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Contesto storico-letterario

I romanzi di Aldo Giurlani coprono un arco cronologico di oltre sessant’anni, superando una dittatura, due guerre mondiali, la ricostruzione postbellica, la rinascita economica, i tumulti del Sessantotto; le tendenze del periodo giolittiano dannunziane e liberty reduci della Belle Epoque, le avanguardie e le neoavanguardie620. Le opere che gli assicurano la fama nella narrativa contemporanea sono composte dopo il 1930 (Stampe dell’Ottocento, 1932; Il Palio dei Buffi, 1937; Bestie del Novecento, 1951; Sorelle Materassi, 1934; I fratelli Cuccoli, 1948; Roma, 1953) 621, ma la sua formazione si delinea fra i movimenti di polemica letteraria del primo Novecento attraverso cui la lirica ad esempio riesce a liberarsi dalle convenzioni oppressivamente direzionanti della tradizione: Crepuscolari, Futuristi, la rivista fiorentina Lacerba. Come già affermato, Palazzeschi sa mantenere il proprio volto personale pur muovendosi all’interno di tali movimenti (e sperimentandoli) di pensiero letterario. Grazie anche al Futurismo, che lo irretisce maggiormente negli anni giovanili, ricava il coraggio (che contribuisce tra altri stimoli) ad aprirsi e «aderire alla letteratura della vita»622.

L’istanza viva del primo ventennio del Novecento di rinnovamento della cultura italiana in reazione al Positivismo e ad altre esperienze europee623 viene portata avanti da alcuni movimenti culturali e da importanti riviste fiorentine, tra cui appunto Lacerba e la Voce (del cui contributo palazzeschiano si è data informazione a livello generale ad esempio nella sezione della biografia dello scrittore). Lacerba viene fondata da Papini624 e Soffici625 nel 1913 e fino al 1915 essa sostiene il movimento del Futurismo; la Voce nasce nel 1908 grazie a Prezzolini allo scopo di diffondere i dibattiti coevi sui problemi inerenti la vita e la cultura italiana (letteratura, filosofia politica, società) con il contributo di molte voci intellettuali significative, senza però riuscire a fondere in modo coerente e organico queste varie suggestioni e partecipazioni. Per quanto riguarda il versante delle discussioni politiche, la Voce «da un

620 Cfr Tellini 2004, LXXIV.

621 Pazzaglia 1980, 1085.

622 Pazzaglia 1980, pp. 1085-1086. Lo «spirito d’avanguardia» è un’esigenza di rinnovamento culturale e spirituale generale che Palazzeschi declina secondo le proprie esigenze, non aderendo quindi a priori totalmente agli assunti del Futurismo ad esempio, come già illustrato; egli va oltre ogni convenzione vigente, anche letteraria (tra cui, ad esempio, pascolianesimo e dannunzianesimo) in modo più intenso di quanto non fecero i contemporanei: dapprima nella poesia, ormai divenuta estremamente convenzionale al tempo, oppone il proprio rifiuto con temi estrosi e bizzarri, visionari (poi anche nei romanzi, appunto, specialmente nei tre analizzati), con immagini di libertà e di trasgressione, mettendo in campo la molteplicità, la deformazione, la dinamicità, con un atteggiamento «fra l’ironico e il pensoso» (con le considerazioni meglio analizzate precedentemente).

623 Pazzaglia 1980, 1097.

624 Pazzaglia 1980, pp. 1134-1135: solo accennando alla sua figura, una tra le tante vicine a Palazzeschi – senza purtroppo poter riportare qui più strettamente la poetica del Papini – in generale il fiorentino Giovanni Papini (1881-1956) è uno dei maggiori intellettuali ad avere a cuore il rinnovamento culturale del primo ventennio novecentesco con l’intento di lasciarsi alle spalle i residui di fine Ottocento. Agisce agli inizi soprattutto contribuendo a riviste. Dall’esperienza lacerbiana ricava le linee avanguardistiche che sempre lo accompagnano poi nelle opere: intento polemico, tensione al paradosso e alla vivacità, alla dinamicità, alla vastità di interessi, all’adesione della letteratura alla realtà. Ma, riporta Pazzaglia, la sua personalità è «portata più alla critica corrosiva che non alla costruzione». Poi, a partire da questa iniziale reazione al positivismo, il quale comunque non sopprime l’idealismo neoromantico, si lascia travolgere dal superomismo dannunziano al fine di stabilire il dominio dell’io sulla realtà; infine, lo colgono la crisi religiosa (anche se forse più ostentata che autentica), l’atteggiamento di delusione, vanità, desolazione, penitenza per essersi creduto dominatore .

625 Mengaldo 2018, pp. 337-339: altra figura importante per aver fondato una delle riviste su cui scrive Palazzeschi, e anche in questo caso qui presentata solo con qualche informazione generale, è quella di Ardengo Soffici (1879-1964): Mengaldo afferma interessante soprattutto il suo sperimentale «momento futurista» (su imitazione di Apollinaire, di uno stile moderno parigino e della programmatica marinettiana dell’analogia retorica “senza fili”) per aderenza al culto del dinamismo molteplice moderno (che si riflette anche sulla lingua) prima di cadere nel neoclassicismo purista. Pubblica su Lacerba e la

Voce, infatti, delle liriche basate su metrica libera e poemetti in prosa che puntano all’artificiosità. Mengaldo poi attesta come

di scarso rilievo siano le poesie giovanili e quelle francesi, e «riprovevoli quelle […] improntate a insulso classicismo restauratore o senz’altro alla peggiore retorica fascista».

