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Le ultime trattative per l'intesa italo-spagnola ebbero inizio il 24 novembre 1936 e il 28 dello stesso mese, Filippo Anfuso, il segretario personale di Ciano, era già riuscito a concludere un trattato segreto con i nazionalisti spagnoli134. Il trattato riconosceva all'Italia una serie di diritti che in conclusione si rivelarono di scarsa rilevanza nel lungo periodo, dato che Franco riuscì a evitare, durante la Seconda Guerra Mondiale, di renderli operanti; nonostante ciò, questo fu il patto più importante siglato tra l'Italia e la Spagna e segnò l'inizio di una nuova fase per l'intervento italiano sul suolo iberico.

L'Italia si impegnava in tal modo a garantire il suo appoggio e aiuto per «conservare l'indipendenza e l'integrità della Spagna, metropoli e colonie»135; anche se nell'accordo si faceva riferimento a paesi terzi, la Spagna si sarebbe tutelata da possibili ambizioni italiane, in particole sulle isole Baleari. La seconda e la terza clausola prevedevano aiuto reciproco, nello specifico i due paesi si impegnavano a non mettere a disposizione porti o territori per il transito dei materiali da parte di qualsiasi potenza; in questa clausola si può evincere il carattere marcatamente antifrancese del trattato: probabilmente il Governo italiano cercava di ottenere la revoca del trattato segreto franco- spagnolo, che il Duce temeva fosse stato concluso con la Repubblica.

La quarta clausola prevedeva «benevola neutralità nel caso di conflitto con una terza potenza»136, o in caso di imposizione di sanzioni; i due paesi si sarebbero impegnati a sostenersi materialmente con l'invio di rifornimenti e si sarebbero accordati, sempre in caso di conflitto, per avere ogni facilitazione per l'uso di porti, strade e ponti. Analizzando il documento si può facilmente intuire che in caso di guerra l'Italia avrebbe potuto avanzare richiesta per costituire proprie basi militari per esempio sull'isola di Maiorca, ma allo stesso tempo, esso non si prevedeva alcun accordo specifico in merito: la reale efficacia dell'accordo

134 Cfr. M. Lazzarini, , Italiani nella guerra di Spagna!, Italia Editrice, Milano 2008. 135 Cfr. J. F. Coverdale, I fascisti italiani alla guerra di Spagna, op.cit., pag 146.

57 quando l'Italia avesse voluto invocarlo, sarebbe dipeso totalmente dalle circostanze del momento137.

Le due clausole finali prevedevano lo sviluppo di accordi commerciali tra Italia e Spagna, ma erano estremamente vaghe, e ne rimandavano il reale conseguimento alle situazioni che si sarebbero create in seguito.

Coverdale sottolinea in questo caso l'acutezza di Franco nell'eludere ogni impegno concreto con l'Italia: egli riuscì a fare grandi promesse senza mai specificare cosa queste avrebbero realmente comportato a livello pratico138. Una volta firmato l'accordo Mussolini si ingegnò per far ottenere l'aiuto militare che Franco necessitava: per il momento l'attacco-lampo a Madrid era fallito, a causa anche delle armi fornite dall'Unione Sovietica e delle forze delle Brigate Internazionali che aiutavano i cittadini a difendere la Ciudad

Universitaria: per questo motivo, i generali nazionalisti il 23 novembre

decisero per il momento di abbandonare l'assedio alle porte della città.

La causa principale del fallimento fu da addebitare alla carenza di uomini: il generale Roatta valutava che le truppe di Franco ammontassero a circa 120.000 unità in quei frangenti, e poiché mancavano di riserve insufficienti, non erano in grado di costituire una massa da combattimento per un'azione manovrata. L'idea di inviare le truppe italiane per rafforzare quelle franchiste sembra si sia fatta strada a poco a poco, e solo all'inizio del mese di dicembre, il Governo italiano autorizzò l'istituzione in Italia di un ufficio spagnolo di reclutamento per la costituzione del Tercio extranjero139. e il 16 novembre Franco diede istruzioni per l'immediato inizio del reclutamento, per quale poco tempo dopo fu aperto l'apposito ufficio nell'abitazione del vice console in piazza Navona a Roma140.

I volontari venivano allettati con l'offerta di 3.000 lire al momento dell'ingaggio e una paga di 40 lire al giorno: addirittura alcuni, non contenti di

137 Cfr. R. Canosa, Mussolini e Franco, op.cit. 138

Cfr. J. F. Coverdale, I fascisti italiani alla guerra di Spagna, op. cit., p. 148.

