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La storiografia costituzionale tedesca nel secolo decimonono è il primo lavoro

di Ernst Wolgang Böckenförde ad essere stato tradotto e pubblicato in Italia.125 L’opera ha un campo di indagine ristretto: tratta di alcuni degli storiografi tedeschi dell’Ottocento che si sono occupati della storiografia costituzionale della Germania. Il lavoro si apre con un’affermazione che rappresenta una presa di posizione decisa da parte dell’autore: «Gli studi di storia costituzionale sono di nuovo in movimento. Allorché Fritz Kern nell’anno 1919 dichiarò che la «vera natura statuale dello Stato medioevale» era stata definitivamente stabilita da Georg von Below, sembrò chiusa una contesa che durava da decenni ( …) Tuttavia, dopo appena quarant’anni, questa rappresentazione <statuale> dell’antica situazione costituzionale tedesca è stata posta in discussione in modo così radicale, che non solo sono stati superati i singoli risultati a cui aveva condotto, ma ne sono state addirittura scosse le fondamenta»126.

Böckenförde si preoccupa, sin dall’inizio del lavoro, di chiarire la portata della ricerca, e, citando Otto Brunner, afferma: «La delimitazione alla ricerca storico - costituzionale non si fonda sul concetto di Costituzione corrente nel XIX secolo, ma su un concetto più ampio, che intende la costituzione come la concreta forma di organizzazione politica esistente in un determinato periodo»127.

Il punto di partenza, e una delle ragioni ispiratrici dell’opera, consiste nella radicale messa in discussione della natura statuale delle costituzioni medioevali, sulle quali si concentra l’interesse degli studiosi del diciannovesimo secolo. Con                                                                                                                

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Il volume rappresenta una rielaborazione della dissertazione del dottorato in filosofia, conseguito dal giurista nel 1961. E. W. Böckenförde, La storiografia costituzionale tedesca nel secolo decimonono, tr. it. a cura di P. Schiera, Giuffrè, Milano 1968.

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Ivi, pag. 51

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questo intento, e mutuando da Brunner la consapevolezza che esista una netta discontinuità tra gli ordinamenti giuridici medioevali e quelli moderni128,

Böckenförde utilizza una lente interpretativa molto particolare, costituita dal concetto di Verfassung, nel significato che ne fornisce Carl Schmitt129, e riprende

Otto Brunner130. La Verfassung è chiramanente un istituto moderno, legato allo

Stato come ordinamento giuridico storicamente determinato131. Carl Schmitt la

                                                                                                               

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Otto Brunner, attraverso l’analisi delle fonti medioevali, aveva dimostrato quanto

l’ordinamento medioevale, costellato da una serie di centri di potere che si trovavano ora ad allearsi, ora a confliggere tra loro, non solo non potesse riconoscere la sovranità di un unico soggetto politico, ma disconoscesse addirittura il rapporto pubblico-privato. Brunner offre una dettagliata descrizione dell’ordinamento giuridico medioevale e della prima modernità, anche dal punto di vista economico: la forma prestatale è caratterizzata da un’economia

precapitalistica e legata all’oikos patrimoniale. Questo aspetto è stato approfondito da Polanyi che ha sottolineato l’impossibilità di utilizzare i moderni modelli economici per una lettura adeguata dell’economia distributiva e basata sullo scambio del mondo medioevale. Su questo aspetto cfr K. Polanyi, La sussistenza dell’uomo, tr. it. di N. Negro, Einaudi, Torino 1977.

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C. Schmitt, Dottrina della costituzione, tr. it. a cura di A. Caracciolo, Giuffrè, Milano, 1984, pag. 36.

130 Il termine Verfassung è utilizzato da Brunner in un senso non dissimile, da quello di Carl

Schmitt. Egli infatti dice della rappresentanza che essa esprime “la forma della unità del popolo». Cfr O. Brunner, Terra e Potere, cit., pag. 170. La nozione utilizzata da Brunner appare però maggiormente proiettato ad una riflessione storica Come sottolinea Schiera, egli riprendendo la nozione di Carl Schmitt, « la estende al di là del momento storico per il quale Schmitt l’aveva forgiata, elevandola a strumento interpretativo valido in generale per ogni periodo storico” P. Schiera, La storiografia costituzionale tedesca nel secolo decimonono (introduzione), cit., pag. 23. Il confronto tra la nozione di Verfassung utilizzata da Carl schmitt, e quella invece che viene utilizzata da Brunner è agevole consultando il testo di O. Brunner, Per una nuova storia costituzionale e sociale, (1970) tr. it. a cura di P. Schiera, Vita e Pensiero, Milano 2000, in modo particolare il Capitolo I.

