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Come il contesto socio culturale influenza la percezione di benessere

Uno dei costrutti più studiati in psicologia di comunità è quello di benessere, il principio fondatore di questa prospettiva è il promuovere il cambiamento sociale attraverso il rafforzamento dei gruppi svantaggiati (Martín-Baró, 1996). La psicologia di comunità per affrontare le disuguaglianze sociali utilizza una prospettiva ecologica, concentrandosi in particolare sulle dinamiche di potere che caratterizzano le relazioni umane. In questa prospettiva, il benessere è un processo personale, sociale e contestuale che si ispira ai valori e ai principi della comunità nella quale la persona vive, il benessere quindi si raggiunge attraverso la soddisfazione di bisogni personali (ad esempio: controllo e autonomia),

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relazionali (ad esempio: identità, accettazione e responsabilità reciproca) e comunitari (ad esempio: senso di comunità, sicurezza economica e giustizia sociale) (Nelson & Prilleltensky, 2005). Secondo la prospettiva di comunità, il benessere è intrinsecamente legato al potere, cioè alla possibilità di avere accesso alle risorse materiali e psicosociali. Il raggiungimento del potere è spesso condizionato da circostanze sociali, storiche, strutturali e personali, alcuni gruppi in particolare lo esercitano per acquisire privilegi rispetto ad altri. La psicologia di comunità ha l’obiettivo di incrementare gli studi volti ad analizzare le disuguaglianze (Prilleltensky, 2011) cercando di identificare, analizzare e trasformare le condizioni che legittimano e supportano uno status quo in cui le relazioni asimmetriche tra gruppi sono ormai naturalizzate (Nelson, 2013). Per fare questo è crescente l’interesse verso gli studi sul benessere e la prospettiva culturale che si utilizza sottolinea come le esperienze di benessere soggettivo siano in gran parte influenzate dalla cultura di appartenenza (Kitayama & Markus, 2000; Lu & Gilmour, 2004). I risultati derivati da questi studi e i confronti tra i diversi paesi, possono fornire informazioni utili ai responsabili politici nazionali e internazionali per poter intervenire nelle situazioni più critiche. Misurare il benessere effettuando dei confronti internazionali porta tuttavia con sé una serie di perplessità relative alla possibilità e all’appropriatezza di condurre tali analisi viste le diversità culturali, linguistiche, interpretative e di comprensione (Casas & Rees, 2015); per ovviare a ciò è importante definire in modo preciso ciò che si vuole misurare, cercare la modalità più funzionale con la quale effettuare la misurazione e utilizzare indicatori brevi ma significativi che permettano di restituire la complessità degli elementi che caratterizzano il benessere stesso (Vazquez & Hervas, 2013).

L’approccio psicologico culturale presuppone, infatti, che non tutti i comportamenti possono essere spiegati con lo stesso insieme di costrutti e misure, bisogna quindi prima indagare come un determinato costrutto viene utilizzato e studiato in un determinato contesto culturale (Titler & Ben-Arieh, 2006). Nella definizione di benessere la soddisfazione di vita e il bilanciamento degli affetti positivi e negativi correlano in modo differente a seconda di variabili individuali e della cultura di appartenenza. Una concezione “occidentale” di benessere soggettivo non dovrebbe essere proposta a priori ad altre culture ma si dovrebbe porre la dovuta attenzione per ridurre al minimo le possibili distorsioni legate all’appartenenza culturale stessa (Lu & Gilmour, 2004). In alcune ricerche (Scollon, Diener, Oishi & Biswas-Diener, 2004; Scollon, Koh & Au, 2011), infatti, è emerso come sia diversa l’esperienza soggettiva delle emozioni tra le culture, questa esperienza si basa su tre principali fattori: la durata dell’esperienza emotiva, la valenza dell’emozione e la centralità del proprio

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sé nell’emozione stessa. Diverse ricerche sulle emozioni hanno mostrato come la capacità di riconoscere o mostrare un'emozione è diversa dall'esperienza soggettiva e come ciò varia a seconda della cultura di appartenenza; se infatti praticamente tutte le culture (Matsumot & Hwang, 2010) riconoscono e mostrano l’emozione della felicità vi sono molte differenze sulla frequenza con la quale le persone riferiscono di sperimentare questa emozione (Scollon et al., 2004). A seconda della cultura vi possono essere inoltre diversità su come le emozioni stesse vengono etichettate (Boehm, Lyubomirsky & Sheldon, 2011). Ad esempio, gli abitanti dell'Asia orientale hanno la tendenza a dare risposte emotivamente meno estreme degli Europei - Americani (Chong, Osman, Tong & Tan, 2011; Hommerich & Klient, 2012; Tov & Diener, 2007). In letteratura le differenze culturali vengono ricondotte a norme culturali che suggeriscono dove e con quale intensità è desiderabile mostrare un’emozione (Matsumoto & Hwang, 2012). Queste differenze sono inoltre spiegate con il fatto che la meta cognizione culturale sul valore delle emozioni positive e negative può contribuire a regolare l’espressione e le valutazioni associate ad esse (Scollon, Koh & Au, 2011).

Così come le emozioni anche il benessere può essere definito in modo diverso a seconda di variabili individuali e culturali (Birman, 2011). Si considera rilevante analizzare insieme cultura e benessere soggettivo in un rapporto di mutua costruzione (Kitayama & Markus, 2000). La cultura influenza la definizione, la natura e i modi che si pensano utili per raggiungere il benessere soggettivo (Lu & Gilmour, 2004). Nella ricerca di Lu e Gilmour (2004) è emerso ad esempio come alla richiesta di definire la parola “benessere”, studenti americani utilizzavano termine quali “excitement” legati perciò a stati con un arousal più elevato, mentre studenti cinesi utilizzavano termini come “calm” che riconducevano a stati di tranquillità ed equilibrio.

