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La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà

1. I L DIRITTO ALL ’ UNITA E AL RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE NELLA NORMATIVA

1.3. Il diritto all’unità familiare negli strumenti regionali sui diritti uman

1.3.3. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà

Corte EDU

Tra i numerosi strumenti convenzionali in materia, una particolare analisi merita in questa sede la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, testo normativo cardine della tutela dei diritti umani e dotato di un meccanismo giurisdizionale permanente che consente agli individui di richiedere la tutela dei diritti ivi compresi attraverso il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo con sede a Strasburgo37. Prima di affrontare nel merito le disposizioni

in materia di famiglia contenute nella Convenzione, si rende necessario fare due veloci digressioni in riferimento alla portata generale di tale testo. Per prima cosa è necessario ricordare che i diritti garantiti dalla CEDU sono diritti “esterni” che si impongono all’ordinamento nazionale da una prospettiva di carattere internazionalista, per questo necessitano di una particolare metodologia di analisi da parte dei

37 Sulla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in generale cfr. C. Russo, P. M. Quaini, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, seconda edizione, Milano 2006, p. 154 ss; C. Defilippi, D. Bosi, R. Harvey (a cura di), La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, commentata ed annotata, Edizioni Scientifiche italiane, 2002.

46 giuristi interni38. Tali disposizioni convenzionali pongono obblighi di

risultato che incombono sullo Stato nel suo complesso, cioè attraverso l’attività di tutti i suoi organi, gli Stati membri debbono assicurare il rispetto dei diritti individuali sanciti dalla Convenzione, nulla viene indicato in merito alle modalità con cui tali obblighi debbano essere soddisfatti lasciando piena autonomia agli Stati parte nel determinare le misure concrete di attuazione39. Mentre dunque il diritto dell’Unione

europea entra nell’ordinamento interno attraverso l’art. 11 della Costituzione ed implica “cessioni di sovranità”, la CEDU entra nell’ordinamento interno per il tramite della legge di ratifica ed assume rango di fonte infra-costituzionale in virtù dell’art. 117 primo comma Cost., che impone al legislatore interno il rispetto degli obblighi internazionali40.

Il secondo aspetto cui far cenno è che nella Convenzione pochissime disposizioni si rivolgono esclusivamente agli stranieri, in quanto la CEDU è stata concepita come strumento a carattere universale, in contrapposizione alla normativa internazionale preesistente tesa ad assicurare un determinato standard di trattamento agli stranieri. La conseguenza di tale evoluzione è data dal riconoscimento di diritti che qualsiasi individuo che si trovi nell’ambito della giurisdizione di uno

38 In proposito: Panzera-Rauti-Salazar-Spadaro, Quattro lezioni sugli stranieri, cit., p. 35, 36, 37, 38.

39 Gli Stati possono prevedere attraverso la normativa di adozione che le norme convenzionali diventino una volta rese esecutive “parte del diritto interno” cioè munirle di effetti diretti cosicché possano essere applicate direttamente dagli operatori giuridici interni. Tale sistema se pur considerato uno dei migliori al fine di garantire il rispetto degli obblighi convenzionali in realtà non pone al riparo da eventuali violazioni. Una forma di controllo efficace predisposta per prevenire ed eventualmente porre fine alle violazioni è invece rappresentata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale controlla per ogni specifico caso che la Convenzione sia stata rispettata.

40 Il diritto UE direttamente applicabile obbliga il giudice alla disapplicazione della norma interna incompatibile, mentre se il contrasto della norma interna è con la CEDU il giudice non può disapplicare ma deve sollevare questione di costituzionalità, secondo la giurisprudenza inaugurata con le sentenze gemelle n. 348 e n. 349 del 2007.

47 Stato parte può far valere nei confronti di tale Stato indipendentemente dall’esistenza di un vincolo di cittadinanza. Questo è il motivo per il quale difficilmente la Convenzione formula diritti a favore degli stranieri a ragione della circostanza che i diritti convenzionali sono generalmente garantiti a tutti indistintamente. Detto questo è pur vero che è possibile rinvenire nella Convenzione varie disposizioni che se anche non sono espressamente rivolte agli stranieri assumono una particolare curvatura quando di fatto ad essi sono applicate41.

