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La figura del protagonista: Valentino

Si è segnalato come l’autore non fosse soddisfatto del risultato ottenuto da questo libro249 (ved. Autocritica) perché non ancora adeguato a superare i limiti che egli stesso contrae nei confronti del genere romanzo250. Si tratta dunque di un testo frutto di sperimentalismo da parte di un giovane

247 Tellini 2004, XCI.

248 Ironia come alterazione paradossale della realtà per sottolineare in modo buffo, e talora beffardo, i paradossi già insiti nei fatti e nelle loro conseguenze.

249 Ved. Autocritica (elementi generali).

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scrittore che deve ancora comprendersi a fondo251 e che si lascia affascinare da più spunti, riassunti da Luigi Baldacci252: la poetica di Corazzini253; l’atteggiamento dell’incendiario dei pagliai (simbolo anti-estetico per eccellenza per il mondo interiore del protagonista Valentino); il decadentismo superato dall’atteggiamento del cristiano pentito ormai pronto alla rinascita verso la conclusione dell’iter epistolare di autoanalisi. L’introversione che affonda inesorabilmente Valentino nel profondo della sua anima prende le mosse da un impellente bisogno di capirsi, di districare i sensi di colpa e di superare il suicidio della madre254. I sentimenti feriti di figlio e la propria diversità lo spingono in un vortice drammatico di alienazione e reclusione che ha necessità di essere superato per poter continuare a vivere. Per permettere ai propri personaggi di poter compiere questi passaggi, Palazzeschi comprende di aver bisogno delle risorse della prosa narrativa. Le possibilità che gli offriva la poesia non gli bastano più: e per la sua prima creatura narrativa sceglie la strategia epistolare255.

Infatti, guardando alle raccolte poetiche che precedono questo romanzo, il mondo chiuso, sospeso, angoscioso e ripetitivo delle prime due raccolte – Cavalli bianchi, 1905; Lanterna, 1907 – prosegue parallelamente sul versante della poesia in Poemi (1909), contenente l’innovativa figura del poeta saltimbanco, ma si arresta e si evolve in altro all’interno del primo romanzo256. Il “giovane bianco” della prima raccolta («Principe bianco» nella seconda), vittima di mormorii di una folla enigmatica e lontano dai treni che fuggono257, e il suo universo protettivo non esistono più in :riflessi. Lanterna potrebbe comunque anticipare258 nel suo finale una sorta di svolta che poi apparirà compiuta nella storia di Valentino Kore, ovvero la fuoriuscita coraggiosa dal mondo fiabesco e opprimente con il cedimento alla tentazione dei treni che fuggono: ora l’autore ha il coraggio, in Valentino, di mettersi in primo piano senza più nascondere la propria diversità: la esplora con una narcisistica auto-contemplazione, incentrata sull’amore impossibile di John Mare. Valentino è dunque una figura sofisticata di eroe protagonista del romanzo epistolare decadente che racchiude una psicologia profonda e stratificata, con un complesso edipico insuperato e un’omosessualità latente.

Fa ritorno comunque in :riflessi un clima sospeso di fiaba, ad esempio, nella rievocazione suggestiva della città di Venezia in cui soggiorna l’amico Jhon Mare259. Venezia è città descritta in termini sublimi ad esempio nella lettera del 3 Novembre (spiccano qui il paragone con una Venezia capace di deludere

