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Vengono definiti negativi i sintomi schizofrenici anomali per la loro assenza (Frith, 1992) e vengono considerati perdita di funzioni (Pancheri, 2007). L’idea di “sintomo negativo” nasce con il neurologo John Hughlings Jackson che utilizzò tale dizione per indicare una “perdita diffusa e generalizzata di funzione dei centri superiori del sistema nervoso centrale” come conseguenza di una lesione (Pancheri, 2007, pag. 65). Si parla di sintomi negativi quando vi è la sensibile “perdita di funzioni o attività che fanno parte del repertorio di funzionamento psichico e comportamentale “normale” ” (Pancheri, 2007, pag. 65). I domini coinvolti da tale perdita di funzionalità sono vari e possono essere compromessi in modo eterogeneo.

Le funzioni mentali e comportamentali alterate comprendono -in ordine di frequenza- [11]

:

o l’affettività (con appiattimento o ottundimento affettivo, ovvero una riduzione dell’intensità delle reazioni e delle espressioni emotive e della loro variabilità), o la volizione (con apatia e abulia come mancanza di motivazione, di iniziativa e di

interessi verso il mondo che portano ad un quadro di indifferenza generalizzata; con afinalismo, ovvero una diminuzione di comportamenti finalizzati ad uno scopo, oppure un comportamento connotato da scarsa o assente progettualità; infine con scarso coinvolgimento e interesse per le attività e anergia),

o l’emotività (con anedonia, come incapacità di provare piacere nelle attività comunemente svolte con piacere, incluse le attività sociali[12], e alterazioni della percezione, dell’espressione e del riconoscimento delle espressioni),

o la comunicazione verbale (con scarse inflessioni vocali, latenza delle risposte e

alogia, identificabile come scarsa fluidità verbale, povertà del contenuto

dell’eloquio e difficoltà sia nella comprensione sia nella produzione linguistica), o la comunicazione non verbale (con scarso contatto visivo, riduzione della

gestualità e ipomimia),

o la motricità (con rallentamento motorio e diminuzione dei movimenti spontanei), o la socialità (ritiro sociale passivo e serie problematiche nelle relazioni

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Teorie psicologiche e neuropsicologiche sui sintomi negativi

Anche per la trattazione dei sintomi negativi Frith (1992) utilizza il suo modello delle due vie di azione.

Modello delle due vie di azione di Frith (1992)

Fonte: Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia (Frith, 1992, pag.50)

Secondo Frith un danneggiamento della via che permette agli obiettivi e alla progettualità di una persona di tramutarsi in intenzione volontaria causerebbe i sintomi negativi. Essi consistono in una globale povertà d’azione, che equivale a ciò che in gergo psichiatrico si chiama impoverimento (schizofrenia impoverita, un paziente impoverito, ideazione impoverita ecc.). I pazienti schizofrenici con sintomi

negativi avrebbero quindi una particolare difficoltà a generare azioni

spontaneamente, con un’importante mancanza di iniziativa, specificamente in

situazioni in cui le azioni devono essere autogenerate (Frith, 1992). In senso lato, tutto questo si configura come un complessivo disturbo della motivazione. Ciò a cui si assiste in questi casi è un quadro di grave apatia, ovvero “una riduzione dei comportamenti diretti al raggiungimento di un fine per mancanza di motivazione”