Dopo aver fatto cenno agli aspetti di carattere generale ed entrando ora nel vivo del tema dell’integrità familiare e della sua tutela, ci accorgiamo immediatamente che la Convenzione pone al centro del sistema l’art. 8, in cui si sancisce il “diritto al rispetto della vita privata e familiare”, ad esso la CEDU collega strettamente oltre all’art. 12 relativo al diritto a sposarsi ed a fondare una famiglia anche l’art. 3 il quale afferma che nessun individuo può essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti. Nello specifico l’art. 3 viene in considerazione riguardo all’eventuale diniego di ammissione o espulsione dello straniero che si configurerebbero incompatibili, laddove possano integrare trattamenti inumani e quindi rientranti sotto l’espresso divieto dell’art. 3. A fare da substrato alle disposizioni fin ora richiamate c’è l’art. 1 rubricato: “Obbligo di rispettare i Diritti dell’Uomo”, in cui le Alte Parti Contraenti riconoscono ad ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati nel Titolo primo della Convenzione rendendo così possibile che disposizioni specifiche della Convenzione stessa possano essere applicate anche a stranieri con l’unico requisito che si trovino sotto la giurisdizione di uno Stato contraente.

41 Enzo Cannizzaro, I diritti degli stranieri nella CEDU, Lezione tenuta a Reggio Calabria presso l’università in data 3 dicembre 2015.

48 Come si è detto, il diritto al rispetto della “vita privata e familiare” è garantito dall’art. 8 della Convenzione, che però si astiene dal definire tale espressione. La Corte EDU ci agevola in questo non facile compito ed infatti nel caso Omojudi c. Regno Unito42, troviamo una serie di

chiarimenti a riguardo da parte della Corte, la quale nel paragrafo 37 ricorda che l’articolo 8 CEDU protegge il diritto di instaurare e sviluppare relazioni con altri esseri umani e il mondo esterno, comprendendo a volte aspetti relativi all’identità sociale della persona. Riconosce inoltre che la totalità dei legami sociali tra i migranti stabilmente soggiornanti e la comunità in cui vivono costituisce una parte del concetto di “vita privata” ai sensi dell’articolo 8 CEDU, indipendentemente quindi dall'esistenza o meno di una "vita familiare". L'espulsione di un migrante stabilmente soggiornante può costituire un'interferenza con il suo diritto al rispetto della vita privata intendendo con ciò l’integrità fisica e psicologica della persona, il diritto allo sviluppo personale e il diritto di stabilire e mantenere relazioni con altri esseri umani e con il mondo esterno. Dipenderà dalle circostanze del caso concreto vedere la Corte concentrarsi maggiormente sulla tutela della "vita familiare" piuttosto che sull'aspetto relativo alla "vita privata" entrambi comunque protetti allo stesso modo dalla suddetta disposizione. Secondo taluni esponenti della dottrina il riconoscimento di tale diritto introduce limiti di carattere progressivo al potere dello Stato di espellere, allontanare, respingere o rifiutare un permesso per motivi familiari allo straniero, ciò in considerazione della circostanza che tali provvedimenti potrebbero di fatto condurre alla violazione di un diritto convenzionalmente garantito43. Più dettagliata la seconda

42 The European Court of Human Rights, case of Omojudi v. the United Kingdom n.1820/08, 24 November 2009. Le sentenze sono reperibili sul sito internet: http://www.echr.coe.int.

43 Per limite progressivo posto alla libertà dello Stato, nell’ambito della gestione degli stranieri e in particolare riguardo ai provvedimenti di allontanamento, si intende che

49 parte dell’articolo, il quale prevede che: “Non può esservi ingerenza di

una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”. Ferma

pertanto la tutela dei diritti su citati, la Convenzione garantisce protezione anche rispetto alle interferenze arbitrarie dei pubblici poteri, ingerenze che specifica essere legittime, e quindi non rientranti nel divieto dell’art. 8 solo se previste dalla legge e in quanto costituiscano misura necessaria nell’ottica degli interessi e della tutela nazionale. La disposizione in esame secondo la giurisprudenza della Corte, impone due tipi di obblighi, uno positivo che si sostanzia in comportamenti attivi che lo Stato è chiamato ad avere per adempiere all’obbligo di tutela della vita privata e familiare, l’altro negativo che si sostanzia in obblighi di non fare, ovvero di astenersi dal compiere qualsiasi azione che possa interferire nella sfera familiare dell’individuo. Nell’adempiere ad entrambi gli obblighi lo Stato deve trovare un giusto equilibrio tra i concorrenti interessi generali e individuali nell’ambito del margine di apprezzamento che gli è conferito, inoltre la procedura decisionale prevista deve essere equa44.

