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Una delle teorizzazioni più compiute, ed al contempo più precoce

dell’organizzazione del potere che definiamo ‘Stato moderno’ è stata posta in essere da Thomas Hobbes nel testo Il Leviatano. Si tratta del testo

probabilmente più conosciuto tra quelli scritti da Thomas Hobbes, certamente il più ristampato in area anglosassone ed il più tradotto all’estero213. Gli studi

hobbesiani del Novecento hanno avuto in larghissima parte ad oggetto questo testo214. Esso si presenta così denso di suggestioni da aver dato vita, nel corso

degli anni, ad una letteratura critica sterminata, e spesso contraddittoria: ‘libro maledetto’, come lo definisce Pacchi, esso è stato definito come un’opera ora «Contrattualistica ora decisionistica, ora giusnaturalistica, ora artificialistica, ora liberale e totalitaria, ora atea, ora teologico-politica»215.

Affrontando il tema della legittimità della obbligazione politica, Hobbes, nel

Leviatano, indaga gli aspetti antropologici, quelli giuridici e quelli teologici

legati alla nascita del potere politico moderno. Tutte e tre questi aspetti appaiono nell’opera hobbesiana parte di un unico discorso, e questo a dispetto di tanta letteratura secondaria che ha privilegiato ora taluni aspetti, ora altri, fornendo una visione del testo inevitabilmente parziale216.

                                                                                                               

213

Lo rivela, tra gli altri, Pacchi, nella introduzione ad una delle traduzioni in italiano del testo di Hobbes. A. Pacchi, Introduzione, in T. Hobbes, Levitano, tr. it. a cura di A. Pacchi, Laterza, Roma-Bari 2010, pag. VII.

214

Possiamo fare riferimento a tal proposito, solo per citare i testi più rilevanti, a S. I. Mintz, The Hunting of Leviathan, University Press Cambridge 1962; F. S. McNeilly, The Anatomy of Leviathan, St. Martin’s Press, New York 1968; D. Johnston, The Rhetoric of ‘Leviathan’: Thomas Hobbes and the Politics of Cultural Transformation, University Press, Princeston 1986. E, naturalmente, C. Schmitt, Scritti su Thomas Hobbes, tr. it a cura di C. Galli, Giuffrè, Milano 1986.

215

C. Galli, Contingenza e Necessità nella ragione politica moderna, Laterza, Roma-Bari 2009, pag. 38.

216

La lettura che noi offriamo della teoria politica di Hobbes prende le mosse dalla interpretazione che, del filosofo inglese, ha offerto Carl Schmitt. Ci sembra infatti che questo autore abbia tentato di tenere insieme gli aspetti più

problematici del pensiero politico hobbesiano, mettendo in evidenza che se è vero che il sistema di Hobbes fa riferimento ad un presupposto antropologico (l’uomo fama futura famelicus), questo da solo non basterebbe a fondare il potere politico, in quanto non garantirebbe l’uscita dallo stato di natura, ma si                                                                                                                

