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In uno scritto degli anni 80 del secolo appena trascorso, Norberto Bobbio lamentava che le democrazie non fossero riuscite a mantenere le promesse che avevano fatto ai consociati: promuovere condizioni di democrazia al di fuori della scena politica (come i luoghi di lavoro e gli apparati amministrativi), incoraggiare una responsabile cultura politica, eliminare i poteri invisibili e non legittimati democraticamente, eliminare l’azione dei gruppi sociali, e garantire l’effettiva indipendenza dei rappresentanti politici.166 Pensando ad uno Stato

privo di corpi intermedi, il filosofo torinese riprendeva la dottrine democratiche del XVIII secolo, le quali, partendo dal concetto di individuo sovrano, avevano concepito «uno stato senza corpi intermedi, caratteristici della società corporativa delle città medioevali e dello stato di ceti e di ordini precedenti all’affermazione delle monarchie assolute» e lamentava il fatto che «quello che è avvenuto negli Stati democratici è perfettamente l’opposto: soggetti politicamente rilevanti sono diventati sempre più i gruppi, grandi organizzazioni, associazioni della più diversa natura, sindacati delle più diverse professioni, partiti delle più diverse ideologie e sempre meno gli individui»167

                                                                                                               

166

N. Bobbio, Il futuro della democrazia, in Id. Il futuro della democrazia, Torino, Einaudi 1995, pag. 8. Il testo è ripreso e commentato da Palano, il quale analizza i fattori per i quali, proprio nella fase di maggior esaltazione teorica dei principi democratici a livello globale, la democrazia svela il suo lato debole, che pare confermato dalla sempre maggiore diffidenza che l’opinione pubblica riserva alle istituzioni politiche. D. Palano, La democrazia senza qualità, Uni Service, Trento 2010, pag. 18; C. Crouch, Postdemocrazia, tr. it. di C. Paternò, Laterza, Roma-Bari 2003

167

N. Bobbio, il futuro della democrazia, cit., pag. 8. Nonostante elenchi tali limiti delle democrazie contemporanee, il filosofo torinese giunge alla conclusione che comunque non possa essere disconosciuto il carattere democratico di questi ordinamenti: non è comunque venuto meno il contenuto minimo degli ordinamenti democratici, vale a dire la garanzia del rispetto dei principali diritti civili e politici, lo svolgimento di regolari elezioni attraverso il suffragio universale, la concorrenza di più partiti, le decisioni collettive o concordate prese sempre nel pieno rispetto del principio di maggioranza. La riflessione teorica successiva ha indagato se queste condizioni di deocrazie ‘formale’ possano bastare, da sole, a garantire il

Queste ‘promesse non mantenute’ derivavano, secondo Bobbio, dalla trasformazione stessa dello Stato democratico: la crescita economica, e il sovraccarico dei compiti assunti da parte dei governi, con la loro conseguente burocratizzazione, aveva fatto sì che gli organi legittimati democraticamente si dimostrassero inadeguati a decidere su tutte le questioni, e dovessero ricorrere, inevitabilmente, alla società civile.

Lo scenario odierno sembra condurci in parte lontano dalla riflessione teorica del filosofo torinese. I cambiamenti che, proprio a partire dagli anni ‘80, hanno investito le società occidentali, determinati dalla progressiva espansione su scala planetaria dei rapporti economici, hanno causato una crisi forte degli assetti politici esistenti, e della politica in generale. I primi, di natura statale e territoriale, si sono trovati a confrontarsi con agenzie e organizzazioni che difficilmente possono essere inquadrati attraverso la concettualità tradizionale168.

La politica stessa è sembrata così inadeguata a far fronte alle esigenze del nuovo mercato globale, che si è giunti a discorrere della sua insignificanza169, ovvero

della sua assoluta incapacità di assumere decisioni nei nuovi contesti. La mobilità assoluta dei capitali di investimento ha comportato la indipendenza di                                                                                                                

principio democratico. Lo studioso dei sistemi neo-corporativi Crouch ha sostenuto che l’attuale fase politica possa essere definita come post-democrazia, e sia caratterizzata da un iperpotere delle élites economiche e dalla fine dell’egualitarismo. Non assistiamo al deliberato abbandono delle regole e delle procedure democratiche, anzi viene proclamata una certa soddisfazione per lo stato delle democrazie, ma di fatto si persegue la limitazione della partepazione , da parte delle masse, alla vita politica, e si crea una classe politica sempre più coesa. C. Crouch, Industral relations and the European State tradition, Clarendon Press, Oxford 1993. Pur non condividendo la nozione di post-democrazia, anche Salvadori, ritiene che, al di là del trionfo dichiarato della democrazia, oggi le ‘condizioni formali’ stesse della democrazia siano poste in discussione, in quanto i suoi principi di funzionamento risultano scossi da eventi di carattere economico, politico e sociale, che egli individua nell’offensiva neo-conservatrice, nella riduzione delle garanzie dei lavoratori, nell’avvento della globalizzazione economica e infine nella scomparsa della alternativa anticapitalista. M. Salvadori, Democrazia senza democrazia, Laterza, Roma Bari 2009. Per un confronto tra il pensiero dei due autori, Cfr. D. Palano, La democrazia senza qualità, cit.

