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Studio di caso

CAPITOLO 3 SCUOLA CITTÀ PESTALOZZI A FIRENZE 3.1 Le radici sperimentali di Scuola Città Pestalozz

3.2 Il contesto della sperimentazione

In questo paragrafo vengono descritti i principali caratteri della situazione data al momento in cui ha preso avvio la sperimentazione del biennio 2011-2013, un progetto condiviso con altre due istituzioni scolastiche con una lunga storia sperimentale, la Scuola media Don Milani di Genova e la Scuola Media Rinascita-Livi di Milano.

Le ragioni della collaborazione tra queste tre realtà, geograficamente e per ordinamento non omogenee, iniziata con il progetto relativo al quinquennio 2006/2011, sono state dettate da un’esigenza di ripensare le ragioni e gli scopi dell’esistenza di scuole sperimentali in Italia. Per molti anni Scuola-Città Pestalozzi, la Don Milani e Rinascita hanno svolto un ruolo di precursori rispetto all’innovazione didattica e di sperimentatori di modelli diversi dall’ordinamento nazionale, sono state punto di riferimento per alimentare il dibattito pedagogico nazionale e per i tanti docenti che si sono succeduti nelle loro fila, che hanno poi funzionato da moltiplicatore in altre realtà. In questo percorso, costituito da due binari di azione complementari – il quotidiano funzionamento della scuola e la riflessione interna da un lato, le diverse modalità di comunicazione verso l’esterno dall’altro – il ruolo delle tre scuole nel panorama più generale della scuola italiana era sempre stato identificato con loro “eccezionalità”.

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È mia opinione che vi fosse una sorta di tacito consenso, nella comunità pedagogica e nei referenti istituzionali, nel riconoscere a queste esperienze una validità e credibilità connaturata alla solidità delle loro radici, e al contempo nel considerarle uniche, non trasferibili, imitabili solo per aspetti circoscritti o in termini di ispirazione. Questa percezione ha contraddistinto per un lungo periodo l’attività delle tre scuole, tanto da suscitare una percezione dall’esterno definibile in termini di autoreferenzialità o di incomunicabilità: troppo distanti gli assetti organizzativi, i cardini della vita della scuola, le opzioni fondamentali della mediazione didattica. In un certo senso, dopo aver vissuto una fase densa di punti di contatto tra gli anni ’70 e ’80, la scuola “normale” e le scuole “sperimentali” si sono allontanate sempre più, per effetto del deterioramento di un certo “clima” culturale, della rarefazione di un’”idea” di scuola e di figura docente impegnata nel cambiamento della scuola e della società.

A questa, presunta o vera, autoreferenzialità, ha sicuramente corrisposto una sostanziale indifferenza da parte delle stesse istituzioni che ne consentivano la permanenza nel sistema scolastico, tollerandone l’esistenza senza adoprarsi perché questa avesse un senso, una funzione, un risalto, senza che fosse mai oggetto di una seria valutazione, di una riflessione sulla trasferibilità delle esperienze messe in atto. Nei primi anni del XXI secolo è emersa la contraddizione tra l’idea di sperimentazioni permanenti e intoccabili in virtù dell’“aura” della loro tradizione, il fatto che queste potessero avvalersi di risorse maggiori delle altre scuole e godere di discussi privilegi quale quello di selezionare il personale, e l’orizzonte della loro ragione di esistere. Delle vicende che, con modalità o tempi diversi hanno coinvolto le tre scuole e che in qualche modo vertevano sull’intenzione, da parte dell’amministrazione scolastica, di “normalizzare” e ricondurre agli ordinamenti vigenti le tre esperienze, ciò che interessa è da un lato la re-interpretazione del significato di “sperimentazione” o “innovazione” alla luce delle norme vigenti e dall’altra il processo di profondo ripensamento sul significato di un’identità: quale relazione questo abbia con la valutazione, quali implicazioni abbia per la professionalità dei docenti coinvolti. Le tre scuole hanno concretamente dimostrato di avere radici profonde e la prosecuzione della loro esperienza ha potuto contare su molteplici sostegni nelle rispettive aree geografiche di riferimento. Il loro ruolo ha trovato una rinnovata definizione all’interno della normativa sull’autonomia con la nascita nel 2005 del “Progetto nazionale delle Scuole laboratorio”, sperimentazione ex art.11 DPR 275/99: una rete nazionale di tre scuole che si propongono come laboratori per l’innovazione didattica e degli ordinamenti, centri di servizio territoriali per la formazione e l’aggiornamento dei docenti, istituzioni polo per reti di scuole.

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Il progetto si caratterizza per una cornice comune di riferimenti culturali e pedagogici e per una funzione condivisa di catalizzatori e moltiplicatori di esperienze di ricerca-azione nelle aree geografiche di riferimento, per i contributi all’innovazione nel sistema scolastico nazionale attraverso una puntuale rendicontazione. Le tre scuole si collocano ad un livello intermedio tra la scuola in-azione e le istituzioni deputate alla ricerca e per questo hanno definito un profilo di docente delle scuole laboratorio sulla base del quale operano una selezione del personale. Dal punto di vista dei contenuti della sperimentazione, degli oggetti di ricerca, le tre scuole si muovono con punti di contatto e di interscambio e con una larga autonomia, dettata anche dal fatto di essere l’una – Scuola Città Pestalozzi – una scuola primaria e secondaria di I grado, e le altre due solo scuole medie.

