Il fenomeno corporativo ligure non è quasi mai presente nella storio-grafia, più o meno recente 1, in tema di corporazioni e di storia del lavoro. Il motivo più esteriormente giustificativo di tale carenza di attenzione è certo da ricercare nell’assenza quasi completa sia di studi di base, quali monografie sulle singole Arti, sia di affidabili panorami generali, comune riferimento per le sintesi che superino i singoli ‘stati regionali’ per considerare aree economi-che interdipendenti sebbene politicamente disaggregate. La conseguenza sto-riografica di tale situazione è che non si sia andati spesso oltre la sensazione e la dichiarazione che, in una città con le caratteristiche socio-politiche ed eco-nomiche di Genova, le Arti abbiano avuto una importanza marginale, ad ecce-zione di pochi casi, ai quali è stata, pertanto, dedicata una attenecce-zione diversa 2. Ha certamente influito, su questa ‘sensazione’ storiografica, la diffusione dell’esercizio della mercatura ad ogni livello sociale, come attività economica
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* Pubblicato in: Lineamenti di organizzazione economica in uno Stato preindustriale. La Repubblica di Genova, Genova 1995, pp. 125-152. Anche in Corporazioni, Gremi e Artigia-nato tra Sardegna, Spagna e Italia, nel Medioevo e nell’Età moderna (XIV-XIX secolo), a cura di A. MATTONE, Sassari 2000, pp. 310-320. Il testo è stato anche in parte proposto negli Atti del Convegno Le corporazioni nella realtà economica e sociale dell’Italia nei secoli dell’Età Moderna, Verona 4 dicembre 1990, in «Studi Storici Luigi Simeoni», XLI (1991), col titolo Funzioni economiche e contingenze politiche nelle corporazioni genovesi in Età Moderna, pp. 197-219.
1 Vedi, per tutti, i classici lavori di FANFANI 1959 e di DAL PANE 1958; più recentemente, Economia e corporazioni 1988. Sul sistema corporativo in generale, per il periodo medievale v. per tutti PINI 1986, pp. 9-258, con ricco apparato bibliografico di ampio respiro e GRECI 1988; con bibliografia specifica i volumi Forme ed evoluzione 1991, e Artigiani e salariati 1984. Sulle origini ed il dibattito storiografico v. da ultimo OCCHIPINTI 1990. Più attenti e tecnicamente puntuali sui rapporti tra corporazioni e sviluppo economico in età preindustriale i recenti contributi intro-duttivi di FANFANI 1991 e di DE ROSA 1991 al volume Corporazioni 1991, a cui si rimanda anche per l’ampio apparato bibliografico dei vari saggi su singole realtà. Da ultimo FANFANI 2000.
2 È il caso dell’arte dei conciatori (su cui vedi PARODI 1926); di quella dei corallieri (su cui PÀSTINE 1933); di quella dei setaioli, su cui MASSA 1970; MASSA 1982, pp. 249-268. Più re-cente l’interesse per un’attività collegata con un importante settore degli approvvigionamenti alimentari urbani (RICCOBENE 1993) e per un mestiere cui si rapportano problematiche arti-stiche oltre che economiche (PONTE 1994).
predominante, al punto da non essere mai inquadrata in una regolamenta-zione corporativa soggettivamente selettiva.
La carenza di una vasta storiografia locale in argomento se, da una parte, ha contribuito ad accreditare opinioni tralatizie e non sufficientemente affida-bili, costringe, per altro verso, chi voglia tracciare un panorama delle corpora-zioni genovesi, ad indicare una lunga serie di problemi da approfondire, ai quali solo in parte, da qualche tempo, si cerca di dare una risposta.
La ripresa di interesse verso questi studi riguarda una serie di importanti aspetti: si possono ricordare lavori relativi agli Statuti delle singole corporazioni, che privilegiano l’assetto istituzionale 3; ricerche collettive sui contratti notarili di apprendistato, per ricostruire i vari profili professionali e la presenza di eventuali ‘carriere artigiane’ 4; l’esame delle immatricolazioni, al fine di rilevare l’esistenza o meno di monopoli parentali 5; l’analisi di singoli settori economici al fine di rilevare i rapporti tra mondo del lavoro e detentori del capitale 6.
