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la Liguria in età moderna

La Repubblica di Genova è il frutto dell’espansione storica del Comune di Genova (più agevole verso Oriente, più difficile verso Occidente e Nord), che già alla fine del XIII secolo aveva raggiunto i suoi confini più lontani (Monaco e Corvo, vicino alla foce del Magra, come si diceva comu-nemente). La conquista territoriale e la superiorità politica non si traducono però in risultati di tendenziale uniformità amministrativa: secondo modelli di organizzazione che non sono soltanto liguri, persiste un variegato parti-colarismo giuridico, regolamentato per lo più attraverso convenzioni con la città dominante 1.

Se il contesto politico-istituzionale è variegato, ma non certo atipico ri-spetto a coevi processi di formazione di stati regionali, è invece peculiare la conformazione fisica del territorio che induce conseguenze ed opzioni eco-nomiche da sempre originali.

Siamo in presenza di un 65% di montagna e di un altro 35% di collina (di cui il 23% è classificabile come collina litoranea): una regione, quindi, descrivibile per ‘valli’ perpendicolari al mare, di cui sono protagonisti fiumi e torrenti, che evidenziano però problemi di comunicazione ed endemica precarietà agricola. L’agricoltura, infatti, è caratterizzata da insufficienza cronica della base cerealicola; espansione di alcune colture arbustive; svilup-po localizzato e limitato di una produzione di villa 2.

Al centro, in una quasi pianura tra due vallate, una metropoli mercan-tile che persegue ed attua un disegno monopolistico, tendente a porre il

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* Pubblicato in: L’impresa. Industria, commercio, banca, Atti della XXII Settimana di Studi dell’Istituto Internazionale di Storia economica “F. Datini”, Prato 30 aprile - 4 mag-gio 1990, a cura di S. CAVACIOCCHI, Firenze 1991, pp. 481-502. Anche in MASSA 1995a, pp. 43-69.

1 Su questo periodo della storia genovese, v. VITALE 1955; DE NEGRI 1968; più di re-cente, v. PIERGIOVANNI 1984a e MASSA 1995e.

2 GRENDI 1976, p. 16 e sgg.

ritorio e le comunità circostanti in uno stato di soggezione politica e di stretta dipendenza economica.

In origine la preponderanza è esclusivamente commerciale: una serie di clausole, convenzionali e sostanzialmente iugulatorie, imposte dal più forte e subite dai più deboli, fin dal periodo d’oro del commercio genovese, il Duecento, limita i traffici delle città delle Riviere e li rende dipendenti e funzionali alla politica economica e fiscale della Dominante. La conseguen-za è un notevole sviluppo del cabotaggio che ruota sempre intorno al porto di Genova 3.

Con il XV secolo, ma già in buona parte del XIV, volgono al termine gli anni dei guadagni facili ed abbondanti; la spinta verso Occidente degli interessi commerciali non è da sola in grado di compensare i mancati introiti conseguenti alla riduzione del volume del commercio marittimo 4. Inizia così una diversificazione degli interessi economici ed altre attività si affiancano, in maniera non più ancillare, al commercio.

La povertà del paesaggio naturale riguarda però anche le materie prime:

così come le integrazioni dei beni alimentari sono necessarie per supplire alle carenze della produzione agricola autoctona, anche ogni attività di tra-sformazione è strettamente condizionata dalle risorse estere.

Una prima fase riguarda la siderurgia: in tale settore è il capitale mercan-tile che provvede a monopolizzare la vena dell’Elba e ad instaurare un episodio industriale indotto, che sfrutta boschi ed energia idraulica; simile sarà, nel Sei-cento, il fenomeno di sviluppo delle cartiere, che lavorano incettando stracci fuori dal Dominio; tra questi due episodi se ne colloca cronologicamente un terzo, che in parte convive con essi, ma che avrà sbocchi autonomi: la lavora-zione della seta, proveniente dalla Sicilia, dalla Spagna e dall’Oriente.