mentre per uno straniero privo di ramificazioni sociali l’espulsione potrà essere comminata più agevolmente, al contrario man mano che l’integrazione dello straniero nella comunità nazionale si radichi, attraverso la frequenza alla scuola, lo svolgimento di una attività lavorativa, le attività sociali sue e dei suoi familiari conviventi, sarà più difficile emettere tale sanzione. La conformità rispetto alla Convenzione di provvedimenti di allontanamento formalmente identici varia in relazione al grado di radicamento sociale dei loro destinatari, cosicché uno Stato potrà essere costretto a tollerare la presenza sul proprio territorio di uno straniero pur privo di idoneo titolo di soggiorno, al fine di non incidere in maniera intollerabile sulla sua vita privata e familiare.

44 Il diritto al rispetto della «vita privata e familiare» di cui all’art. 8 della CEDU, nell’interpretazione della Corte Edu: il rilievo del detto principio sul piano del diritto

50 Da quanto sin ora detto, il principio che traspare dalla norma esaminata nel suo complesso e dalla giurisprudenza della Corte EDU appare essere quello per cui fermo il diritto alla tutela della vita privata e familiare degli individui, e posta la sovranità dello Stato in materia di immigrazione cioè nell’esercizio del potere di controllo di ingresso e soggiorno degli stranieri, si considerano legittime le interferenze e le limitazioni a tale diritto solo se giustificate dai motivi contenuti nell’art. 8 al secondo comma nell’ottica di una contemperamento degli interessi in campo.

La Corte EDU è intervenuta in molte occasioni per verificare la correttezza e la non lesività del diritto all’unità familiare da parte dei provvedimenti adottati dagli Stati contraenti, seguendo per tale controllo un iter di tipo classico che si sostanzia nel rispondere a cinque quesiti, cioè la Corte al fine di valutare il caso concreto e la sussistenza di una eventuale violazione si chiede se:

• esista una vita familiare effettiva, • ci sia stata una ingerenza in questa, • tale ingerenza sia prevista dalla legge, • tale ingerenza persegua un fine legittimo,

• tale ingerenza sia necessaria ad una società democratica, vale a dire se sia giustificata da un bisogno sociale imprescindibile45.

Dal quadro che si compone per il tramite di questa sorta di indagine e considerando altresì che il diritto al ricongiungimento non deve essere considerato un diritto incondizionato e assoluto46, ma una prerogativa

che va valutata caso per caso effettuando un bilanciamento di interessi

internazionale e su quello del diritto interno. Maria Giulia Putaturo Donati Magistrato, assistente di studio presso la Corte costituzionale.

45 Cfr. A. Zanobetti Pagnetti, Il ricongiungimento familiare fra diritto comunitario, norme sull’immigrazione e rispetto del diritto alla vita familiare, in Famiglia e diritto, 6/2006, p. 552 ss.

51 e rispettando quello dello Stato ad esercitare il controllo dei flussi migratori, la Corte valuta la correttezza dell’operato delle Parti contraenti47.

Oltre al bilanciamento degli interessi, al fine di valutare la correttezza o meno di un provvedimento viene tenuto in considerazione anche un altro parametro di fondamentale importanza a cui la Corte fa riferimento in numerose sentenze, quello della proporzionalità; in una società democratica tutte le decisioni in materia e quindi le misure emanate qualora incidano su uno dei diritti protetti dall’art. 8 devono essere necessarie, cioè giustificate da un bisogno sociale e soprattutto devono essere proporzionate al fine legittimo perseguito48. La Corte ha

chiarito che nell’adozione dei provvedimenti restrittivi il principio di proporzionalità può dirsi correttamente rispettato, quando la misura restrittiva si renda necessaria per la tutela dell’interesse fondamentale dello Stato e se, data la situazione personale e familiare del soggetto, l’obiettivo perseguito non possa essere ottenuto con provvedimenti meno severi.

