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1 1 La lotta per le investiture: le premesse del moderno

La distinzione tra potere politico e potere spirituale è considerata, come abbiamo anticipato, uno dei tratti distintivi dell’età moderna. Essa è stata oggetto di rivendicazione, come vedremo analizzando i testi di Hobbes, soprattutto contro l’invadenza del potere religioso in ambito politico74. Il brocardo hobbesiano

secondo il quale auctoritas non veritas facit legem, contro la dottrina della

potestas indirecta sostenuta dal cardinale Bellarmino è divenuto il motto dei

sostenitori della laicità dello Stato moderno, ed è stato proclamato spesso contro i tentativi di ingerenza da parte delle confessioni religiose75 negli affari politici.

Il testo di Böckenförde La nascita dello Stato come processo di

secolarizzazione76 intende però sottolineare che il principio di separazione tra

potere politico e potere spirituale sia stato in qualche modo anticipato nella storia europea proprio nell’ambito della Chiesa cattolica, in una fase antecedente alla modernità, ovvero la lotta per le investiture. La tesi di Böckenförde riprende la teoria dello storico Albert Mirgeler, e ne offre una interessante rilettura in chiave filosofico-giuridica.

Mirgeler77, nel suo lavoro Ausblick auf abendlische Chistentum, individua tre

elementi fondanti della storia degli Stati europei moderni:

a) l’elemento greco romano: la vera e propria ‘fonte originaria’ per la storia europea, la più antica. Da Polibio in poi, la cultura greca e quella romana si compenetrano a tal punto da permetterci di parlare di una cultura greco-romana,                                                                                                                

74

Cfr. E. Fabbri, Roberto Bellarmino e Thomas Hobbes, Teologie politiche a confronto, Aracne Editrice, Roma 2009.

75  A.  Pintore,  Il  diritto  senza  verità,  Giappichelli,  Torino  1996.  

76  E.  W.  Böckenförde,  La  nascita  dello  Stato  come  processo  di  secolarizzazione,  cit.   77

A. Mirgeler, Rückblick auf abendlische Chistentum, Grünewald, Mainz 1961, pagg.109 e segg.

la quale lasciò in eredità all’Europa moderna l’idea di leggi generate dalla volontà assembleare delle ecclesìe greche e degli antichi Comizi curiati. Nell’opera di costituzione degli Stati moderni, questo elemento gioca un ruolo fondamentale, soprattutto a livello simbolico: viene recuperata l’idea di una classicità democratica e repubblicana, e della centralità del civis, già riconosciuto in quanto soggetto di diritti, anche di natura politica, libero e giuridicamente capace. Per questo motivo, ben prima del fascismo, i rivoluzionari francesi, i costituzionalisti americani e perfino i protagonisti del risorgimento italiano, guardano con nostalgia alle istituzioni di Roma antica: esse appaiono come il luogo in cui è riservata un’attenzione particolare non solo ai diritti del cittadino, ma anche ai diritti dell’uomo ante litteram78.

b) L’eredità del mondo germanico, che, come abbiamo avuto modo di descrivere analizzando i lavori degli storiografi tedeschi del diciannovesimo secolo, restituisce alla modernità l’idea di un potere politico che assume innanzitutto una natura contrattuale, e, in quanto tale, è tenuto a tutelare la ‘libertà’ dei soggetti che pretende di governare. Questa eredità è ben descritta da Bluntschli, il quale sostiene che: «La costituzione inglese certamente costituisce un'opera sostanzialmente nuova. Questo però non impedisce che in essa permangano due verità:

1. Lo spirito di libertà, primario presso i germani, è divenuto la fonte della libertà politica in Inghilterra e in Europa.

