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MONITORAGGIO DELLE COMPONENTI CELLULARI DELL’IMMUNITA’

Nel documento Il monitoraggio immunologico nella sepsi (pagine 48-62)

La scoperta dei notevoli cambiamenti immunoinfiammatori nei compartimenti cellulari hanno spinto i ricercatori a valutare anche diversi costituenti cellulari come markers di sepsi (mHLA-DR, subsets linfocitari, molecole di superficie sui neutrofili).

È da considerare che la misurazione di markers sulla superficie cellulare, rispetto ai mediatori circolanti, ha il vantaggio che il livello della loro espressione è il risultato della somma degli effetti di molteplici mediatori che intervengono nella patogenesi della sepsi.24 Infatti la misurazione di un singolo mediatore circolante, come una citochina, fornisce delle informazioni parziali circa la risposta immunitaria del soggetto, in quanto i suoi effetti risentono degli altri mediatori della cascata citochinica. Invece le alterazioni cellulari, rappresentando la conseguenza dei diversi meccanismi fisiopatologici intervenuti a monte, possono rispecchiare più fedelmente le alterazioni dello stato immunitario.

Utilizzo della citofluorimetria nello studio del sistema immunitario nella sepsi

Tra le tecniche diagnostiche utilizzabili per identificare le alterazioni delle cellule immunitarie ha un ruolo di primaria importanza la citofluorimetria, che negli ultimi anni è stata proposta proprio per lo studio dei cambiamenti immunofenotipici di queste cellule in corso di sepsi.

Fino ad oggi questa tecnica diagnostica è stata limitata ad alcuni ambiti specialistici e viene utilizzata routinariamente in un ristretto spettro di patologie (principalmente patologie ematologiche, conta dei linfociti TCD4+ nell’AIDS, testing basofili in allergie). I motivi per cui questa tecnica non è diffusa nella pratica clinica sono diversi.

49 Innanzitutto la citofluorimetria soffre una mancanza di standardizzazione. Infatti, al contrario degli analizzatori chimico-clinici standardizzati, la misurazione di un nuovo parametro attraverso la FCM offre la possibilità di impostare protocolli “personalizzati”, cioè di definire una strategia di marcatura ed separazione, un sistema di lisi e un protocollo di acquisizione. Tuttavia, per poter effettuare studi multicentrici che dimostrino l’impatto clinico di un nuovo biomarker sono necessari protocolli standardizzati. Comunque, oggi si stanno perfezionando protocolli uniformi disponibili commercialmente, controlli interni (forniti dalle aziende produttrici) ed esterni (per esempio nel Regno Unito è presente UK National External Quality Service), che dovrebbero contribuire a migliorare la standardizzazione e quindi l’utilizzo della FCM in studi clinici multicentrici.

Secondariamente fa riferimento a parametri immunologici ed ematologici considerati complessi e, pertanto, accessibili solo a specialisti. Questo è particolarmente vero se si considera il crescente numero di cluster di differenziazione (CD) misurabili con la FCM.

Inoltre non essendo considerata una tecnica comunemente disponibile di routine (cioè disponibile 24/7), l’accesso alla citofluorimetria spesso non è facile per i clinici. Va detto, però, che oggi, grazie ai nuovi sviluppi tecnologici, vengono proposti strumenti che potrebbero facilitare l’uso della FCM nelle UTI (citofluorimetri compatti trasportabili a basso costo, al letto del paziente o chip-based).25Al momento questi apparecchi rimangono limitati a semplici applicazioni, ma nei prossimi anni si prospettano nuovi sviluppi, compresa la FCM multicolor.

Nonostante questi limiti, comunque, la FCM può esser testata in ambiti diversi da quelli abituali, come nel monitoraggio dei pazienti ricoverati in UTI ed in particolare nel contesto della sepsi. Infatti, poiché indubbiamente la FCM è il miglior strumento ad oggi disponibile per monitorare il fenotipo delle cellule immunitarie, può avere un ruolo importante nell’identificazione di alcune caratteristiche dell’immunosoppressione sepsi-indotta.