Per presentare i caratteri di Scuola Città Pestalozzi è necessario fare riferimento ad un insieme di elementi, di “strati” sedimentati nel tempo, ciascuno dei quali è riconducibile ad un tratto della storia di questa scuola, frutto via via di una ridefinizione e interpretazione da parte dei docenti e della dirigenza.

Il quadro del contesto entro il quale si è svolta la ricerca empirica è stato ricostruito attraverso un’analisi dei seguenti documenti:

- Il progetto di sperimentazione ministeriale Scuole Laboratorio - Il Piano dell’Offerta Formativa

- I materiali presenti nella piattaforma Moodle Wikischool (attiva dal 2011, che ha ereditato la raccolta della precedente piattaforma Indire Scuolacondivisa)

- I materiali presenti nel server di uso interno (Curricoli delle discipline, orari, programmazioni annuali, progetti di biennio, progetti di classe)

Scuola Città Pestalozzi è frequentata da 100 alunni della scuola primaria e 60 studenti della secondaria di I grado, distribuiti in 8 classi mono-sezione: il numero non è variabile, in quanto le stanze dell’edificio scolastico non consentono, per le loro dimensioni ridotte, di accogliere più di 20 bambini o ragazzi.

Dal punto di vista sociale l’utenza è variegata: la scuola è nel centro storico, in un quartiere caratterizzato dalla compresenza di gioielli storico-architettonici, aree di degrado e flussi di turisti, di fasce di popolazione con estrazione sociale molto elevata o piuttosto bassa, da un forte ricambio di popolazione e insieme da una dimensione di “quartiere”, dalla presenza di molti stranieri, sia immigrati secondo le modalità comuni al resto dell’Italia, sia

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trasferitisi a Firenze per le sue caratteristiche di città a vocazione internazionale. I ragazzi che si iscrivono a Scuola Città Pestalozzi provengono quindi da contesti familiari, sociali e culturali molto diversi. Inoltre la scuola ha innegabilmente una “reputazione” nella città, legata alla sua storia sperimentale, rispetto alla quale vi sono elementi che hanno avuto una maggiore risonanza e persistenza nella percezione dell’opinione pubblica e in particolare nel segnare le differenze con le altre scuole del territorio e ciò ha reso da sempre “desiderabile” l’iscrizione a Scuola-Città Pestalozzi per alcune famiglie e meno per altre.

Un primo tratto peculiare di Scuola-Città Pestalozzi è la sua dimensione verticale, sia dal punto di vista degli alunni/studenti sia dei docenti (Cerini, 2013). L’esperienza scolastica è pensata in ogni suo momento per collocarsi in una prospettiva ottennale, dove il concetto di continuità si traduce in un insieme di dispositivi, molti dei quali praticati fin dalla nascita della scuola. Le classi sono organizzate in bienni affidati ad un team di docenti, la classe quinta primaria e la prima secondaria di I grado costituiscono un biennio affidato ad insegnanti elementari e della scuola media. Lo “scorrimento” delle classi permette a ciascun gruppo di essere abbinato alternativamente con la classe precedente e con quella successiva, permettendo agli alunni di essere più volte “i grandi” e “i piccoli” nelle attività comuni. Queste non hanno un tratto unico: l’orario settimanale ne contempla sistematicamente una parte, che ha assunto negli anni denominazioni diverse a seconda delle interpretazioni date dai docenti a questo dispositivo: gruppi espressivi, gruppi a quattro mani, Vispa Teresa, gruppi opzionali, gruppi su misura…124. Vi sono poi altre “tracce” dell’impostazione per bienni. Ad

esempio le classi di anno in anno si spostano nelle aule della scuola in modo da avere vicina la classe con la quale condividono il biennio. Il biennio quinta/prima media costituisce uno snodo fondamentale e non privo di criticità: l’attribuzione ai docenti della scuola secondaria di alcune discipline, come inglese, musica, arte ed educazione motoria, determina una “secondarizzazione” del tempo scuola, con orari più scanditi, pause più brevi, moltiplicazione delle figure di riferimento. Questo biennio costituisce però anche una “zona” di interscambio

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Ciascuna denominazione corrisponde ad una “funzione” del lavoro per gruppi in verticale all’interno del curricolo degli alunni: i gruppi espressivi sono spazi per le attività, appunto, espressive, il teatro, l’arte, le costruzioni, la musica. I gruppi su misura intendono rafforzare le competenze logico-matematiche e scientifiche attraverso un approccio autentico e di problem-solving. Con i gruppi a quattro mani si introduce il tema del peer-

tutoring, proposte di lavoro in cui collaborano due alunni di due classi diverse. I gruppi opzionali sono