2. Nella primitiva costituzione germanica devono essere cercati i fondamenti, certamente rozzi ma tuttavia suscettibili di essere migliorati, delle costituzioni successive, le quali tendevano a preservare la libertà tedesca e il legame delle parti diverse del popolo germanico da una parte, e dall’altra le univano con                                                                                                                

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Si segnala in tal senso una interessante lettura proprio del tema dei diritti umani: G. Crifò, Per una prospettiva romanistica sui diritti dell’uomo in K. M. Girardet, U, Nortmann (a cura di), Menschenrechte und europäische Identität - die antiken Grundlagenhrg, Franz Steiner Verlag, Stuttgart 2005, pagg. 240 e ss.

l'idea romana di unità e benessere pubblico. Nella costituzione germanica primitiva i principi erano certamente molto rispettati, ma il loro potere era giuridicamente limitato dai molti privilegi di una influente nobiltà e dalle assemblee popolari, alle quali partecipavano tutti i proprietari fondiari liberi»79.

c) Infine, la terza radice della storia politica europea è rappresentata, secondo Mirgeler, dalla religione cristiana.

Sin dalla riforma di Costantino, infatti, l’Europa era stata caratterizzata dalla sopravvivenza dell’Impero, grazie ad una duplice fonte di legittimazione: la continuità ‘formale’ con l’Impero romano, e la legittimazione da parte della religione Cristiana. Al contempo, si era sviluppata nel vecchio continente una pluralità di centri di potere, i quali, come abbiamo già osservato, pur rivendicando pretese politiche, si dimostravano estremamente deboli al proprio interno, e non presentavano alcun grado di istituzionalizzazione. La Chiesa romana, pur avendo favorito incessantemente questo particolarismo, e avendo ostacolando la formazione di un potere forte e centralizzato che potesse in qualche modo minare la sua autonomia, si era al contrario impegnata a rafforzare lo strumentario materiale e anche concettuale della propria unità politica. Sin dall’inizio, in realtà, essa aveva aspirato a presentarsi come un ordine giuridico: nei primi secoli della sua esistenza, l’aspetto materiale e corporativo era intimamente connesso a quello spirituale, ed essa già rivendicava pretese giuridiche80, come si evince chiaramente dalle lettere di San Paolo e

dagli atti degli Apostoli. Per anni i precetti della Chiesa, i canoni dei sinodi e dei concili ecumenici si erano addirittura moltiplicati, le norme ecclesiastiche                                                                                                                

79

J. C. Bluntschli, Geschichte des Allgemeinen Staatsrechts und der Politik seit dem 16. Jahhundert bis zur gegenwart, J. C. Cotta, Munich 1867, pag. 271 (traduzione mia)

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Questo smentendo la tesi di Rudolph Sohm, il quale aveva individuato un momento storico in cui, agli albori, la Chiesa vedeva nel proprio diritto canonico solo un valore sacramentale, affermando che dopo il trattato di Graziano, il diritto canonico aveva assunto forma giuridica. Cfr. R. Sohm, Das altkatolische Kirchenrecht und das Dekret Gratians, Duncker & Humblot, München- Leipzig 1914.

avevano proliferato, non senza l’influenza del diritto Romano. Nessuna delle raccolte giuridiche, che pure erano state redatte, aveva avuto però la pretesa di ergersi a sistema. La ‘materia ecclesiastica’ era stata trattata con disinvoltura anche da re ed imperatori, sia in Occidente che in Oriente, dove, ad esempio, le compilazioni di Giustiniano comprendevano non poche norme di natura ecclesiastica. Gli elementi politici e quelli sacrali risultavano così intimamente connessi, da non essere distinguibili: l’impero altro non era se non la realizzazione compiuta della forma politica del populus christianus. Il Papa e l’Imperatore figuravano come soggetti consacrati, parte di uno stesso ordine condiviso. Come ha affermato Böckenförde «questo assetto non solo aveva un indirizzo ‘cristiano’ nel senso che il cristianesimo era la base riconosciuta dell’ordinamento politico, ma aveva di per sé, nella sua sostanza, forma sacrale e religiosa, era un ordinamento abbracciante tutti i settori della vita, non ancora distinto in ‘spirituale’ e ‘mondano’, ‘Chiesa’ e ‘Stato’»81. La religione veniva

considerata come un ineliminabile elemento di integrazione e di coesione per la comunità politica. Tale situazione era foriera di contrasti, sul piano politico, ed infatti degenerò, in una fase di trasformazioni tumultuose che agirono contestualmente sul piano economico e sociale. La cosa avvenne in maniera drammatica, con la lotta per le investiture, o ‘rivoluzione papale’, come l’ha definita Berman82. Strayer ha scritto a tal proposito: «Gli scrittori moderni

trovano estremamente difficile evitare di descrivere la lotta per le Investiture come una lotta tra Chiesa e Stato. Cedere a questa tentazione sarebbe erroneo, ma la riorganizzazione delle strutture politiche dell’Europa durante e dopo la lotta preparò la strada all’apparizione dello Stato. Tanto per cominciare, le                                                                                                                

