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CONTINUUM SCHIZOTASSIA-SCHIZOTIPIA-SCHIZOFRENIA E CENNI DI GENETICA DELLA SCHIZOFRENIA

Lo psicologo Paul E. Meehl ha elaborato un affascinante modello di spettro

schizofrenico per cercare di interpretare in modo unitario quei disturbi simil-

schizofrenici che non soddisfano completamente i criteri diagnostici per la schizofrenia, ma che condividono con essi sintomi, cause e fattori di rischio (Pancheri, 2007). L’interesse di Meehl è rivolto a quelle forme psicopatologiche difficilmente inquadrabili diagnosticamente, che si situano lungo un continuum che giunge fino alla piena espressione sintomatologica della schizofrenia, ma che comprende al suo interno forme attenuate, tratti di personalità peculiari e bizzarrie comportamentali trasmissibili di generazione in generazione (Pancheri, 2007). La sua teoria cerca infatti di fornire una prospettiva più ampia possibile sullo sviluppo della schizofrenia, comprensiva inoltre delle evidenze sull’ereditarietà della stessa.

Meehl ha ipotizzato la presenza di uno schizogene, un gene difettoso che procura un disordine integrativo neuronale, localizzato ubiquitariamente a livello delle sinapsi del sistema nervoso centrale, causa della condizione di schizotassia (Meehl, 1990). La schizotassia sarebbe responsabile di alcuni segni psicofisiologici e neurologici lievi - endofenotipi ereditabili- per mezzo di ciò che Meehl chiama slippage sinaptico[19] (Meehl, 1990). Lo slippage sinaptico darebbe luogo allo slippage cognitivo, evidenziabile in tratti psicopatologici come l’allentamento e la mancanza dei nessi associativi tra i pensieri e nell’eloquio (così come li descriveva Bleuler), i disturbi della percezione, dell’attenzione, della memoria ecc. (Meehl, 1990). A causa dello slippage sinaptico, si svilupperebbe anche uno slippage affettivo, un disturbo dell’integrazione delle emozioni, cioè la tendenza a una differenziazione inadeguata, confusa e mista tra toni affettivi contrastanti (Pancheri, 2007). Ciò comporta un’incapacità di discriminare la qualità delle esperienze emotive, e quindi un disturbo nell’esperire il piacere e il dolore (Meehl, 1990) (Pancheri, 2007). Questo squilibrio nella percezione edonica condurrebbe all’aversive drift (deriva avversiva), ovvero “la

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stabile progressione di sviluppo verso tonalità affettive negative nella personalità lungo tutta la durata della vita” (Pancheri, 2007, pag. 204) che predispongono ad anedonia, fobia sociale, e ambivalenza[20]. Lo slippage sinaptico procurerebbe anche un disordine di quello che Meehl chiama il sistema SKV (spatial-kinesthetic-vestibular

system), che permette all’individuo di muoversi, orientarsi nello spazio, avere una

normale percezione del proprio corpo e dei propri limiti fisici, nonché differenziare il sé dal non sé in termini sensoriali (Meehl, 1990).

Le caratteristiche della schizotassia sopracitate predispongono alla schizotipia. Gli schizotipici, come gli schizofrenici, presenterebbero infatti gli elementi di slippage cognitivo, difficoltà nei rapporti personali, anedonia e ambivalenza. “La schizotipia denota la disposizione o suscettibilità geneticamente determinata alla schizofrenia e ai segni psicopatologici schizofrenici” (Pancheri, 2007, pag. 209). È una sorta di condizione di vulnerabilità ma anche un fattore di rischio per lo sviluppo di schizofrenia (Pancheri, 2007) all’interno di uno stesso processo patogenetico. Su di essa possono agire stressor e potenziatori ambientali in grado di favorire il viraggio verso la piena espressione sintomatologica schizofrenica. La schizotipia è considerata un’organizzazione di personalità peculiare che si esprime con lievi disturbi del pensiero, pensiero magico, uso peculiare del linguaggio, comportamenti

bizzarri, eccentricità (in ogni ambito: nella spiritualità, negli interessi,

nell’abbigliamento...), difficoltà relazionali, avversività interpersonale, panansietà, lieve depressione ecc (Pancheri, 2007). Rappresenta infatti il nucleo centrale del

Disturbo di personalità schizotipico, presente nel DSM dalla terza edizione del 1980

e compreso nel cluster A dei disturbi di personalità (insieme al paranoide e allo schizoide, entrambi in frequente diagnosi differenziale con la schizofrenia e in comorbidità reciproca) (Cassano e Tundo, 2006). Gli stressor che possono agire su una condizione ereditata di schizotipia, liberandone tutto il potenziale patogenetico, possono essere fisici (un parto distocico, un’infezione virale) o psicosociali, come qualsiasi esperienza particolarmente problematica, stressante ed emotivamente ingestibile (Pancheri, 2007). È frequentissimo sentire, nei resoconti dei familiari degli schizofrenici, che queste persone hanno iniziato a manifestare sintomi francamente psicotici in seguito a eventi stressanti (vedi i pazienti E.N. e E.B.). Meehl a questo proposito individua alcuni caratteri propri dell’organizzazione di personalità schizotipica (alcuni ereditati per via poligenica, altri acquisiti con l’esperienza) che riassume nel termine personalità SHAITU, dove SHAITU è un acronimo per

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submissive (remissivo - a bassa dominanza), hypoedonic (ipoedonico), anxietous

(ansioso), introverted (introverso), traumatized (traumatizzato) e unlucky (sfortunato) (Meehl, 1990).

