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Studio di caso

2.2 L’interpretazione dei dati: l’approccio fenomenografico

Per l’interpretazione dei dati del focus-group e delle interviste ho deciso di adottare un approccio fenomenografico.

La fenomenografia è una metodologia per l’interpretazione di dati di carattere qualitativo che si è sviluppata con particolare riguardo all’ambito educativo (Marton e Booth, 1997, 111). Gli autori cui si devono le prime proposte di ricerca e poi la definizione di una cornice di riferimento sono stati, a partire dagli anni ’70, Ference Marton e Lennart Svensson, con un processo di ricostruzione “a posteriori” di procedure adottate all’interno di processi di ricerca, e non per deduzione su base filosofica o teoretica. Il termine è stato invece coniato successivamente da Marton (1981) per indicare un modello di investigazione dei fenomeni attraverso le concezioni dei soggetti coinvolti.

L’etimologia del termine deriva dal greco phainomenon e graphein, ovvero descrizione di come le cose si presentano. Il primo autore ad aver utilizzato il termine “fenomenografia” è stato lo psicologo Ulrich Sonnemann nel 1954, definendola un registro descrittivo dell’esperienza soggettiva immediata.

L’approccio fenomenografico ha interessato molti autori ed è stato presentato attraverso materiali che ne hanno trattato il profilo epistemologico all’interno del dibattito sui metodi qualitativi in ambito educativo e gli aspetti metodologici nel contesto specifico di studi empirici. In alcuni casi la fenomenografia è descritta come filone di ricerca che affonda le proprie radici teoretiche in una tradizione fortemente contestualizzata (Svensson, 1997), in altri casi le origini vengono messe in relazione con gli approcci filosofici della fenomenologia (Uljens, 1996), mentre in altri studi ancora è descritta come una pratica di ricerca in costante evoluzione attraverso diversi contesti e modalità di raccolta dei dati. (Hasselgren e Beach, 1997; Marton e Booth, 1997; Marton e Pong, 2005).

L’approccio fenomenografico è stato sviluppato prevalentemente da parte di un gruppo di ricerca del Dipartimento di scienze dell’Educazione dell’Università di Goteborg, guidato da Marton, negli anni ’70, nell’ambito di un corpo di ricerche sull’apprendimento inteso come differenti modi nell’esperire il mondo, che possono essere scoperti e descritti dal ricercatore. Il significato del termine non ha avuto, nel contesto del gruppo di ricerca di Goteborg, una precisa definizione: si può dire che esso costituisce il “primo esempio” di analisi fenomenografica, in quanto “emerge” come concetto da una ricerca empirica e non da dei fondamenti teoretici rispetto alla natura della realtà e della conoscenza: gli assunti di

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fondo pertinenti all’oggetto dell’indagine fenomenografica (le concezioni dei soggetti) sono quelli propri dell’ermeneutica e della fenomenologia. Marton, uno dei principali autori che ne hanno tracciato le linee, descrive la fenomenografia come un’indagine su base empirica, orientata ad individuare le differenti modalità attraverso le quali le persone fanno esperienza, percepiscono, comprendono e concettualizzano degli stessi fenomeni (1994, 53). L’argomentazione di Marton consiste nel fatto che ogni fenomeno può essere compreso attraverso un certo numero di chiavi di lettura che rappresentano le differenti relazioni espresse da diversi soggetti rispetto al fenomeno stesso (Marton, 1988). Il significato programmatico conferito alla fenomenografia si connota rispetto agli oggetti dell’investigazione (le forme interpretative dell’esperienza soggettiva) e rispetto alle procedure coerenti allo studio di fenomeni complessi e che presentano tutte variabili non controllate.

I presupposti teoretici – ontologici ed epistemologici – che sottostanno la ricerca fenomenografica sono:

a) un approccio olistico allo studio del pensiero, secondo il quale la dimensione interna della mente e quella esterna della realtà sono concettualizzate come entità non separate ma ontologicamente interrelate. Le realtà esiste attraverso le sue rappresentazioni, nel senso attribuito a questa relazione dalla fenomenologia esistenzialista (Uljens, 1996, 6).

b) La conoscenza si fonda sul pensiero nella sua relazione con la realtà e può essere concepita solo in termini relativi, di dipendenza dal contesto, nel senso attribuito a questa relazione dalla filosofia ermeneutica (Svensson, 1997, 165).