81

E. W. Böckenförde, La nascita dello Stato come processo di Secolarizzazione, cit., pag. 36.

82  H.  J.  Berman,  Diritto  e  rivoluzione,  tr.  it.  di  E.  Vianello,  Il  Mulino,  Bologna  1998,  pag.  55  

e  segg.  Allo  stesso  modo  la  definisce  Starck  in  un  suo  lavoro.  (C.  Starck,  Das  Christentum   und   die   Kirchen   in   ihrer   Bedeutung   für   die   Identität   Europäischen   Union   und   ihre   Mitgliedstaaten,  in  Essener  Gespräche,  n.  31,  Aschendorff  Verlag,  Münster  1997,  pagg.  8-­‐ 10)  

pretese del rinato Impero occidentale alla dominazione universale non potevano più essere prese sul serio. Quando Chiesa e Impero cooperavano strettamente, come avevano fatto sotto Carlo Magno e gli Ottoni, si poteva ammettere la supremazia imperiale, almeno in teoria; ma la lotta per le investiture indebolì l’Impero più di qualsiasi altra organizzazione politica secolare. Altri governanti composero le loro dispute con i riformatori indipendentemente e in termini migliori di quanto fece l’Imperatore. L’Europa occidentale poteva essere un’unità religiosa, ma non era chiaramente un’unità politica. Ciascun regno o principato doveva essere trattato come un’unità separata; le basi di un sistema multistatale erano state poste»83. Motivo scatenante della controversia era, come

noto, la questione se rappresentasse una prerogativa del papa o dell’imperatore la decisione ultima sulla scelta e l’ordinazione dei vescovi: la lotta vide apertamente contrapposti il Papato e l’Impero negli anni tra il 1057 al 1122, dando vita ad una serie di cambiamenti che avrebbero investito in maniera profonda il potere politico temporale, ed, al contempo, la Chiesa.

Quella lotta fece saltare l’unità della Res Publica Christiana, ponendo in discussione l’unità del potere spirituale e temporale. Essa creò una scissione tale tra spirituale e mondano che non potè più essere mascherata84. Nel suo saggio,

Böckenförde mette in evidenza che

La biografia più rilevante per comprendere quello che avvenne durante la lotta è probabilmente quella di Gregorio VII, come ce l’ha raccontata Hubinder85.

Durante il suo discusso pontificato, il pontefice aveva rispolverato dalla prima                                                                                                                

83

J. Strayer, Le origini dello Stato moderno, tr. it. a cura di A. Porro, Celuc libri, Milano 1970. pag. 74.

84

Mirgeler, a proposito della lotta per le investiture, scrive: « La grossa scissione storica che la giovane scienza europea nell’età della lotta per le investiture operò fu la distinzione tra spirituale e mondano. Questo per la storia dell’Occidente e per la Storia del Cristianesimo fu decisiva, e creò una distinzione che non potè piu essere mascherata». (A. Mirgeler, Rückblick auf abendlische chistentum, cit. , tr. it. mia)

85

Cfr. P. E. Hübinger, Die Letzten Worte Papst Gregors VII, Opladen, Westdeutscher V. 1973.

