Il secolo d’oro d’Anversa, da un punto di vista economico, è indub-biamente il Cinquecento: lo sosteneva già M.H. Pirenne 1, dichiarando come i Paesi Bassi di quell’epoca potessero quasi considerarsi come la periferia di questa città, all’apice del potere economico anche grazie allo spirito liberale che improntava i suoi ordinamenti e la sua economia, caratterizzando il mondo degli affari. È vero tuttavia che tra i principali attori di questa fase di crescita vi furono ad Anversa i mercanti stranieri arrivati da Bruges alla fine del secolo precedente, senza voler per questo sostenere che lo sviluppo commerciale della città sia stato semplicemente la continuazione di una realtà ereditata 2.
All’interno di quella che può essere definita la popolazione internazio-nale della città si segnalano gli Italiani, per il loro peso economico, per la consolidata tradizione dei loro rapporti mercantili, per lo spirito imprendi-toriale, per la numerosità. Mercanti e finanzieri, i Genovesi a loro volta su-perano ben presto i concorrenti spagnoli, portoghesi e specialmente tede-schi e continuano a mantenere una posizione di preminenza nei decenni successivi, quando rimpiazzano in breve tempo la più antica e consolidata egemonia veneziana 3.
Certo, il XVII secolo è ancora oggi oggetto di dibattito tra gli storici, divisi tra l’idea sostanzialmente negativa della crisi generale che ne caratte-rizza l’andamento e un più positivo approccio che ne pone in evidenza il
«fondamentale cambiamento» 4: sicuramente una riduzione del livello di
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* Pubblicato come: L’organisation sociale et les activités économiques des Génois à An-verse (XVIe-XVIIe siècle), in Anversa e Genova. Un sommet dans la peinture baroque, Anversa 2003, pp. 18-21.
1 PIRENNE 1900-1948, I, p. 58 e III, p. 267.
2 GORIS 1925, p. VI.
3 Si veda più ampiamente BRAUDEL 1981-1982, III, pp. 123-155.
4 VERLINDEN 1968, pp. 170-172.
crescita rispetto al secolo precedente è largamente diffuso e documentato, specialmente nel Mediterraneo, ma lo stesso periodo, nel Nord Europa, as-sume una fisionomia particolare, pur nell’incertezza dell’evoluzione politica di alcuni territori. La persistente prosperità di Anversa, ottenuta nonostante le difficoltà del porto, grazie alla sua centralità politico-finanziaria è una testimonianza importante di una situazione di sfruttamento di specifiche peculiarità che, dal punto di vista congiunturale, si giova della ricaduta positiva dei cicli favorevoli di sviluppo di paesi vicini, e da un punto di vista politico la portano ad essere uno dei punti cardinali della egemonia spagnola in Europa.
Anversa rappresenta in questo periodo quasi il nocciolo duro da cui i metodi economici nuovi si diffondono verso le regioni ove non erano anco-ra penetanco-rati. Si anco-racconta che centinaia di vascelli ne affollassero il porto e che migliaia di vetture e di carri vi portassero, via terra, viaggiatori e merci.
La sua Borsa formicolava di vita ed in essa si guadagnavano e si perdevano in un lampo intere fortune 5.
Il secondo dei punti cardinali dell’egemonia spagnola è indubbiamente Genova, avamposto filoiberico del Mediterraneo verso Milano e la piana del Po 6. I rapporti di questa città con le Fiandre tra Cinque e Seicento sono strettamente correlati con la congiuntura politico-militare internazionale ma si giovano anche del positivo risultato di una secolare e preesistente si-tuazione di reciprocità di affari commerciali e finanziari, di rapporti nautici e culturali, per soggiorno di artisti e di uomini di pensiero e per residenza di mercanti 7.
A Genova, fin dal Medioevo, vi sono residenti fiamminghi, costituenti una colonia e successivamente un consolato; ad Anversa operano dal 1515 residenti Genovesi organizzati in una Natione i cui Statuti sono approvati nel 1536 e i cui affiliati partecipano attivamente verso fine secolo anche alla Accademia dei Confusi 8, cerchia di uomini di pensiero di notevole qualità, la cui attività permette di attestare per la presenza genovese nella città una dimensione non solo economica ma anche culturale.
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5 PARKER - SMITH 1988.