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Scrive Carl Schmitt a proposito della rappresentanza che essa « non è né un fatto primitivo, né un processo né una procedura, ma qualcosa di esistenziale. Rappresentare significa rendere visibile e illustrare un essere invisibile per mezzo di un essere che è presente pubblicamente. La dialettica del concetto consiste nel fatto che l’invisibile è presupposto come assente, ed è al tempo stesso reso presente(…).Qualcosa di morto, di scadente, o privo di valore, non può essere rappresentato. L’idea della rappresentanza si basa sul fatto che un popolo che esista come unità politica rispetto all’esistenza naturale di qualsiasi gruppo di uomini che vivano insieme ha una specie di essere più alta e sviluppata, più intensa” Carl Schmitt, Dottrina della Costituzione, cit., p. 277. Tale nozione viene contrapposta da Schmitt al concetto di costituzione in senso relativo, che indica invece quei provvedimenti legislativi che non presentano alcun carattere di eccezionalità, se non quello di essere stati adottati secondo un procedimento speciale, aggravato. Si contrappone altresì alla nozione di costituzione che è propria dell’età liberale, in cui essa figura come quel documento che contiene i valori che devono ispirare l’ordinamento giuridico. La rappresentanza pressuppone, secondo Carl Schmitt, l’unità di un popolo effettivamente esistente, ma al tempo stesso la

definisce come la norma che «ha per contenuto essenziale non una disciplina legislativa, ma la decisione politica», ovvero rappresentante la decisione suprema, e la messa in forma, da parte di un popolo, della propria esistenza politica. Essa presuppone l’esistenza ‘politica’ di un popolo poiché «Ciò che non esiste politicamente non può neppure decidere consapevolmente»132 ed ha una

genesi storica ben precisa133: nasce in Francia, dopo la rivoluzione, esprimendo

la decisione politica del popolo francese.

L’utilizzo di tale concetto è carico di conseguenze, quando si prende in esame un’epoca - l’Ottocento -, in cui il termine costituzione appare intriso di implicazioni ideologiche134. Come sottolinea Schiera, «nel corso dell’Ottocento

                                                                                                               

crea, la rigenera, rendendola spendibile per il potere politico. Non è mera proiezione, né mimesi, ma , come sottolinea Ernst Cassirer, ha un valore costruttivo. E’ un racconto, la messa in scena dell’unità del popolo, per questo è necessario che essa avvenga

pubblicamente: l’elemento della visibilità è addirittura costitutivo rispetto all’unità. Sul punto, cfr. E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, tr. it. a cura di E. Arnaud, 3 voll., La Nuova Italia, Firenze 1961-66, II, pag. 9.

132  O. Brunner, Terra e Potere, cit., pag. 170 133

Essa nasce in Francia con la rivoluzione del 1789 ed esprime, secondo Carl Schmitt, la decisione politica del popolo francese. Durante la rivoluzione, un soggetto politico esiste, e , soprattutto, ha coscienza della propria esistenza politica, perché « ciò che non esiste politicamente non può neppure decidere consapevolmente” C. Schmitt, Dottrina della costituzione, cit., p. 76. La costituzione mette in forma questa esistenza. « Questo atto costituisce la forma e la specie dell’unità politica, la cui esistenza è presupposta”, Ivi, pag. 39. Essa è il vero elemento di congiunzione tra diritto e potere. Se il fondamento ultimo di ogni ordinamento giuridico non è altro che il nudo fatto, seppur coperto di giuridicità, allora la Costituzione ha il compito di tradurre quella fattualità, quel nucleo opaco di decisione, violenza, potere, e forse integrazione in un impianto normativo. Nel far questo essa si rende espressione della unità del popolo, in una interessante tensione tra unità effettivamente esistente, e unità che si produce nell’atto della rappresentanza.