251 Baldacci 2004, XXXIV.

252 Baldacci 2004, XXXIV.

253 Riassumendo Mengaldo (cfr Mengaldo 2018, pp. 26-28), per approfondire la figura del poeta richiamato: Corazzini, 1886-1907, più volto alle sperimentazioni rispetto a Gozzano (l’ultimo dei classici, soprattutto a livello stilistico), viene infatti ripreso dai poeti nuovi immediati e non, futuristi e vociani, pur mostrando nuclei monotoni ed insistenti di autocommiserazione impotente e malata, rassegnata, che si contrappongono però al suo sperimentalismo formale (come il dialetto romanesco e i precoci verso libero e prosa lirica che anticipano futuristi, vociani e D’Annunzio). Rispetto a Gozzano e al crepuscolarismo piemontese, ma in comune con il crepuscolarismo romano, Corazzini presenta meno ironia e più aderenza reale alla propria sofferenza, inserendovi non di rado elementi religiosi (che il dannunzianesimo rielabora in termini francescani) che però non toccheranno la blasfemia dei colleghi Govoni e Palazzeschi. Come gli altri poeti del genere, si muove dal tardo simbolismo francese e belga. Con Palazzeschi poeta ha in comune «momenti di scrittura più bianca e di trasognamento quasi ilare». Corazzini però si appropria del repertorio di oggetti crepuscolari (chiese abbandonate, ospedali, suore, ecc.) e li svuota della loro «consistenza oggettiva» per renderli simboli spirituali dell’anima: la sua è acuta propensione introspettiva e confessoria, biografica, una tematica decadente tutta volta al proprio dramma di impotenza masochistica ma comunque autentica e “nuova”. Muore troppo giovane, senza cioè aver potuto sviluppare le proprie tensioni che forse avrebbero anticipato i maggiori crepuscolari (Gozzano e Moretti).

254 Cfr Tellini 2004, XC. 255 Cfr Tellini 2004, XC. 256 Tellini 2004, LXXXV. 257 Tellini 2004, LXXXVI. 258 Tellini 2004, LXXXVI. 259 Tellini 2004, LXXXVII.

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qualsiasi aspettativa del turista sognatore di La Piramide e il paragone con la stessa città, vittima di una descrizione iperbolica esattamente opposta a quella di :riflessi, ne Il Doge260).

In questa stessa villa la madre di Valentino morì dunque suicida a ventinove anni (quanti sono gli anni del principe al momento della stesura delle lettere a John) con un colpo di revolver, tra fasci di rose rosse, durante un concerto261: si può dunque parlare di riflessi dalla madre al figlio, come suggerisce Baldacci,262 in una «imitatio matris»263 che si svolge all’interno di un’autoanalisi sofferta e tormentata, affrontata in modalità narrativa (ma senza la completa attuazione di una psicoanalisi freudiana in quanto Palazzeschi è scrittore pre-freudiano).

«Medium» 264 è il ritratto della madre, il quale emana una sorta di “presentimento luttuoso”265 nella lugubre atmosfera del nebbioso novembre della reclusione del protagonista; novembre che rovescia il maggio primaverile, rappresentandone il risvolto luttuoso dai toni decadenti266: il maggio del suicidio della madre fra rose rosse. Valentino infatti, poco prima di chiudere la prima lettera Bemualda, Novembre 1, rivela già un’anticipazione di questo concetto (il quale rispunterà altre volte nel corso delle narrazioni epistolari):

Maggio prepara con tutta la forza della sua vita questa morte lenta, sublime. E non è per la morte che si vive?

(p. 10)

È un buon tempo e sereno ed il Novembre sembra continuare miracolosamente un maggio nettamente interrotto e rimasto infinito, sembra rispecchiarlo in uno specchio ovale polveroso e scortecciato nell’amalgama interna formante delle lacune irriflessive.

(p. 44)

Viene infatti a delinearsi un articolato ed inconsapevole complesso edipico267 che porta il protagonista a separarsi da John Mare perché il giovane Principe non è ancora stato in grado di superare il lutto giovanile della madre suicida avvenuto quindici anni prima. Al momento della morte della madre Valentino si trovava in collegio268 ed aveva ordinato poi la chiusura categorica della villa: è per questo che ad un certo punto prende volontariamente la decisione di interrompere l’intima e particolare amicizia con il giovane inglese269 e di partire per Bemualda: chiudersi nella propria solitudine ed inseguire il proprio destino a causa di una attrazione interiore verso qualcosa che ancora non riesce a spiegare. Difatti, la decisione di Valentino di auto-isolarsi dal mondo sembra prendere le mosse da un progetto prefissato di comune accordo, dopo un anno di intima amicizia, tra i due giovani270: Valentino vorrebbe dimenticare l’amico per inseguire il proprio destino che inesorabilmente lo trascina all’interno della villa: tale destino corrisponderebbe, in modo inconsapevole, al segreto desiderio di reincontrarsi

260 Altri collegamenti ravvisabili con altre opere260 risiedono ad esempio nelle due vecchie custodi (che possono essere un’anticipazione di Pena, Rete, Lama del Codice di Perelà) e nella madre di Valentino, principessa dal nome di Maria come la Contessa Maria dell’Interrogatorio della Contessa Maria: entrambe le donne sono oggetto di volgari maldicenze per la loro vita fuori delle regole della comune morale sessuale.