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(Vallar e Papagno, 2007, pag. 326), e di anedonia, “un’incapacità di provare piacere nelle attività che normalmente dovrebbero procurarne (attività sessuali o legate al cibo, attività relazionali o affettive)” (Vallar e Papagno, 2007, pag. 327). I disturbi della motivazione diventano spesso eclatanti in pazienti che hanno subito un trauma cranico o un’importante offesa vascolare (che può esitare in un quadro di demenza vascolare). Molti di essi sviluppano un’apatia così severa da compromettere completamente le attività strumentali quotidiane e l’autonomia. Se invitati a stare seduti in un posto, possono rimanervi per un tempo indefinito, immobili e completamente mutacici. Devono essere stimolati a iniziare ogni azione, anche quelle necessarie alla sopravvivenza, come mangiare e andare in bagno, perché non mostrano nessun segno di iniziativa in tal senso. Nei casi più gravi, devono essere continuamente sollecitati a mantenere un’attività, altrimenti la interromperebbero poco dopo averla iniziata, tornando in uno stato di totale apatia e immobilità. Se stimolati a parlare, producono brevi frasi prive di espressione emozionale, la gestualità è ridotta o assente, il volto è notevolmente ipomimico (Vallar e Papagno, 2007). Questa sintomatologia dipende da ampie lesioni bilaterali del giro cingolato anteriore (aree di Brodmann 23 e 33), mentre lesioni unilaterali e circoscritte determinano una sintomatologia più lieve (Vallar e Papagno, 2007). Sembrano interessate anche le connessioni del cingolo anteriore, spesso combinate con lesioni dell’area supplementare motoria (Vallar e Papagno, 2007). Questi dati suggeriscono che la corteccia del cingolo sia fondamentale per la motivazione e per la generazione delle azioni. Le analogie tra questo disturbo e i sintomi negativi della schizofrenia sono più che evidenti, in particolare con le forme catatoniche, per cui possiamo ritenere verosimile una comune base neuroanatomica e neuropsicologica. Il quadro di molti pazienti di questo tipo è molto simile allo “stupor catatonico”, come vedremo nei prossimi paragrafi.

Un’altra condizione è affine ai sintomi negativi schizofrenici: i parkinsonismi, che mettono la schizofrenia in stretta relazione alla malattia di Parkinson. Le due malattie sono collegate sia per alcuni sintomi sia per l’interessamento neurofisiolopatologico dello stesso neurotrasmettitore, la dopamina. Per la schizofrenia (come approfondirò successivamente) la classica ipotesi dopaminergica afferma che vi sia una specifica iperattività delle vie dopaminergiche mesolimbiche nel cervello degli schizofrenici, disordine responsabile nei sintomi positivi (Stahl, 2003). Nella malattia di Parkinson invece si assiste alla degenerazione dei neuroni della substantia nigra nel

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mesencefalo e nel corpo striato, che provoca una drastica riduzione dei livelli di dopamina (Mecacci, 2012). Nonostante questo, le due malattie non sono l’una l’opposto dell’altra. Sono invece accomunate dalla presenza, appunto, di alcuni parkinsonismi. Con questo termine si includono alcuni sintomi tipici della malattia di Parkinson, come bradicinesia (rallentamento dei movimenti volontari), acinesia (perdita parziale o totale dell’attività motoria volontaria), e difficoltà ad iniziare le azioni (Mecacci, 2012) (Frith, 1992). Secondo il modello di Frith, i parkinsonismi sarebbero l’esito di un disordine di quella via che porta le intenzioni ad agire a generare azioni (Frith, 1992). Il comportamento apparente nel Parkinson e nella schizofrenia sarebbe lo stesso e, almeno in alcuni casi, potrebbe derivare da disordini neuropsicologici simili. La differenza sta nel fatto che i parkinsoniani hanno una chiara intenzione all’azione, sanno cosa devono fare, ma non riescono a metterla in atto; in alcuni casi, agli schizofrenici forse non si presenta nemmeno l’intenzione all’azione (Frith, 1992). Esiste una malattia specifica in cui i sintomi schizofrenici e del Parkinson sono tipici e compresenti: la Demenza a corpi diffusi di

Lewy. Questa sindrome demenziale si manifesta sia con sintomi psicotici, quali deliri

e allucinazioni (anche molto vivide e dettagliate), sia con parkinsonismi, quali rigidità, bradicinesia, disturbi della deambulazione con cadute ecc. (Vallar e Papagno, 2007). Potrebbe risiedere in questa malattia il punto di congiunzione tra schizofrenia e il Parkinson.