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Il costituzionalismo ottocentesco era risultato fortemente connotato dai suoi ‘intenti

politici’: aveva cercato, infatti, di preservare i valori emancipativi della rivoluzione francese e dell’illuminismo, ma, d’altra parte, aveva inteso sottrarsi al rischio, che pure sembrava potersi concretizzare, della spirale del potere costituente continuo, cercando di mettere in forma l’unità politica, e conciliandola con le libertà: Come scrive Fioravanti, « Il costituzionalismo del Diciannovesimo secolo, in forme e con soluzioni diverse, ricerca dappertutto una ‘terza via’ fra lo storicismo conservatore e il razionalismo rivoluzionario. Non può abbracciare il primo perché non vuole rinunziare ai principi della rivoluzione, ma neppure il secondo perché teme una loro illimitata estensione, soprattutto del principio di uguaglianza. La nazione del diciannovesimo secolo ha perciò inscindibilmente queste due facce: da una parte è una nazione di individui, derivata dalla rivoluzione, ma dall’altra è una nazione in senso storico,

l’unico concetto esistente di Costituzione è quello «ideale», dal momento che, sotto la spinta dei sentimenti ideologici propri di quell’ epoca storica, esso era stato identificato pienamente, con tutto il suo bagaglio di contenuti e di valori precisi – ed anzi proprio a causa di essi – con la costituzione in senso stretto, la quale non poteva darsi al di fuori o tantomeno contro di esso.»135: i concetti di Verfassung e di Konstitution, , ovvero di costituzione liberale borghese, durante

l’Ottocento, tendono a coincidere.

Sin dall’introduzione al volume, Böckenförde non risparmia le attestazioni di stima per il lavoro scientifico dagli autori che egli prende in considerazione, eppure prende le distanze dai risultati a cui essi giungono.

I limiti che il filosofo attribuisce alla storiografia costituzionale ottocentesca non sono pochi, e tutti causati del fatto che la lettura che gli storiografi dell’Ottocento offrono della storia passata è condizionata dall’utilizzo di categorie moderne, in particolar modo moderno-liberali, con tutte le incomprensioni che da una scelta di tal genere possono derivare: la lettura che viene offerta della storia costituzionale è filtrata dall’ epoca in cui gli storiografi vivono e, in alcuni casi, dai loro pregiudizi ideologici.

Questo ha avuto inevitabilmente dei costi, innanzitutto in termini di ricostruzione storica: Waits, ad esempio, pur riconoscendo l’esistenza della faida                                                                                                                

che in quanto tale pone vincoli e limiti , impone prudenza ed equilibrio , soprattutto nei confronti della monarchia , che è la principale istituzione storica. Com’è noto questa seconda faccia assunse particolare rilievo in Germania, dove più a lungo il principio monarchico mantenne un ruolo centrale. Attorno a quel principio, maturò in Germania una risposta forte al bisogno di individuare nell’esperienza politica postrivoluzionaria un nucleo stabile ,

espressione di una sovranità per sua natura sottratta alla forza corrosiva della lotta politica , all’influenza diretta degli interessi particolari , ma anche all’illimitata e permanente sovranità del popolo. In questa linea , una nazione ha la propria costituzione quando in essa ritrova in modo sicuro e stabile il proprio principio dell’unità politica , che non può non essere rappresentato dallo Stato sovrano: La costituzione è dunque una costituzione statale , la costituzione dello Stato Nazionale.” Fioravanti, Costituzionalismo, Laterza, Roma- Bari 2008 pag. 41. Su questo aspetto Cfr. C. H. McIlwain, Costituzionalismo antico e moderno, tr. it. a cura d N. Matteucci, Neri Pozza, Venezia 1956.

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durante il Medioevo, ne nega la natura giuridica, perché questa appare incomprensibile dal punto di vista moderno136; Möser, profondamente radicato

in Westfalia137, matura invece la convinzione che la costituzione esistente in

Germania sia il frutto di strutture istituzionali e di rapporti di potere trasmessi e consolidati nel tempo, senza soluzione di continuità138; perfino l’ istituto

dell’avvocazia, naturalmente comprensibile in un ordinamento come quello medioevale, viene ripensato da Eicchorn in termini statuali: sarebbe esistita una avvocazia del signore, dal carattere privato, ed una avvocazia del re, dal carattere pubblico.

Gli esempi fatti dimostrano una assoluta parzialità, nell’interpretazioni che gli autori fornivano della storia tedesca: Il corollario di tale ‘parzialità’ è rappresentato dall’assoluta mancanza di coscienza, presso questo storici, della distinzione Stato - società civile.

Non solo non esiste, secondo loro, una effettiva separazione tra Stato e società, ma l’evoluzione famiglia - comunità - Stato non è concepita come un modello di rappresentazione della nascita del potere politico, bensì come un processo storico realmente avvenuto. Gli storiografi ottocenteschi cercano di costruire una storia costituzionale della Germania all’insegna della continuità, rintracciando                                                                                                                

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Cfr. E. W. Böckenförde, La storiografia costituzionale tedesca nel secolo decimonono, cit., pag. 144. Sull’esistenza della faida come elemento costitutivo della Costituzione medioevale cfr. Otto Brunner, Terra e potere, cit. e A. Bornst, Forme di vita nel medioevo, Tr. it. di P. Albarella, Guida Editori, Napoli 1988.

