2. I L DIRITTO ALL ’ UNITÀ E AL RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE NELLA NORMATIVA
2.3. I diritti conferiti ai familiari ammessi al ricongiungimento
Individuate le categorie di familiari ammesse al ricongiungimento, si rende necessario a questo punto esaminare lo status e i diritti di cui tali soggetti godono in virtù delle disposizioni della direttiva in esame. L’art. 24 nel ribadire il principio generale di non discriminazione in base alla nazionalità, enunciato già dal Trattato ex art. 12, espressamente stabilisce che: “ogni cittadino dell'Unione che risiede nel territorio dello
Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del Trattato137. Il beneficio di
tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente” questa regola fortemente garantistica ha lo
scopo di agevolare l’ingresso di tali soggetti nell’ambiente lavorativo e sociale del nuovo Stato. Sono previste al 2°comma due eccezioni a tale regime: ovvero, lo Stato membro ospitante non è tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni d'assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, se del caso, durante il periodo più lungo previsto all'articolo 14, paragrafo 4, lettera b)138, né è tenuto a concedere prima
136 Cfr. in questi termini G. Sirianni, Il diritto degli stranieri all’unità familiare, cit., p. 100 ss; L. Pascucci, Coppie di fatto: un limite al ricongiungimento familiare? cit., p. 1045.
137 Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal Trattato e dal diritto derivato.
138 Si riferisce al periodo in cui i cittadini dell'Unione e i membri della loro famiglia siano alla ricerca di un posto di lavoro e hanno buone possibilità di trovarlo. La norma prevede che in tal caso non possono essere allontanati dallo Stato, ma lo stesso non ha obbligo di corrispondere aiuti.
113 dell'acquisizione del diritto di soggiorno permanente aiuti di mantenimento agli studi, compresa la formazione professionale, consistenti in borse di studio o prestiti per studenti, a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari. Sotto questo profilo la direttiva appare molto più restrittiva rispetto alla giurisprudenza comunitaria in materia, la ragione di tale rigidità è di tipo economico, in quanto la concessione fin da subito di questi aiuti graverebbe notevolmente sul welfare statale, inoltre questo arco temporale può essere inteso come una sorta di “periodo prova” al fine di accertare l’effettività della volontà di stabilirsi in tale nuovo Stato, la direttiva infatti non vieta gli aiuti sociali per il lavoratore migrante e i suoi congiunti semplicemente ne sposta il momento di possibile erogazione.
Continuando nella disamina delle disposizioni, si rileva che la normativa in oggetto esclude espressamente restrizioni al godimento del diritto di residenza e soggiorno che risulta esteso ai familiari dei lavoratori ammessi al ricongiungimento, si prevede altresì per questi, la facoltà di circolare liberamente nel territorio dello Stato e di esercitare attività economiche. Dopo un periodo di cinque anni di residenza legale ed ininterrotta i familiari acquisiscono allo stesso modo del cittadino comunitario, il diritto di soggiorno permanente, di cui si tratterà più diffusamente in seguito. Tale riconoscimento rappresenta una novità prevista dalla direttiva 2004/38, la quale sganciando i diritti dei familiari da quelli del lavoratore ha colmato una grossa lacuna in merito.