139 Cfr. Denominazione della Legione Straniera spagnola dal 1920.

140 Cfr. A. Rovighi – F. Stefani, La partecipazione italiana alla Guerra Civile Spagnola,

58 presentarsi singolarmente, organizzarono delle vere e proprie «bande per la Spagna, secondo la tradizione dei soldati di ventura italiani»141.

Il 20 novembre venne comunicato a Roatta che oltre i volontari per il Tercio, si sarebbero dovuti inviare uomini validi per quattro battaglioni organizzati: Ciano informò quindi l'ambasciatore tedesco von Hassel che l'Italia era pronta a spedire in Spagna 4.000 camicie nere142.

Il generale Canaris si trovò immediatamente d'accordo con Mussolini nel rafforzare i contingenti aerei italiani e tedeschi in Spagna: la Germania avrebbe completato gli aiuti con l'invio della legione Condor, mentre gli italiani avrebbero sviluppato le unità di caccia. Il Duce e il generale convennero immediatamente sul fatto che l'operazione di vigilanza delle coste e dei porti spagnoli sul Mediterraneo dovessero essere affidate ai sottomarini italiani, mentre la Germania si rifiutò di inviare contingenti terrestri adducendo come causa la difficoltà che quest'operazione avrebbe comportato. In realtà i tedeschi da tempo erano a conoscenza del trattato italo-spagnolo, e per questo, a parere di Coverdale, pensarono che se l'Italia voleva mantenere i propri interessi in Spagna, inviando interi contingenti di truppe, allo stesso modo non poteva pretendere che la Germania si impegnasse in egual maniera. Il Governo tedesco stava provvedendo al proprio riarmo e non poteva permettersi di inviare enormi quantità di armi in Spagna, anche a causa degli stretti controlli a cui era sottoposta a livello internazionale, in particolar modo da parte della Gran Bretagna; nonostante questo, non desiderava abbandonare totalmente Franco e nel novembre del 1936 vennero inviati dai tedeschi ventisei navi da carico per trasportare nella penisola iberica uomini e rifornimenti.

Galeazzo Ciano decise che fosse il conte Luca Pietromarchi a coordinare l'Ufficio Spagna: appartenente ad una nobile famiglia aristocratica, impersonava il classico tipo del diplomatico di carriera di nobile estrazione; le funzioni del nuovo ufficio erano state specificate in maniera vaga, ma in teoria avrebbe dovuto fungere da centro direttivo e costituiva l'unico tramite di collegamento tra le forze italiane in Spagna e tutte le attività militari e civili a Roma. In questo modo i ministri italiani persero ogni contatto diretto con gli

141 Cfr. J. F. Coverdale, I fascisti italiani alla guerra di Spagna, op.cit., pag 149. 142 Cfr. M. Lazzarini, , Italiani nella guerra di Spagna!, op.cit.

59 avvenimenti spagnoli e il 7 dicembre il Duce mise tutte le forze armate italiane in Spagna al comando del generale Roatta, a cui diede istruzioni di prendere contatto con Franco e con il generale tedesco von Faupel per costituire uno Stato Maggiore congiunto143.

Lo stesso giorno, 2.300 volontari provenienti da La Spezia e Milano si accamparono nella provincia di Salerno: essi indossavano l'uniforme coloniale delle truppe inviate nell'Africa Orientale italiana; a Roma, Bologna, Nettuno e Civitavecchia cominciarono a concentrarsi i militari del regio esercito, che si erano offerti volontari per missioni fuori dal paese in località non specificate. Il 9 dicembre l'Italia offrì ufficialmente a Franco il proprio aiuto per la costituzione di brigate miste, comprendenti quattro o sei battaglioni di fanteria, una compagnia di carri armati, due gruppi di artiglieria e una compagnia del Genio; inoltre il Governo italiano si impegnava a mandare ufficiali, sottoufficiali e truppe necessarie per l'addestramento, unità radiotelegrafiche e un reparto di artiglieria per ogni brigata, Roma avrebbe fornito in aggiunta le uniformi, le armi, e le munizioni per tutte le brigate.

Franco rispose di avere riserve sufficienti per la formazione di sei brigate e suggerì che gli italiani si limitassero a fornire ufficiali del livello di comandanti di compagnia, lasciando il comando dei reggimenti, dei battaglioni e delle brigate, agli spagnoli. Questa posizione del Generalissimo era certamente dettata dalla paura di apparire come “troppo dipendente” dagli aiuti stranieri, dal non poter dimostrare di essere capace di vincere la guerra da solo.