panoramica sulle diverse interpretazioni offerte dal testo hobbesiano, Cfr. B. Willms, Der Weg del Leviathan, Die Hobbes-Forschung von 1968-1978 in Beihefte zu ‘Der Staat’, 3, Duncker& Humboldt, Berlin 1979; M. Corsi Introduzione al Leviatano: le radici dello Stato moderno nel pensiero etico-politico di Hobbes, Ets, Napoli1996. Le diverse analisi fornite del testo di Hobbes hanno messo in evidenza le tre prospettive alla luce delle quali può essere letta la sua opera. Una prospettiva antropologica, alla luce della quale il potere scaturisce a causa della naturale competitività umana, che conduce gli uomini alla costruzione dello Stato il quale, unicamente, può indurli alla moderazione. Tale prospettiva si rivela, evidentemente, nelle analisi che del testo hobbesiano forniscono autori come Schmitt e Vialatoux, i quali riconducono la filosofia hobbesiana alla concezione antropologica meccanicistica e naturalistica. J. Vialatoux, La citè de Hobbes – Théorie de l’etat totalitaire. Essai sur la théorie natuarliste de la civilisation, Lecoffre edition, Lyon 1936, e C. Schmitt, Scritti su Thomas Hobbes, cit., pagg. 61-143. Questa prospettiva è stata sovente rinnegata, e vi si è stata spesso contrapposta una teoria che tenta una interpretazione di Hobbes in chiave liberale: ciò è avvenuto in maniera abbastanza frequente, fin dal periodo illuminista: dimostrano un certo interesse per Hobbes anche Diderot nella sua Encyclopédie, e Robespierre. (Cfr. M. A. Cattaneo, Hobbes e il pensiero democratico nella rivoluzione inglese e nella rivoluzione francese, in Rivista critica di storia della filosofia, N. XVII, 1962, pagg. 486-515) La

prospettiva giuridica invece, indaga il modo in cui gli uomini cedono una parte del loro diritto naturale allo Stato, il quale disciplina il comportamento sociale attraverso le leggi civili. Il Leviatano è stato spesso considerato il testo che per primo ha tentato una ‘formalizzazione’ della politica. Così Mc. Neilly ha individuato nel Leviatano (più che nelle altre opere di Thomas Hobbes) la descrizione della razionalità che disciplina i rapporti umani. Nel testo, Hobbes avrebbe abbandonato il dato fattuale, e l’elemento psicologico (ancora presenti nella sua teoria politica in opere come gli Elements o il De Cive) per concentrarsi sulla struttura formale delle relazioni tra individui. (F. S. Mc. Neily, The anatomy of Leviathan, Macmillan, London 1968, pag. 5) Nella stessa direzione, Gauthier ha sostenuto che la politica in Hobbes sia descritta in termini formali, e psicologicamente neutrali, tanto che da poter rincondurre alle pagine del Leviatano l’introduzione del concetto di autorizzazione e di persona giuridica. D. P. Gauthier, The Logic of Leviathan – The moral and Political theory in Thomas Hobbes, University Press, Oxford 1969. Una terza prospettiva di tipo teologico, che mette in evidenza l’elemento teologico in senso stretto che sussiste nell’opera di Hobbes. Così Kodalle ha messo in evidenza che il consociato si sente obbligato in quanto l’obbligazione stessa trova la sua efficacia in un una legge naturale, che corrisponde nel dovere di rispettare i patti. Poiché la stessa legge naturale deriva dalla legge divina, quest’ultima rappresenta la fonte ultima della legittimità dello Stato. K. M. Kodalle, Thomas Hobbes, Logik der Herreschaft und Vernunft des Friedens, Verlag Ch. Beck, München 1972.

limiterebbe a suggerirla. La scelta dello Stato si basa quindi altresì su un presupposto di tipo teologico-giuridico (la presunzione che la sceltà sarà a favore della nascita dello Stato) e in fin dei conti su un atto pratico, la decisione politica, con la quale si istituisce lo Stato e si costringono i sudditi

all’obbedienza. Nel mettere in evidenza questi punti della filosofia hobbesiana, Carl Schmitt indaga il modo in cui Hobbes costruisce il rapporto tra lo Stato e la religione, e più in generale tra il potere politico ‘meccanicamente costruito’ e la trascendenza, mettendo in evidenza quanto certe ambiguità del pensiero

hobbesiano si rivelino in realtà intimamente costitutive del Moderno.217

Secondo Schmitt, «Non c’è un altro filosofo i cui concetti abbiano avuto tanta efficacia»218. La situazione politica in cui Hobbes scrive è molto confusa e

conflittuale: la prospettiva religiosa permea ciascun aspetto della vita, pubblica e privata, e spesso contribuisce a generare conflitti, come le guerre civili che

sconvolgono la Francia durante la seconda metà del Cinquecento, e l’Inghilterra durante la seconda metà del Seicento, la guerra d’indipendenza olandese, e i successivi contrasti politici in Olanda219. Tanto i monarcomachi ugonotti220,