Il diritto di soggiorno viene declinato secondo opzioni diverse, graduando di caso in caso le formalità amministrative necessarie per il rilascio del relativo permesso, all’art. 6 si prevede il diritto di soggiorno per un periodo non superiore a tre mesi, in questa circostanza non è necessaria alcuna ulteriore condizione o formalità salvo: il possesso di
114 una carta d'identità o di un passaporto in corso di validità; la norma prosegue dicendo che le disposizioni del paragrafo 1 si applicano anche ai familiari in possesso di un passaporto in corso di validità non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che accompagnano o raggiungono il cittadino dell'Unione. Alternativamente, per un periodo di soggiorno superiore a tre mesi il diritto viene concesso con formalità identiche sia al cittadino comunitario sia ai familiari, anch’essi cittadini dell’Unione, che lo raggiungono, ed infatti l’art. 8 richiede l’iscrizione presso le autorità competenti con rilascio di un certificato139. Il familiare non
avente la cittadinanza di uno Stato membro deve invece fare richiesta di una carta di soggiorno140 ma l'inadempimento dell'obbligo rende
l'interessato passibile di sanzioni che la norma qualifica proporzionate e non discriminatorie naturalmente mai potranno consistere nell’espulsione o nell’inflizione di pene detentive. All’obbligo per i
139 L’art. 8 comma 5, prevede però che oltre ai documenti prescritti per il cittadino titolare del diritto di soggiorno, i suoi familiari ne presentino altri per la richiesta e il rilascio dell’attestato di iscrizione:
a) carta d'identità o passaporto in corso di validità;
b) un documento che attesti la qualità di familiare o l'esistenza di un'unione registrata;
c) se opportuno, l'attestato d'iscrizione del cittadino dell'Unione che gli interessati accompagnano o raggiungono;
d) nei casi di cui all'articolo 2, punto 2, lettere c) e d), la prova documentale che le condizioni di cui a tale disposizione sono soddisfatti;
e) nei casi di cui all'articolo 3, paragrafo 2, lettera a), un documento rilasciato dall'autorità competente del paese di origine o di provenienza attestante che gli interessati sono a carico del cittadino dell'Unione o sono membri del nucleo familiare di quest'ultimo, o la prova che gravi motivi di salute del familiare impongono la prestazione di un'assistenza personale da parte del cittadino dell'Unione;
f) nei casi di cui all'articolo 3, paragrafo 2, lettera c), la prova di una relazione stabile con il cittadino dell'Unione.
140 Art. 9 Formalità amministrative per i familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro
1. Quando la durata del soggiorno previsto è superiore a tre mesi, gli Stati membri rilasciano una carta di soggiorno ai familiari del cittadino dell'Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro.
2. Il termine entro il quale deve essere presentata la domanda per il rilascio della carta di soggiorno non può essere inferiore a tre mesi dall'arrivo.
3. L'inadempimento dell'obbligo di richiedere la carta di soggiorno rende l'interessato passibile di sanzioni proporzionate e non discriminatorie.
115 familiari di richiedere la carta di soggiorno corrisponde quello speculare degli Stati di rilasciarla entro sei mesi, questa ha una validità di cinque anni dal rilascio o per la durata del soggiorno se questo è più breve, infatti il diritto di soggiorno del familiare non comunitario, non è autonomo141 ma dipende da quello del cittadino che accompagna
seppur con delle eccezioni. La validità della carta non può essere pregiudicata da assenze temporanee142.
La direttiva intende altresì tutelare dal verificarsi di alcune particolari circostanze i familiari che usufruiscono del diritto di soggiorno, a tal fine acquista un notevole rilievo il possesso della cittadinanza di uno degli Stati membri, in quanto in tal caso la conservazione del diritto acquisito è più agevole e non legata a particolari ulteriori requisiti. A tal proposito gli artt. 12 e 13 regolamentano rispettivamente, la conservazione del diritto di soggiorno in caso di decesso o di partenza del cittadino dell'Unione143, e il caso di divorzio, di annullamento del matrimonio o
di scioglimento dell'unione registrata.
Un enorme rilievo riveste l’art. 16 il quale prevede l’attribuzione di un diritto di soggiorno permanente che il familiare acquisisce se rimane legalmente ed in via continuativa per cinque anni nel territorio dello Stato ospitante unitamente al cittadino dell’Unione144, la previsione del
requisito temporale serve ad evitare possibili abusi. Dal riconoscimento del diritto di soggiorno permanente derivano innumerevoli vantaggi tra
141 Dalla Relazione della Commissione nel commento all’art. 9 “il diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro discende dal diritto del cittadino dell’Unione”.
142 Art.11 direttiva 2004/38.
143 Si prevede in ogni caso che la partenza del cittadino dell’Unione o il suo decesso non comportano la perdita del soggiorno dei figli o del genitore che ne ha l’effettivo affidamento se i figli si sono iscritti in un istituto scolastico per seguirvi gli studi, finché non terminano gli studi.
144 Poiché la direttiva non disciplina direttamente la posizione dei familiari aventi la cittadinanza, si deve ritenere che operi nei loro confronti il disposto generale dell’art.16 a termini del quale il diritto si ottiene dopo un soggiorno legale e continuativo per cinque anni.
116 cui, quello di non essere più tenuti a dimostrare di possedere risorse economiche sufficienti oltre ad un’assicurazione sanitaria e quello di beneficiare dei sistemi di assistenza sociale dello Stato ospite.