168

Su questo aspetto rimandiamo a A. Catania, Metamorfosi del diritto, Laterza, Roma Bari 2008.

169

C. Castoriadis, Les carrefours du labyrinthe, tome 4 : La montée de l'insignifiance, Seuil, Paris 1996.

questi ultimi da un territorio determinato. Sempre più numerosi si sono aggirati, nello scenario globale, una serie di investitori evanescenti la cui attività non ha (né rivendica) alcun rapporto con un territorio, né tantomeno con una nazione determinata. Al contempo, i rapporti di lavoro sono divenuti sempre maggiormente precari, lo spazio pubblico è stato porzionato attraverso la modalità della cité par projets, e l’economia è divenuta più deterritorializzata a causa dello sradicamento dal territorio delle S.P.A170. Nel frattempo, in questo

scenario di ‘modernità liquida’171, la società sembra aver iniziato un processo di

dissoluzione in una serie di individualità solitarie e frammentate: la prospettiva fordista di un futuro migliore per tutti si è inevitabilmente allontanata172, la

soggettività è stata inevitabilmente lasciata all’individuo, è divenuta ‘fai da te’. Sempre più numerosi sono presenti nella sfera pubblica i soggetti che non hanno la forza di rivendicare la propria identità173. Lo svuotamento del Welfare li

colloca in una indefinita underclass globale, ai cui appartenenti viene preclusa la possibilità di dignità e di soggettività.174 Non è rimasto spazio per una

                                                                                                               

170

Questo aspetto di territorializzazione delle grandi aziende, cui si accompagna una precarizzazione dei rapporti di lavoro, ed uno sganciamento del lavoratore sia dall’azienda per la quale lavora, sia da un determinato territorio è descritto accuratamente da Cohen, il quale afferma: « Chi inizia la propria carriera alla Microsoft non ha la minima idea di dove la terminerà. Entrare alla Ford o alla Renault, viceversa, significava la quasi certezza di iniziare e finire la propria carriera nello stesso posto" D. Cohen, Richesse du monde, pauvretès des nations, Flammarion, Paris 1997, pagg. 82-83.

171

Z. Bauman, Liquid Modernity, Polity Press, Cambridge 2000, Tr. it. Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2002.

172 L’espressione è utilizzata da M. Mele in M. Mele, Democrazia, Stato, Identità nel mercato

globale in AA. VV. Inoltre Democrazia, Jaca Book, Milano 2006.

173

Si genera inevitabilmente una struttura bipolare della società globale: da una parte, vi sono i soggetti che, avendone la possibilità, costruiscono la loro identità affacciandosi allo scenario globale, e scegliendo, ecletticamente, le caratteristiche che ritengono più favorevoli al loro status. Se volessimo utilizzare il lessico della teoria dei giochi, diremmo che sono loro i veri ‘vincitori’ del gioco della globalizzazione. Dall’altra parte permangono interessi, anche di carattere neo corporativo, che al momento non risultano nè controllati, ma di cui pure l’attuale governance esistente richiede l’appoggio.

174

Racchiusi nelle categorie che la politica e l’economia creano per loro, essi divengono vere e proprie residualità umane di cui il ciclo produttivo sembra non aver bisogno. In questo scenario, i corpi intermedi legati al territorio restano l’unica strada percorribile, per garantire una speranza di soggettività.

elaborazione di soggettività collettive, i corpi intermedi come sindacati, corporazioni professionali, associazioni di volontariato e associazioni religiosi sono state gradualmente depotenziati175. A contribuire a questa tendenza, è

intervenuto lo sviluppo dei media che, arrivando nell’immediato nelle case, agli individui, sono apparsi in grado di esautorare completamente i corpi intermedi176. Quest’ultimo fenomeno in parte è stato incoraggiato dallo stesso

potere politico, che ha rimarcato sempre più apertamente il suo tratto populista177. Così, assumendo i tratti di una democrazia plebiscitaria che usa gli

strumenti democratici di accesso al potere come il voto non in quanto tali, ma come strumenti di conferma di élites politiche già costituite178, il potere sempre

più ha sostituito, alla difficoltà della mediazione, intesa in senso hegeliano, il nesso diretto potere-popolo179.