                                                                                                               

217

Cfr. C. Schmitt, Scritti su Thomas Hobbes, cit. Per una ricostruzione del pensiero di Carl Schmitt in relazione al paradigma moderno Cfr. G. Preterossi, Carl Schmitt e la tradizione moderna, Laterza, Roma- Bari 1996. Per un’analisi dei testi schmittiani che si soffermi sui concetti chiave del potere politico moderno come sovranità, decisione, eccezione,

rappresentanza, chiarendo la posizione del filosofo nel dibattito novecentesco sul rapporto tra liberalismo e democrazia, cfr. C. Galli, Genealogia della politica. Carl Schmitt e la crisi del pensiero politico moderno, Il mulino, Bologna 2010; Id., Lo sguardo di Giano. Saggi su Carl Schmitt, il Mulino, Bologna 2008; R. Cavallo, Le categorie politiche del diritto. Carl Schmitt e le aporie del moderno, Bonanno, Acireale-Roma 2007.

218

C. Schmitt, Scritti su Thomas Hobbes, cit., pag. 132.

219

Una descrizione tanto completa quanto suggestiva dell’Europa attraversata dalle guerre di religione è offerta da D. Crouzet, Les guerriers de Dieu. La violence au temps des troubles de religion, Seyssel, Champ Vallon 1990. La descrizione è tanto più interessante in quanto consente di mettere in evidenza quanto l’elemento religioso-simbolico fosse stato determinante nella genesi dei conflitti, e anzi li avesse resi più cruenti: Il periodo che precedette l’inizio delle guerre di religione era stato infatti caratterizzato dalla diffusa narrazione che l’umanità si fosse macchiata di così tanti peccati che la punizione divina sarebbe stata imminente: questa rappresentava un vero e proprio topos dei predicatori, che per anni avevano fatto leva sul panico escatologico. In Francia, la diffusione delle dottrine

quanto i parlamentari puritani e i gesuiti (guidati da Roberto Bellarmino221) risultano accomunati dall’intento di negare il potere assoluto del monarca, mentre teorici di estrazione culturale molto differente, come Bodin e Barclay, fino a sir Robert Filmer elaborano teorie per difendere e legittimare il potere sovrano222. Al contempo, le diverse congregazioni religiose sempre più spesso

rifiutano di obbedire alle Chiese di Stato: avviene per esempio con i puritani, che rifiutano di adeguarsi al Book of common Prayer imposto da Elisabetta in tutto il regno. In tale contesto, il testo di Hobbes, di indubbio valore filosofico, sembra avere altresì una vocazione propagandistica: egli persegue l’intento di dimostrare il diritto di supremazia in capo al sovrano, eliminando ogni possibile contrasto tra potere civile e quello religioso. Nel far questo, si rifà

all’orientamento anglicano, e utilizza i testi biblici. Interpreta la Bibbia in

maniera terrenistica e materialistica, per recuperare quello che egli ritiene essere il nocciolo autentico della religione cristiana223. A differenza degli altri teorici

                                                                                                               

crescente di ugonotti fu interpretata come il mezzo per poter ricongiungersi a Dio, attraverso la violenza sul corpo dei nemici che da anni veniva profetizzata. L’uccisione e il massacro degli ugonotti fu interpretato come una speranza di salvezza. (C. Magoni - R. Silvagni, Guerre di religione e violenze rituali. Immagini dalla Francia del Cinquecento, in “Storicamente”, N. 2, Bologna 2006)

220 L’apporto del pensiero filosofico ugonotto alla filosofia politica moderna, ed in particolar

modo alle teorie contrattualiste è messo in evidenza in S. Testoni Binetti, Il pensiero politico ugonotto: dallo studio della storia all'idea di contratto, 1572-1579, Centro editoriale toscano, Firenze 2002.

