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La cultura, dal latino colere = coltivare si riferisce all’insieme di significati, conoscenze, credenze, valori, desideri, emozioni, affetti, pratiche e procedure proprie di un gruppo di persone (Giddens, Baldini & Barbagli, 2001). La cultura può essere condivisa da un particolare gruppo (ad esempio i residenti di una zona) o contesto (ad esempio una comunità, una famiglia) (Nastasi, Moore & Varjas, 2004).

L’appartenenza culturale può portare allo sviluppo dell’etnocentrismo, predisposizione mentale per la quale si considera la propria cultura come la più efficace e soddisfacente nella gestione dei problemi della vita umana; in questo caso il proprio gruppo (in-group) è considerato il centro di ogni cosa e tutti gli altri gruppi (out-groups) sono valutati in rapporto ad esso e considerati sempre come aventi delle caratteristiche inferiori a quelle dell’ingroup (Sumner, 1906). L’etnocentrismo può manifestarsi in due diverse forme: l’etnocentrismo attitudinale (Lanternari, 1983) e l’etnocentrismo ideologico (Altan, 1995). Il primo è un sentimento di adesione inconsapevole al proprio “modo di fare le cose” la persona assume atteggiamenti difensivi nei confronti della propria cultura vedendo la diversità come una minaccia. Il secondo tipo di etnocentrismo si configura come un discorso pubblico e politico, è quindi un etnocentrismo collettivo che, attraverso destorificazione e trasfigurazione di determinate situazioni, mira a raggiungere scopi ben precisi.

Alla visione etnocentrica delle culture si contrappone il relativismo culturale che rifiuta l’idea di una cultura dominante ma accetta la pluralità delle culture; questa visione nasce nella scuola americana di Franz Boas (1927) con l’assunto per cui ogni cultura ha una sua unicità. In particolare si possono rintracciare tre forme di relativismo: descrittivo, normativo ed epistemologico (Spiro, 1969). Il relativismo descrittivo sostiene che sia la cultura a regolare il modo in cui si percepisce il mondo, il relativismo normativo parte invece dalla constatazione che non esistono criteri universali di giudizio tra le culture. Quest’ultimo relativismo si può presentare in due diverse forme: relativismo cognitivo e morale; il primo ritiene che tra le diverse culture non variano solo le pratiche ma anche le strutture del pensiero stesso, mentre il relativismo morale sottolinea come nessuna azione umana può essere giudicata al di fuori del proprio contesto di appartenenza (ad esempio, alcuni riti di passaggio richiedono in alcune culture la messa in atto di pratiche che, se non vengono lette all’interno del contesto di

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riferimento, possono risultare cruente). Infine il relativismo epistemologico è una versione estrema di quello descrittivo sostiene, infatti, che la diversità culturale sia praticamente illimitata.

Quando si parla di cultura è importante respingere la visione della cultura come “una cosa” statica relativa alle caratteristiche di un particolare gruppo etnico perché ciò non corrisponde alla realtà; la cultura infatti è un sistema dinamico di significati, conoscenze e azioni che fornisce alla persona, a livello individuale, collettivo e interpersonale, strategie di legittimazione per costruire, riflettere e ricostruire il proprio mondo e guidare il comportamento (Mantovani, 1998). In questa visione la cultura è co-costruita attraverso il dialogo tra persone diverse per classe, gruppo etnico, competenze disciplinari e culturali che integrano così conoscenze, valori, prospettive e metodi diversi tra loro per giungere a una cultura condivisa e innovativa (Nastasi & Borja, 2016; Nastasi et al., 2015). In questo sistema di cambiamenti continui ogni persona gioca diversi ruoli come trasformatore e trasmettitore di informazioni culturali in un processo interdipendente con l'ambiente culturale nel quale è inserito (Massimini & Delle Fave, 2000). All’interno del sistema sociale, infatti, ogni persona è connessa, tramite un processo idiosincratico di interiorizzazione ed esteriorizzazione, alla cultura con la quale è in un rapporto circolare (Valsiner, 1998, 2007). Dal punto di vista concettuale la cultura deve essere distinta dalla società, quest’ultima è formata dal sistema di relazioni che intercorrono tra gli individui; esistono società diverse i cui membri sono legati da relazioni strutturate sulla base di una cultura comune (Giddens, 2001).

La cultura, proprio perché è un processo in co-costruzione continua, è costituita da un insieme di caratteri appresi e non ereditati che sono alla base della cooperazione e della comunicazione e che vanno così a costituire il contesto comune nel quale interagiscono quotidianamente le persone. La cultura comprende sia aspetti materiali (artefatti prodotti da una cultura) che aspetti immateriali (linguaggio, valori e norme). I valori e le norme, in particolare, giocano un importante ruolo nel determinare il modo in cui gli appartenenti a una data cultura si comportano nel loro ambiente. I valori si riferiscono alle idee che definiscono ciò che è considerato importante, degno e desiderabile mentre le norme sono le regole di comportamento che riflettono i valori di una cultura. Sia i valori che le norme variano sia nel tempo sia tra culture diverse; rispetto al tempo, ad esempio, comportamenti quali relazioni sessuali prematrimoniali e convivenza di coppie non sposate fino a pochi decenni fa contraddicevano valori sociali condivisi. I valori e le norme variano anche tra culture; un esempio è rappresentato dalla diversità tra culture individualiste e quelle collettiviste, se le prime puntano maggiormente sull’impegno e il successo individuale le seconde sono più

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orientate ai bisogni comuni (Giddens, 2001); un esempio può essere rappresentato dalle culture americane che pongono maggiore enfasi sui risultati personali e sul concetto positivo di sé stessi mentre le culture dell’Asia orientale si concentrano maggiormente sulle relazioni e sull’armonia sociale (Uchida, Norasakkunkit & Kitayama, 2004).