261 De Maria 1990, 133. 262 Baldacci 2004, XXXIII. 263 De Maria 1990, 134. 264 Baldacci 2004, XXXIII. 265 De Maria 1990, 136. 266 De Maria 1990, 134. 267 Tellini 2004, LXXXVI. 268 De Maria 1990, 134. 269 Tellini 2004, LXXXVII. 270 De Maria 1990, 133.

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ed identificarsi con la madre. Luciano De Maria parla di regressione infantile e di ripetizione dell’annullamento di sé271 (la morte) come fece la madre: solo in questo modo potrà comprendere quanto accaduto in passato e (ri)aprirsi al proprio futuro.

La morbosa attrazione per la morte, legata ad ambienti lugubri, nebbiosi, a immagini e a colori sanguigni mescolati a immagini e colori di voluttà, al “martirio” della donna del quadro (la madre, mai nominata nelle epistole), sarebbero dunque il sintomo del bisogno di lasciarsi finalmente andare a un profondo ascolto di sé negli abissi della psiche, per poi riemergere, rinascere, oltre il trauma272. Questo attua Valentino, ma non è solo il protagonista a compiere questo processo.

Io la ricordavo, e ricordavo la giovine bianca colla gonna larga di velo fino […], una crocetta bianca di raso, vi spicca lucente come il segno di un martirio inavvertito, e il raggio furente di quella gemma ne l’anulare sinistro della mano lattea. Si! Io la ricordavo ancora la bella donna nella tela enorme! È lei! […] Sono rimasto estatico per tanto dinanzi al quadro, fissando in quelli i miei occhi, io ò creduto come nello specchio ovale rivedere il mio sguardo bello d’impassibilità. La sala rossa dalle poltrone voluttuose di velluto morbido e ricco, il cui tappeto parla del piacere perfetto, e il grande lampadario d’oro, e le portiere che scendono come ruscelli sanguigni come fiumi di sangue! Come io ricordo d’essermi intrattenuto là dentro, e come ora i miei occhi rimanere intenti in quelli della donna bianca, e cercare di entrarvi per riposare come due gemme nella loro custodia.

(p. 41)

Il Principe romano, personaggio aristocratico per status e nell’animo, incarna perfettamente il personaggio decadente273 nei suoi connotati e nel suo atteggiamento improntato alla raffinatezza di spirito e al gusto della bellezza, che rifugge con ripugnanza le volgarità umane: i peccati di gola (si fa preparare infatti dalle anziane custodi pasti frugali, “francescani”), la bettola e l’aspetto materialistico produttivo, e dunque anche contadino, della vita simboleggiato dall’ossessionante elemento dei pagliai, il quale riveste un ruolo fondamentale nell’evolversi del racconto.

Tutte le finestre della villa sono chiuse e tutte rimarranno così, solamente quella della mia stanza si aprirà […]. Questa guarda la campagna rude e nulla di umano, spero, mi infastidirà da presso o da lontano se io mi vi affacci talora.

(p. 8)

È rude il paesaggio, dopo l’oliveto argenteo tutto è alberi forti difronte sui monti […]. Ah! Nel piano qui subito in basso, accanto ad un casolare, tre enormi pagliai aggruppati si elevano sulla terra, rotondi colla loro grande pancia banale e alquanto spavaldi nella loro vacuità. Gialli come fiamme d’odio uscenti da una piaga della terra, ributtante nel suo seno. Per quanto ne abbia distratti i miei occhi il cumulo di paglie mi è sempre riapparso impunemente insistentemente tanto che ne ò sentito fra le dita il cricchiolìo delle fila secchie, pungenti come aghi buoni a trafiggere per la loro sola vista.