6 BELVEDERI 1983, pp. 505-546; VAN HOUTTE 1985a, p. 162.
7 DORIA 1977a, pp. 13-29.
8 BELVEDERI 1983, pp. 517-25; BECK 1985, pp. 213-223.
Il concetto di natio, di origine medievale, è al centro di un ampio di-battito storiografico 9, applicato a raggruppamenti di studenti e di mercanti forestieri, le categorie che con i pellegrini sono quantitativamente e qualita-tivamente i protagonisti più significativi della mobilità e della circolazione degli uomini. Pur rimanendo forestieri, cioè giuridicamente estranei ai luo-ghi che li accolgono temporaneamente, questi soggetti ottengono tuttavia una tutela particolare e, coagulandosi sulla base della provenienza geografica, danno origine a gruppi che diventano strumenti di autonoma giurisdizione e di autorappresentazione degli aderenti, con proprie strutture funzionali e spazi simbolici e di prestigio (ad esempio, la loggia, luogo di riunione ma anche simbolo del potere e della ricchezza raggiunta).
Elemento importante di queste comunità forestiere è la coscienza na-zionale, e nel caso italiano, in particolare, una specie di sentimento sociale di appartenenza che permette loro di acquisire una visibilità esterna e di proiettare all’esterno una immagine di compattezza, di unità di intenti, talo-ra petalo-raltro non sempre effettivamente riconducibili all’esistenza di sttalo-rategie comuni. La forza reale del gruppo è tuttavia quella di non spingere questa coscienza nazionale al punto di trasformarla in una estraneità nei confronti del contesto socio-politico della realtà in cui operano.
Le nationes genovesi all’estero si segnalano in particolare per la pre-ponderanza della componente di aristocrazia mercantile, in quanto sono, di norma, aggregazioni degli esponenti della élite politica ed economica internazionale, mercanti e banchieri. Nelle Fiandre essi arrivano assai pre-sto, quando, nella seconda metà del XIII secolo, i principali operatori economici iniziano a disertare le fiere della Champagne, allora il centro più importante del commercio internazionale nell’Europa del Nord, e a stabilire filiali permanenti a Bruges, con l’appoggio dei Conti di Fiandra 10. Si iniziano a formare così le prime compagnie mercantili stabili, le domus, che operano sotto la direzione di familiari dei più importanti imprendito-ri, che si spostano sulle piazze straniere di maggiore interesse per fare esperienza nel mondo degli affari 11. Alla base di questi rapporti stanno quei meccanismi di conoscenza del mercato e di sapiente organizzazione
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9 PETTI BALBI 2001, pp. XI-XXIII.
10 DE ROOVER 1948.
11 DORIA 1995, pp. 321-347.
delle informazioni che costituiscono il ‘know-how’ vincente dei mercanti banchieri genovesi 12.
Non è facile, peraltro, quantificare la consistenza della colonia genove-se nelle Fiandre, genove-sempre fluttuante perché legata all’andamento del mercato e alla stabilità del paese ospitante. Uno dei primi studiosi che ha tentato in passato una stima, il Goris 13, rileva venticinque componenti tra coloro che, nel periodo 1533-1600, possono essere considerati come degli immigrati definitivi, diventando cittadini borghesi e sfuggendo, attraverso questo espediente, alle regole della domus: si tratta del 20,3% dei 123 italiani censiti su 186 ‘mediterranei’.
Altri dati ci riportano un po’ più indietro nel tempo, al XV secolo, quando la forte colonia genovese di Bruges (36 mercanti), ad esempio, sfila in corteo nel dicembre del 1440 di fronte al duca Filippo III oppure, nel 1469, quando, per i festeggiamenti delle nozze del duca Carlo, 108 mercanti genovesi in abito da parata costituiscono la rappresentanza mercantile stra-niera più folta 14.
Massimiliano d’Asburgo incoraggia tuttavia ben presto lo spostamento dei Genovesi ad Anversa: una prima volta, provvisoriamente, dal 1488 al 1492; poi, in modo definitivo, dal 1510. Le tappe successive della loro for-tuna nella città sono numerose e si susseguono in una costante progressione secolare.
La natio è presieduta da un console e da due consiglieri aiutati da un segretario e la sua attività è documentata fino al 1720 15; nel 1571 ottiene da Filippo II il privilegio di avere un proprio tribunale civile. Le indicazioni numeriche sono, anche in questo caso, poche ma significative: 37 aziende commerciali genovesi risultano attive ad Anversa nel 1551; tra questa data e la metà del secolo successivo ben 147 sono i nomi dei titolari genovesi di ditte bancarie e commerciali operanti ad Anversa nell’alta finanza attirati dal circuito dei metalli preziosi e degli asientos. A fine secolo la colonia genove-se è ancora di gran lunga la più importante tra quelle straniere di Anversa ed è sempre più impegnata nel giro dei finanziamenti alle armate spagnole
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12 DORIA 1986a, pp. 243-273.