Di fronte alla povertà nell’azione intenzionale, negli schizofrenici si assiste anche ad altre anomalie comportamentali frequentemente documentate nelle forme catatoniche. Sembrano derivare da uno sbilanciamento del giusto equilibrio tra azione determinata volontariamente e azione stimolo-guidata, a favore dell’azione dell’azione stimolo-guidata che diventa eccessiva. Tra queste anomalie vi sono l’automatismo di comando (i comandi verbali vengono seguiti automaticamente, in modo acritico, senza mediazione della volontà e del giudizio), l’ecolalia (ripetizione delle parole dell’interlocutore), l’ecoprassia (imitazione ripetitiva dei gesti dell’interlocutore), lo stupor catatonico (condizione di obnubilamento generale e temporaneo della coscienza accompagnato da arresto dell’attività motoria, assunzione di posture che vengono mantenute molto a lungo, mutismo, espressione attonita, distacco dalla realtà, riduzione dell’attività cognitiva) e flessibilità cerea (i segmenti muscolari, se vengono forzati al movimento, rimangono a lungo nella posizione in cui vengono lasciati, proprio come fossero cera) (Sarteschi e Maggini,

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1982) (Mecacci, 2012) (Kaplan, Sadock e Sadock, 2008). In particolare, lo stupor catatonico schizofrenico è associato a ipertonia muscolare, che produce catalessia, per la quale il paziente mantiene a lungo nel tempo posizioni e posture fisse (Mecacci, 2012). Ciò rappresenta un’interessante analogia con la malattia di Parkinson, perché l’ipertono e la rigidità rientrano tra i sintomi fondamentali. Un difetto di dopamina a livello cerebrale è responsabile della realizzazione di movimenti non coordinati, disarmonici e rallentati (Shultz, 2007). All’opposto, un eccesso di dopamina è collegato alla presenza di altri sintomi negativi, come le stereotipie (ripetizione continua e protratta di gesti, idee, espressioni verbali, spesso inutili e senza senso) e le perseverazioni (ripetizione di un atto, di un’espressione verbale, di un’idea con incapacità di cambiare strategia o di passare ad un altro schema di comportamento), nonché di movimenti incontrollabili come i tic (Mecacci, 2012) (Frith, 1992) (Pedro et al., 1994). La stereotipia è un fenomeno preminente nella schizofrenia, ed è stata accostata alla “follia” molto prima della nascita della psichiatria (Frith, 1992). Alcuni fisiologi del XVIII secolo avevano già notato come i folli ripetessero azioni senza alcuna variazione e presentassero la ricorrenza di una o due idee preferite, movimenti sempre uguali e senza significato (Frith, 1992). Frith elaborò un test per elicitare il comportamento stereotipato in pazienti schizofrenici. Un computer mostrava, una alla volta, delle carte rosse e nere. La sequenza prodotta dal computer era casuale, e i soggetti dovevano prevedere ogni volta se sarebbe uscita una carta rossa o nera. Dovevano dare la loro risposta scegliendo tra due pulsanti (L o R) corrispondenti ai due tipi di carte. La strategia migliore per ottenere un buon punteggio sarebbe stata quella di rispondere in modo casuale, come il computer. I pazienti schizofrenici si sono mostrati in grado di produrre solo due tipi di risposte. Quelli con segni negativi lievi, ad un primo stadio della malattia, rispondevano sempre con alternanza di risposta, di tipo LRLRLRLR, mentre i pazienti cronici con segni negativi e compromissione cognitiva mostravano perseverazione con risposte di tipo LLLLLLL (Frith, 1992). La compromissione cognitiva, responsabile del passaggio tra stereotipia di alternanza a stereotipia di perseverazione, rappresenta il processo opposto a quello evolutivo dell’individuo normale, in cui i bambini piccoli progrediscono dalle perseverazioni alle alternanze fino a giungere all’esecuzione casuale in questi compiti (Gerjuoy e Winters, 1968). A questo punto c’è da chiedersi in che modo la dopamina possa essere coinvolta in questi meccanismi, apparentemente contrastanti. Potremmo ipotizzare che nella

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schizofrenia vi sia una globale alterazione del sistema dopaminergico che porta ad effetti opposti, probabilmente dipendenti dal distretto neurale interessato. A proposito di stereotipie e tic, Frith (1992) fa notare che il collegamento tra obiettivi/progetti e intenzione all’azione è importante non solo per iniziare le azioni ma anche per terminarle, poiché in genere le azioni terminano quando viene raggiunto lo scopo. La mancanza di questa conclusione normale e l’incapacità di terminare le azioni una volta iniziate porta al comportamento perseverante e stereotipato (Frith, 1992).