Gli italiani tuttavia non erano disposti a rinunciare ai propri ufficiali per il comando delle brigate, e Roatta scartò immediatamente il suggerimento di Franco.

Il 10 dicembre il capo dell'Ufficio Spagna ricevette un appunto di Mussolini che ordinava di inviare trentamila volontari, mentre due settimane prima la Milizia aveva arruolato un'intera divisione, principalmente tra Potenza e

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Il conte Luca Pietromarchi (1895-1978), diplomatico, dal 1932 occupò posti-chiave nel gabinetto di Galeazzo Ciano presso il Ministero degli Affari Esteri. Nell'intero periodo della guerra civile spagnola, dal '36 al '39, fu capo dell'Ufficio Spagna. Cfr. Istituto Storico Germanico a Roma- Deutches Historisches Institut in Rom: www.dhi-roma.it.

60 Reggio Calabria (gli uomini in quei giorni si trovavano in un campo di addestramento in provincia di Napoli)144.

L'11 dicembre Pietromarchi e il generale Russo, comandante della Milizia fascista, visitarono i campi per procedere alla raccolta delle unità, le quali, secondo gli ordini di Mussolini, dovevano tenersi pronte a partire entro due settimane. «Le prospettive erano scoraggianti: molte reclute erano dei disoccupati, disperati al punto da offrirsi come mercenari in Spagna per poter mantenere le proprie famiglie; alcuni erano alcolizzati abituali o avevano lunghe fedine penali, altri erano malati o di età superiore alla quarantina»145. Il tempo a disposizione era però troppo breve per poter pensare a soluzioni alternative, e fu perciò ordinato che i tremila uomini fossero pronti a partire entro una settimana.

Proprio sulla composizione delle truppe volontarie italiane si sono variamente espressi i critici spagnoli, tra questi, Alcofar Nassaes, sostiene che quasi tutti volontari arrivati con le prime navi, appartenessero alla Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale e gran parte di essi erano veterani squadristi che avevano preso parte a le azioni del partito fascista in Italia o nella campagna in Abissinia. In generale, si trattava di ardenti e idealiste camicie nere, anche se si aggiunsero altri giunti semplicemente per spirito di avventura o per motivi particolari. Nelle spedizioni successive, sostiene lo storico spagnolo, indubbiamente diminuì la qualità politica e l'ardore combattivo dei volontari146. Basandosi sulle memorie del generale Duval, Nassaes ritiene che la maggior parte dei volontari che combatterono in Spagna provenissero delle divisioni di camicie nere che avevano preso parte alla campagna in Etiopia, gran parte di essi erano avidi di avventura, disoccupati, o storditi da un ideale anticomunista. Lo studioso iberico sostiene inoltre che vi fossero pochi giovani tra di loro,

144 M. Lazzarini, , Italiani nella guerra di Spagna!, op.cit., p. 78. 145

J. F. Coverdale, I fascisti italiani alla guerra di Spagna, op.cit., pag. 157.

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«Casi todos los voluntarios llegados el los primeros barcos pertenecían a la “Milizia Voluntaria Sicurezza Nazionale” y gran parte de ellos eran veteranos escuadristas que habìan tomado parte en las acciones del Partito Fascista en Italia y en la campaña de Abisinia. Por lo general se trataba de ardientes e idealistas camisas negras aunque también se agregaron otros venidos simplemente por espíritu aventurero o motivos particulares. En expediciones sucesivas indudablemente disminuyò la calidad polìtica y el ardor combativo de los voluntarios». Cfr. J. L. Alcofar Nassaes, Los legionarios italianos en la Guerra Civil Española 1936-1939, Dopesa, Barcelona 1972, pp. 57-59.

61 essendo la maggior parte di un'età compresa tra i 26 e i 40 anni. Gli italiani del CTV non furono mai obbligati ad andare in Spagna, però la gran parte di essi vi andarono per motivi che nulla avevano a che vedere con l'ideale: persone che non guadagnavano abbastanza, che avevano problemi familiari, che volevano rifarsi una vita, che volevano acquisire meriti nelle sfere del Partito, che volevano far carriera rapidamente147. Per ciò che concerne i lavoratori per l'Abissinia, le tesi di Duval trovano riscontro nelle fonti documentarie riportate anche da Coverdale: nel gennaio del 1937 una nave che da Napoli che sarebbe dovuta salpare per l'Abissinia con un migliaio di lavoratori, al momento di lasciare il porto, li si informò che non sarebbero andati in Etiopia e che se avessero voluto tornare a casa avrebbero potuto farlo. Se non avessero voluto, sarebbero potuti andare a combattere la guerra in Spagna. La maggioranza degli uomini scelse comunque di proseguire per la Spagna, e costoro formarono il primo contingente de la Divisione Littorio: «tutti volontari dopotutto; nessun inganno infine, però volontari senza volontà»148.