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In particolare nel principato di Osnabruck in cui egli è contemporaneamente libero avvocato, sindaco del ceto nobiliare e “referendario segreto”.

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Möser cerca a tutti i costi la continuità storica, nei liberi contadini delle campagne della Westfalia, nei tribunali liberi che vede ancora all’opera e che esistono sin dal Medioevo, come rivelano le fonti che egli ha consultato, in primo luogo i Capitolari franchi. La sua Osnabrucker Geschichte costituisce insieme un racconto della storia nazionale tedesca, ed il tentativo di legittimare lo Stato moderno, tenendo ferma la distinzione tra Stato e società e dimostrando come essa sia sempre esistita :« Nobiltà e gente comune appaiono come emanazioni storiche verso l’alto e verso il basso del centro portante – il vero e proprio popolo dei liberi che, in quanto tali, dopo come prima, sono i portatori dello «Stato» democratico e comunitario.” E. W. Böckenförde, La storiografia costituzionale tedesca nel secolo decimonono, cit. , pag. 66.

negli istituti e nelle vicende medioevali le tracce del proprio presente, plasmando gli eventi per adattarli ad un disegno storico già precostituto. La poca attendibilità delle loro ricostruzioni è allora evidente, e le implicazioni ideologiche da cui le opere risultano permeate appaiono difficilmente smentibili. Ciò su cui, sulle orme di Böckenförde, vogliamo soffermarci però è il fatto che i lavori degli storiografi del secolo decimo nono, molto differenti tra di loro, prendono le distanze dal razionalismo del XVI secolo, che ‘costruisce’ l’ordinamento giuridico more geometrico, partendo dall’individuo in un ipotetico stato di natura e da un presupposto razionale - la natura dell’uomo - e procedendo secondo uno schema universalmente valido. Il punto di partenza, per analizzare la nascita degli ordinamenti giuridici non è, come invece accade nella tradizione contrattualistica di radice hobbesiana, l’essere umano in astratto: a questo modello, gli studiosi tedeschi sostituiscono un modello teorico probabilmente più complesso (o meglio più caotico) in cui gli ordinamenti giuridici non rientrano sotto un comune denominatore, ma possono essere interpretati a partire dalle concrete circostanze comunitarie dalle quali essi scaturiscono139. La storia costituzionale viene presentata come un processo

dialettico tra libertà e comunità, che conduce fino allo Stato costituzional-

                                                                                                               

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Lo Stato è il compimento di una serie di comunità di uomini, che si formano nel corso del tempo, ma non presenta, per questo motivo, alcuna differenza qualitativa rispetto a tali società. La superiorità della Comunità rispetto al singolo soggetto, e gli effetti positivi che la comunità poteva avere anche sull’individuo rappresenta l’elemento caratterizzante dell’intera produzione teorica di O. Von Gierke. Nel discorso tenuto nell’aula magna della Friedrich – Willhelms-Universität il 15 ottobre 1902, in occasione dell’assunzione del rettorato egli dice:« Riempitevi anche, adesso e sempre, di vero spirito comunitario. Svegliate e coltivate in voi la coscienza che nella vostra vita si svolge sempre, contemporaneamente, una parte di quella vita di grado superiore , al cui fluire imperioso al di là della breve esistenza del singolo , l’umanità deve la propria storia e la propria dignità. Riconoscete ciò di cui voi, in quanto parti della comunità , siete debitori del tutto e date con gioia alla comunità, ciò che alla comunità è dovuto” La traduzione in P. Schiera, Società e corpi (a cura di), Bibliopolis, Napoli 1986. Per un’attenta ricostruzione del pensiero di O. Von Gierke, Cfr. John D. Lewis, The Genossenschaft-Theory of Otto Von Gierke: A Study in Political Thought, University of Wisconsin, Madison 1935.