(pp. 24-25)

In molti luoghi delle epistole riserva gli stessi moti di ribrezzo e di repulsione per «quello spiraglio rosso d’inferno» (p. 17) della bettola vicino alla quale, a tarda notte, Valentino si reca per spedire le missive a

271 De Maria 1990, 137.

272 Ed è per questo che è stato evidenziato dalla critica come Valentino potrebbe essere una possibile contro-figura del tormentato giovane Aldo Palazzeschi.

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John, allo scopo di accentuare lo spirito di nobile elezione esistenziale che lo connota in contrapposizione alla turpitudine della maggioranza degli esseri umani274:

La piccola bettola rimane aperta ogni notte sino a tardissima ora. E ieri a sera ò tremato, ò avuto paura dell’avvicinarmi, e mi sono per più volte ritirato con spavento; dalla bottega venivano delle voci rauche di ebbri e al disopra delle mezze tende di cotone rosso usciva una luce gialla

(p. 13)

Si ravvisano dunque275 connotati stilistici e ideologici di un estetismo superomistico276 e dannunziano di fine secolo, diffusi all’epoca a livello internazionale, spennellati, tra le varie ispirazioni, di una certa «estenuazione corazziniana»277: ostentazione del culto dell’arte, della bellezza, dell’eleganza d’animo, di una sensibilità raffinata. Le sale della villa, nella loro immobilità fuori del tempo, sono infatti percorse dal protagonista nel suo itinerario psicologico e regressivo, e attraverso le proiezioni psichiche di Valentino nel mondo attorno a sé esalano un senso morboso di attrazione per la morte:

Le sue labbra sono serrate come quelle della morte, la sua parola è ormai sepolta ella fossa sinuosa di rughe della sua bocca, i suoi occhi sono vitrei, ella sembra pietrificata.

(p. 26)

[…] ed io mi guardavo impassibile nello specchio polveroso come un per ritratto ovale di un adolescente, un adolescente malato e bianco dalla malattia sublime che fa morire ancora belli, e che sugge il sangue ogni giorno una stilla, e la carne si fa di cera intorno agli occhi grandi e profondi, e le labbra si scolorano fino a serrarsi di candore, e tu poi ancora guardarti nello specchio, e tu puoi guardarti ormai trapassato di là.

(p. 34)

Il Principe Valentino Kore aveva ora ventinove anni. Era un giovane di rara bellezza, era pallidissimo, le sue labbra si schiudevano, a rari sorrisi velati, fuggiva il mondo e il suo romore, viveva solo, o circondato da pochi intimi. Frequentava alcune chiese remote. Egli era una figura di nobiltà e di tristezza [ribadiranno gli stralci di opinione pubblica della seconda parte del romanzo].

(p. 123)

Le esasperazioni morbose di questi tratti tematici e delle caratteristiche esistenziali del protagonista, ben evidenti in questi esempi dal testo, lasciano già presagire ciò che si affermerà più avanti.

Tutta la tensione stordente si accumula, da sé l’esasperazione chiama un proprio superamento e scioglimento: è quello cui vuol portare l’autoanalisi costruendosi con tensione crescente e ripetitiva. Il lettore non è portato affatto a immedesimarsi, bensì a compatire questa personalità eccentrica, quasi nevrastenica e bisognosa di aiuto; la quale però l’aiuto, in fin dei conti, se lo cerca da sé e da sé è in grado di trovarlo.

Occupano una piccola ala della grande villa, due stanze una su l’altra, ultimo debole alito dell’ammasso polveroso di stoffe e di legni preziosi, dominio assoluto dei tarli. L’ultimo alito esse, io sono solamente

274 Solo in un’occasione, assai rappresentativa e sintomatica del suo iter esistenziale, egli si ritrova finalmente davanti alla bettola chiusa: ciò avverrà durante il giorno, non più nello sfondo notturno di cui si serviva in precedenza per non essere visto da anima viva.

275 Tellini 2004, LXXXVI.

276 De Maria 1990, 139. De Maria precisa come la madre Maria, Maria Teresa nelle riedizioni riviste dall’autore, rispecchi la madre del superuomo votata alla religione della bellezza.