I presupposti teorici prescindono, di per sé, dall’ambito tematico per il quale l’approccio viene utilizzato, nel senso che è proponibile per interpretare le relazioni dei soggetti rispetto a un qualsiasi fenomeno; l’indagine fenomenografica ha però, come già riferito, un carattere esplorativo e contestualizzato (Svensson, 1997); questa è stata la principale caratteristica per la quale l’ho individuata per l’analisi delle trascrizioni. Inoltre la fenomenografia ha avuto un vasto impiego in studi rivolti ad indagare fenomeni educativi quali l’apprendimento, l’insegnamento, la comunicazione e l’istruzione. Per queste ragioni mi apparsa congeniale e coerente con il tema trattato dalla ricerca empirica svolta, dato che la mia intenzione è stata proprio quella di cercare una matrice interpretativa per un processo di trasformazione del contesto educativo. A fianco della metodologia ho costantemente tenuto l’”intenzione” pedagogica della ricerca, che va aldilà del compito descrittivo:

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Anche se le procedure possono essere analoghe e la correttezza e il rigore […] sono rispettati, tuttavia se la raccolta e il trattamento dei dati possono essere solo descrittivi secondo il significato fenomenologico, l’approccio pedagogico non può limitarsi a questo. Fare ricerca con le insegnanti e nei momenti in cui si ricompone l’intero gruppo (ricercatori e co-ricercatori), occorre procedere e comprendere quali consapevolezze sono state acquisite, quali problemi sono stati impostati e interpretati in modo nuovo e di più facile soluzione, quali strategie organizzative o procedurali si sono attivate nelle menti di ciascuna e del gruppo.

La correttezza metodologica e l’acquisizione dei saperi scientifici in campo pedagogico sono compiti precipui dei ricercatori, la capacità di leggerne i significati con sensibilità e competenze operative quelli delle insegnanti e delle educatrici (Manini, 2013, 37)

La fenomenografia consiste in alcuni assunti di base, che ne fanno un approccio di ricerca più che un metodo:

→ ciascuno si relaziona in modo diverso con i fenomeni del mondo circostante; → i fenomeni sono per questo percepiti e interpretati dai soggetti in modo diverso;

→ la fenomenografia si interessa delle variazioni di attribuzione di significato alle esperienze da parte dei soggetti e le descrive.

L’approccio fenomenografico è caratterizzato dalla delimitazione di un ambito di ricerca, dalla definizione precisa di un oggetto di studio, dalla messa a punto di procedure per la raccolta e l’elaborazione dei dati, da una specifica forma che assumono i risultati e focalizza in modo preciso il proprio oggetto di indagine nelle concezioni personali, nelle relazioni qualitative rispetto alle stesse esperienze che differiscono in termini intrasoggettivi ed intersoggettivi.

Le concezioni sono generate attraverso un processo aperto di interazione tra il ricercatore ed i soggetti, nel senso che il ricercatore è guidato nella discussione dalle “narrazioni” contestualizzate dei protagonisti (Svensson, 1997). L’analisi dei dati è compiuta attraverso un confronto ricorsivo per somiglianze e differenze, con l’obiettivo di rilevare criticamente le variazioni. Questo processo conduce alla formulazione di categorie descrittive pertinenti ai contenuti ed alle strutture concettuali, che rappresentano, nel loro insieme e nelle loro relazioni logiche, il risultato della ricerca. L’assunto fondamentale dell’interpretazione fenomenografica è l’operazione di riduzione e di categorizzazione sui significati dei fenomeni che restituisce una rappresentazione organizzata dell’insieme e delle parti (Svensson, 1997, 168).

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In termini metodologici le unità descrittive della fenomenografia sono le interpretazioni, le affermazioni sul mondo così come i soggetti ne hanno fatto esperienza (Marton, 1997). L’oggetto della ricerca fenomenografica è proprio l’insieme delle differenze di interpretazione, secondo due aspetti interrelati: uno che denota il significato globale del fenomeno e uno che analizza la varietà delle interpretazioni riconducendole a delle categorie interpretative (Marton e Pong, 2005).

Il dispositivo fondamentale dell’analisi fenomenografica risulta quindi essere quello di comporre i dati in categorie che consentano di dar conto il più possibile delle concettualizzazioni espresse dai soggetti. Il compito del ricercatore è quello di organizzare i contenuti attraverso descrittori logicamente connessi che spieghino non solo le variazioni di significato ma anche i modelli cui ricondurre tali variazioni.

Marton descrive il processo di analisi fenomenografica come un vero e proprio processo di apprendimento, dove vi è un learner (il ricercatore), un oggetto di apprendimento (come gli altri interpretano un fenomeno di interesse) e una situazione (la ricerca) che ha una propria struttura. Questa struttura, come in molte altre situazioni di apprendimento, ha effetti sulla conoscenza del ricercatore (cosa trae dalla ricerca) e dei soggetti studiati (cosa riescono a portare nella ricerca) (Marton, 1997, 129).