La questione dello spettro schizofrenico riporta direttamente e necessariamente alla genetica della schizofrenia. La schizofrenia è una malattia poligenica. Il termine poligenico in senso stretto indica il fatto che un carattere -e quindi anche una malattia- non viene trasmesso in modo mendeliano, lineare e con una classe discontinua di variazioni fenotipiche, ma attraverso l’interazione di due o più geni, che danno origine a una grande quantità di possibili combinazioni alleliche e una variazione continua di classi fenotipiche, non nettamente distinguibili (Cummings, 2004). Ciò implica che i vari geni coinvolti nello sviluppo della schizofrenia possano segregare indipendentemente e che ognuno abbia verosimilmente un effetto additivo e combinativo con gli altri. Da questo dipende l’ampia espressività della sintomatologia, essendo il corrispettivo genetico del continuum fenotipico- sintomatologico. La schizofrenia è anche multifattoriale, intendendo con questo termine che accanto alla trasmissione poligenica intervengono anche fenomeni ambientali, determinanti nel cambiamento dell’espressione fenotipica. Tra le varie malattie mentali, la schizofrenia, insieme al disturbo bipolare, mostra il maggiore tasso di ereditabilità (stima della quantità di variazione fenotipica attribuibile direttamente a differenze genotipiche, espressa da 0 a 1) (Cummings, 2004). L’ereditabilità della schizofrenia si situa intorno a 0.8, un indice altissimo, che indica un’altissima probabilità di trasmissione intergenerazionale della malattia e una ridotta implicazione di fattori ambientali (Plomin et al., 2001). Non tutti i familiari di uno schizofrenico sono schizofrenici, ma molti condividono con loro gli endofenotipi, già citati numerose volte, ovvero componenti geneticamente determinate ma non fenotipicamente evidenti, latenti, che comprendono tratti subclinici, marcatori biologici, fisiologici, cognitivi e fenotipi intermedi. Gli endofenotipi sarebbero quindi “indizi” di una vulnerabilità genetica alla malattia, misurabili in laboratorio oppure indagabili con un’osservazione comportamentale. L’altissima ereditabilità della schizofrenia si riflette nella concordanza dei tratti patologici tra i familiari, ovvero dal grado di condivisione di uno stesso carattere tra familiari (Cummings, 2004), espresso in percentuale. Usando una definizione molto stretta di schizofrenia, la concordanza tra gemelli monozigoti è stimata al 46%, mentre tra gemelli dizigoti al 14%; la concordanza tra genitori schizofrenici e figli è intorno al 13%, tra fratelli del

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10% (Cummings, 2004). Usando invece il concetto di spettro schizofrenico, comprensivo di tutte le sue sfumature, vediamo che la concordanza tra monozigoti lambisce il 100%, mentre il rischio per fratelli, sorelle e figli di schizofrenici si situa intorno al 45% (Cummings, 2004). Sono percentuali altissime, che indicano la fortissima componente ereditaria della schizofrenia. Un esempio di questo arriva già semplicemente dal mio lavoro sperimentale: i fratelli M. sono tutti schizofrenici, nati da una madre anch’essa schizofrenica. Gli studi sui figli schizofrenici adottati da famiglie senza componenti schizofrenici confutano una volta per tutte le teorie più radicali sulle “famiglie schizofrenogene”. Il metodo delle famiglie adottive infatti fornisce una stima indiretta dell’influenza dell’ambiente sullo sviluppo di una malattia. Nel caso della schizofrenia, molti hanno trovato che la quantità di figli adottivi schizofrenici cresciuti in famiglie adottive anch’esse schizofreniche è calcolata intorno allo 0% (Plomin et al, 2001): la quasi totalità dei figli adottivi schizofrenici cresce in famiglie non affette.

Se è vero che la schizofrenia mostra un’altissima ereditabilità familiare, ciò non è altrettanto vero per gli specifici sottotipi (Plomin et al., 2001). Secondo la vecchia classificazione nosografica, la schizofrenia ebefrenica sarebbe quella più frequentemente ricorrente tra i familiari affetti (McGuffin, Farmer e Gottesman 1987). Secondo le più moderne classificazioni, la cosiddetta schizofrenia di tipo II sarebbe più ereditabile di quella di tipo I (Plomin et al., 2001). È diventato famoso, nella letteratura scientifica, il caso delle gemelle Genain, 4 gemelle omozigote nate negli anni 1930 e che hanno tutte sviluppato schizofrenia dopo i 20 anni; nonostante la diagnosi, mostravano sottotipi diversi della malattia (Plomin, 2001). La stessa cosa si può osservare anche nei fratelli M. (vedi sezione sui pazienti).

Per concludere, tramite numerosi studi di analisi di linkage, sono stati individuati alcuni loci cromosomici di suscettibilità per lo sviluppo di schizofrenia, all’interno dei cromosomi 6, 13 e 22 (Cummings, 2004) (Plomin et al., 2001) e più recentemente, in uno studio di associazione genome-wide, anche nei cromosomi 1, 2, 8, 10 e 18

(Schizophrenia Psychiatric GWAS Consortium, 2011)[21]. Nonostante i geni candidati

siano molti, almeno 24 (Jia et al., 2010), è ormai chiaro che ognuno di essi esercita effetti modesti, nessuno dei quali sufficiente di per sé per la determinazione della malattia (Plomin et al., 2001).

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2. LAVORO SPERIMENTALE

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