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2.3 XIV-XV secolo

2.3.1.3. Convento di S Maria in Betlem

La chiesa di S. Maria in Betlem, originariamente nota con il nome di Santa Maria di Campulongu, ospitò una delle più antiche comunità religiose francescane della Sardegna.

Figura 25: Chiostro del convento di S.Maria in Betlem.

Lo storico F. Vico colloca intorno al 1220-1230 l'arrivo dei Minori conventuali in città, i quali si sarebbero insediati presso il monastero benedettino di S.Maria di Campulongu,

databile agli inizi del XII secolo (Porcu Gaias 1996: 28). La costruzione del convento è posticipata da E. Costa al 1275 (Costa 1992: 304-305) e, tale data, è sostanzialmente confermata da studi più recenti (Porcu Gaias 1996: 309) che individuano la prima attestazione della presenza francescana a Sassari nel testamento del mercante Gualtieri da Volterra (1274) in cui i frati di Sassari compaiono fra i destinatari di un lascito. La chiesa di Santa Maria, situata extra e prope muros di fronte alla porta Utheri, e la comunità francescana ospitatavi, sono inoltre incitate nel capitolo CXIX degli Statuti Sassaresi; a tale voce, infatti, si stabilisce che, per evitare discordie e cattive intenzioni fra i sassaresi «pro sa clamatura dessos anzianos dessu Cumone», le borse elettorali con i nomi dei consiglieri da estrarre a sorte siano affidate a «su Guardianu dessos padres

minores de Santa Maria de Sassari».

Tra Febbraio e Agosto 2008, contestualmente ad alcuni lavori di ristrutturazione e riqualificazione del complesso conventuale, sono state condotte indagini archeologiche d'emergenza nel pianterreno del convento38. Scavi in estensione (aree 10000 - 12000) e sondaggi di valutazione (aree 10500 - 11000), hanno consentito di acquisire dati utili alla ricostruzione delle fasi di cantiere e di vita della fabbrica francescana.

La data del primo impianto risale al tardo XIII secolo, con la costruzione del complesso conventuale gotico, probabilmente sul sito di un precedente insediamento benedettino; troverebbe dunque conferma, la cronologia nota dalle fonti citate in precedenza. Alla prima fabbrica seguirono, fino al XIX secolo, numerose ristrutturazioni e ampliamenti. La comunità francescana occupò il convento fino alla soppressione degli ordini religiosi (1866) e al conseguente incameramento dei

Figura 26: La cisterna, -US 10160 (foto M.C. Deriu).

beni da parte del Demanio; in seguito, la struttura fu utilizzata come caserma fino al ritorno dei frati negli anni '50 del Novecento.

I frammenti faunistici esaminati provengono dal vano 1 dall'Area 10000 (US 10162), un ambiente a pianta rettangolare connesso ad un ampliamento dell’ala est del complesso conventuale. L’ambiente, originariamente utilizzato come vano di servizio, era dotato di una cisterna subellittica poco profonda e di un pozzo nero, entrambi defunzionalizzati nel corso del XV secolo. La cisterna, realizzata contestualmente al Vano (XIII-XIV sec.) fu utilizzata inizialmente come piccola riserva idrica e, nel corso del XV secolo, venne adibita a discarica.

Figura 27: Scavo del riempimento della cisterna (foto M.C.Deriu).

L'US 10162, corrispondente al primo strato di obliterazione della cisterna in oggetto, era caratterizzata da terra a forte componente di limo, da un alto quantitativo di reperti faunistici, ceramici, vitrei e da alcuni oggetti in metallo. Il riempimento è collocabile nell’ambito del XIV secolo per la presenza di numerosi frammenti di brocche di Maiolica arcaica e ciotole smaltate tipo Pula di produzione spagnola.

Figura 28: Frazione residua dell'US 10162 (foto M.C.Deriu).