In conclusione, possiamo affermare che la direttiva amplia in maniera significativa la possibilità del familiare di ottenere un diritto di soggiorno autonomo145.
Un’importante diritto viene ribadito dalla direttiva, ovvero quello di accesso al lavoro per i familiari ammessi al ricongiungimento: l’art. 23 rubricato “diritti connessi”, espressamente prevede che “I familiari del
cittadino dell'Unione, qualunque sia la loro cittadinanza, titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente in uno Stato membro hanno diritto di esercitare un'attività economica come lavoratori subordinati o autonomi”, notiamo dunque un ampliamento
rispetto alla norma di medesimo contenuto inserita nel regolamento 1612/68, il quale consentiva l’esercizio di solo lavoro subordinato146.
Non è altresì rilevante se il cittadino in questione lavori, studi o semplicemente soggiorni nello Stato ospite, in quanto i familiari possono cominciare la loro attività lavorativa semplicemente assolvendo le stesse formalità richieste ai cittadini di quello Stato. Da rilevare inoltre che: tale diritto viene esteso a tutti i familiari e quindi non è più ad esclusivo vantaggio di coniuge e figli come in passato. È necessario qui puntualizzare che l’espresso riconoscimento della possibilità di accedere al mercato del lavoro nello Stato ospitante ha
145 Cfr. A. Adinolfi, La libertà di circolazione delle persone, cit., p. 150.
146 Il regolamento 1612/68 si limitava a riconoscere ai familiari ammessi al ricongiungimento familiare l’accesso a qualsiasi attività subordinata nello Stato membro ospitante.
Cfr. F. Caggia, Famiglia e diritti fondamentali nel sistema dell’Unione Europea, cit. p. 66 ss; K.P.E. Lasok, Law & Institutions of the European Union, cit., p. 497; A. Adinolfi, La libertà di circolazione delle persone, cit., p. 153 ss; id., Cfr. A. Adinolfi, L’art. 39, in Trattati dell’Unione Europea e della Comunità Europea a cura di A. Tizzano, 2007, cit., p. 365 ss.; E. Guild, The legal elements of European Identy – EU citizenship and Migration Law, cit. p. 105 ss; K. Hailbronner, Immigration and Asylum Law and Policy of the European Union, cit., p. 188 ss.
117 rilievo in particolar modo per i cittadini di Paesi terzi; non si dimentichi invero che i familiari cittadini comunitari hanno un diritto “autonomo” di accesso al lavoro nel territorio dell’Unione il quale discende direttamente dal Trattato147.
La Corte ha altresì precisato che le attività di lavoro da parte del familiare devono poter essere esercitate nello stesso modo in cui il lavoratore, titolare del diritto di libera circolazione, esercita le proprie148, ciò posto si riconosce ai familiari il diritto di esercitare anche
quelle attività sottoposte ad un regime di autorizzazione amministrativa ed a specifiche norme di diritto professionale, purché il lavoratore soddisfi la duplice condizione di possedere le qualifiche e i diplomi necessari a norma delle leggi dello Stato membro ospitante per esercitare detta professione, ed osservi la normativa specifica. In aggiunta, la Corte ha stabilito che il familiare ha diritto di accedere a qualsiasi attività lavorativa anche se questa attività viene esercitata in un posto lontano dal luogo di soggiorno149 e nella sentenza Gul, ha
sancito che il familiare del lavoratore comunitario deve poter accedere al lavoro in condizioni di eguaglianza con i cittadini dello Stato membro ospitante: infatti, il trattamento non discriminatorio previsto dall’art. 3, n. 1 primo comma del regolamento 1612/68 “consiste nell’applicare
alle persone ivi contemplate le stesse disposizioni relative,
147 Cfr. A. Adinolfi, L’art. 39, in Trattati dell’Unione Europea e della Comunità Europea a cura di A. Tizzano, 2007, cit., p. 365 ss.
148 Vedi la sentenza del 7 maggio 1986 causa 131/85, Gül, in Racc., 1986, p. 1573 ove la Corte ha statuito che l’art. 11 del regolamento 1612/68 deve essere interpretato nel senso che il diritto del coniuge del lavoratore, che fruisca della libera circolazione dei lavoratori nell’ambito della Comunità, di accedere a qualsiasi attività subordinata comprende il diritto di accedere all’esercizio di professioni soggette ad un regime di autorizzazione amministrativa ed a norme professionali specifiche, qualora il coniuge possieda le qualifiche professionali ed i diplomi prescritti dalle leggi dello Stato membro ospitante per l’esercizio di tale professione.
