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Correlazione tra livelli di IgG e proteine total

Nel documento Il monitoraggio immunologico nella sepsi (pagine 111-119)

andamento IgG eIgM

grafico 17. Correlazione tra livelli di IgG e proteine total

Non si riscontrano differenze significative in termini di mortalità globale tra il gruppo con ipogammaglobuliniemia isolata e quello con ipogammabobulinemia combinata all’ammissione (3/5 vs 2/6). Pertanto l’ipogammaglobulinemia (G e M) non si dimostra un fattore predittivo di mortalità. R² = 0,5094 0 1 2 3 4 5 6 7 0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600

IgG/prot totali

Ig/prot totali

Lineare (Ig/prot totali) Lineare (Ig/prot totali)

r = 0,71 n = 30

p value = 0.00000555 (1coda) 0.00001110 (2 code)

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Conclusioni

Dallo studio condotto emerge chiaramente come i marcatori immunologici possano rilevarsi utili sia per la diagnosi dell’immunodepressione, presente nei pazienti con shock settico, sia come indicatori prognostici. Ovviamente essendo lo studio basato su una popolazione di pochi pazienti i dati riscontrati richiedono conferme in un campione più ampio.

I parametri immunologici studiati forniscono informazioni che integrano quelle ottenute dagli esami standard, cogliendo aspetti fondamentali nell’inquadramento della condizione clinica del paziente, visto il ruolo chiave del sistema immunitario e delle sue alterazioni nella fisiopatologia della sepsi.

Dall’analisi dei vari profili immunologici si riscontra in particolare:

dal profilo citochinico emerge che, più che i valori assoluti dell’IL10 (principale citochina antinfiammatoria) e del TNFα (principale citochina proinfiammatoria), è il ratio IL10/TNFα ad essere indicativo dell’andamento clinico e più affidabile come indicatore prognostico.

Infatti fornisce una stima più attendibile dell’equilibrio tra le citochine proinfiammatorie e quelle antinfimamtorie, permettendo di contestualizzare i singoli livelli di IL10 o TNFα all’interno della complessa cascata citochinica. Nel breve periodo, questo rapporto risulta notevolmente aumentato nei non survivors rispetto ai survivors.

dal profilo immunoglobulinico emerge che l’ipogammaglobulinemia è quasi costante nello shock settico, benché non correli con la gravità clinica e non abbia valore prognostico. Il monitoraggio delle immunoglobuline endogene, però, può rivelarsi utile per selezionare i pazienti da sottoporre a trattamento con soluzioni di Immunoglobuline endovena (IVIG) e guidare questo approccio terapeutico, valutandone la risposta.

dallo studio del HLA-DR sui monociti emerge che una progressiva riduzione dell’espressione di questo antigene si associa ad un outcome infausto e pertanto questo marcatore può essere utilizzato come fattore prognostico.

dallo studio delle sottopopolazioni linfocitarie emerge che il gruppo dei non survivors presentava livelli percentuali maggiori di NK all’ammissione ed un incremento dei linfociti B, nel corso del monitoraggio, a svantaggio di un incremento lieve nella popolazione dei

113 linfociti T. Approfondendo lo studio dei subsets dei linfociti T si nota nei non survivors la riduzione dei T CD4+, nel tempo, a fronte di un incremento, seppur lieve, dei Treg.

dallo studio del CD64 sui neutrofili emerge come da un lato questo parametro sia un marker sensibile di infezione (essendo espresso ad elevati livelli all’insorgenza dello shock settico in quasi tutta la popolazione studiata) e dall’altro un buon indicatore della regressione dell’infezione e della risposta positiva alla terapia antibiotica (mostra un trend discendente nei survivors).

Dall’analisi complessiva di questi profili immunologici specifici emerge lo stato di immunoparalisi, che caratterizza i pazienti con shock settico e che può non esser rilevato dagli indicatori classici del sistema immunitario, come la conta leucocitaria. Infatti, analizzando i parametri standard si assiste ad una disomogeneità dei valori spesso forviante per la valutazione della competenza immunitaria di questi pazienti.

Dall’analisi di più biomarkers immunologici specifici emerge, invece, una maggiore omogeneità dello stato immunitario dei pazienti con shock settico, in quanto tutti mostrano gradi variabili di immunocompromissione. L’utilizzo del monitoraggio di più parametri permette una migliore contestualizzazione di ogni valore misurato, accrescendone il significato clinico.

Dallo studio del nostro campione si riscontra uno stato di immunosoppressione precoce nel decorso della malattia, in corrispondenza con l’insorgenza dello shock settico. Probabilmente questa precocità del deficit immuniario, rilevata dal nostro studio, dipende dalla popolazione studiata, che è rappresentata da soggetti ammessi in UTI con shock settico e sepsi severa e non con sepsi, e quindi in una fase di malattia non iniziale, ma già evoluta e complicata.

L’utilizzo dei biomarkers immunologici permetterebbe l’individuazione precoce dei soggetti immunocompromessi, evitando le conseguenze cliniche di un prolungato stato di immunoparalisi, sia in termini di complicanze infettive, sia sull’outcome. Inoltre faciliterebbe l’identificazione dei soggetti che potrebbero beneficiare maggiormente dei trattamenti immunostimolanti, permettendo un’ottimizzazione di queste nuove terapie.

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