Si tratta di tre attività accomunate da un alto costo della materia prima, e la loro economicità, e quindi la sopravvivenza, si basa fondamentalmente sulla possibilità di reperire in loco forza lavoro e fonti di energia a basso costo 5:

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3 Si veda CARO 1974-1975; più di recente AIRALDI 1986, con bibliografia.

4 Cfr. HEERS 1961; MASSA 1988a, pp. 48-54, con bibliografia specifica.

5 Queste percentuali sono il risultato di analisi di contabilità di imprese afferenti agli speci-fici settori produttivi tra il XVI ed il XVIII secolo a proposito delle quali si daranno più precisi riferimenti nei paragrafi successivi. Per dati non del tutto dissimili, vedi FAINA 1966, p. 207;

GRENDI 1976, p. 101; CALEGARI 1986a, p. 66.

Elementi di costo Settore di attività

ferro carta seta

materie prime 46% 55% 65%

manodopera 17% 33% 33%

combustibile 32%

La manodopera è assicurata dal notevole incremento di popolazione della Dominante 6, che è un dato da leggere in connessione al contestuale aumento complessivo degli abitanti del resto del Dominio: la documenta-zione è avara di dati, ma permette di quantificare una variadocumenta-zione positiva del 48% tra il 1535 ed il 1608 7. Per quanto concerne l’artigianato cittadino, il serbatoio di risorse umane è soprattutto la Riviera di Levante: a metà del XV secolo il 92% degli apprendisti arrivano da fuori città, ed il 72% proprio dalla zona orientale 8.

I tre settori produttivi di cui ci occupiamo, cioè ferro, carta e seta, non rappresentano, evidentemente, il tessuto industriale della regione nella sua completezza: esistono certamente tutta una serie di attività manifatturiere rivolte all’autoconsumo, sparse specialmente nelle zone più interne; impor-tante è poi la presenza di numerosi gruppi artigianali aggregati corporativa-mente nelle città più popolose, come Genova e Savona, assai diversificati nella tipologia dei mestieri ma politicamente non determinanti, se non in momenti particolari 9. Notevole è il ruolo del capitale nell’industria dei can-tieri navali, legati alla disponibilità di spiagge e, quindi, diffusamente inse-diati lungo i litorali delle due Riviere, anche se emerge progressivamente la

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6 Da 51.000 abitanti nel 1531 la città passa a 68.000 nel 1579, decimati peraltro dalla ter-ribile pestilenza del 1579-1580 al punto che solo nel 1608 si recuperano i livelli del XVI se-colo; nel 1638 la città conta 75.000 abitanti, dimezzati quasi dalla nuova pestilenza del 1656-57: se ne possono infatti contare solo 40.000 nel 1658, ma già 62.000 nel 1676 e 78.000 nel 1718. All’inizio dell’Ottocento la popolazione della capitale è in pratica agli stessi livelli del secolo precedente. Vedi FELLONI 1952, pp. 236-240; BULFERETTI - COSTANTINI 1966, p. 13.

7 GRENDI 1976, pp. 47-49; FELLONI 1984a, pp. 169-176. Alla caduta della Repubblica aristocratica la popolazione del territorio tocca quasi i seicentomila abitanti. BULFERETTI -COSTANTINI 1966, p. 11.

8 HEERS 1961, pp. 33-34.

9 Sulle corporazioni genovesi v. MASSA 1970 e la bibliografia citata; MASSA 1982; sul tema Maestri e garzoni 1979-1991, nn. 3, 4, 5, 9, 13; per Savona, da ultimo, VARALDO 1980a, con bi-bliografia in argomento.

maggiore specializzazione di alcuni centri, ed in particolare dei due poli estremi dell’arco portuale genovese (Foce e Sampierdarena). Un’altra atti-vità di tradizione medievale è quella laniera, il cui respiro internazionale è più limitato 10.

Le industrie del ferro, della seta e della carta emergono nel panorama generale per l’ampiezza delle risorse finanziarie che coinvolgono e per le ti-pologie produttive rivolte prevalentemente al mercato internazionale 11. Sono attività economiche accomunate dal ruolo determinante svolto dal capitale e connotate da avanzate concezioni imprenditoriali che prendono corpo in ambiente genovese: la conseguenza è che, pur in presenza di singoli processi di fabbricazione in larga misura decentrati, la gestione degli stessi non si espande in sedi decisionali allocate e sparse sul territorio ma rimane sempre accentrata nella città dominante, prolungando sino alla fine della Repubblica un tradizionale rapporto di dipendenza e di sudditanza.