L’arco cronologico di questi studi è assai ampio – si va dai contratti di apprendistato della metà del XV secolo alle matricole ritrovate per i secoli XVII e XVIII – con la conseguenza di consentire accorpamenti e integra-zioni di dati molto caute e mirate, anche se il loro complesso fornisce certo validi elementi su cui tentare una sintesi.
Occorre inoltre ricordare che all’interno della Repubblica di Genova, quando si parla di corporazioni, si fa riferimento quasi sempre ad attività artigianali e urbane, tranne nel caso del settore della carta, per il quale fin dalle origini si può parlare di manifattura accentrata, lungo i corsi d’acqua.
Anche l’industria metallurgica è un altro caso di impresa con una infrastruttu-ra centinfrastruttu-rale, ma per essa non si hanno in Liguria organizzazioni corpoinfrastruttu-rative, probabilmente perché la lavorazione è svolta lontano dai centri urbani, nelle valli appenniniche. L’altra eccezione, ancora, è la lavorazione a domicilio che caratterizza la tessitura serica a partire dalla fine del Cinquecento: le altre fasi della produzione svolte a domicilio coinvolgono invece maestranze – quasi sempre femminili – non protette da una organizzazione corporativa 7. Una
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3 Così da ultimo, BENVENUTO 1986; GATTI 1986; DALLAI BELGRANO 1989; BENVENUTO
1990a; BENVENUTO 1990a; PETRUCCIANI 1990; CALLERI 1993.
4 Sul tema Maestri e garzoni 1979-1991, nn. 3, 4, 5, 9, 13.
5 ARNALDO 1989.
6 Cfr. MASSA 1995c.
7 MASSA 1995c.
organizzazione particolare e diversificata, anche in funzione delle modalità di cooptazione, hanno poi le professioni liberali (giureconsulti, avvocati, medici), riuniti in collegia.
Arti e potere politico
La problematica istituzionale ruota, a Genova come altrove, intorno al modo in cui si è posto ed è stato risolto il rapporto tra le organizzazioni corporative ed il potere costituito che, con una semplificazione concettuale forse riduttiva ma efficace, si può sintetizzare nel peso politico effettiva-mente esercitato.
Le schematizzazioni, in tale campo, devono tener conto della diversità dei contesti storici a cui si fa riferimento e, a tale riguardo, è possibile identificare tre momenti particolarmente significativi: l’imporsi del Dogato popolare nel Tre-cento; il XVI secolo con le sue complesse vicende istituzionali; il XVIII secolo.
Per il basso Medioevo – i più antichi documenti sulle corporazioni ri-salgono al XIII secolo – i punti di riferimento rimangono i vecchi lavori di Bensa e di Mannucci 8: da essi si rileva come a Genova le Arti siano appena in embrione quando in altre città, come Firenze e Bologna, gruppi organizzati in Arti e mestieri partecipano già attivamente alla formazione della politica cittadina. Si dice, tradizionalmente, nella storiografia locale, che, rispetto ad altri comuni italiani, gli organismi corporativi non hanno mai avuto la forza di opporsi agli intrecci di interessi politici e commerciali intessuti dai fortis-simi gruppi parentali che detengono ed amministrano, servendosi anche della struttura dello Stato, il monopolio dei traffici e della finanza.
Al momento dell’imporsi, nel 1339, del Dogato popolare nella persona di Simone Boccanegra, le Arti sembrano avere grande rilievo ed essere le forze che maggiormente appoggiano il nuovo assetto istituzionale: esiste, infatti, un Consiglio straordinario, formato dai capi dei quartieri e dai rap-presentanti della Arti, che si riunisce per affari di grande importanza. I ceti dirigenti tradizionali, però, tornano presto al potere e, nella grande riorga-nizzazione del maresciallo francese Boucicault, all’inizio del Quattrocento, le Arti appaiono regolamentate dall’alto e senza alcun potere politico 9.
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8 BENSA 1884; MANNUCCI 1905.
