• Non ci sono risultati.

La parodia: origini ed evoluzione letteraria

nell'ordinamento giuridico italiano

2.1. La parodia: origini ed evoluzione letteraria

Il termine “parodia” (παρῳδία) deriva dal greco “pará” (παρα) - “ôdé”

(ᾠδή) e significa “cantare accanto” o “cantare contro”: l'origine etimologica rimanda quindi alla combinazione di prossimità e distanza che sta alla base della parodia.

Gérard Genette, critico letterario francese, formula una serie di congetture su cosa potesse essere in origine la “parodia”69: una modificazione del testo epico posta in essere dai rapsodi oppure una modifica testuale minima che conferisse al testo un significato diverso o ancora una modificazione stilistica che trasformasse un registro nobile in registro familiare; la sua ipotesi finale vede la parodia come il trattamento in stile epico di un soggetto basso e ridicolo. I testi greci che ci sono pervenuti sembrano in efetti confermare la nascita della parodia come deformazione dell'epica70.

68 Il termine “pastiche” indica una composizione, per lo più letteraria o musicale, risultante dalla giustapposizione di brani di opere diverse di uno o più autori che utilizzano stili e linguaggi diversi.

69 G. Genette, “Palinsesti” (1982), Torino, Enaudi, 1997.

70 Tra questi si ricorda in particolare la “Batracomiomachia” (“La battaglia dei topi e delle rane”), un poemetto giocoso di 303 versi, attribuito a Omero, la cui datazione è

D'altronde, in origine, il termine parodia non indicava solamente un genere letterario ma anche una particolare tecnica di citazione: essa consisteva nell'inserimento in una commedia di un breve brano tragico, lirico o epico, senza cambiamenti sostanziali o con sostituzione di una o più parole.

Quintiliano, nella sua opera “Istituzione oratoria”71, elenca tra i diversi modi di far ridere l'uditorio, quello di forgiare “versi simili a quelli

autentici - questa è la parodia”: in questa definizione si può già

cogliere l'intuizione che l'intervento parodico gioca al tempo stesso sul riconoscimento e sul contrasto.

Fino a tempi recenti la parodia era un elemento quasi obbligato del riconoscimento e del successo delle grandi opere. Lungi dallo sminuire il suo oggetto, la trasformazione parodica contribuiva alla sua risonanza: “L'ammazzatoio” di Émile Zola (1877), a distanza di pochi mesi dalla pubblicazione del libro, dette origine a quindici parodie diverse a teatro, una delle quali dello stesso Zola. Si tratta di un caso di

auto-parodia, una sorta di corto circuito referenziale in cui si verifica

una coincidenza fra soggetto parodiante e parodiato, che testimonia come gli autori ottocenteschi considerassero più celebrative che degradanti le versioni parodiche delle loro opere. Per Victor Hugo – uno degli scrittori francesi più parodiati in assoluto – “accanto ad ogni

grande opera c'è una parodia”.

Esistono diverse ragioni che spiegano il perché la parodia tenda a prediligere le “grandi opere”: da una parte, l'ammirazione che esse suscitano, dall'altra, la volontà del parodista di relativizzare la loro gloria (parodia come smitizzazione) e, allo stesso tempo, di deviarla su

incerta (fra il V e il I secolo a.C.).

71 M. F. Quintiliano, “L'istituzione oratoria”, a cura di R. Faranda e Piero Pecchiura, Torino, UTET, 1979.

di sé. In verità è lo stesso funzionamento della parodia ad esigere che l'opera parodiata sia riconoscibile sotto il suo ipotesto72, ovvero che sia sufcientemente conosciuta da essere identificata dai lettori. Così i miti sono stati all'origine di vere e proprie catene di trasposizioni parodiche; un altro ipotesto fondamentale è la Bibbia, la cui sacralità costituisce un'incitazione supplementare per il parodista. Anche le fiabe costituiscono un corpus più volte visitato dalla parodia: l'aspetto stereotipato della trama, dei personaggi e dei procedimenti narrativi funziona come invito alla parodizzazione. Altrettanto popolari e ben presenti nella memoria collettiva grazie all'insegnamento scolastico, le

“Favole” seicentesche di Jean de La Fontaine sono state oggetto di

un'intensa opera di parodizzazione, il che fa di La Fontaine un parodista parodiato, avendo egli a sua volta trasformato, vivacizzandole, le favole di Esopo e di Fedro.

Charles Grivel, nel suo intervento al convegno “Dire la parodia”73, definisce la parodia “un atto normale di decomposizione culturale”; lo stesso autore spiega quindi come “qualsiasi discorso, presa di parola o

gesto persino, si presenta come singolare, inedito, nuovo ma è anche immediatamente sommerso da un'interpretazione che lo situa. Un duplice movimento anima la cultura: produrre delle (presunte) singolarità ma ridurre tali singolarità a (presunte) copie”.

Daniel Sangsue74, a sua volta, propone una definizione di tipo operativo: la parodia è “la trasformazione ludica, comica o satirica di

un singolo testo”. Sembra opportuno precisare che la satira, pur 72 Per “riscrittura” si intende l’operazione che consiste nel selezionare e modificare alcuni elementi di uno o più testi di partenza per attualizzarli ed adattarli alla ricezione in un nuovo contesto storico-culturale. L’antecedente letterario è definito

“ipotesto” (nel nostro caso si tratta del testo parodiato), mentre il nuovo testo che lo

modifica viene chiamato “ipertesto”(nel nostro caso, il testo parodico).

73 C. Grivel “Dire La Parodie: Colloque de Cerisy”, C. Thomson e A. Pages (editori), New York, P. Lang, 1989, p. 6.

fondandosi sulla derisione, non è una componente indispensabile della parodia: ciò che ha contribuito ad accostarle agli occhi del pubblico e di molti teorici è il fatto che la parodia mina le fondamenta dell'opera che prende di mira, ne inverte i temi, rovescia le parole, il che equivale a una negazione. Ciò nonostante non bisogna associare in maniera semplicistica tale negazione a un rifiuto o a un odio. Come ha osservato Linda Hutcheon, critica letteraria canadese, la parodizzazione implica sempre un riconoscimento preliminare75: occorre come minimo che l'ipotesto sia giudicato degno di un simile trattamento. Per Sangsue, il parodista va oltre il semplice riconoscimento, il suo gesto comporta una certa dose di ammirazione: la parodia funzionerebbe cioè come “un'ammirazione obliqua”76, un omaggio che non vuole dichiararsi tale.

Tuttavia, contrariamente alle forme convenzionali di imitazione, la parodia permette a chi la pratica di tenere le distanze, di concentrarsi sull'opera ammirata restando indipendente; essa è subordinata a un modello ma si prende delle libertà (trasformazione, introduzione del comico, ecc.). Già Friedrich von Schlegel77 definiva la relazione della parodia con il suo oggetto come un misto di dipendenza e indipendenza. Sangsue riassume questa ambivalenza con una formula:

“parodiare significa afermare la propria originalità copiando”.