La nascita e lo sviluppo di queste industrie ben si integra ed è funzio-nale, anche in momenti storici diversi, ad un sistema economico che cerca, ed attraverso esse trova, la possibilità di un investimento diversificato delle risorse accumulate con l’attività commerciale e finanziaria.

È questo stesso contesto strutturale, con le sue caratteristiche di privi-legiamento degli impieghi finanziari di capitale, che chiarisce le ragioni di processi di decadimento similari per le tre manifatture: la carta e le seterie, famose negli empori internazionali per la qualità e le caratteristiche produt-tive di alto livello, finiscono per sopravvivere solo su quei mercati in cui è

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10 GRENDI 1976, p. 109. Non bisogna sottovalutare, peraltro, la manodopera impiegata nel settore cantieristico, anche se la documentazione è avara di dati quantitativi (i calafati im-matricolati, attivi tra Cogoleto e Rapallo, tra XVII e XVIII secolo, sono più di duecento; i maestri d’ascia, che operano tra Sampierdarena e Rapallo, oltre trecento). Alla meta del XVIII secolo i cantieri tra la foce del Bisagno e Voltri potevano costruire contemporaneamente an-che dieci vascelli. Si veda Guerra e commercio 1970 (in particolare l’articolo di CALEGARI

1970) e Guerra e commercio 1973, gli articoli di CALEGARI 1973; GATTI - CALEGARI 1973; v.

inoltre GATTI 1975; e GATTI 1980, pp. 51-52 e 100-102. Per una valutazione comparativa della consistenza della flotta ligure, sempre valido il lavoro di ROMANO 1962. Sulla lana v.

BULFERETTI - COSTANTINI 1966, pp. 35, 97 e sgg.; HEERS 1961, p. 230 e sgg.; COSTANTINI

1978, p. 387 e sgg., che ne evidenziano la decadenza dalla fine del Cinquecento. Da più di quattrocento nel 1531 i tessitori immatricolati scendono a 88 nel 1630 e a 39 alla metà del XVII secolo. Cfr. GRENDI 1976, p. 82, e GATTI 1980, p. 139.

11 Solo i manufatti di ferro sembrano avere un mercato più ristretto.

considerato elemento determinante il basso prezzo, ottenuto peraltro esclu-sivamente attraverso la compressione salariale; il ferro è invece condannato dalla arretratezza tecnologica degli impianti.

Per tutte e tre le attività ricordate, la mancanza di stimoli imprendito-riali economicamente più appaganti dei sicuri impieghi finanziari, porta al rifiuto delle nuove tecnologie e di qualsiasi innovazione, pretestuosamente motivato con il sicuro peggioramento della qualità dei prodotti. Per queste ragioni, alla fine del Settecento, l’apparato industriale ligure, di cui le tre in-dustrie citate rappresentano l’ossatura, risulterà non solo ridimensionato

«ma nel complesso non molto più efficiente di quello di trenta o qua-rant’anni prima» 12e, forse, anche di quello di periodi più lontani nel tempo.

Dopo questi brevi cenni introduttivi e generali è forse opportuno scen-dere ad una analisi più particolareggiata dei complessi aspetti del fenomeno industriale ligure in età moderna. Norme corporative, atti notarili, fonti legi-slative, relazioni governative e altro sono state spesso la base di ricostruzione di questi fenomeni, ma, a mio parere, non sono stati sempre sufficientemente evidenziati gli elementi conoscitivi offerti dalle contabilità aziendali che, sole, permettono di delineare le caratteristiche di organizzazione e di gestione delle imprese e che consentono una lettura dall’interno di una realtà troppo spesso schematizzata su quadri generali, frequentemente disattesi nella pra-tica quotidiana.

Sono questi i dati, invece, su cui mi soffermerò maggiormente nei pa-ragrafi successivi.