In un passaggio, per me molto significativo, Marton afferma che fin dall’inizio il ricercatore ha un visione chiara del suo oggetto di ricerca, che si implementa nella pianificazione sempre più precisa della situazione nella quale i dati saranno raccolti. La raccolta dei dati apporta continui contributi, anche inaspettati, alla “visione” del ricercatore, che si fa progressivamente più profonda e variegata. Sebbene, quindi, la ricerca sia delimitata dall’inizio, tutte le fasi di raccolta e analisi dei dati rimodellano la ricerca stessa, fanno compiere dei passaggi, la rendono densa e rimescolano gli elementi. (Marton, 1997, 132). L’analisi fenomenografica ha quindi un carattere ricorsivo, essa si dispiega in una dinamica di “interrogazione” continua e reciproca tra le conoscenze e le convinzioni acquisite dal ricercatore ed i materiali empirici che l’indagine ha messo a disposizione. Questo impone che il ricercatore abbia consapevolezza delle proprie conoscenze e delle proprie architravi concettuali nell’approccio ad un determinato oggetto, che ne hanno probabilmente determinato la scelta. Per quanto mi riguarda, questo è stato un elemento di forte riflessione in quanto mi sono posta degli interrogativi rispetto ai possibili condizionamenti derivanti dall’essere stata docente a Scuola-Città Pestalozzi negli anni precedenti l’esperienza di Dottorato. Devo dire che ho rilevato una coerenza tra la mia posizione, che mi ha permesso di

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indagare una situazione proprio per la conoscenza che avevo maturato rispetto all’oggetto della ricerca; diversamente ciò avrebbe conflitto con una impostazione puramente fenomenologica, nella quale il ricercatore necessita di accostarsi all’oggetto dalla sua ricerca con “mente pura” (Uljens, 1996).

Per la raccolta dei dati, il genere di strumenti elettivo per l’approccio fenomenografico sono le interviste che stimolano la riflessione degli intervistati sulla loro esperienza. Di solito le domande sono il più possibile aperte, per consentire agli intervistati di adottare un proprio registro e di selezionare, all’interno di un tema, gli elementi su cui intendono concentrarsi, proprio perché la stessa espressione di un’opzione costituisce una fonte importante di informazioni sulla rilevanza dei diversi aspetti, che non è pre-definita dal ricercatore.

Le interviste hanno quindi forma semi-strutturata: vengono poste domande di partenza e la discussione evolve poi secondo il “sentire” dell’intervistato ed il suo percorso mentale. I dati sui quali compiere l’analisi sono le trascrizioni delle interviste, che devono quindi essere registrate.

La prima fase di analisi è la lettura dei materiali empirici. Nel mio caso, avendo effettuato personalmente le interviste e, per buona parte, le trascrizioni, posso affermare che la fase della lettura, nel suo affrontare sistematicamente l’insieme dei materiali, ha costituito un continuum con le informazioni “registrate” durante l’acquisizione dei dati, anche se la procedura di analisi dettagliata delle trascrizioni, descritta in seguito, mi ha permesso di cogliere sfumature che mi erano sfuggite all’ascolto e soprattutto di “incrociare” i significati, attraverso una scomposizione dei testi in unità che hanno assunto via via interpretazioni differenti.

Dopo questa fase preliminare il ricercatore seleziona i materiali in base alla rilevanza per le sue domande di ricerca, e attribuisce loro delle etichette, senza scartare definitivamente ciò che in quel momento appare scarsamente rilevante, per potervi tornare in un secondo momento.

La selezione delle unità testuali deve essere svolta in modo che, estrapolate dal contesto, esse conservino il significato che è stato attribuito dal soggetto proprio in relazione a quel contesto. Anche in questo caso, così come avviene durante lo svolgimento, la trascrizione e la lettura delle interviste, il processo di selezione delle unità di testo si accompagna, nella mente del ricercatore, alla formazione di “immagini” interpretative.

Gli estratti selezionati dalle interviste rappresentano la base di dati per l’analisi successiva. Le unità (statements) estratte, infatti, in questo passaggio, cessano di “appartenere” all’intervista

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ed al soggetto che le ha riferite, per diventare veicoli di un particolare significato. Si tratta di un procedimento di classificazione nel quale il lavoro interpretativo del ricercatore è determinante nell’attribuire a ciascun estratto i requisiti per appartenere ad una categoria piuttosto che ad un’altra. Si tratta di un passaggio delicato, nel quale i rischi di “salti” interpretativi sono innegabilmente presenti.