118
regolamentari ed amministrative che si applicano ai cittadini nazionali”150.
2.4. Limiti all’ingresso e soggiorno per ragioni di
ordine pubblico e sicurezza, nonché per motivi
di sanità
L’art. 45 par. 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea elenca circostanze di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica al verificarsi delle quali la circolazione dei lavoratori può essere limitata, e dunque lo Stato ha facoltà di negare l’ingresso oppure adottare misure limitative della libertà di circolazione nei confronti di stranieri già ammessi nel proprio territorio151.
La direttiva 64/221 sul coordinamento dei provvedimenti riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri e la 2004/38 capo VI, artt. 27 e seguenti, hanno notevolmente contribuito a precisare il contenuto di tali limiti, su cui successivamente è intervenuta anche la Corte, chiarendo che detti concetti non possono essere interpretati unilateralmente dagli Stati ma che è necessaria una visione unitaria della portata di tali restrizioni, in quanto queste incidono direttamente sul principio cardine dell’Unione ovvero la libertà di circolazione. La Corte inoltre pur riconoscendo l’esigenza di lasciare, in questa materia, alle competenti autorità nazionali un certo potere discrezionale, in numerose sentenze ha voluto fornire precisazioni sui
150 Vedi la sentenza Gül cit., paragrafo 26. Cfr A. Adinolfi, La circolazione dei cittadini di Stati terzi: obblighi comunitari e normativa nazionale, cit., p. 143.
151Cfr. sull’argomento in generale M. Condinanzi-A. Lang-B. Nascimbene, Cittadinanza dell’Unione e libera circolazione delle persone cit., p. 118 ss; C. Zangì, Istituzioni di diritto dell’Unione europea, cit., p. 299 ss; A. Adinolfi, La libertà di circolazione delle persone cit., p. 121 ss; id. La libertà di circolazione delle persone cit., p. 109 ss.
119 concetti di “ordine pubblico” e di “pubblica sicurezza”152,
interpretandoli restrittivamente così da circoscrivere cautelativamente la libertà di apprezzamento statale. Questo si è tradotto, nell’affermazione che il diritto alla libera circolazione di cittadini di Stati membri può essere limitato solo se la loro presenza o il loro comportamento costituiscono “una minaccia effettiva e abbastanza
grave per l’ordine pubblico”153, ma tale minaccia deve essere “attuale”
e deve riguardare “uno degli interessi fondamentali della
collettività”154. Inoltre, non è possibile ammettere, come ha dichiarato
la Corte richiamandosi alla Convenzione europea sui diritti dell’uomo, restrizioni che trascendano ciò che è necessario, per soddisfare le esigenze di ordine pubblico in una società democratica.
La direttiva 64/221, inoltre stabilisce che misure restrittive dell’ingresso e del soggiorno possono essere adottate solo in relazione al comportamento personale dello straniero, la Corte ha perciò ulteriormente escluso che si possano “prendere in considerazione, nei
confronti dei cittadini degli Stati membri della Comunità, motivi che prescindano dal caso singolo e quindi adottati su considerazioni di prevenzione generale”155 ed ancora la stessa ha affermato che la riserva
relativa all’ordine pubblico, di cui agli artt. 48 e 56 del Trattato, giustifica misure restrittive del soggiorno solo se lo straniero ha posto
152La disciplina dei limiti giustificati da motivi di sanità pubblica, ora è dettata dall’art. 29 della direttiva 2004/38. I limiti posti alla libera circolazione in questi casi valgono solo per il diritto di ingresso o per impedire il sorgere del diritto di soggiorno, in quanto sono applicabili solo entro i tre mesi dalla data dell’ingresso.
La lista contenuta nella direttiva del 1964 contenente l’indicazione delle malattie e infermità capaci di mettere in pericolo la sanità pubblica è stata abrogata ed è stata sostituita dal riferimento “a malattie con potenziale epidemico, quali definite dai pertinenti strumenti dell’Organizzazione mondiale della sanità, nonché altre malattie infettive o parassitarie contagiose”.