La diversa localizzazione degli insediamenti produttivi

Si è accennato come in Liguria, in età preindustriale, sia i manufatti di ferro, sia le seterie, sia la carta, abbiano i propri insediamenti produttivi lo-calizzati in funzione a precise risorse offerte dal territorio.

La sede degli impianti di riduzione del minerale di ferro importato dal-l’isola d’Elba è documentata fin dal Trecento nell’Appennino Ligure, in con-testi feudali che ricevono vantaggi, diretti e indiretti, dall’attività siderurgica;

nei secoli successivi, e nel Cinquecento in particolare, la dislocazione degli insediamenti appare organicamente definita e sostanzialmente rimane

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12 COSTANTINI 1978, p. 397.

solidata fino al XVIII-XIX secolo: ad una serie di scali marittimi lungo l’arco costiero tra Finale e Chiavari, cui fa capo il rifornimento di materia prima, corrisponde un parallelo sviluppo degli insediamenti produttivi del ferro nella fascia montana, al di là dei passi dell’arco appenninico, lungo le ancora disagevoli strade carrabili. La zona produttivamente più interessante è sotto lo stretto controllo della Repubblica di Genova ed ha una configu-razione idro-orografica che permette la produzione di notevoli quantitativi di carbone di legna e l’installazione degli impianti lungo i corsi d’acqua.

Il fattore dello sfruttamento più agevole delle fonti di energia è l’ele-mento condizionante la localizzazione nell’Oltregiogo delle ferriere che, in numero di almeno venti alla metà del Quattrocento, risultano raddoppiate circa due secoli dopo, rimanendo in media intorno a quaranta ancora all’inizio del XIX secolo: lavorano complessivamente 2000/2500 tonnellate di minerale all’anno 13.

La valutazione di alcuni elementi di costo forniti dalla contabilità di una ferriera permette di porre in chiara evidenza le motivazioni economiche della scelta citata: il costo del trasporto incide in media sulla materia prima di importazione (minerale di ferro) di un 8,5%, facendone salire il peso al 29% (che diventa 46% con le aggiunte di ferracciame), ma il costo di approv-vigionamento del combustibile rappresenta da solo più del 32% del costo industriale 14. La quantità di combustibile necessaria nel processo produttivo è infatti enorme: con una certa approssimazione si può indicare un consumo di sette quintali di carbone per ogni quintale di ferro di seconda lavorazione prodotto 15.

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13 FAINA 1966, p. 197 e sgg.; CALEGARI 1975, p. 8 e sgg.; sul territorio savonese, in par-ticolare, v. CERISOLA 1965, p. 129 e sgg.

14 Si tratta della ferriera Rocca-De Ferrari operante a Voltaggio, di cui viene analizzata la contabilità industriale per il periodo 1740-1820 in PAOLETTI 1991. I costi di trasporto pre-sentano una notevole variabilità in funzione sia di fattori casuali, sia del mezzo usato, sia del tipo di trasportatore cui si fa ricorso. Per dati tendenzialmente coincidenti in un’analisi di breve periodo (1761-1773), v. BARTOLOMEI 1975, p. 50. Vedi anche nota 5.

15 PAOLETTI 1991, pp. 661-668; nello stesso senso, FAINA 1966, pp. 213-214; sul savo-nese, in particolare, oltre a CERISOLA 1965, p. 115, vedi SCOVAZZI 1949, pp. 16-17; GARINO

1964, pp. 404-408. Sul rapporto bosco-industrie del fuoco è significativo, nell’ambito della Repubblica di Genova, l’esempio della Corsica su cui ROTA 1989b, pp. 505-518.

È quindi il carbone (quasi esclusivamente di legna 16) il vero fattore stra-tegico da controllare e gestire all’interno del processo produttivo, una volta però che ci si sia assicurati la necessaria energia idraulica: da questa dipendono il movimento delle ruote, dei magli e delle trombe idroeoliche nelle varie cam-pagne stagionali, quasi tutte comprese tra l’autunno e la primavera, poiché da maggio in poi è possibile lavorare solo in annate di eccezionale portata d’acqua dei torrenti 17.