                                                                                                               

175

Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Milano Feltrinelli, 2000. Nella postfazione al testo, Dal Lago definisce le maggioranze “sociologicamente trasparenti”. Sullo stesso tema, cfr. Id, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, tr. it. di O Pesce, Laterza, Roma-Bari, 1999.

176

F. Elefante, La Fiducia Nella Democrazia , IPOC, Milano 2006.

177

Lo spettro populista è in effetti sempre in agguato in democrazia, perché riposa sull’antico contrasto tra la ‘promessa democratica’ di un governo diretto del popolo, e il dato reale della detenzione del potere da parte di pochi su molti. I rapporti tra democrazia, populismo e genesi delle identità collettive sono indagati da Ernest Laclau, il quale, ripercorrendo la storia del primo Novevento compie un’indagine sulla psicologia delle masse ed elabora un modello teorico che riprende sia elementi della teoria politica di Gramsci, sia di quella psicanalitica di Freud e Lacan. Egli infine passa in rassegna gli esempi contemporanei di connubi tra

democrazia e populismo. E. Laclau, La ragione populista, tr. it. a cura di D. Tarizzo, Laterza, Roma-Bari 2008. Sul modo in cui il populismo sia in qualche modo legato al concetto

gramsciano di egemonia, Cfr. J. Butler ,E. Laclau, S. Zizek ,Dialoghi sulla sinistra. Contingenza, egemonia, universalità, tr. it. a cura di L. Bazzicalupo, Laterza, Roma- Bari 2010.

178

Carl J. Friedrich, Constitutional Government and democracy: Theory and practice in Europe and America, Ginn &Co, Boston 1950.

179

Questa situazione è accuratamente descritta da Georges Burdeau, il quale traccia la differenza che sussiste tra la dittatura vera e propria e la democrazia plebiscitaria. Nonostante accada spesso che la dittatura si instauri per acclamazione del popolo, non vi è alcun ricorso, in essa, nè reale, né fittizio, allo strumento di voto. Essa diviene da subito un potere apertamente costrittivo. Nella democrazia plebiscitaria il voto, che è ridotto a strumento di potere de leader, viene costantemete utilizzato, nella maniera più plateale possibile: il popolo però, nella migliore delle ipotesi, non viene interepellato su chi è tenuto a governarlo, ma sul modo in cui il governo deve avvenire. Cfr. G. Burdeau, La démocratie, Paris, Editions du

Quale ruolo assumono dunque, oggi, i corpi intermedi? Essi possono essere ancora considerati, come poteva ancora ritenere Bobbio, un arretramento per lo Stato in direzione della pre-modernità oppure, in uno scenario di ‘modernità liquida’, possono costituire il baluardo della soggettività moderna, una risorsa (antica) della democrazia?

Il testo che denota più chiaramente il pensiero di Böckenförde in materia di corpi intermedi nelle democrazie contemporanee risale al finire degli anni 70’, ma può ancora offrire degli spunti di riflessione180.

L’occasione per la sua analisi gli è offerta dalla proposta di introduzione, in Germania, di un Consiglio economico e sociale: il giurista viene chiamato ad esprimersi a tal riguardo, nell’ambito di una Commissione di inchiesta del Bundestag sulla riforma costituzionale, e questo gli offre la possibilità di una riflessione di ampio respiro, sul rapporto che si instaura, nell’ambito dello Stato sociale, tra gli ordinamenti giuridici statali e l’economia. Il giurista matura le sue riflessioni sulla scorta delle conversazioni con il suo assistente di allora, Bernard Schlink181, e con Carl Schmitt. Le vicende di quegli ultimi anni, in Germania, le

discussioni sul rinnovo dei contratti collettivi, sui pezzi agrari, rappresentano però la principale fonte di ispirazione per le sue riflessioni, e rafforzano nel giurista l’idea che il rapporto tra ordinamento giuridico statale ed economia, nello Stato sociale, sia irreparabilmente complesso. 182 Lo Stato sociale si

                                                                                                               

Seuil, 1956, pag. 55-56. A tracciare un quadro sui nuovi regimi democratico-plebiscitari inconsapevoli troviamo un testo di Benjamin Barber. (B. Barber, Strong Democracy. Partecipatory politics for a New Age, University of California Press, Berkeley 1984)

180

Lo scritto, che rappresenta la stesura dell’intervento di Böckenförde presso la Commissione di inchiesta del Bundestag, è intitolato Die politische Funktion wirtschaftlich- sozialer Verbände und Interessenträger in der sozialstaatlichen Democratie. Ein Betrag zum Problem der “Regierbarkeit”, in Der Staat, 15, 1976, pagg. 457-483.