È comune osservare comportamenti stereotipati in pazienti con lesioni del lobo frontale. La corretta esecuzione di compiti complessi, che comprende la cessazione degli stessi dopo un periodo opportuno, dipende dall’integrità delle funzioni esecutive. È chiaro che, negli schizofrenici, un disturbo di questo tipo -e quindi un disordine nelle connessioni descritte nel modello di Frith- risulta correlabile a disfunzioni del lobo frontale. Considerando che l’azione stereotipata è stata messa in relazione ad un’iperattività del sistema dopaminergico (David e Cutting, 1994), è interessante notare che fenomenologicamente accade la stessa cosa nella Sindrome di Tourette. Responsabili della sindrome sarebbero i livelli patologicamente alti di dopamina disponibile oppure un’ipersensibilità dei recettori dopaminergici, fattori che determinerebbero appunto la comparsa di tic motori e verbali incontrollabili e invalidanti (Harvey et al., 2002). Basta una piccola astrazione per notare che, in questi termini, la Sindrome di Tourette condivide meccanismi fisiopatologici e sintomi del tutto analoghi al Disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) e all’autismo. Infatti, l’ipotesi di un continuum DOC-autismo-Tourette è stato indagato da tempo (Cassano e Tundo, 2006) (Mercadante et al., 2004). In particolare, il DOC è stato interpretato, in termini neurofisiologici, come l’esito di un’iperattività dopaminergica nella corteccia prefrontale (Harsányi et al., 2007). Ciò è causa di un’attività eccessiva dei circuiti-

loop fronto-basali che determina appunto l’azione stereotipata e incontrollabile tipica

delle compulsioni. Potrebbe risiedere in questi meccanismi la natura “psicotica” delle ossessioni e delle compulsioni. Non a caso, molti pazienti ossessivo-compulsivi rispondono bene ai farmaci antipsicotici (Maher et al., 2011). Ciò che accomuna il DOC (e il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità) alla schizofrenia è proprio la perdita del normale automatismo nelle azioni quotidiane, la perdita del senso comune, dell’ovvietà delle cose. Il disturbo dell’ipseità e l’impoverimento della consapevolezza autonoetica, insieme alla derealizzazione/depersonalizzazione, è

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infatti presente sia in pazienti DOC che, come ampiamente spiegato, nel pazienti schizofrenici.

A questo punto sembra che nella schizofrenia coesistano due tipi di alterazioni neurofisiologiche che procurano sintomi differenti. Sono stati sviluppati alcuni modelli animali nello studio degli effetti della dopamina. Nei ratti, la somministrazione di amfetamina -che provoca un aumento della concentrazione di dopamina- provoca comportamenti stereotipati, ripetitivi e inutili (Frith, 1992). Proporzionale all’aumento di dopamina disponibile, sembra esservi una riduzione del repertorio di risposte possibili (Robbins, 1982) (Lyon e Gerlach, 1986). Robbins e Lyon (1982, 1986) hanno trovato che, negli schizofrenici, questa riduzione del repertorio di risposte, dopamina-indotta, porta a una difficoltà di selezionare le risposte appropriate (Frith, 1992). Queste difficoltà prenderebbero la forma prima di un’alternanza di risposta, poi di una vera e propria perseverazione, analoga alla ripetizione di comportamenti inutili e frammentari descritta nei pazienti frontali di Lurija o negli animali a cui era stata somministrata dopamina (Frith, 1992). Frith (1992) prevede che, in una situazione normale, un’azione venga scelta sulla base del modello di attivazione indotto da una serie di stimoli del momento. “Sarà l’azione attivata in modo più forte a svolgersi. Una volta che è stata selezionata un’azione, entrano in gioco due processi inibitori. Il primo fa sì che tutte le altre azioni vengano inibite temporaneamente; in termini psicologici, all’azione scelta dev’essere data la possibilità di provare il proprio valore. Il secondo fa sì che la scelta successiva della stessa azione venga temporaneamente inibita. Dopo che la prima azione ha avuto il suo turno, deve essere data una possibilità ad altre azioni. L’amfetamina interferisce con entrambe queste modulazioni temporanee del sistema di selezione dell’azione. Di conseguenza, alla prima azione iniziata viene dato meno tempo per esprimere il proprio valore, prima che sia dato inizio alle altre azioni. Questo porta a un aumento delle azioni attivate. A dosi più alte, questo alternarsi avviene con maggiore frequenza, ma, oltre questo limite, la prima azione selezionata non viene più inibita la volta successiva. Di conseguenza, viene dato inizio alla stessa azione ripetutamente. In altre parole, lo stimolo suscita più volta la stessa azione con nessuna modulazione a breve termine nella selezione dell’azione” (Frith, 1992, pag. 63). Ciò ha delle importanti implicazioni, ad esempio, per i disturbi di dipendenza da sostanze, dove la gratificazione e il comportamento ripetitivo, inarrestabile e incontrollabile sono parte di uno stesso meccanismo. Lo stesso avverrebbe anche nella schizofrenia, nel DOC,