221 Bellarmino era stato agguerritissimo sostenitori dei diritti della Chiesa: egli era stato autore delle Disputatione de controversiis christianae fidei adversus huius temporis

haereticos ( che costituiva una risposta completa ed articolata da parte cattolica alle questioni poste dalla riforma protestante), protagonista dell’interdetto contro la Repubblica di Venezia e delle polemiche contro Giacomo I re d’Inghilterra, ed infine inquisitore del processo contro Giordano Bruno. Per una ricostruzione del pensiero di Bellarmino, Cfr. F. Motta, Una teologia politica della Controriforma, Morcelliana Brescia 2005 e V. Frajese, Una teoria della censura: Bellarmino e il potere indiretto dei papi, in “Studi Storici”, 1984, pagg.139– 152.

222 Suckow ha sottolineato l’influenza della filosofia di Filmer, ed il ruolo che egli ha avuto nella preparazione delle basi culturali per tutti gli avvenimenti successivi dell’Inghilterra, compresa la rivoluzione gloriosa. (R. Suckow, Preparation of the glorious Revolution – an analysis of philosophical writings, Grin Verlag, Nordestedt 2005).

223

Ad aver messo in evidenza il carattere propagandistico del Leviatano è stato Johnston, il quale ha puntualizzato che esso si presenta come un vero e proprio testo a favore del potere

suoi contemporanei, però, pensa soprattutto il potere politico in maniera radicale, e lo fa partendo dal conflitto. La sua esperienza biografica lo

condiziona in tal senso: nato nel 1588, mentre l’Armada Invencible si avvicinava alle coste dell’Inghilterra, seminando il panico nel paese, vive tutto il decennio delle guerra civile (1641-1651), e racconta in questo modo la sua vita: «Mia madre mise al mondo due gemelli: me stesso e la paura». La radicalità ‘coraggiosa’ del pensiero di Hobbes deriva proprio da questa lucida

consapevolezza della propria paura del conflitto, che, come ha evidenziato Canetti, egli ha espresso «con la stessa totale chiarezza che usava con le altre cose di cui trattava»224. Il filosofo elabora un disegno politico in cui non solo la

paura dell’uomo è considerata un elemento imprescindibile della genesi della politica, ma in cui pare delinearsi anche una sorta di intrinseca ‘razionalità’ della paura stessa.225 Hobbes sostiene che

«Con l’arte è stato creato il grande Leviatano, detto Stato (in latino Civitas), che non è altro che un uomo artificiale, sebbene di statura e di forza maggiori di quelli dell’uomo naturale, per la cui protezione e difesa fu inteso. Ed in esso, la sovranità è un’anima artificiale, che da vita e moto all’intero corpo»226. La

similitudine Stato/uomo artificiale di Hobbes è accurata: come ha sostenuto Carl                                                                                                                

assoluto del sovrano. (D. Johnston, The Rhetoric of Leviathan – Thomas Hobbes and the politics of Cultural Trasformation, University press, Princeton 1986. Pocock ha precisato che, oltre ad avere questa funzione, il Leviatano ha anche l’ambizione di voler fornire una versione ‘razionale’ del cristianesimo, ripulito dalle aggiunte magico-religiose, come è stato messo un evidenza in J. G. A. Pocock, Time, History and Eschatology in the Trought of Thomas Hobbes, in Id. Politics, Language, and Time, University Press, Chicago 1972)

224

E. Canetti, La provincia dell’uomo, quaderni di appunti 1942-72, Adelphi, Milano 1978, pag. 159.

225

Galli sottolinea come la paura abbia occupato un ruolo di primo piano nella filosofia classica moderna, ancor prima che esse venisse tematizzata nell’antropologia tedesca e nel post-strutturalismo francese. Ce ne accorgiamo rileggendo le opere di Machiavelli, Hobbes, Hegel e Nietzsche. Secondo Galli, attraverso la ‘teologia politica’, la paura diviene uno strumento politic, assumendo una funzione intrinsecamente politico-teoretica: essa produce ordine, forza politica. Cfr. C. Galli, La produttività politica della paura, Da Machiavelli a Nietzsche, in “Filosofia politica”, Il mulino, Bologna 2010, pagg. 9-28 e Id. Contingenza e necessità nella ragione politica moderna, cit.