Una parte del campione è stata sottoposta a flottazione, operazione che ha consentito il recupero di frammenti molto piccoli (spesso nell'ordine del millimetro) di squame, spine di pesce e piccoli parti di guscio. Una parte della frazione residua è stata vagliata nel maggio del 2008 nell'ambito di un laboratorio di bioarcheologia avviato tramite l’Università di Sassari (cattedre di Archeozoologia e di Archeologia Medievale); la restante parte del campione è stata separata dal sedimento ghiaioso contestualmente allo studio delle faune. Complessivamente sono stati analizzati 14507 frammenti, di cui 7607 indeterminati, 1453 vertebre, 268 costole e 2583 frammenti determinabili ripartiti fra le diverse specie.; ad essi si aggiungono, inoltre, numerosi frammenti di gusci d'uovo i quali, insieme alle numerose tracce riconducibili al contatto con il fuoco, confermerebbero l'origine prettamente alimentare del deposito faunistico (resti di pasto e di cucina). L'elevata frammentarietà e le dimensioni notevolmente ridotte dei reperti giustificano la cospicua presenza di resti indeterminabili.

NR NMI

Echinidae 73

Monodonta sp. 5

Theba pisana O.F.Müller 13

Helix aspersa O.F.Müller 2

Eobania vermiculata O.F.Müller 4

Pisces 2179

Condrichthyes 6

Muraena helena L. 110

Mugilidae 23

Sciaena umbra L. 4

Argyrosomus regius Asso 1

Symphodus mediterraneus L. 1 Serranus scriba L. 4 Serranus cabrilla L. 1 Dentex dentex L. 14 Oblada melanura L. 1 Pagrus pagrus L. 18

Pagrus auriga Valenciennes 2 Pagellus bogaraveo Brünnich 93

Pagellus acarne Risso 2

Pagellus erythrinus L. 1 Sparus aurata L. 17 Diplodus sargus L. 7 Sparidae 62 Aves 228 Gallus gallus L. 160 19

Alectoris barbara (Bonnaterre) 29 6

Rallidae 1 1

Columba livia Gmelin 1 1

Turdidae 2 1 Turdus merula L. 5 2 Turdus iliacus L. 2 2 Sylviidae 1 1 Corvidae 17 4 Corvus monedula L. 11 2 Rattus sp. 2 Rattus rattus L. 64 Apodemus sylvaticus 372 Canidae 2 1

Canis familiaris L. 87 3

Sus scrofa domesticus L. 473 11

Cervidae 8 1

Cervus elaphus L. 1 1

Dama dama L. 2 1

Bos taurus L. 23 4

Ovis aries L. 225 15

Ovis vel Capra 758 23

Tabella 14: S. Maria in Betlem. Quantificazione dei reperti determinabili.

Considerando il numero dei frammenti, tra i mammiferi gli ovicaprini (983 in totale) sono la categoria più rilevante, cui fanno seguito i suini (473 frammenti); tale rapporto è confermato anche dal confronto dei relativi NMI. Tra i resti di ovicaprini, nessuno è stato attribuito alla capra; per la pecora si sono riconosciuti almeno 15 individui, di cui uno superiore a tre anni e mezzo, sei aventi un'età compresa fra 20 mesi e tre anni e sette soggetti di età inferiore a sette mesi (di cui almeno uno inferiore a tre mesi). Nella categoria "Ovis vel Capra" abbiamo un NMI pari a 23: un solo individuo è superiore a tre anni e mezzo, un altro è, invece, inferiore a 3 mesi; tutti gli altri esemplari si trovano nelle classi di età intermedie (la maggior parte dei frammenti ha entrambe le epifisi non fuse). L'elevata presenza di ossa del post-craniale non fuse ha reso difficile il calcolo dell'altezza al garrese, possibile solo sui diversi astragali presenti. Per la pecora, su tale parte anatomica, sono state calcolate 14 altezze al garrese, con un valore medio di 58,54 cm, uno minimo di 55,64 e uno massimo di 61,34 cm. Le principali tracce di macellazione (tagli e troncature) si concentrano sull'arto anteriore e posteriore; alcuni graffi sono presenti sulle diafisi di tibia, omero, femore e sul margine craniale della scapola mentre le tracce dovute all'azione del fuoco sono visibili su femore distale, omero distale e prossimale, estremità inferiore del radio, della tibia e dei metapodi.