Nessun riferimento esplicito è stato fatto all’ipotesi più controversa di contagio da AIDS, più volte posta dagli Stati membri a giustificazione del diniego di ingresso. 153 Sentenza 28 ottobre 1975, Rutili, causa 36/75, in Raccolta 1975, p. 1232. 154 Sentenza 27 ottobre 1977, Bouchereau, causa 30/77, in Raccolta 1977, p. 1999. 155 sentenza 26 febbraio 1975, Bonsignore, causa 67/74, in Raccolta 1975, p. 297.
120 in essere un comportamento che l’ordinamento reprime anche nel caso in cui sia tenuto dal proprio cittadino156. La stessa si è altresì
espressa sull’automaticità del provvedimento di espulsione nel caso di inflizione di condanna penale, sancendone l’illegittimità: occorre infatti che le autorità nazionali svolgano comunque una valutazione circa la reale pericolosità del soggetto e solo in caso di esito positivo lo Stato può emanare un provvedimento espulsivo157. Rilevante in questa sede
è la pronuncia della Corte nel caso Gaydarov, del novembre 2011, la quale ha dichiarato che gli artt. 21 TFUE e 27 della direttiva 2004/38 non ostano ad una normativa nazionale che consenta restrizioni al diritto di un cittadino di uno Stato membro di spostarsi sul territorio di un altro Stato membro a causa, di una condanna penale subita dal cittadino medesimo in un altro Stato per traffico di stupefacenti, subordinatamente però alla presenza di alcune condizioni, in primo luogo, che il comportamento personale di tale cittadino costituisca una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società, in secondo luogo, che la misura restrittiva prevista sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non ecceda quanto sia necessario al suo conseguimento, e, in terzo luogo, che la misura medesima possa costituire oggetto di sindacato giurisdizionale effettivo che consenta di verificarne la legittimità, in fatto e in diritto, con riguardo alle esigenze del diritto dell’Unione. Come si può agevolmente notare la Corte attraverso una copiosa giurisprudenza è riuscita a definire in modo molto preciso e circoscritto le ipotesi in cui lo Stato può limitare ingresso e soggiorno dello straniero. I principi come sopra individuati sono stati interamente
156 Sentenza 18 maggio 1982, Adoui e Cornuaille, cause riunite 115 e 116/81, in Raccolta 1982, p. 1665; sentenza 18 maggio 1989, Commissione c. Germania, causa 294/86, in Raccolta 1989, p. 1292.
157 Sentenza Bouchereau, cit. supra; sentenza 19 gennaio 1999, Calfa, causa C-348/96, in Raccolta 1999, p. I- 21.
121 recepiti dal testo normativo 2004/38 agli artt. 27 e ss., testo il cui ambito di applicazione è stato esteso anche ai familiari extracomunitari dei cittadini dell’Unione, a differenza della direttiva 64/221 la quale lasciava dubbi a riguardo.
Stanti i motivi per cui lo Stato può comminare l’espulsione, l’art. 28 fornisce “protezione contro l'allontanamento”, e tale norma intima allo Stato di tenere conto di una serie di circostanze, quali la durata del soggiorno nello Stato ospitante, la situazione familiare ed economica, l’integrazione sociale e culturale, prima di comminare una tale misura. In questo senso i diritti del migrante sono rafforzati in proporzione della durata del soggiorno e della permanenza nello Stato in cui si è trasferito, nonché dal grado di integrazione sociale raggiunta, si concretizza quindi uno “statuto rafforzato” per chi ha soggiornato a lungo nello Stato ospitante, e la misura di allontanamento diviene estrema ratio a disposizione dell’autorità. L’aspetto dunque più innovativo della disciplina e quello secondo cui il titolare di un diritto di soggiorno permanente può essere allontanato dallo Stato solo per “gravi motivi”; alternativamente la decisione di uno Stato membro che non tenesse conto di questi fattori rischierebbe di essere considerata sproporzionata e pertanto soggetta ad annullamento158.
158 Interessante un’altra sentenza della Corte in merito, questa volta, al divieto di lasciare il territorio nazionale a causa del mancato pagamento di un debito tributario, provvedimento giustificabile da motivi di ordine pubblico. nella causa Aladzhov la Corte ha stabilito che “...Il diritto dell’Unione non osta ad una disposizione legislativa di uno Stato membro che consenta alla pubblica amministrazione di vietare ad un cittadino dello Stato medesimo di lasciare il suo territorio a causa del mancato