13 GORIS 1925, p. 28 e pp. 75-78.
14 PETTI BALBI 1996, pp. 15-100.
15 DORIA 1977a, pp. 17-18.
mandate da Alessandro Farnese, per raggiungere il proprio apogeo con l’arrivo nelle Fiandre del ricco patrizio genovese, abile politico e grande mi-litare, Ambrogio Spinola 16.
Come è stato scritto 17, la luminosa carriera di questo genovese, che viene anteposto ai condottieri spagnoli dotati talora più di lui di esperienza militare, ha probabilmente una motivazione di base di tipo finanziario: «il banchiere genovese riesce ad ottenere denaro con sufficiente tempestività per non fare ammutinare l’esercito». I Genovesi di Anversa lo approvvigio-nano regolarmente delle somme che richiede; l’aristocrazia finanziaria della città d’origine, a sua volta, alimenta il circuito delle lettere di cambio che continuano a trovare il migliore affare nel finanziamento delle guerre spa-gnole, almeno fino al terzo decennio del Seicento. Anche se in misura mi-nore il flusso erogativo continua ancora durante la Guerra dei Trentanni.
Centro di queste contrattazioni sono infatti le fiere dei cambi, i «mercati periodici del credito» che si svolgono a Piacenza, il cui periodo di massima fioritura è compreso tra il 1579 ed il 1621.
Sono del resto l’oro e l’argento americano che assicurano, insieme alla possibilità di pagare le truppe, anche le garanzie, gli interessi, i diritti di commissione che i finanzieri e i banchieri genovesi lucrano grazie agli anti-cipi, alle tratte e alle rimesse, alle cambiali, alle girate, a quella cioè che è stata definita da F. Braudel la montagna «della carta dominatrice … capace di spettacolari metamorfosi» 18, che è alla base dell’alta finanza europea di questo periodo nella triangolazione Madrid - Genova (Piacenza) - Anversa.
Nel passaggio del gruppo degli operatori genovesi da Bruges ad Anver-sa è infatti importante sottolineare l’evoluzione e il mutamento dei loro in-teressi economici.
Più tradizionali e mercantili i traffici dei protagonisti della prima fase:
riguardano in larga misura panni e fustagni fiamminghi e inglesi, mentre dalla madre patria (e dall’Asia) arrivano guado, cera, grana, spezie, olio, ma anche perle e monili; spesso si completa il carico delle navi con prodotti provenienti da qualche sosta programmata in un porto spagnolo (in cui ci si rifornisce di frutta secca, ad esempio, di vino, datteri, mandorle, zucchero,
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16 VAN HOUTTE 1962, pp. 707-712.
17 DORIA 1978, p. 21.
18 BRAUDEL 1974, pp. 2161-2167; per il periodo precedente, BLOCKMANS 1991, pp. 781-788.
oltre al sempre necessario argento). Indubbiamente il periodo Cinque-Sei-centesco ruota maggiormente intorno al credito, ma non bisogna dimenticare alcuni beni di lusso, come le seterie, che mantengono, nel lungo periodo, una posizione importante negli scambi tra Sud e Nord Europa.
Intorno alla metà del XVI secolo, le seterie, i velluti, i drappi d’oro e d’argento importati ad Anversa sono una delle voci più importanti della bi-lancia commerciale di questa città, secondi solo ai drappi inglesi e preceduti dalle importazioni di grano 19: la maggior parte affluisce dall’Italia e da Ge-nova in particolare, per prendere successivamente in larga misura la strada dell’Inghilterra. Dai dati delle esportazioni genovesi risulta che se nel 1578 la dogana registra verso le Fiandre 35 casse di velluti e 77 di altri tessuti se-rici, nel 1639 il livello della richiesta non è certo diminuito: partono per la stessa destinazione 591 pezze di velluto oltre a rasi, damaschi e drappi serici di varia qualità in misura assai rilevante 20. Il lusso continua infatti a dominare la città almeno fino al 1648: i mercanti proteggono i pittori e gli altri artisti;
comperano le loro opere, sovente ispirate al Rinascimento italiano. Si tra-manda che la cucina delle loro case fosse assai raffinata e che i ricchi abiti che indossavano, di seta e velluto, fossero sempre anche ornati di ricami d’oro e d’argento.