Ovicap. Pec. Bue Maia. Cerv. Cervo Daino Canide Cane Ratto Topo Rodit. Cranio 30 12 2 1 Masc./Mand. 19 14 3 9 68 Denti 96 1 24 18 9 39 Atl./Epis./Ver. 5 1 2 3 2 2 61 Costole 2 Cinto scapol. 47 11 5 1 1 1 1 4 Arto ant. 132 84 1 22 9 16 77 Carpo/Tarso 204 49 8 198 1 2 23 1 2 Arto poster. 216 40 11 26 7 0 1 26 118 2 Falangi 9 40 169 29

Tabella 15: S. Maria in Betlem. Ripartizione dei frammenti fra le parti anatomiche (mammiferi).

La maggior parte dei frammenti attribuiti al maiale è costituita da elementi del carpo, del tarso e da falangi; tale distribuzione influisce notevolmente sulla quantità assoluta dei resti poiché, come è noto, i suidi presentano quattro metapodi per arto, cui corrispondono altrettante file di falangi (diversamente, ad esempio, dai bovidi che presentano III e IV dito fusi nell'osso cannone e due sole file di falangi per arto). Per tale motivo, nonostante l'elevato numero di frammenti attribuiti alla specie (473), il NMI è relativamente basso (11 soggetti).

Per quanto riguarda l'età di abbattimento, si è riscontrata una netta prevalenza di giovani e sub-adulti; un unico individuo è di età avanzata (fase di usura dentaria V); i restanti frammenti (ad eccezione di tre coxali e due metapodi) appartengono ad individui inferiore ad un anno di età. Diversi frammenti (osso frontale, mandibola, coxale, scapola, diafisi di omero e tibia) presentano tracce dovute all'azione del fuoco. Le troncature, non molto frequenti, sono localizzate su omero, coxale, ulna, angolo della mandibola, atlante ed epistrofeo; si segnala, infine, la presenza di diversi graffi e tagli paralleli sulla diafisi dell'omero e sul coxale. L'altezza al garrese media è di 70,12 cm con un minimo di 67,75 (su IV metacarpo) e un valore massimo pari a 74,03 (su III metacarpo).

Il bovino è attestato da soli 23 frammenti, attribuibili ad almeno quattro differenti individui; uno di questi è un soggetto giovane, avente meno di sette mesi; un altro ha un'età superiore a 4 anni mentre gli altri due hanno un'età compresa fra due anni e

mezzo e tre anni e mezzo; alcune tracce di macellazione (troncature, tagli e graffi) sono localizzate sugli arti e sui metapodi ma non è stata identificata nessuna traccia determinata dal fuoco.

Tra le altre specie di interesse alimentare, i molluschi sembrano ricoprire un ruolo marginale; fra gli altri invertebrati, i resti attribuiti al riccio di mare sono di dimensioni particolarmente minute, dunque ipoteticamente riconducibili ad un unico individuo. Al contrario, la presenza di uccelli domestici e selvatici è decisamente ragguardevole. Il pollo è rappresentato da 19 individui, dei quali almeno tre sub-adulti (coracoide, omero e tibiotarso con epifisi non fuse); una conferma indiretta dell'importanza del pollame è, inoltre, fornita dalla rilevante quantità di frammenti di guscio d'uovo. Attraverso un metodo elaborato dalla B.Wilkens è stato possibile effettuare una prima quantificazione volta a stabilire un approssimativo NMI. Pesando dei gusci di uova di galline ruspanti, il valore medio per ogni guscio sporco intero (cioè ancora con la pellicola interna) è di 5,5 grammi con una variabilità compresa tra 4 e 8 grammi; la maggior parte dei gusci ha un peso pari a 5-6 grammi. Dividendo il peso totale dei frammenti rinvenuti (331 gr.) per il peso medio unitario così stabilito (5,5 gr.), si ottiene un NMI approssimativo di 60,18 uova. L'elevata percentuale di uova e di reperti ittici può ricondurre alle prescrizioni alimentari monastiche e alla relativa astensione dal consumo di carne in particolari momenti dell'anno liturgico. La regola francescana, in particolare, prescriveva il digiuno obbligatorio «dalla festa di tutti i santi fino alla Natività del Signore» e durante la