9 PIERGIOVANNI 1980, p. 142 e sgg.; PIERGIOVANNI 1984b; PIERGIOVANNI 1983. Più in ge-nerale sulla scarsa importanza politica e militare delle corporazioni a Genova nel Quattrocento, v. HEERS 1961, p. 563 e sgg.; qualche nuovo elemento ora in PACINI 1992.
È difficile dire se tale assetto istituzionale, che prolunga la sua efficacia per tutto il secolo, abbia definitivamente ridimensionato o soltanto affievo-lito il peso politico delle Arti, soprattutto alla luce di una recente indagine che ha ricostruito una serie di drammatici eventi verificatisi nella Repubblica genovese nei primi anni del XVI secolo: sono proprio le corporazioni di mestiere che si fanno promotrici di un rivolgimento politico-istituzionale che porta addirittura un loro rappresentante, il tintore Paolo da Novi ad as-sumere la carica di Doge. L’esperimento è, però, di breve durata e le armi francesi si preoccupano di porre fine ad una situazione considerata abnorme e pericolosa: rimane la documentazione e la testimonianza di una presenza che è difficile pensare soltanto momentanea ed estrapolabile dal contesto socio-politico cittadino 10.
Nella storiografia coeva di matrice nobiliare, ad esempio gli Annali dell’Abate Giustiniani, si coglie l’eco dello sconcerto provocato dagli avve-nimenti del 1506-1507 e circola l’idea che essi abbiano avuto la funzione di ricompattare la tradizionale classe dirigente 11. Nel 1528 Andrea Doria dà solide fondamenta ad una Repubblica aristocratica che non lascia alcun spa-zio politico agli artigiani: nelle leggi di quell’anno si fa riferimento alle Arti in un solo capitolo (Che coloro che sono per habitare in Genova, et per avervi stanza, gioiscano delli privilegi come cittadini et che le Arti siano li-bere), e solo in due aggiunte successive vengono sancite alcune norme che concernono però esclusivamente l’Arte della lana e quella della seta 12.
Il passo successivo si ha nelle leggi del 1576 nelle quali si giunge, anche per Genova, ad una definizione delle arti meccaniche, che significa l’esclu-sione giuridica dalla possibilità di salire al patriziato per una larga serie di categorie produttive: sono da escludere dalla nobiltà coloro che con le pro-prie mani lavorano, pesano, tagliano, misurano o vendono al minuto, con l’eccezione dei setaioli la cui attività viene ammessa, al pari dell’esercizio della mercatura 13.
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10 PACINI 1990, che a p. 186 sottolinea la «necessità di riequilibrare la tesi diffusa circa la totale assenza di un ruolo politico istituzionale delle organizzazioni corporative nella Ge-nova del Cinquecento».
11 GIUSTINIANI 1537; PANDIANI 1905; SENAREGA 1911.
12 Leggi 1625, cc. 21v-32r. Vedi anche PIERGIOVANNI 1965; PACINI 1990, p. 146 e sgg.
13 Cfr. DORIA - SAVELLI 1980, pp. 288-89. Il dibattito su questo problema è molto am-pio, anche per il ruolo giocato nel Cinquecento in questa corporazione dalla nobiltà. Vedi al
Il terzo ed ultimo periodo da esaminare è il XVIII secolo, per il quale si può dire, in linea generale, che a Genova le novità economiche e culturali giungono attutite e non hanno la forza sufficiente a rianimare un organismo socio-politico ormai sclerotizzato in tradizionali equilibri di potere 14.
Non è un caso che quando, tra la fine del secolo XVII e la metà del successivo, emerge il proposito di favorire una evoluzione che liberi la città dalla rigida ripartizione in mestieri, le sporadiche iniziative innovatrici si concentrino nel settore delle manifatture privilegiate: in esse sembra possi-bile conciliare le esigenze della nuova industria con gli interessi fiscali della Casa di San Giorgio ed anche, in qualche modo, con quelli dell’antico ceto mercantile ed imprenditoriale 15.