Ed è nell’approvvigionamento di carbone che si attua la vantaggiosa inte-grazione economica tra ferriera e risorse boschive locali, di norma facenti capo alla stessa proprietà. Nel caso dell’impianto di Voltaggio, ad esempio, le for-niture di carbone sono diversificate in funzione dei problemi collegati alla ge-stione dei castagneti compresi nell’azienda 18, ma quasi un terzo del fabbiso-gno medio di combustibile della ferriera è con una certa regolarità fornito dai

‘boschi di casa’, a condizioni più vantaggiose; il resto è ottenuto dall’acquisto di

‘tagliate’ dal circondario o facendo ricorso al ‘carbone forestiero’, intendendo con questo termine quello prodotto nelle vallate circostanti, più costoso.

Agendo con oculatezza si riesce a mantenere ad un livello abbastanza stabile le condizioni di fornitura, ma è indubbio che quando l’approvvigio-namento avviene in più larga misura sul mercato, anche se locale, il maggior costo grava talora pesantemente sulla gestione. L’efficienza produttiva di questi impianti precapitalistici è funzione infatti più della struttura della proprietà nobiliare che di fattori economici oggettivi.

Il fatto però che gli alberi, tagliati tra novembre ed aprile, alimentino le carbonaie nei mesi di luglio e di agosto e che successivamente il prodotto debba essere organizzato e stoccato nel ‘carbonile’ di cui è dotata ogni fer-riera, rende queste operazioni complementari al ciclo produttivo dell’im-pianto stesso, con notevole vantaggio per la manodopera.

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16 Per i problemi causati dal passaggio dai carbone di legna al carbon fossile, v. TUCCI

1970, p. 441 e sgg. Sull’importanza del carbone di legna per tutte le ferriere della zona, v.

BARALDI 1984, pp. 24-25 e 66-67.

17 Proprio per questi condizionamenti nella ferriera De Ferrari di Voltaggio la maggior parte delle campagne comincia in Novembre (22), in Ottobre (7) o in Dicembre (5): si lavora fino ad Aprile-Maggio, ma talora solo fino a Marzo e con frequenti interruzioni, di solito «per gran neve e ghiaccio». Cfr. PAOLETTI 1991, pp. 672-676.

18 Il rapporto produzione di carbone-produzione di castagne costituisce il fattore critico dell’amministrazione dei boschi della zona. Cfr. DI STEFANO 1986, pp. 124-137. Simile il pro-blema anche nella zona di Tiglieto, su cui v. DORIA - SIVORI 1978, pp. 937-954.

Nelle vallate perpendicolari al mare, al di qua dell’Appennino, si trova-no invece le ‘fabbriche per il papero’: ad una produzione localizzata nella montagna si affianca quindi una produzione rurale, ma non domestica né a carattere protoindustriale.

Abbastanza vicina ai centri del commercio marittimo e lungo le vie di accesso verso la ricca pianura padana, è condizionata specialmente dalla ne-cessità di forza motrice idrica ed in generale di acqua, indispensabile al pro-cesso produttivo: le sedi principali sono Pegli, Voltri (lungo il Cerusa e il Leira), Cogoleto, Arenzano, Varazze. È plausibile che le cartiere abbiano preso presso i torrenti il posto delle più antiche ferriere, una volta esaurite le risorse boschive delle pendici mediterranee dell’Appennino, o in seguito a misure di salvaguardia del patrimonio forestale adiacente alla costa, respin-gendo gli insediamenti siderurgici nell’entroterra.

Emerge quasi una predisposizione naturale del ponente ligure in cui le vallate dei torrenti, abbastanza lunghi e a regime sufficientemente costante, non si ampliano mai in piane con vocazione agricola (ad eccezione di quella di Albenga). Dalle 16 cartiere censite nel 1531 si passa a 40 a fine secolo; a 86 nel 1615; a quasi 150 nella seconda metà del Settecento; nel 1812 ne ri-sultano 165, di cui però solo 81 attive 19.