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nell’autismo e nella Tourette, e in un certo senso anche nell’anoressia nervosa, in cui l’astenersi dal cibo diviene un comportamento ossessivo-compulsivo, ripetitivo e incoercibile, fonte di gratificazione e dipendenza. Tutte queste condizioni sembrano accomunate, come detto prima, da un certo grado di disturbo dell’ipseità, di derealizzazione/depersonalizzazione e di perdita del “contatto” cognitivo e affettivo con la propria mente e con il proprio corpo. L’esito comportamentale di questi fenomeni potrebbe essere, quindi, un tipo di stereotipia specifico per ogni condizione, cioè una sorta di compensazione patologica a uno stato di mancanza di autoaffezione, di vuoto di consapevolezza autonoetica. In queste ragioni troverebbe fondamento l’idea dell’intrinseca “psicosi” di tutte queste condizioni. Un indizio indiretto del fatto che l’anoressia nervosa sia approssimabile a una condizione psicotica è dato dall’efficacia dei programmi di riabilitazione cognitiva sulle anoressiche, progettati inizialmente sugli schizofrenici, come la Cognitive

Remediation Therapy (CRT) (Tchanturia, Davies e Campbell, 2007).

La genesi dell’azione volontaria coinvolge molte strutture cerebrali, che possono essere selettivamente danneggiate, anche nella schizofrenia. Considerando i circuiti fronto-basali (Vallar e Papagno, 2007), lesioni della corteccia frontale possono portare all’impossibilità di sviluppare un progetto di azione appropriato (Frith, 1992). Lesioni ai gangli della base (nucleo caudato, globo pallido e putamen) non comprometteranno la capacità di creare un piano di azione, né di selezionare la risposta appropriata nell’intenzione ad agire; piuttosto, non permetteranno di fornire una risposta pur avendo un’intenzione d’azione (Frith, 1992). Nella schizofrenia possono essere compresenti questi danneggiamenti.

Alcuni studi PET hanno indagato i correlati neuroanatomici e funzionali specifici nella volontà all’azione[13]. La volontà viene descritta essenzialmente come un’esperienza soggettiva in cui si ha la percezione di poter scegliere liberamente di agire (David e Cutting, 1994). Metodologicamente, è un costrutto difficile da indagare, ma sono state escogitate alcune strategie. È stato registrato il flusso ematico regionale (regional cerebral blood flow - rCBF) in pazienti schizofrenici sottoposti ad alcuni compiti cognitivi. Sono stati confrontati i rCBF delle condizioni in cui i soggetti venivano invitati a generare parole di una certa categoria semantica con le condizioni in cui i soggetti articolavano parole prodotte dall’esaminatore. Confrontando le due condizioni si può estrapolare il rCBF corrispondente all’attività autodiretta della ricerca di parole, quindi si può avere una misura relativa all’attivazione cerebrale