Un’altra via di mutamento viene individuata dal governo aristocratico nella uniformità normativa, ottenuta mediante l’emanazione di «Ordini ge-nerali» validi per tutte le corporazioni, il cui numero, rispetto ai secoli pre-cedenti, è andato progressivamente aumentando. Si tratta di uno strumento che, in presenza della necessaria forza politica e contrattuale, potrebbe esse-re validamente utilizzato per incideesse-re, anche profondamente, sulla struttura corporativa, ma i risultati sono scarsi.
Se, infatti, nelle prime disposizioni del 1640 e del 1668, le materie trattate (compiti ed elezione dei notai dell’Arte; consoli e loro attività giurisdizio-nale) non hanno alcuna rilevanza riformistica, nel 1689 si registra un inter-vento che, nel limitare i privilegi dei figli dei maestri, lascia intravedere un tentativo di allargamento della base delle Arti contro l’eccessivo monopolio di una stretta oligarchia: esso, peraltro, è in breve vanificato dalle numerose eccezioni successivamente concesse. Occorre arrivare al 1755 per avere un altro provvedimento che, concedendo dilazioni di tempo per pagare la com-pra dell’Arte (cioè l’immatricolazione senza tirocinio), sembra voler reagire
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riguardo, SAVELLI 1975, p. 71; SAVELLI 1981, pp. 75, 98, 155, 157, 214; SAVELLI 1984a, p. 71 e pp. 290-296.
14 Sulla complessità della valutazione di questo periodo nella storia delle corporazioni italiane, si rimanda, oltre che a FANFANI 1991 e FANFANI 2000, alla classica opera di DAL PANE
1940; alle sintetiche pagine di CAIZZI 1965, pp. 8-15, e al più recente lavoro di COSTANTINI
1987, oltre che alle sintesi che toccano il problema in Storia d’Italia 1973: WOOLF 1973, p. 40 e sgg.; CARACCIOLO 1973, pp. 629-632. Sul caso genovese in particolare vedi MASSA 1982, con bibliografia specifica.
15 Cfr. CALEGARI 1969.
allo strapotere ed alla chiusura dei mestieri attuata attraverso il progressivo inasprimento del prezzo di acquisto. I valori raggiunti sono invero eccessivi ed inducono i Padri del Comune, nel 1761, a decretare anche la diminuzione delle tariffe stesse, facendole tornare al livello del 1746.
Di quello stesso anno è un ultimo provvedimento qualificante, se con-siderato alla luce della dilagante tendenza alle concentrazioni familiari nei vertici delle varie Arti: un decreto generale valido per tutte le corporazioni stabilisce, infatti, che non possono essere eletti contemporaneamente alle più alte cariche «padri e figli; due fratelli; un suocero e genero; zio e nipote;
due cugini» 16.
Con l’inizio degli anni sessanta, del resto, si intensificano le aperture del governo: oltre alla moltiplicazione dei riconoscimenti a chi introduca nella città nuove produzioni e tecniche più progredite, esistono veri e propri appelli e dichiarazioni programmatiche dei Collegi, che cercano possibili sbocchi della crisi economica attraverso un intervento statale, a scapito del potere tradizionale e della eccessiva rigidità delle Arti. Le intenzioni del go-verno, già chiare nelle deliberazioni dei Padri del Comune del 1761, assu-mono nei capitoli del Portofranco del 1763 e del 1778 un significato tanto estensivo da poter essere interpretato quasi come qualcosa di assai prossimo ad una vera e propria apertura dei mestieri 17.
Più che di una coerente linea di politica economica e del lavoro si trat-ta, come si evince dall’insieme delle iniziative adottate, di un disorganico complesso di provvedimenti che poco o nulla riesce a mutare di una contin-genza economica critica che ha più profonde basi strutturali.
La situazione generale delle Arti a Genova nel Settecento è in consonan-za con la profonda decadenconsonan-za della città, a cui l’ordinamento corporativo con-tribuisce con la strenua difesa dei privilegi e monopoli tradizionali: all’interno si impedisce il ricambio dei soggetti, favorendo una sostanziale ereditarietà dei mestieri, e verso l’esterno si pongono ostacoli alle innovazioni tecniche. Se a questo quadro si aggiunge l’esclusione alla partecipazione attiva alla vita politica della Repubblica, puntigliosamente perseguita dal patriziato al pote-re, ci si rende conto che solo contingenze straordinarie possono consentire alle organizzazioni di mestiere genovesi di tornare a recitare, anche se per
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16 Ordini generali 1724, p. 38.