181

L’allievo di Böckenförde è tornato ad occuparsi del tema in numerosi scritti fino ad oggi. (Cfr. A. Jacobson, B. Schlink ( a cura di) Weimar: A jurisprudence of crisis, The University of California Press, Berkeley 2001)

182

E. W. Böckenförde, La funzione politica delle associazioni economico-sociali e dei portatori di interessi nella democrazia dello Stato sociale, in Id. Stato, costituzione,

presenta, secondo Böckenförde, come un erogatore di prestazioni: promette la sicurezza e l’accordo sociale, il benessere, un progresso sociale crescente e la piena occupazione: in altre parole, la redistribuzione sociale. Non si limita a non ostacolare la realizzazione di questi obbiettivi, ma si impegna per l’effettivo conseguimento di stessi. Ciò implica la necessità di un suo massiccio intervento in ambito economico183: non una direzione ed un controllo in forma occasionale

dell’economia, come già accadeva nello Stato liberale, ma un controllo congiunturale ed economico-sociale complessivo. Questo conduce, secondo                                                                                                                

democrazia, tr. it. a cura di M. Nicoletti e O. Brino, Giuffrè, Milano 2006. pagg. 436 e segg.

183

Böckenförde dedica quindi molta attenzione al rapporto che si crea tra la legittimità e le prestazioni offerte del Welfare State. Le occasioni di riflessione sul tema gli vengono offerte dal suo ruolo di giudice costituzionale, che egli svolge negli anni compresi tra il 1983 e il 1996. Il giurista tedesco, sulla scorta della più recente dottrina costituzionale tedesca, riconduce il welfare allo stesso articolo 1 della Costituzione tedesca, ed al supremo principio della difesa della dignità umana, che essa enuncia. In senso non difforme si è espresso Häberle, in Häberle, Die Menschenwürde als Grundlage der staatlichen Gemeinschaft, in J. Isensee – P. Kirchhof ( a cura di),   Handbuch   des   Staatsrechts   der   Bundesrepublik   Deutschland,   Heidelberg, 2004, pagg. 355 segg.), e la stessa Corte costituzionale, con una recentissima sentenza: Il 9 febbraio 2010, esaminando la legittimità dell’entità dei sussidi di disoccupazione (Arbeitslosengeld) previsti nel Sozialgesetzbuch Bundesverfassungsgericht, ha ricostruito in maniera organica il principio del diritto a godere di un minimo vitale. Questo principio viene enucleato dalla Corte costituzionale a partire dal «superprincipio» della dignità umana, qualificata come «intangibile» ex art. 1. GG. Questa norma del Grundgesetz intende, secondo la Corte, tutelare tanto le sfere di libertà dei singoli dalle intromissioni dello Stato di terzi, tanto stabilire tra i compiti dello Stato quelli promozionali. È opportuno però sottolineare che Böckenförde ha indagato anche l’aspetto problematico del legame tra legittimità dello Stato e Stato sociale, il quale rischia di sostituire le prestazioni fornite ai cittadini per colmare la carenza di legittimazione ‘genetica’ di cui soffre lo Stato secolarizzato. Cfr. E. W. Böckenförde, La nascita dello stato come processo di secolarizzazione, cit., pag. 54. Inoltre, come ha sottolineato in Italia De Leonardis, legare la legittimità dello stato al welfare comporta tra le conseguenze che la crisi del welfare si traduca in un problema di legittimità dello Stato. L’elefantiasi del Welfare trasforma quest’ultimo non in un apparato a difesa del benessere sociale, ma che gestisce il (permanente) malessere sociale. Cfr. De Leonardis, In un diverso Welfare, Sogni e Incubi, Feltrinelli, Milano 1998, pag. 144. Infine, in modo particolare, riteniamo che oggi risulti particolarmente interessante il modo in cui legittimità statale e diritti sociali si intrecciano in una prospettiva sovranazionale, ad esempio nella prospettiva dell’UE. Vogliamo segnalare, per questo motivo, il testo di un autore che si è occupato di questi temi, ovvero Steffen Mau. Egli ha dedicato particolare attenzione ai temi della transnazionalizzazione e sovranazionalizzazione dei diritti sociali, e al rapporto tra welfare state, giustizia sociale e legittimità. Cfr. S. Mau, B. Veghte , Social justice, legitimacy and the welfare state, Aldershot, Hampshire 1998 e S. Mau, Transnationale Vergesellschaftung : die Entgrenzung sozialer Lebenswelten, Campus Verlag, Frankfurt a. M. 2007.