226

Schmitt, «Nella lunga storia delle teorie politiche, ricchissima delle più diverse immagini, di simboli, di icone e di idoli, di paradigmi e di rappresentazioni fantastiche, questo Leviatano è l’immagine più forte e più potente»227. La

sovranità è l’anima del Leviatano, i magistrati sono le articolazioni del mostro, le ricompense e le punizioni i nervi, la ricchezza e la sicurezza degli individui che lo compongono rispettivamente la forza e la salute, la concordia tra di essi il benessere, la sedizione la malattia, i consiglieri la memoria, le leggi l’equità, la ragione e la volontà, ed infine, la guerra civile la morte. La suggestiva

similitudine però, si rivela non più che un’accurata ‘rappresentazione scenica’ del potere artificiale, dal sapore squisitamente barocco.228 Questa immagine non

solo non cela echi premoderni di legittimazione del potere politico, al contrario è la più efficace espressione del fondamento convenzionale dell’ordine politico moderno. Della rappresentazione di un potere irrimediabilmente svuotato di senso, ed arbitrario, può essere fornita, come sottolinea Bazzicalupo, soltanto una lettura ‘allegorica’229. L’immagine del Leviatano contribuisce allora alla

funzione ‘performativa’ del ‘patto’ che crea il potere politico, perché, come sostiene Benjamin, «l’allegoria è due cose insieme: convenzione e espressione: e queste sono per natura contraddittorie...e l’allegoria del XVII secolo non è convenzione dell’espressione, bensì espressione della convenzione. Espressione anche dell’autorità: segreta per la dignità della sua origine e esplicita quanto all’ambito della sua validità»230. Detto con altre parole, la grandiosa allegoria del

Leviatano, che rappresenta il monstrum del potere, nell’atto di descriverlo, contribuisce a fondare l’ordinamento giuridico, lo legittima, lo rende reale,                                                                                                                

228

Cfr. L. Bazzicalupo, L’armonia dell’irregolare: Hobbes e il manierismo politico,in G. M. Chiodi e R. Gatti, La filosofia politica di Hobbes, Franco Angeli, Milano 2009.

229

Ivi.

230

W. Benjamin, Il dramma barocco tedesco, tr. it. a cura di F. Cuniberto, Einaudi, Torino 1999, pag. 166 e pagg.180-181. Il rapporto tra teologia e politica è indagato dallo stesso Benjamin per il suo rapporto con il potere politico moderno, come si mette in evidenza in M. Ponzi, B.Witte (a cura di), Teologia e politica. Walter Benjamin e un paradigma del moderno, Aragno, Torino 2006.

presente. Non vi è nella mostruosa creatura statale che compare sul frontespizio del Leviatano nulla di naturale, non un intervento divino, né una legittimazione alla luce di un disegno trascendente onnicompresivo. Tutti gli argomenti che il filosofo utilizza per giustificare il potere politico hanno un carattere material- utilitaritico, al contempo, la questione del potere costituito perde qualsiasi aura sacrale, traducendosi in una questione di competenza politica, e di decisione sovrana231.