La vicinanza ai centri di traffico non può essere sottovalutata nei calcoli economici che condizionano la localizzazione di questo tipo di impresa, che deve cercare un equilibrio tra approvvigionamento e costo di trasporto della materia prima, esito del prodotto finito e necessità idriche. Sia che gli stracci siano di importazione, sia che vengano reperiti sul mercato regionale, si tratta del rifornimento, per ogni edificio, di 15-20 tonnellate di materiale all’anno, a cui corrisponde un output verso la Dominante di circa 250-300 balle di car-ta 20: alla metà del XVII secolo sono 15-18 mila i colli che raggiungono prima la costa e successivamente Genova, spesso per mare 21. Gli opifici, inoltre, non

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19 CALEGARI 1986a, p. 57; per l’Ottocento, PRESOTTO 1965a, pp. 165-179.

20 Cfr. in generale, CALEGARI 1986a, p. 23. In particolare i dati risultano meglio definiti dall’analisi dei libri contabili di due cartiere operanti nella zona di Voltri alla metà del Seicen-to, una gestita in società da esponenti delle famiglie Bottaccio e Ratto (Libro del lavorerio dello edefitio a compagnia Bottacii e Ratti, 1636-1642), l’altra di cui si sa soltanto che era si-tuata nella zona dell’Acquasanta (Libro dell’Edefficio, 1634-54).

21 Sulle esportazioni v. GRENDI 1976, pp. 107-108. I colli esportati sono ‘balloni’, com-posti – secondo la contabilità delle cartiere voltresi citate a nota 20 – da 24-25 risme, cioè cir-ca due balle e mezzo di cir-carta.

possono essere localizzati troppo lontano dal nucleo urbano, sia perché i mae-stri cartai hanno un’organizzazione corporativa, anche se tarda, insediata in città; sia perché apposite magistrature urbane (nella fattispecie i Censori) sottopongono a rigida disciplina e a controllo i prodotti; sia perché il rapporto tra capitale e gestione dell’impianto appare più stretto che nell’industria del ferro. Esistono degli standard produttivi da rispettare che implicano conflit-tualità economica e tecnica: le disposizioni corporative prevedono infatti un rapporto input/output che varia dal 60% nel 1555 al 75% nel 1638; da questa data esso è aumentato all’81,25%; alla metà del Settecento si arriva ad imporre la resa di 90 balle di carta ogni 100 cantari di stracci 22.

Sebbene siano evidenti i vantaggi della vicinanza di un centro di traffici come il porto di Genova, che facilita gli approvvigionamenti di seta greggia e le esportazioni, è tuttavia il problema del controllo del ciclo produttivo che sembra condizionare per lungo tempo anche gli insediamenti delle im-prese seriche, accentrate all’interno delle mura cittadine: i passaggi dei se-milavorati sono molti ed il loro valore unitario è elevato; i cali ammessi o fraudolenti sono argomento di continue controversie e liti; i furti e le falsi-ficazioni dei tessuti oggetto di grande conflittualità; alla perfezione dei pro-dotti è legata invece la politica dell’Arte della seta sui mercati internaziona-li 23. È nella Dominante, del resto, che nel XVI secolo si concentra un quinto della popolazione del territorio (50-70.000 persone), di cui il 15-20% si può calcolare come gravitante intorno all’industria serica 24.

Il fatto che il fattore lavoro ed il suo sistema organizzativo siano dterminanti nella localizzazione della produzione di seterie è chiaramente e-videnziato dalle vicende della stessa: nasce nel XV secolo come produzione artigianale urbana, operando all’interno delle botteghe cittadine, funzionale ad una articolata struttura corporativa, ed ha nel secolo successivo uno svilup-po progressivo, quasi frenetico (e in questo periodo la città diventa il centro

Il fatto che il fattore lavoro ed il suo sistema organizzativo siano dterminanti nella localizzazione della produzione di seterie è chiaramente e-videnziato dalle vicende della stessa: nasce nel XV secolo come produzione artigianale urbana, operando all’interno delle botteghe cittadine, funzionale ad una articolata struttura corporativa, ed ha nel secolo successivo uno svilup-po progressivo, quasi frenetico (e in questo periodo la città diventa il centro