Si è fin qui accertato che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la giurisprudenza della relativa Corte in modo incontrovertibile riconoscono la tutela del diritto alla famiglia; da ciò ne deriva come logico corollario il diritto al ricongiungimento familiare. A questo punto risulta imprescindibile identificare con precisione quale sia la nozione

47 Nell’esercizio del suo potere di controllo, la Corte non ha il compito di sostituirsi ai giudici nazionali, infatti è prerogativa degli Stati assicurare il rispetto dell’ordine pubblico e controllare l’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento degli stranieri. Il compito della Corte è quello di verificare, alla luce della causa nel suo complesso, se le decisioni dagli stessi adottate, in virtù del loro potere discrezionale, siano compatibili con le disposizioni della Convenzione, di volta in volta evocate.

48 Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenze del 21 giugno 1988, Berrehab c. Paesi Bassi, parr. 27-29; del 18 febbraio 1991, Moustaquim c. Belgio, parr. 43-47; del 26 marzo 1992, Beldjoudi c. Francia, parr. 67-72; del 26 settembre 1997, El Boujaidi c. Francia, parr. 39-41; del 21 ottobre 1997, Boujlifa c. Francia, parr. 39-45; del 19 febbraio 1998, Dalia c. Francia, parr. 52-55; del 2 agosto 2001, Boultif c. Svizzera, par. 48; dell’11 luglio 2002, Amrollahi c. Danimarca, par. 35.

52 di famiglia che la Convenzione accoglie, a tal fine preziosa è risultata la prassi della Commissione europea dei diritti dell’uomo secondo la quale l’elemento fondamentale della vita familiare è costituito dal mutuo godimento da parte dei genitori e dei figli della reciproca compagnia, a questo concetto “base” dovrà poi affiancarsi una prospettiva evolutiva e mutevole della famiglia che tenga conto delle condizioni sociali economiche e religiose dei diversi individui.

La Corte ricomprende nella nozione di famiglia una quantità di relazioni interpersonali molto estesa, esaminando nei ricorsi presentati a Strasburgo i vincoli che legano “de facto” i diversi interessati. Nell’interpretare la nozione di “vita familiare”, la Corte, talora applicando anche l’articolo 14, ossia il principio di non discriminazione nel godimento dei diritti sanciti dalla Convenzione, ha garantito tutela a un modello di famiglia più ampio rispetto a quello “tradizionale” pur sottolineando la facoltà degli Stati di accordare ai diversi modelli forme differenziate di tutela. La nozione di «vita familiare» include anzitutto i coniugi e i figli legittimi, dal momento e per il fatto stesso della nascita e a prescindere dalla coabitazione. L’esistenza, quindi, di un matrimonio non fittizio comporta la sussistenza di una vita familiare che, relativamente al rapporto tra ciascun coniuge e la prole, non viene meno in caso di scioglimento del matrimonio e affidamento dei figli a un solo genitore49. La Corte include poi nella nozione di “vita familiare”

i rapporti tra partner di sesso diverso che formano la cosiddetta famiglia di fatto, anche definita convivenza more uxorio, con cui si indica genericamente l'unione stabile e la comunione di vita spirituale e materiale tra due persone, non fondata sul matrimonio. Si

49 A riguardo le sentenze della Corte EDU: Marckx c. Belgio A 6833/74; Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito, 28 mai 1985, § 62, serie A no 94; Beldjoudi c. Francia, 26 marzo 1992, serie A no 234-A; Berrehab c. Paesi Bassi, 21 juin 1988, § 21 serie A no 138.

53 considerano in questo caso rilevanti una serie di indici fattuali quali la coabitazione, la sua durata e la presenza di figli, presenza che tuttavia non è condizione essenziale per l’esistenza di una vita familiare tra i partner50. L’articolo 8 non impone però agli Stati contraenti l’obbligo di

prevedere per le coppie non sposate uno statuto giuridico analogo a quello delle coppie coniugate; disparità di trattamento in materia di benefici previdenziali e di diritto all’abitazione della casa familiare dopo la rottura del rapporto di coppia sono state in passato considerate giustificate51. La nozione di vita familiare copre anche la filiazione

naturale riconoscendo l’esistenza di un rapporto familiare per il solo fatto della nascita, anche in assenza di convivenza tra i genitori, o in mancanza di contatto tra genitore non convivente e figlio52. La