Non rimane traccia, nel pensiero dell’autore, del naturalismo della filosofia                                                                                                                

231  Hobbes prende in considerazione il soggetto freerider, ovvero lo stolto che decide di non

tener fede al pactum subiectionis perché considera più vantaggioso soddisfare il proprio immediato interesse personale, riprendendo così l’argomendo che era stato del Trasimaco di Platone. Il filosofo inglese utilizza questo argomento ad hoc per smentire tanto la tesi scetticista di Trasimaco, quanto quella aristotelica ripresa fino a Grozio, che considerava, la natura umana la fonte ultima dell’obbligazione al patto sociale. Coerentemente al messaggio di fondo del testo hobbesiano, il venir meno da parte dello stolto al patto sociale deriva dalla sua non adesione ai valori sui quali lo Stato si fonda, la diversità radicale dai presupposti etici dello Stato. Tale diversità è descritta da Hobbes attraverso l’espressione «Lo stolto ha detto in cuor suo: non esiste una cosa come la giustizia » (T. Hobbes, Leviatano, cit., pag. 117), che Hobbes utilizza rifacendosi al Salmo 14. Questo vuol dire che egli si dimostra non senza una propria convinzione etica, bensì meramente indifferente alle convinzioni etiche degli altri. ( D. O. Brink, Il realismo e i fondamenti dell’etica, tr. it. a cura di F. Castellani, Vita e Pensiero, Milano 2003, pagg. 55 e segg.). Hobbes dichiara irrazionale la tesi dello stolto, perché contraria allo spirito di autoconservazione che il filosofo presuppone: essa, infatti, escludendo lo stolto da alleanze e coalizioni difensive, lo conduce prevedibilmente all’ auto- distruzione , in quanto lo espone alla violenza dello stato di natura senza alleati. La obiezione dello stolto, quindi ci conduce a due importanti ordini di conclusioni: innanzitutto che la replica che il filosofo muove allo stolto è argomentata laicamente: egli non pretende affatto che lo stolto condivida la propria idea di giustizia. In secondo luogo, che il contratto sociale non resiste solo in quanto consente la massimizzazione del profitto di ciascuno, ma perchè evita la guerra civile. T. Magri, Contratto e convenzione. Razionalità, obbligo ed imparzialità in Hobbes e Hume, Feltrinelli, Milano 1994. A ben guardare, si tratta di un’argomentazione analoga a quella che utilizzerà la teoria dei giochi molti secoli dopo. Sul rapporto tra

cooperazione e potere politico, proprio alla luce di quanto chiarito dalla teoria dei giochi, ed in relazione all’argomento hobbesiano dello stolto, Cfr. P. Piirimäe, The explanation of conflict in Hobbes’s Leviathan, in Trames, 10, Tallinn 2006, pagg. 3–21.

L’argomento dello stolto consente in altre parole ad Hobbes di riflettere sulla possibilità di descrivere il modo in cui, nella società moderna si stabilizza il legame sociale. E questo avviene, per riprendere la celebre espressione di Luhmann, attraverso la negazione del primato del giudizio etico. (N. Luhmann, Amore come passione, tr. it. di M. Sinatra, Laterza, Roma-Bari 1987)  

politica classica. Il celebre passo della Politica di Aristotele « è evidente che lo Stato esiste per natura e che l'uomo è per natura animale politico e più di tutte le api e di ogni animale vivente in società. Perché la natura nulla fa invano: ora l'uomo, solo fra gli animali, ha il logos, la ragione. E il linguaggio vale a

mostrare l'utile e il dannoso, così come anche il giusto e l'ingiusto, perché questo è proprio degli uomini rispetto agli altri animali: l'aver egli solo il senso del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto»232 viene smentito da Hobbes : «è vero che

certe creature viventi, come le api e le formiche, vivono in società fra loro, e per questo sono da Aristotele annoverate fra le creature politiche, e tuttavia non hanno altra guida che quella del loro particolare giudizio o desiderio, non hanno la parola con la quale ognuna di esse possa indicare a un'altra ciò che ritiene di utilità comune per loro; di conseguenza qualcuno forse desidererà sapere perché l'umanità non possa fare allo stesso modo. Al che io rispondo: in primo luogo gli