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originario nazionalismo attivistico, si volge allo studio dei problemi e delle condizioni reali della nazione, ma per ritornare, poi, a un nazionalismo impetuoso e al mito dell’Italia “nazionale giovane”, che sfociò nell’interventismo»626, interventismo che Palazzeschi categoricamente e apertamente rifiuta, influenzando poi con questo suo atteggiamento antibellico molte opere, specialmente le prose.

Dopo la pubblicazione de La Piramide (1926), come già accennato, il clima intellettuale d’Italia vira verso una normalizzazione linguistico-ideologica (moralizzante) delle arti, annullando le operazioni avanguardistiche di smantellamento di falsi valori, come afferma Baldacci627: la letteratura si fa insistentemente cristianeggiante o improntata al formalismo esteriore, sconfinante talvolta nell’aulico accademico oppure popolaresca e municipale, in sostituzione del respiro nazionaleggiante precedente, ma comunque permeandosi di spiritualismo. È in questo contesto che son potuti emergere, grazie all’Accademia d’Italia628, autori rimasti fino a quel momento nell’ombra (come Soffici e Papini). La critica di tali anni (Pancrazi, De Robertis, ad esempio) perciò valuta le opere palazzeschiane in base alla tendenza culturale vigente di “ritorno all’ordine”, continua Baldacci, esaltando opere come I fratelli Cuccoli dove sono ravvisabili, come dice Pampaloni, realismo e moralismo.

In Critica al romanziere si afferma che la poetica del «ritorno all’ordine, letterario e politico, tipico di tanti esponenti dell’avanguardia»629 non tocca però Palazzeschi: i mutamenti storici che irrompono con la guerra, il dopoguerra e il fascismo condizionano pesantemente l’autore, il suo modo di esprimersi, ma non ne intaccano la personalità: da Due imperi… mancati del 1920 (Adele Dei630 riferisce trattarsi di un «polemico atto d’accusa contro la guerra», rifiutato dalla Libreria della Voce ed infine edito da Vallecchi) a Stampe dell’Ottocento del 1932 (volume pittoresco ma non documentario, anche se il contenuto viene preso tutto dalla realtà, come riporta sempre Adele Dei631) si compie questo percorso di maturazione letteraria che va a culminare appunto con Sorelle Materassi, 1934 – romanzo uscito due anni dopo la candidatura dell’autore all’Accademia d’Italia sostenuta da Marinetti, non voluta dallo stesso Palazzeschi e rifiutata da Mussolini.

I drammi storici procurano in Palazzeschi un sentimento antifascista che si esprime in talune opere632, ma egli rimane comunque un taciturno ed introverso antifascista che non agisce mediante azioni rivoluzionarie perché ciò non ci confà, come già illustrato, al suo spirito; esprime però con decisione il

626 Pazzaglia 1980, 1098. Tra il 1914 e il 1916, sotto la direzione di De Robertis, la Voce si occupa solo di tematiche letterarie. E qui – riassumendo Pazzaglia senza riportare manifestazioni particolari, ma per capire la fisionomia di uno dei fenomeni che interessa Palazzeschi negli anni giovanili grazie alla partecipazione a questa importante rivista – si riesce a fondere intento artistico e realtà, dall’estetica crociana al Decadentismo francese, al simbolismo in particolare, filtrato in Italia dal «fasto verbale e superficiale del D’Annunzio e dai residui classicheggianti del Pascoli»: si sfocia in una linea poetica intesa come «liricità pura, intuizione rapida e balenante, valida, di là dai contenuti, per la sua suggestione di canto, per la magia dello stile. Nasce di qui la fortuna del frammento lirico, della “figurazione” o “illuminazione” affidata a una suggestiva musica verbale».

627 Cfr Baldacci 2004.

628 Da http://www.treccani.it/enciclopedia/accademia-d-italia/: «l’Accademia d’Italia, fondata nel 1926 ma inaugurata nel 1929, si componeva di quattro classi (scienze morali e storiche; scienze fisiche, matematiche e naturali; lettere; arti) e di 60 accademici. L’intento politico, in un momento in cui non era stato ancora imposto l’obbligo del giuramento fascista ai membri delle antiche accademie esistenti, era quello di contrapporre loro un nuovo corpo, emanazione del regime. Nella carica di presidente si succedettero T. Tittoni; G. Marconi (dal 1930); G. d’Annunzio (dal 1937); L. Federzoni (dal 1938); G. Gentile (dal 1944); G. Dainelli, dal 1944). L’Accademia, che aveva sede a Roma nella villa Farnesina di A. Chigi, non si emancipò dalla tutela del governo e fu travolta dal crollo del fascismo. Dopo il 25 luglio 1943, fu trasferita a Firenze; poi nella Villa Carlotta presso Tremezzo (lago di Como), dove, al tempo della Repubblica sociale italiana, continuò a vivere fino al 25 aprile 1945, benché ufficialmente soppressa dal governo legale fin dal 28 settembre 1944. Le sue funzioni culturali e il suo patrimonio passarono alla ricostituita Accademia dei Lincei, che l’Accademia d’Italia aveva forzatamente annesso nel 1939.»

629 Tellini 2004, CXVI.

630 Dei 2004, CXXXIX.

631 Dei 2004, CXLI.

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proprio amaro disprezzo nei confronti di quegli autori che, per restare “a galla”, appoggiano con il consenso l’illegittimità e la falsità della cultura imposta (ad esempio, in Due imperi… mancati, dedicato a tutti i poeti che «rinnegando sé stessi alimentarono il fuoco immondo, perdonando l’offesa»633, e in Tre imperi… mancati, 1945, una polemica634 al fascismo e alla guerra, sempre pubblicata da Vallecchi).

633 Dei 2004, CXXXIX.

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