Nell’ambito degli studi sul benessere del bambino, diverse ricerche hanno messo in evidenza come variabili quali PIL pro capite, sostegno sociale, aspettativa di vita e libertà di fare scelte lo influenzino (Helliwell, Layard & Sachs, 2015). Bradshaw e colleghi (2013) hanno evidenziato come nei Paesi con livelli più alti di istruzione, salute, situazioni abitative ottimali e spazi adeguati per i bambini, questi ultimi riportano livelli più alti di benessere soggettivo; questo rimanda all’idea per la quale alcune variabili legate al contesto di vita influenzano il benessere (Bradshaw, Martorano, Natali & de Neubourg, 2013; Casas et al., 2011; Casas, Tiliouine & Figuer, 2014). Mentre alcune variabili quali tempo libero e possibilità di scelta sono risultate essere fattori cruciali in diverse ricerche (Helliwell et al., 2015), rispetto invece al possesso di beni materiali i risultati sono contrastanti; vi sono infatti alcune ricerche che suggeriscono come lo status socioeconomico abbia effetti limitati sulla soddisfazione di vita,

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inoltre altri ricercatori hanno messo in evidenza che, se i bisogni di base sono soddisfatti, il reddito e il possesso di beni materiali perdono d’importanza (Bradshaw & Rees, 2017; Cummins, 2000; Kahneman, Krueger, Schkade, Schwarz, & Stone, 2006; Lee & Yoo, 2017). Ulteriori ricerche internazionali, hanno evidenziato come, in realtà, non vi sia una relazione lineare e universale tra il possedere alcuni elementi materiali legati al benessere e il mostrare alti livelli di quest’ultimo. In particolare il livello di benessere percepito tra i bambini varia in modo considerevole tra le diverse Nazioni (Bradshaw, Martorano, Natali & de Neubourg, 2013), in alcuni paesi, infatti, i bambini riportano livelli di benessere sistematicamente inferiori rispetto ai loro coetanei di altre Nazioni (Dinisman & Rees, 2014; Rees & Main, 2015). A questo proposito è importante sottolineare come spesso i valori di benessere soggettivo non concordino con gli indicatori “oggettivi”; ad esempio in una ricerca internazionale (OECD, 2012, 2013, 2014) è emerso come, in Sud Corea, pur essendovi livelli sopra la media di PIL pro capite e di ricchezza materiale i livelli di benessere sono bassi, questo ha fatto riflettere sul fatto che livelli alti di benessere materiale non spiegano direttamente le variazioni di benessere soggettivo ma che probabilmente le cause sono da ricercare nei fattori culturali (Bradshaw & Rees, 2017; Lee & Yoo, 2017; Sarriera et al., 2014). Le culture identificano infatti fonti di benessere diverse (Lau, Cummins & McPherson, 2005), alcune ricerche hanno mostrato come, ad esempio, i bambini asiatici riportano sistematicamente livelli inferiori di benessere, pur essendoci diverse spiegazioni al così detto “Asian bias” vengono comunque tutte ricondotte al tipo di cultura asiatica; in questa cultura infatti è socialmente più accettabile mostrare emozioni non estreme, inoltre la cultura collettivista di questo Paese (Veenhoven, 2012b) porterebbe le persone a posizionare se stesse in una posizione costante di benessere medio (Lee & Yoo, 2017). Al contrario la maggior parte delle persone appartenenti a culture individualiste come ad esempio gli europei riportano livelli più alti di benessere soggettivo (Lee & Yoo, 2017). Altre ipotesi sottolineano l’influenza del contesto socio culturale nel quale vivono i bambini sin dall’infanzia; una ricerca in Sud Corea, ad esempio ha evidenziato che in questo Paese il livello di benessere tra i bambini è molto basso probabilmente perché i bambini sin da piccoli vengono istruiti nell’ottica del “tutto lavoro, niente gioco” e questo li rende più infelici (Ripley, 2013; Yoon, 2015).

Utilizzando l’ottica di comunità, che vede l’individuo in stretto rapporto con l’ambiente e quindi con la cultura nella quale è inserito, è importante al fine di studiare il benessere percepito, valutare non solo la cultura ma come le caratteristiche individuali della persona si relazionano con essa. Ad esempio se si appartiene a una cultura individualista e si è persone

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con un sé indipendente si raggiungerà più facilmente il benessere soggettivo; dall’altra parte se si fa parte di una cultura con valori collettivisti sarà allora più auspicabile avere un sé interdipendente per poter così sperimentare con più facilità un livello di benessere soddisfacente. Una discrepanza tra valori culturali e predisposizioni individuali può avere delle ripercussioni sul raggiungimento dello stato di benessere (Lu & Gilmour, 2004; Ratzlaff, Matsumoto, Kouznetsova, Raroque & Ray, 2000).

Per concludere possiamo riprendere Kitayama e Markus (2000), che sottolineano come il benessere sia un "progetto collaborativo", stare bene o provare benessere prendono forme specifiche nella cultura nella quale si è inseriti (Shweder, 1998). Per poter approfondire queste relazioni soprattutto per ciò che concerne il benessere infantile, vi è la crescente necessità di effettuare ulteriori studi interculturali (Lee & Yoo, 2017).