Com’è stato prima accennato ogni società è caratterizzata da una sua cultura, questa unità culturale però è sempre meno presente nelle società odierne. Società culturalmente omogenee sono rappresentate da piccole società come quelle primitive e da alcune eccezioni come il Giappone che è ancora in buona parte monoculturale, la maggior parte invece delle altre società industrializzate, in seguito a consistenti movimenti migratori, sono oggi caratterizzate da culture diverse che le rendono società multiculturali (Giddens, 2001). La modalità con la quale le persone delle diverse culture interagiscono nel condividere il medesimo ambiente di vita, dipende in buona parte dal processo che li ha portati nel nuovo Paese (Dressler & Bernal, 1982; Mazzetti, 2008; Sussman, 2000) e dai modelli di acculturazione adottati (Berry, 1997; Birman, 2011; Bourhis, Moise, Perreault & Senecal, 1997; Gordon, 1964; Stuart & Ward, 2011).

La prospettiva della psicologia di comunità aiuta a leggere gli spostamenti migratori in ottica non individualista ma rispetto al contesto, infatti ciò che accade in un Paese ha inevitabili conseguenze anche negli altri Paesi, si dovrebbe perciò andare oltre al macrosistema proposto da Bronfenbrenner e utilizzare invece una prospettiva globale. La migrazione è l’espressione più evidente di questa rete globale, l’altissimo numero di persone che ogni giorno lasciano il proprio Paese alla ricerca di una vita migliore evidenzia come sia elevato il numero di popolazioni che vivono tutt’ora in condizioni di estrema difficoltà economica, sanitaria, alimentare ed educativa (Ingleby, 2012).

L’esperienza della migrazione spesso porta con sé la rottura dei legami affettivi e la perdita del contesto familiare e sociale; l’inserimento in un Paese straniero porta con sé una “sofferenza di identità” poiché la persona deve cercare di preservare la propria identità nonostante tutti i cambiamenti che la circondano (Ranci, 2009); la cultura ha infatti un importante ruolo nel definire l’identità di una persona, il contesto culturale nel quale la persona nasce e cresce inevitabilmente influenza parte del suo comportamento. Ogni persona, infatti, ha un’identità sociale e una individuale. L’identità sociale è quella parte dell’individuo che gli deriva dalla consapevolezza di essere membro di uno o più gruppi sociali, nozione legata agli studi di Tajfel (1981) sulle relazioni tra gruppi. L’identità individuale è invece formata da quelle caratteristiche che distinguono la persona dagli altri e la rendono unica

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(Giddens, 2001). Queste due identità non sono versanti distinti del Sé ma partecipano a dare significato all’identità stessa.

L’identità sociale è formata in parte dall’identità culturale che è a sua volta caratterizzata dall’etnicità e dall’identità etnica. L’etnicità è rappresentata da quella serie di caratteristiche direttamente visibili quali tratti fisici, lingua che identificano una persona come appartenente a un determinato gruppo etnico, dall’altra parte l’identità etnica rappresenta il sentimento di appartenenza ad un gruppo etnico, cioè quella parte di pensieri, credenze, comportamenti, atteggiamenti e valori che una persona possiede per il fatto stesso di appartenere a quel determinato gruppo (Phinney & Rotheram, 1987). L’identità etnica si sviluppa soltanto in contesti multietnici ed è importante per l’aumento dell’autostima e per la creazione di relazioni interpersonali qualitativamente adattive. In particolare la modalità con la quale si sviluppa questa identità può essere riassunta facendo riferimento al modello di Phinney (1989, 1992, 1993). Secondo l’autore, infatti, l’identità etnica può essere considerata come un processo che si sviluppa quando la persona esplora e prende decisioni circa il ruolo dell’etnicità nella propria vita, questo sviluppo si può vedere come una progressione in tre stadi corrispondenti a tre periodi della vita. Nel periodo preadolescenziale il bambino viene attratto esclusivamente dalla cultura dominante, nel periodo adolescenziale inizia poi l’esplorazione della propria identità etnica con la conseguente immersione nella cultura del proprio gruppo, infine nell’età adulta vi è la comprensione profonda della propria identità etnica con il seguente suo apprezzamento (Phinney, 1990). L’identità etnica, come anche quella sociale, non è fissa e immutabile ma è frutto di un processo di negoziazione con sé stessi, con il proprio gruppo di appartenenza e con gli altri gruppi. Questo processo di negoziazione è la condizione necessaria per lo sviluppo dell’identità etnica e per l’integrazione (Deaux & Etheir, 1998).