Anche Vaquero Peláez riporta osservazioni simili circa l’arruolamento dei volontari fascisti. A parere dello studioso aragonese le “ardenti e idealiste camicie nere”, insieme a molti altri avventurieri e volontari, erano di varia estrazione, molti mossi dal proprio spirito fascista e dalla fedeltà al duce, ma altrettanti erano spinti da situazioni familiari e personali molto particolari. Un esempio dello spirito poco fascista di alcuni volontari si può comprovare, secondo Peláez, attraverso un documento redatto dal comando della “Bandera Leone” a Fregenal de la Sierra il 18 gennaio del 1937: in tale documento si

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«Hay muchas opiniones sobre se si trataba de verdaderos voluntarios: “La immensa mayoría de los voluntarios que lucharon en España-dice el general Duval-eran licenciados de las divisiones de Camisas Negras que habìan tomado parte en la campaña de Etiopía, el resto hombres ávido de aventuras, o faltos de trabajo, o arrastrados por un ideal anticomunista. Apenas habìa jovenes entre ellos, siendo la mayoría de la gente de las 26 a 40 años” [...] “Todos éramos voluntarios legalmente, pocos lo eran moralmente-escribe un antiguo oficial voluntario-. Los italianos del CTV no fueron nunca obligados a ir a España, pero la mayoría de ellos vinieron por motivos que nada tenían que ver con el ideal: gente que no ganaba lo suficiente, que tenía líos familiares, que querìa reacher una vida, que quería adquirir méritos en las esferas del Partido, que quería hacer carrera rápidamente». Ibid.

148 «Por lo que respecta a los trabajadores de Abisinia, su questionario tiene una base de

verdad: o sea que en enero de 1937 había un barco en Nápoles que tenía que salir para Abisiniacon un millar de trabajadores. Al momento de zarpar se les informó que non iban a Abisinia; si querían regresar a su casa podían hacerlo. Si no querían, podían ir a la guerra de España. La mayoría eligió la guerra de España. Estos formaron el primer contingente de la Divisiòn Littorio. Todos voluntarios desde luego; no engaños, desde luego, pero voluntarios sin voluntad». Ibid.

62 riportavano informazioni circa alcuni volontari di tale compagnia che risultavano “apatici e con un atteggiamento ipocrita e che si riteneva che la “missione di questi fosse non lontana da quella di soldati di ventura”. Ad alcuni di questi uomini era data la possibilità di arruolarsi per non venire perseguiti per reati commessi in Italia. Uno spirito idealista che poco a poco sarebbe andato diminuendo nella misura in cui la guerra si allungava e ogni volta si capiva meno della grande presenza in Spagna. Non avevano niente a che vedere con l'esercito italiano né con la sua preparazione, né tutti erano fascisti convinti, se non per interesse.

Entrambi gli interventi fanno intuire la natura varia e ben poco omogenea dei volontari italiani che partirono in Spagna: se da una parte vi erano convinti idealisti che credevano nei dettami del fascismo, di cui gran parte erano ufficiali, o comunque ricoprivano incarichi più elevati rispetto alla media, dall'altra vi era la stragrande maggioranza degli uomini che formavano le truppe, che per motivi che ben poco avevano a che fare con l'adesione al Partito ma essendo maggiormente legati alle situazioni personali di ognuno, decisero di intraprendere la missione.

Gli strascichi della crisi del '29, la difficoltà per molte famiglie di arrivare alla fine del mese, ma anche la necessità di allontanarsi dall'Italia per problemi giudiziari, portarono migliaia di uomini a mettersi in fila per arruolarsi, senza che questo avesse necessariamente a che vedere con la missione di “protezione dal bolscevismo nel Mediterraneo”.

Come avremo modo di esaminare più avanti, attraverso l’analisi dettagliata dei documenti e grazie alle statistiche realizzate su un campione di circa 800 volontari, parte delle tesi portate avanti fino ad oggi dalla storiografia sull’età media, scolarizzazione e stato civile degli italiani, parrebbero nascere più da uno stereotipo che non da un dato reale.

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