liberale 140. Il popolo, la nazione ‘tedesca’, assumono nelle opere di questi storici, un carattere marcatamente etnico-culturale. Essi vengono presentati come quell’insieme di persone che parlano una sola lingua, condividono la medesima cultura, appartengono ‘naturalmente’ ad un popolo, perché hanno vissuto la stessa storia, e si distinguono per questi motivi dalla nazione in senso francese, che si fonda sulla comune appartenenza a uno Stato, quindi su una mera decisione politica141. Lo Stato rappresenta la massima espressione, la più

compiuta, di una unità organica (il popolo) il quale agisce come un corpo a sé, e non come mera somma algebrica delle parti che la compongono. I riferimenti alla comunità, allo spirito della nazione, al popolo tedesco, che fanno gli autori, fanno pensare ad una sorta di pensiero costituzionale alternativo, ancora ‘premoderno’, cioè facente riferimento ad un modello di liberalismo non solo del tutto lontano da quello francese, ma al quale rimane del tutto sconosciuto Hegel. Il riferimento teorico privilegiato è ancora Aristotele: l’ordinamento giuridico non è una mera costruzione razionale, è una comunità spirituale di cui l’uomo ha bisogno per natura. Il tentativo degli studiosi, e ciò che maggiormente interessa Böckenförde, è, in realtà, quello di conciliare il principio di libertà che essi ritengano essere il vero segno distintivo della storia tedesca, con gli ideali moderno-liberali.Per questo motivo, essi attribuiscono un’importanza fondamentale al concetto di libertà germanica, che diviene il vero e proprio filo                                                                                                                

140 La storia tedesca viene rappresentata quindi dagli storiografi del secolo decimonono come

una storia della libertà. L’elemento della libertà popolare, predominante fino all’Ottocento, lascia progressivamente spazio ai legami signorili che perdurano fino al milleduecento, finchè, dagli inizi dello Stato Moderno alla Costituzione Feudale, si sostituiscono un numero notevole di ordinamenti che sono comunitari – consociativi. Dal 1525 al 1806 l’avvento dello Stato autoritario elimina ogni elemento comunitario. Lo Stato liberale pone fine a questa dialettica, rappresentando la sintesi tra la libertà comunitaria tedesca e l’elemento della Signoria.

141  Molti autori sono concordi nell’affermare che, per lo sviluppo del concetto di Nazione, così

come noi oggi lo intendiamo, sia determinante il periodo compreso tra il basso Medioevo e la prima modernità. Cfr. E. Sestan, Stato e nazione nell’Alto Medioevo, Ricerche sulle origini nazionali in Francia, Italia, Germania, ESI, Napoli 1952 e P. Geary, Il mito delle nazioni. Le origini medievali dell'Europa, tr. it. a cura di G. Sergi, Carocci, Roma 2009.

rosso della storia che intendono raccontare. Come dice Böckenförde:

« “il carattere fondamentale del diritto statale comunitario tedesco è la libertà tedesca” si legge nello Staatslexicon di Rotteck-Welcker. A questo punto si può parlare, con E. Hölze, di un vero e proprio cammino verso la libertà moderna accanto al diritto naturale: del cammino della libertà storica».142

Essa viene descritta dagli storiografi del secolo Decimonono, come il vero elemento caratterizzante della storia dei tedeschi, le cui origini si trovano sin nella Germania di Tacito. Come risulta in maniera particolarmente evidente dall’opera di Waitz, la libertà germanica viene presentata come la caratteristica principale di ciascun momento della storia costituzionale tedesca: è, anticamente, la libertà signorile dei proprietari terrieri, caratterizza le antiche comunità germaniche di uomini liberi, proprietari terrieri, come i «franci homines», gli «arimanni», i «friburghi»143, viene offuscata durante le forme di

dispotismo feudale, per essere infine nuovamente rivendicata dagli umanisti tedeschi durante il XV secolo contro le pretese imperiali. Essa deve essere intesa soprattutto come una libertà della comunità, dei corpi intermedi. Nella storiografia costituzionale, questi ultimi finiscono per essere espressione di un’antica uguaglianza, le istituzioni rappresentative degli interessi della nazione. Fra il XVIII e il XIX secolo, l’ordinamento per ceti ha lasciato spazio allo Stato moderno, e alla distinzione tra Stato e società, eppure alcune forme e istituzioni cetuali sono sopravvissute in Germania. Abbandonata la loro derivazione nobiliar - signorile, i ceti si sono adattati alla struttura dello Stato                                                                                                                

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E. W. Böckenförde, La storiografia costituzionale tedesca nel secolo decimonono, pag. 123. Come sostiene Rotteck- Welcker, la libertà germanica fonda la « Libera, diretta, e democratica Costituzione allodiale distrettuale” : è legata al possesso della terra, al diritto di voto da parte dei proprietari ma soprattutto al diritto di associazione comunitarie. Il diritto di associazione fonda la nazione, e la comunità statale.

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Nel ricostruire la storia della Germania, ad esempio, i Germanisti richiamano le antiche