Böckenförde, ad un primo risultato: il sistema politico non solo si dimostra fortemente interessato all’aconomia ma, per taluni aspetti, si identifica con essa, perchè i compiti che lo Stato sociale assume non possono realisticamente prescindere dalla stabilità economica, ovvero dall’esistenza di un’economia in crescita e di un prodotto sociale complessivo in aumento.

La progressiva interferenza tra il potere politico e quello economico, ovvero questa dipendenza reciproca che si crea tra i due ambiti, rende inevitabilmente complesso il rapporto che si crea tra il potere politico, e taluni ‘corpi’ della società civile, ovvero le associazioni economico-sociali, i portatori di interessi, come sindacati, i grandi investitori e quei soggetti che, a diverso titolo, prendono parte alla vita economica di un paese. Böckenförde prende esattamente in considerazione tre categorie di soggetti: le associazioni economico sociali e i portatori di interessi, ovvero quei soggetti collettivi che, a qualsiasi titolo, fanno sentire la loro voce nel dibattito pubblico e cercano di influenzare le decisioni politiche ed economiche, a favore delle categorie di soggetti che rappresentano. Essi rivendicano le loro pretese sostanzialmente in due direzioni: da una parte nei confronti del potere economico, cercando di influenzare le scelte macroeconomiche che contribuiscono ad influenzare la distribuzione della ricchezza all’interno della società, dall’altra nei confronti del potere politico, quando esso assume delle decisioni in ambito economico. Non si può affermare che questi gruppi siano effettivamente titolari di un potere decisionale, all’interno dello Stato. Essi possono certamente influenzare le decisioni politico- economiche che vengono prese in un paese, per la loro capacità di fare leva su ‘corde sensibili’ della vita democratica, come la pressione sull’opinione pubblica e l’influenza sul consenso elettorale. Si può allora dire che esse non dispongono di un potere decisionale vero e proprio, ma che la loro competenza si ferma in una zona immediatamente precedente, in quanto un governo particolarmente stabile potrebbe comunque decidere di muoversi in una posizione diversa

rispetto a quella prospettata da queste associazioni. Vi sono poi due altre categorie di soggetti che possono in qualche modo essere equiparate, vale a dire quella dei soggetti provvisti di autonomia contrattuale, e quella dei grandi investitori. La categoria dei titolari dell’autonomia contrattuale, rappresenta una sorta di macrocontraente della vita economica dello Stato. La presenza di questo gigante nell’economia di un paese ha effetti difficilmente occultabili: un soggetto che regoli la contrattazione collettiva può contribuire a determinare lo sviluppo di un intero paese, condizionandone la domanda interna, gli investimenti, la formazione dei prezzi e tanto altro. Può insomma, quel soggetto, produrre (o distruggere) l’equilibrio sociale. Similmente, i grandi investitori, i quali possono essere costituiti da imprese, banche o gruppi di imprese dispongono di un potenziale di investimento che può incidere sull’economia di un paese, e condizionare in questo modo gli standard di vita dei suoi abitanti al di là di qualsiasi decisione politica assunta dallo Stato. Questi soggetti sono effettivamente titolari di un potere decisionale all’interno dello Stato, ovvero decidono su aspetti talmente significativi della vita di un paese che non possono non ritenersi ‘politici’.184

Possiamo concentrarci sugli aspetti degli scritti di Böckenförde che possiamo ritenere utili, ai fini della nostra analisi. La distinzione operata dal filosofo, infatti, tra soggetti non decidenti e soggetti quasi decidenti che abbiamo descritto, nella sua rigida differenziazione tra le diverse categorie, sembra ormai quasi del tutto superata dalla prassi, e perde oggi di attualità, vista la liquidità degli attuali sistemi di potere, e l’impossibilità di fatto di stabilire una differenza così netta tra soggetti detentori e non detentori di potere decisionale ( tutti appartenenti alla sfera pubblica, per giunta!). Appaiono ugualmente smentite le soluzioni proposte da Böckenförde, ovvero quella del sindacato unico, e alcuni                                                                                                                

184

E. W. Böckenförde, La funzione politica delle associazioni economico-sociali e dei portatori di interessi nella democrazia dello Stato sociale, cit.

rischi che egli prende in considerazione, ad esempio quello che si prospetta di un neocorporativismo dello «Stato in mano ai sindacati»185. Indubbiamente, per gli

aspetti elencati, gli scritti risultano inevitabilmente influenzati dalle vicende