Certo, nel 1648, quando la Schelda viene chiusa al traffico e la Spagna riconosce l’Olanda, il ruolo centrale tenuto così brillantemente si affievoli-sce, ma si può dire che ormai Anversa ha diffuso nell’Europa occidentale e specialmente in quella settentrionale tutte le tecniche che a sua volta aveva ereditato dall’Italia 21.
Nonostante gli accadimenti avversi, peraltro, durante tutto il Seicento Anversa riesce a mantenere un livello di attività economica non trascurabile, se pur ridotto rispetto all’espansione del secolo precedente. La presenza dei mercanti stranieri continua ad essere efficace, ma specialmente si comincia-no ad intravedere i primi sintomi di una borghesia mercantile ‘indigena’, at-tiva in operazioni commerciali e finanziarie. Ci si cimenta verso orizzonti
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19 GORIS 1925, p. 252 e p. 319; MASSA 1974, pp. 207-228. Contemporaneamente però quasi il 9% delle esportazioni fiamminghe verso l’Italia era avviato in direzione di Genova, che si trovava al terzo posto come mercato di sbocco, dopo Ancona e Venezia (BRULEZ
1959, p. 475).
20 SIVORI 1972, p. 938.
21 VERLINDEN 1968, pp. 172-173. Più in generale, nel lungo periodo, VAN DER WEE 1963.
diversi, come la Germania e il Nuovo Mondo, attraverso la Spagna; si inve-ste in settori innovativi come la tipografia o la lavorazione delle pietre pre-ziose (diamanti). Arazzi, libri, mobili barocchi, seterie di produzione locale e di notevole pregio alimentano un flusso di esportazione di prodotti di lus-so che caratterizzano una riconversione dell’economia della città. Senza di-menticare l’argento che continua ad essere al centro delle rimesse militari fino alla pace di Rijswijk del 1697: in questo settore i banchieri genovesi mantengono il loro ruolo di referenti indispensabili per le anticipazioni ne-cessarie alla tesoreria militare 22.
Nel seguire le vicende della presenza secolare dei Genovesi nelle Fian-dre ci si imbatte nei nomi di quasi tutte le famiglie dell’aristocrazia locale:
Grimaldi, Spinola, Doria, Lomellini, Giustiniani, Adorno, Centurione non sono che alcuni dei casati illustri presenti, ad esempio, tra i 120 Genovesi censiti ad Anversa tra il 1520 ed il 1650 23, che conta ora circa sessantamila abitanti rispetto ai centomila del secolo precedente 24. Pallavicini e Invrea ca-ratterizzano con la loro presenza e attività la seconda metà del XVII secolo.
Ne sono testimonianza tangibile ancora adesso le case patrizie barocche ap-partenenti all’alta borghesia finanziaria.
Fra questi gli Adorno, in particolare, in quanto protagonisti di traffici mercantili e di attività finanziaria in rapporto con la corona asburgica si collocano in preminenza nella corrente filospagnola del patriziato genovese, operando tra Madrid e le Fiandre 25, in stretto collegamento con asientistas di maggiore respiro. Più documentata, allo stato attuale delle ricerche, è la vicenda dei Balbi, insediati ad Anversa già nella prima metà del Cinquecento in un’ottica di attività mercantile collegata all’esportazione dei velluti geno-vesi. Una società familiare, con compiti ben definiti di competenza funzio-nale e di rappresentanza in ciascuna delle due città, che costituisce la realiz-zazione di un modello teorico-organizzativo quasi ripetitivo all’interno della aristocrazia mercantile genovese nella gestione degli affari 26. Anch’essi
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22 VERLINDEN, pp. 726-736.
23 BECK 1983, p. 454; VAN HOUTTE 1985b, pp. 99-109.
24 VAN HOUTTE 1962, pp. 714-715.
25 CHIAVARI 2002, pp. 75-80.
26 GRENDI 1997, pp. 18-68.
diventano ben presto alti esponenti all’interno del gruppo finanziario cui fa capo la contrattazione delle lettere di cambio.
Di molti altri (Brignole, Burazzo, Spinola), attraverso la contabilità, si conosce e si è riusciti a quantificare gli stretti rapporti finanziari con la Co-rona di Spagna: se è vero che il mercato dell’argento e i flussi di capitali hanno sempre come punto di riferimento Anversa, è anche da sottolineare la volatilità di questi guadagni che al di là dell’arricchimento di gruppi fami-liari non forniscono alla città risorse per un cambiamento strutturale della propria economia alla ricerca, nel XVIII secolo, di nuovi settori di sviluppo.