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implicata nel costrutto volontà (David e Cutting, 1994). Negli individui normali, l’attività volontaria era correlata con una maggiore attivazione funzionale della corteccia prefrontale dorsolaterale (DLPFC), soprattutto quella sinistra (David e Cutting, 1994). Lo stesso risultato è stato ottenuto con compiti di generazione di attività motorie (David e Cutting, 1994). Liddle et al. (1992) hanno trovato che proprio la DLPFC sinistra risultava meno attiva in pazienti schizofrenici che mostravano povertà d’azione, cioè pazienti “negativi”. Questo dato suggerisce che la DLPFC sinistra sia implicata nella generazione di azioni spontanee e nella volontà d’azione. In uno studio su pazienti catatonici, Liddle et al. (1992) hanno trovato nuovamente la minore attivazione della DLPFC sinistra, insieme ad una diminuzione di attività nella corteccia parietale ed a un aumento di rCBF nella testa del nucleo caudato di destra e di sinistra. Altri studi PET hanno confermato questi risultati. Andreasen et al. (1992) hanno trovato una diminuita attivazione nella corteccia frontale mediale, compreso il cingolo anteriore, e nella corteccia parietale in pazienti con sintomi negativi prevalenti. Molina Rodriguez et al. (1997) hanno ottenuto una correlazione inversamente proporzionale tra sintomatologia negativa e perfusione prefrontale. In uno studio SPECT, Wang et al. (2003) hanno trovato una correlazione tra sintomi negativi e diminuito flusso nella corteccia frontale orbitale sinistra e superiore frontale bilateralmente.

Tra i sintomi negativi vengono inclusi anche il manierismo e la disprassia-goffaggine. Il manierismo viene definito come una serie di comportamenti caratterizzati da artificiosità dei gesti, della mimica facciale, del modo di parlare e di muoversi (Mecacci, 2012), dell’abbigliamento, da un uso strano, insolito e ampolloso del linguaggio e da posture inadeguate e non spontanee (Cutting, 1985). Lo psichiatra Ludwig Binswanger considerava il manierismo come un disordine dello sviluppo dell’ipseità, una sensazione di perdita di automatismo del sé che porta il soggetto ad attuare comportamenti non spontanei ma guidati da “maniere” offerte dal mondo esterno (Mecacci, 2012). Il manierismo linguistico è per altro uno degli aspetti più evidenti nel paziente E.N., marcatamente negativo. La disprassia è un disturbo dell’esecuzione dei movimenti volontari finalizzati ad uno scopo, che si manifesta con una globale goffaggine nei movimenti (Mecacci, 2012) e l’uso di strategie motorie stereotipate e inflessibili. Tipica dello spettro autistico, frequentissima nella Sindrome di Asperger, è associata a disfunzioni parietali sinistre (Cutting, 1985).

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L’appiattimento affettivo e l’isolamento sociale riflettono in gran parte la povertà ad azione e la povertà di comunicazione profonda (Frith, 1992). La povertà d’azione può essere certamente la causa principale di questi due aspetti, ma potrebbe, almeno secondariamente, essere la conseguenza di particolari disturbi comunicativi verbali e non verbali. Sintomi negativi schizofrenici come l’ipomimia, l’alogia, i disturbi pragmatici e il ridotto contenuto emotivo nella prosodia compromettono severamente la comunicazione. Oltre a questo dobbiamo considerare anche gli invocati disturbi percettivi delle espressioni emotive facciali e vocali (Cutting, 1985). Questi aspetti devono essere necessariamente pensati come interagenti in modo ricorsivo e bidirezionale. Un disturbo primario della comunicazione e dell’iniziativa sociale procura evidentemente un peggioramento continuo degli stessi aspetti. In uno studio fMRI, Fahim et al. (2005) hanno trovato che, rispetto ai soggetti con appiattimento affettivo, i soggetti senza appiattimento affettivo mostravano un significativo aumento di segnale nelle regioni limbiche e paralimbiche durante l’esposizione a immagini a valenza emozionale negativa (Pancheri, 2007).

L’isolamento sociale, l’appiattimento affettivo e gli interessi ristretti fanno parte di un disturbo che può essere prodromico della schizofrenia, ma anche compatibile con forme lievi di autismo: il Disturbo di personalità schizoide (A.P.A., DSM-IV-TR, 2001).

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