematico della parodia nell'ordinamento giuridico italiano. 2.4 Target parody e weapon

parody.

Introduzione

Come si intuisce dalla citazione di Baldessari sopra riportata, la nozione di parodia è caratterizzata da contorni incerti: nel linguaggio comune prevale un'accezione dispregiativa del termine, vicina a quella di “imitazione ingannevole”, in quello letterario la parodia ha un significato più ampio ma altrettanto dispregiativo, sinonimo di

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“caricatura” ed è spesso confusa con altre pratiche come il pastiche68 o la satira. Più in generale, nel linguaggio critico si ricorre frequentemente alla parodia quando è in ballo l'imitazione.

Si è visto nel capitolo precedente che dottrina e giurisprudenza inquadrano le opere de l'Appropriation Art all'interno della normativa sul diritto d'autore, fra le opere parodistiche: appare quindi necessario approfondire e cercare di capire meglio cosa debba intendersi per parodia.

2.1. La parodia: origini ed evoluzione letteraria

Il termine “parodia” (παρῳδία) deriva dal greco “pará” (παρα) - “ôdé”

(ᾠδή) e significa “cantare accanto” o “cantare contro”: l'origine etimologica rimanda quindi alla combinazione di prossimità e distanza che sta alla base della parodia.

Gérard Genette, critico letterario francese, formula una serie di congetture su cosa potesse essere in origine la “parodia”69: una modificazione del testo epico posta in essere dai rapsodi oppure una modifica testuale minima che conferisse al testo un significato diverso o ancora una modificazione stilistica che trasformasse un registro nobile in registro familiare; la sua ipotesi finale vede la parodia come il trattamento in stile epico di un soggetto basso e ridicolo. I testi greci che ci sono pervenuti sembrano in efetti confermare la nascita della parodia come deformazione dell'epica70.

68 Il termine “pastiche” indica una composizione, per lo più letteraria o musicale, risultante dalla giustapposizione di brani di opere diverse di uno o più autori che utilizzano stili e linguaggi diversi.

69 G. Genette, “Palinsesti” (1982), Torino, Enaudi, 1997.

70 Tra questi si ricorda in particolare la “Batracomiomachia” (“La battaglia dei topi e delle rane”), un poemetto giocoso di 303 versi, attribuito a Omero, la cui datazione è

(44)

D'altronde, in origine, il termine parodia non indicava solamente un genere letterario ma anche una particolare tecnica di citazione: essa consisteva nell'inserimento in una commedia di un breve brano tragico, lirico o epico, senza cambiamenti sostanziali o con sostituzione di una o più parole.

Quintiliano, nella sua opera “Istituzione oratoria”71, elenca tra i diversi modi di far ridere l'uditorio, quello di forgiare “versi simili a quelli

autentici - questa è la parodia”: in questa definizione si può già

cogliere l'intuizione che l'intervento parodico gioca al tempo stesso sul riconoscimento e sul contrasto.

Fino a tempi recenti la parodia era un elemento quasi obbligato del riconoscimento e del successo delle grandi opere. Lungi dallo sminuire il suo oggetto, la trasformazione parodica contribuiva alla sua risonanza: “L'ammazzatoio” di Émile Zola (1877), a distanza di pochi mesi dalla pubblicazione del libro, dette origine a quindici parodie diverse a teatro, una delle quali dello stesso Zola. Si tratta di un caso di

auto-parodia, una sorta di corto circuito referenziale in cui si verifica

una coincidenza fra soggetto parodiante e parodiato, che testimonia come gli autori ottocenteschi considerassero più celebrative che degradanti le versioni parodiche delle loro opere. Per Victor Hugo – uno degli scrittori francesi più parodiati in assoluto – “accanto ad ogni

grande opera c'è una parodia”.

Esistono diverse ragioni che spiegano il perché la parodia tenda a prediligere le “grandi opere”: da una parte, l'ammirazione che esse suscitano, dall'altra, la volontà del parodista di relativizzare la loro gloria (parodia come smitizzazione) e, allo stesso tempo, di deviarla su

incerta (fra il V e il I secolo a.C.).

71 M. F. Quintiliano, “L'istituzione oratoria”, a cura di R. Faranda e Piero Pecchiura, Torino, UTET, 1979.

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