dottrina teologica la teoria della divisione dei poteri, e l’aveva utilizzata come l’arma più affilata di cui disponeva contro l’imperatore. Nel dictatus Papae, il pontefice da una parte rivendicava l’assoluta indipendenza del papato rispetto al Potere temporale dell’Impero, ma dall’altra ribadiva il dovere di soggezione dell’imperatore nei confronti del pontefice. 86 Papato e Impero erano sì poteri

separati, ma i loro giudizi avevano un differente valore: Il Papa soltanto poteva decidere ratione peccati, l’imperatore sulle questioni temporali. Ma poiché l’unica vera decisione definitiva e insindacabile era quella ratione peccati, ciò si traduceva in una sostanziale subalternità delle decisioni imperiali ai pareri del pontefice. Eppure il pontefice, sul punto di morte, aveva dimostrato un’amara e lungimirante consapevolezza del mutamento che egli stesso inconsapevolmente aveva contribuito a portare, trasformando gli assetti di potere esistenti87, gli era

sembrato che il mondo stesse celermente mutando e le sue ultime parole suonarono come una pessimistica (e partigiana) consapevolezza del cambiamento: «Dilexi iustitiam et odivi iniquitatem, propterea morior in exilio»

88. Questa serie di eventi storici che abbiamo raccontato, conduce Böckenförde

alla conclusione che, grazie alla lotta per le investiture, «venne scossa dalle fondamenta l’antica unità politico-religiosa dell’orbis christianus, e nacque la distinzione e separazione tra ‘spirituale’ e ‘mondano’, che da allora è un tema

                                                                                                               

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Nella tesi n’5, il Dictatus afferma: «Nessun capitolo e nessun libro sia considerato canonico senza la sua autorità» (del pontefice) ed inoltre, al numero XVIII, prescrive che una sentenza emanata dal pontefice “ non possa essere ritirata da alcuno; e che soltanto lui, fra tutti, possa ritirarla».

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Come risulta dal racconto di Hubinder, Nell’atto di scomunica dell’imperatore, il Papa si era mosso consapevolmente nel quadro tradizionale unitario di potere politico e potere religioso - esattamente quello descritto da Böckenförde- eppure, pochi anni più tardi, quando si trovò nella condizione di dover perdonare l’Imperatore a Canossa, dovette limitarsi al suo ufficio religioso, senza poter incidere sulle conseguenze giuridiche del suo gesto. Cfr. P. E. Hübinger, Die Letzten Worte Papst Gregors VII, cit.

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Cfr. P. E. Hübinger, Die Letzten Worte Papst Gregors VII, cit., pag. 53. e aggiunge l’autore « Die Übersetzung in moderne Sprachen ist deshalb nicht leicht, weil "iustitia" für Gregor einen über die klassisch-lateinische Bedeutung hinausgehenden Sinn besessen hat, der schon mehrfach Gegenstand eigener Untersuchungen gewesen ist.« , Ivi, pag. 55.

fondamentale della storia europea»89. L’antica unità di potere spirituale e potere temporale avrebbe continuato certamente di fatto ad essere professata per anni: la Iustitia, il valore sostanziale, trascendente, a cui Gregorio VII si era appellato per giustificare la propria azione politica, sarebbe rimasto ancora per diversi decenni l’ultimo definitivo metro di giudizio della legittimità della politica imperiale, naturalmente ad esclusivo appannaggio del Pontefice. La cristianità si rappresentava infatti ancora così compatta all’interno dell’Impero, che il potere politico non aveva interesse a disconoscere quella fonte di legittimazione. In realtà, addirittura palesemente in un primo momento la matrice religiosa si rafforzò: la separazione tra potere spirituale e potere temporale fu avvertita infatti come un mero giudizio di gerarchia tra i due poteri: essa compromise allora soprattutto la legittimità politica dell’Impero. Questo però non vuol dire che i timori di Gregorio VII si dimostrassero del tutto infondati. È ancora una volta Böckenförde a mettere in evidenza che il discorso sulla superiorità del potere spirituale aveva rafforzato nell’immediato la posizione della Chiesa, ma esponeva quest’ultima ad un rischio gravissimo: che un giorno la gerarchia dei poteri potesse ribaltarsi, e che la ‘ragione spirituale’ dovesse cedere il passo ai motivi temporali. A quel punto la stessa teoria della divisione dei poteri abusata dalla Chiesa si sarebbe rivelata uno strumento terribile contro il potere religioso. E difatti così fu, ma solo molti secoli dopo, come vedremo nel prossimo capitolo.

                                                                                                               

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