Convenzione non garantisce il diritto di adottare, ma la filiazione adottiva costituisce “vita familiare” ai sensi dell’art. 8, così come la filiazione costituita mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita. La Corte ha, infatti, considerato tale la relazione stabile tra un individuo sottopostosi a un intervento di mutamento di sesso, il partner di sesso biologicamente uguale (femminile) e il figlio di quest’ultima, concepito mediante inseminazione eterologa53. La Corte

ha tuttavia ritenuto che l’articolo 8 non obbligasse lo Stato a riconoscere giuridicamente come filiazione il rapporto familiare de

facto creatosi tra il minore e il partner transessuale della madre. La

nozione di vita familiare include anche la parentela tra nonni e nipoti, tra zii e nipoti e tra fratelli ma sotto condizione di una prova più

50Su tale argomento le sentenze della Corte EDU: del 16/03/1975 Marckx c. Belgio, A.6833/74 e la sentenza del 16/12/2007, Emonet e altri c. Svizzera A. 39051/03; oltre a Kroon e altri c. Paesi Bassi, 27 ottobre 1994; e Keegan c. Irlanda, 26 maggio 1994. 51 Sentenza G.A.B. c. Spagna, n° 21173/93, décision de la Commission du 30 août 1993.

52 Sentenza Keegan c. Irlanda, 26 mai 1994, genitori separatisi prima della nascita del bambino.

53Sentenza Pini e altri c. Romania, nos 78028/01 et 78030/01, CEDH 2004-V. Sentenza Regno Unito, 22 aprile 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997-II., §§ 36-37.

54 rigorosa dell’esistenza di legami personali effettivi, quali ad esempio la coabitazione o l’effettuazione di visite frequenti al fine di godere della compagnia reciproca54. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha poi

ammesso che costituiscono vita familiare le unioni poligamiche55.

Punto dolente nella giurisprudenza della Corte è stata la qualificazione come vita familiare delle unioni intercorrenti tra persone dello stesso sesso: la Corte ha infatti a lungo negato la qualifica di vita familiare a tali unioni, tutelando le prerogative delle persone e delle coppie omosessuali unicamente sotto il profilo del diritto al rispetto della vita privata. L’evoluzione della società ha però spinto la Corte a seguire un approccio via via sempre più “progressista” e diverse sentenze sono particolarmente sintomatiche del cambio di rotta che la giurisprudenza della Corte stava avviando. In queste sentenze pur evitando di esprimersi direttamente sulla questione se le relazioni omosessuali costituiscano vita familiare o meno, la Corte ha accordato tutela alle stesse sulla base di altre disposizioni della Convenzione. Nel primo caso Karner c. Austria 24 luglio 2003 n. 40016/98, la Corte ha ritenuto che il diniego al partner omosessuale del diritto di successione nel contratto di locazione dell’immobile abitato dalla coppia costituisce una violazione degli articoli 8 e 14, ove tale diritto sia previsto a favore del partner eterosessuale. Pur qualificando la fattispecie in termini di discriminazione nel godimento del domicilio, la Corte sottolinea che l’obiettivo di protezione della famiglia tradizionale è legittimo, ma che, ove venga in rilievo una differenza di trattamento basata sull’orientamento sessuale, il margine di discrezionalità di cui gli Stati

54 Sentenza Bronda c. Italia 9 giugno 1998, § 51 Recueil des arrêts et décisions 1998- IV; Pla et Puncernau c. Andorra n. 69498/01, CEDH 2004-VIII; Ticli e Mancuso c. Italia, 23 marzo 1999 e Zampieri c. Italia, 3 giugno 2004; Scozzari e Giunta c. Italia.

55 Sentenza 6 gennaio 1992, Alilouch El Abasse c. Paesi Bassi, n. 14501/89, D.R. 72, “costituisce vita familiare il rapporto tra un padre bigamo e il figlio avuto dalla prima moglie”.

55 contraenti godono è ridotto. Nel secondo caso Schalk e Kopf c. Austria 24 luglio 2010 n. 30141/04 i ricorrenti chiedevano alla Corte di riconoscere che il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, sancito all’art. 12 della CEDU, fosse esteso anche alle coppie omosessuali, nonostante il chiaro disposto dell’articolo stesso, che riferiva tale diritto a “uomini e donne, in età matrimoniale”. I ricorrenti sostenevano ciò in forza di una possibile interpretazione evolutiva che s’imponeva con riguardo a tale disposizione della CEDU e che la Corte stessa aveva avallato in altre sentenze in cui aveva riconosciuto l’applicabilità dell’art. 12 alle coppie formate da soggetti transessuali56.