17 GIACCHERO 1973, pp. 322-323, 335-340 e 432; MASSA 1982.
lassi di tempo limitati, un ruolo politico di primo piano: deve esserci per lo Stato la necessità di appoggiarsi, per compiti di governo e militari, a strutture omogenee, tendenzialmente monolitiche e collaudate quanto a fedeltà e senso di gerarchia.
Nel corso del secolo XVIII queste contingenze straordinarie si pre-sentano per ben due volte, nel 1746 e nel 1793 18.
Nel primo caso una crisi alimentare, divenuta ormai insostenibile, sta alla base di un sommovimento che scaccia l’esercito austro-sardo e riporta alla ri-balta della vita politica genovese il popolo minuto. Il timore degli eccessi della plebe consiglia il ricorso a quegli elementi del popolo, come i Capitani delle Arti, che si presentano come interlocutori più ragionevoli e che danno maggiore affidamento di contribuire a risolvere disciplinatamente i proble-mi di difesa proble-militare e di mantenimento dell’ordine pubblico. Si ha una vera e propria riorganizzazione della milizia su base corporativa e a ciascuna delle Arti è ingiunto di «formare ognuna la loro rispettiva compagnia per la con-servazione e difesa di questa città».
Nel 1793 la situazione è alquanto diversa poiché non sussistono alcuna occupazione straniera e neppure le conseguenze di ordine pubblico interno successive al sommovimento popolare che ha liberato la città cinquant’anni prima. Si tratta, al momento, più che altro di uno stato di tensione preventiva, nel timore che il degenerare della situazione internazionale possa coinvolgere la Repubblica. Ed ancora una volta, in situazione di emergenza, si ricercano, come nel 1746, possibili supporti militari: le Arti e la loro organizzazione vengono ritenute l’interlocutore più affidabile a cui lo Stato possa rivolgersi per la formazione di una milizia urbana 19.
Lo sviluppo dei corpi di mestiere tra XIII e XVIII secolo
Oltre all’aspetto della presenza politica delle Arti all’interno dello Stato che ha avuto, come si è visto, valenze diverse e disomogenee nei vari mo-menti storici considerati, altri temi di grande interesse sono legati all’orga-nizzazione ed al peso economico da esse volta a volta ottenuto.
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18 Vedi MASSA 1983.
19 Sul tema dei rapporti tra ‘arti’ e ‘armi’, v. in generale PIERI 1952, pp. 216-217; ANCONA
1973, pp. 653-656. Il fenomeno in Italia è fortemente presente anche a Bologna e a Verona.
Le Arti genovesi dipendono per lungo tempo dalla magistratura dei Padri del Comune, che ha una competenza assai ampia: economica, organizzativa, di controllo, fiscale e, in determinate circostanze, anche giurisdizionale, quest’ultima in concorrenza, secondo il periodo e l’oggetto, con i Viceduci, i Censori ed i Sindacatori minori 20.
Fin dal Trecento, lo Stato, per il tramite dei Padri del Comune, incamera una quota delle somme provenienti dal pagamento delle multe e delle con-danne pecuniarie inflitte dai Consoli ed una parte delle tasse di immatrico-lazione: l’andamento delle somme riscosse, peraltro introitate con molto ritardo e con pagamenti complessivi, spesso relativi a più esercizi, non offre sicurezza di riscontro né per un indice della conflittualità interna, né per una ipotesi di trend dello sviluppo dei vari corpi di mestiere 21.
Per avere un’idea della presenza delle varie professioni artigiane a Ge-nova occorre, quindi, affidarsi a rilevazioni eterogenee che possano per-mettere di tracciare un quadro di riferimento in rapporto allo sviluppo della popolazione cittadina vista sia come serbatoio di forza lavoro, sia come fonte della domanda dei manufatti artigianali stessi.