Il ricercatore, comunque, opera “ancorando” i concetti ai dati attraverso un’operazione di confronto per somiglianze e differenze e, soprattutto, stabilisce le categorie a posteriori, senza forzare le unità all’interno di caselle definite a priori. In questa fase il ricercatore opera una continua scomposizione e ricomposizione dei raggruppamenti “interrogando” i dati: sono questi a determinare le categorie e non viceversa (Marton, 1988, 155), finché le categorie si “stabilizzano” in unità descrittive pertinenti e logicamente collegate capaci di descrivere chiaramente l’oggetto della ricerca nel suo insieme e attraverso le sue sfaccettature.

All’interno dell’ambito più generale della fenomenografia, la fenomenografia ermeneutica si caratterizza per non disgiungere l’interpretazione dei dati dalle radici contestuali e storiche che caratterizzano il contesto, diversamente dalla neutralità indicata dalla fenomenografia pura. Ho ritenuto che questa intenzionalità a-neutrale rispetto al contesto, riferita da Ulijens, fosse più corrispondente alla mia ricerca, proprio per tutto ciò che è stato argomentato intorno alla nozione di ambiente di apprendimento.

One main reason for such a step is that the meaning of human experience is possible to determine only as a relation between its content and context (social, cultural, historical). Further, since what is experienced occurs in a context and it is experienced by a specific historical individual is not reasonable to understand it without taking it into consideration. (Uljens, 1996, 119).

Ho riflettuto, inoltre, sull’approccio più coerente all’interno dello uno studio di caso che è stato svolto su un’esperienza unica nel suo genere, fortemente radicata nel contesto fin dalla sua nascita, progettata e portata avanti da docenti, gli intervistati, che hanno scelto di lavorare proprio in quella scuola, individuandolo, appunto, nella fenomenografia ermeneutica.

Il carattere esplorativo che ho intenzionalmente attribuito alla ricerca ha incrociato, a partire dalla definizione delle domande, le modalità operative della fenomenografia, ed in particolare della fenomenografia ermeneutica, come idonee a rappresentare idee e concetti mediati da una relazione profonda con l’esperienza da parte mia, come ricercatore, e da parte degli intervistati. Ritengo che questa “densità” del rapporto con la realtà studiata non abbia

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rappresentato un elemento di disturbo per il processo di generalizzazione operato, in quanto le categorie concettuali messe a fuoco attraverso l’analisi dei dati, costituiscono una sorta di “cerniera” tra l’approfondimento descrittivo/interpretativo del contesto specifico e le matrici di un discorso che può dispiegarsi nell’incontro con altri contesti e situazioni. Ciò che intendevo approfondire attraverso la ricerca empirica era proprio l’insieme dei punti di vista dei docenti, per portare all’esterno ciò che solitamente rimane chiuso nelle impressioni di ciascuno, dentro le stanze delle riunioni, dentro verbali e resoconti scarsamente condivisibili. La ricchezza, invece, delle riflessioni di ciascun docente mi è apparsa un materiale prezioso per contribuire, attraverso anche un solo concetto espresso in una singola intervista, al dibattito sull’innovazione della scuola, perché quella riflessione, quel concetto, si è sviluppato nell’interazione con una realtà in trasformazione e con altri protagonisti competenti e riflessivi.

La forma dei dati raccolti (la trascrizione di interviste semistrutturate) ed i contenuti di queste (le percezioni dei docenti rispetto alla messa in atto delle trasformazioni progettate) sono state coerenti con l’approccio fenomenografico ermeneutico.

Nel Capitolo quinto i risultati della ricerca sono presentati secondo le categorie concettuali emerse dall’analisi. Prima di procedere con l’esposizione dei risultati è però necessario presentare il contesto nel quale essi sono emersi, evidenziare, per quanto in forma sintetica, gli elementi che lo caratterizzano. Cercherò di presentare le radici storico- pedagogiche di Scuola-Città Pestalozzi, mettendo in evidenza i tratti che ne hanno contraddistinto il percorso fin dalla sua nascita e dei quali è tuttora possibile “leggere” il segno. Il progetto di sperimentazione attuato nell’anno scolastico 2011-2012 sarà analizzato nei diversi aspetti, attraverso la documentazione di riferimento, per rendere comprensibili i riferimenti utilizzati nel “discorso” sviluppatosi con i docenti attraverso il focus-group e le interviste.

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CAPITOLO 3 SCUOLA CITTÀ PESTALOZZI A FIRENZE