Quaresima che precede la Pasqua di Resurrezione, oltre ad un digiuno facoltativo

durante «la santa Quaresima che incomincia dall'Epifania e dura ininterrottamente per

quaranta giorni». Inoltre, lungo il resto dell'anno liturgico, i frati erano tenuti a

Figura 29: Frammenti di guscio d'uovo in corso di studio.

Tra gli altri volatili, è possibile ipotizzare un consumo alimentare per la pernice (confermato anche dalla presenza di tracce imputabili a cottura), il piccione, il rallide e il tordo. Per quest'ultimo, in particolare, è stata riscontrata la specie T. iliacus (volgarmente nota con il nome di "tordo sassello") un uccello migratorio, di passo nelle aree mediterranee tra fine ottobre e fine novembre39; il ripasso avviene tra fine gennaio e fine febbraio. La cattura del volatile, dunque, deve essere avvenuta tra la stagione autunnale e quella invernale. Tale ipotesi sembrerebbe rafforzata dal confronto con l'età di morte degli ovini. Sappiamo, infatti, che la pecora di razza sarda normalmente partorisce i suoi agnelli tra il mese di ottobre e quello di marzo e, tra i reperti di S. Maria attribuiti agli ovini figurano, appunto, diversi giovani fra cui un neonato.

Figura 30: Turdus iliacus.

39

Aves Pollo Pernice Tordo Merlo Turdidi Corvidi Taccola Silvidi Rallidi Piccione Vertebre 10 Costole 22 Clavicola 12 5 Coracoide 4 23 2 2 1 Sterno 9 Scapola 6 6 1 2 Omero 16 23 5 2 1 3 1 Radio 19 9 3 Ulna 8 13 4 2 2 Carpomet. 5 2 2 3 2 Lombosac. 16 5 Coxale 3 5 Femore 23 19 3 4 1 Tibiotarso 32 26 7 1 6 6 1 Fibula 4 7 1 Tarsomet. 1 3 1 Falangi 16 5 Ossa Lung. 31

Tabella 16: S. Maria in Betlem. Ripartizione dei frammenti fra le parti anatomiche (uccelli).

Tra i resti ittici40 prevalgono gli sparidi e la murena. Come nel caso di via Satta, anche qui si tratta di esemplari di dimensioni modeste. Si può supporre che le zone di pesca costiere che dovevano rifornire anche l’interno, fossero sottoposte a eccessivo sfruttamento e quindi i pesci non riuscissero a raggiungere età elevate. Nel caso di via Satta, gli acquisti ripetuti di piccole quantità per le necessità di una famiglia favorivano la varietà delle specie, mentre una comunità monastica come quella di S.Maria doveva tendere ad acquistare un maggior numero di pesci della stessa specie per poter cucinare la medesima pietanza per tutti i monaci. La mortalità sembra distribuita durante tutto l’arco dell’anno, con una minore incidenza in inverno.

Fra le specie di interesse non alimentare sono presenti tre cani (uno giovane inferiore a 5-6 mesi e due individui rispettivamente superiori a 15 e 16-18 mesi); da un radio

I roditori (così come i corvidi) erano indubbiamente richiamati dalla presenza di rifiuti e resti di cibo. Sappiamo, inoltre, che a breve distanza dalla chiesa di S. Maria in Betlem, era localizzato uno dei punti di raccolta dei rifiuti domestici, cui si fa riferimento negli Statuti. La presenza del topo selvatico, inoltre, è legata ad un habitat di tipo rurale, quale appunto doveva essere quello circostante la chiesa ubicata extra muros.

Figura 31: La più antica rappresentazione della città di Sassari, contenuta in un manoscritto del 1631 di Francisco de Carmona. In basso a destra è visibile S. Maria (modificato da Orlandi 1998).