Si affida così allo scorporo, o al sorgere di nuove specializzazioni nei vari mestieri censiti, o ai loro accorpamenti, la funzione di indice di maggio-re o minomaggio-re sviluppo dei vari settori economici, non nascondendo i limiti di un tale parametro: è, infatti, frequente la circostanza che l’alta conflittualità presente negli organismi corporativi abbia come risultato di portare ad una segmentazione, talora esasperata, delle singole attività economiche.
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20 DESIMONI 1886a.
21 Ibidem, p. 23: «...consules omnium et singularum artium teneantur in fine eorum con-sulatus rationem reddere dicto Officiio tam de illis qui intraverint ad dictam artem exercendam, quam etiam de condemnationibus factis per eos et partem pertinentem dicto Officio dare».
L’andamento delle quote ricevute dai Padri del Comune (che sono anche Conservatori del porto e dei moli) è assai variabile, poichè le somme comprendono sia le quote delle immatricolazioni, sia quelle delle multe, senza distinzione. Per tutto il XIV secolo le corporazioni versano ai Padri del Comune, in media, 100-150 lire all’anno; nel secolo successivo si alternano esercizi in cui si raggiungono a stento le 50 lire ad altri in cui l’entrata media è decisamente superiore al doppio;
dopo un tracollo nei primi decenni del Cinquecento, alla metà del secolo le Arti versano dalle tre alle quattrocento lire all’anno. Nel Seicento, anche per la svalutazione monetaria, l’introito è sempre superiore alle mille lire, anche se, specialmente verso fine secolo, la mancata conti-nuità dei versamenti fa raggiungere quote eccezionali (ad es. quasi 13.000 lire nel 1682). Cfr.
MASSA 1988a, pp. 127-133.
L’incremento numerico ha a Genova un andamento iniziale in progres-siva evoluzione ed in seguito un percorso abbastanza significativo.
Le più antiche organizzazioni corporative di cui si ha notizia, nella prima metà del Duecento, sono pochissime e vanno a regolamentare settori particolari: alcune attività molto specializzate (scudai, battioro, fabbri d’oro e d’argento); un gruppo che tende a monopolizzare i trasporti (i mulattieri);
due settori cardine dell’industria tessile medievale (lanaioli e porporai) ed infine i macellai, che rappresentano la più antica organizzazione di mestiere del settore alimentare, operando in un campo che anche in seguito sarà fortemente controllato da coalizioni familiari 22.
Nella seconda metà del secolo XIII, il numero delle Arti è ormai di quasi cinque volte superiore (una trentina, escludendo le professioni giuri-diche) con un preciso riferimento alle attività più diffuse, economicamente rilevanti e socialmente utili 23; 74 sono le corporazioni elencate nelle Leges del 1403 (che definiscono le tasse di immatricolazione 24), che evidenziano una fase di assestamento organizzativo: specialmente alcuni settori (lavora-zione della lana, del ferro, del cuoio) sono caratterizzati dall’alta presenza di aggregazioni autonome riferite a singole specializzazioni di rilievo econo-mico limitato – destinate successivamente a scomparire – a causa di una evi-dente difficoltà di individuazione delle caratteristiche più generali delle sin-gole professioni. I gruppi di artisti per i quali, nel 1557, viene decretato
Nella seconda metà del secolo XIII, il numero delle Arti è ormai di quasi cinque volte superiore (una trentina, escludendo le professioni giuri-diche) con un preciso riferimento alle attività più diffuse, economicamente rilevanti e socialmente utili 23; 74 sono le corporazioni elencate nelle Leges del 1403 (che definiscono le tasse di immatricolazione 24), che evidenziano una fase di assestamento organizzativo: specialmente alcuni settori (lavora-zione della lana, del ferro, del cuoio) sono caratterizzati dall’alta presenza di aggregazioni autonome riferite a singole specializzazioni di rilievo econo-mico limitato – destinate successivamente a scomparire – a causa di una evi-dente difficoltà di individuazione delle caratteristiche più generali delle sin-gole professioni. I gruppi di artisti per i quali, nel 1557, viene decretato