Questa tecnica può dimostrarsi utile in vari momenti della gestione dei pazienti settici: nella diagnosi di infezione, nella stratificazione dei pazienti in base al loro stato immunitario, nel guidare le nuove terapie immunitarie (definire il tipo di trattamento da usare, ad esempio, se stimolare l’immunità innata o adattativa, la tempistica corretta cioè trattamenti precoci o tardivi e i pazienti che potrebbero beneficiare maggiormente di tali trattamenti) e, infine, nel controllo dell’efficacia delle terapie. 26

Tra i biomarkers misurabili con FCM routinariamente nella gestione dei pazienti settici sono stati proposti:

50 - l’espressione del CD64 sui neutrofili utilizzabile per la diagnosi di sepsi ;

- l’espressione di HLA-DR sui monociti e percentuale dei linfociti T regolatori circolanti per predire outcome sfavorevole, insorgenza di infezioni secondarie nosocomiali o per orientare l’immunoterapia.

Monitoraggio della componente cellulare dell’immunita’ innata

1)Espressione HLA-DR sui monociti circolanti

L’antigene leucocitario umano HLA-DR fa parte del sistema maggiore di istocompatibilità umano (HLA) di classe II, che è costitutivamente espresso sulla superficie delle cellule presentanti l’antigene APC (monociti, macrofagi, cellule dendritiche, linfociti B). HLA-DR è una glicoproteina formata da un dimero associato in modo non-covalente che presenta un sito di legame extracellulare per il peptide antigenico.

Le molecole del sistema HLA sono coinvolte nella presentazione dell’antigene ai linfociti T CD4+. Le APC internalizzano gli antigeni circolanti e, dopo diversi passaggi, gli endosomi contenenti gli antigeni si fondono con le vescicole contenenti le molecole HLA classe II, permettendo il legame tra queste molecole, che sono poi portate sulla superficie delle cellule. L’interazione dei peptidi, legati alle molecole HLA classe II, con il recettore sulle cellule T associato rende possibile l’attivazione dei linfociti T e quindi l’innesco della risposta immunitaria adattativa. Il sistema HLA è caratterizzato da un notevole polimorfismo: una maggiore diversità nel sistema HLA corrisponde ad una maggiore capacità per HLA classe II di legare diversi antigeni e attivare una difesa efficace contro nuovi patogeni. 27

L’espressione di mHLA-DR è finemente regolata da diverse citochine prodotte nel corso della risposta immunitaria:

- È stimolata da mediatori come granulocyte macrophage colony stimulating factor (GM- CSF), interferone (INF)γ e granulocyte colony stimulating factor G-CSF

- È inibita dall’interleuchina (IL)-10, transforming growth factor (TGF)-β e prostaglandine I monociti esprimono mHLA-DR con una variabilità minima rispetto a età, sesso, etnia, senza variazioni circadiane, come emerso da uno studio condotto su volontari sani. Le varie terapie utilizzate in terapia intensiva, comprese corticosteroidi, catecolamine esogene, trattamenti immunosoprressivi, trasfusioni ematiche e antibiotici, non sembrano influire sull’espressione mHLA-DR.

51 La ridotta espressione di HLA-DR sulla superficie cellulare dei monociti fu proposta come biomarker di deattivazione dei monociti e di immunosoppressione nei pazienti critici già alla fine degli anni 90. 28

Nel corso di studi sulle alterazioni immunitarie in corso di sepsi severa venivano riscontrati bassi livelli di mHLA-DR. 29

Infatti, alcuni studi funzionali dimostravano un legame tra bassi livelli di mHLA-DR e l’alterazione delle funzioni cellulari dei monociti, incluso la perdita delle loro proprietà proinfiammatorie e la riduzione della loro capacità di indurre risposte dei linfociti T antigene-specifiche.30, 31

Sulla base di diversi studi, mHLA-DR è stato preso in considerazione come fattore predittivo di complicanze settiche in seguito a danni di vario tipo (trauma, ustioni32, chirurgia maggiore). mHLA-DR misurato in 3 tempi nei primi 14 giorni dopo il trauma al 3-4 giorno permetteva di differenziare i pazienti che sviluppavano complicanze settiche da quelli che non le sviluppavano: i pazienti senza complicanze settiche mostravano un incremento di mHLA-DR rispetto al gruppo con complicanze (p = 0,04) e l’analisi di regressione logistica multivariata rivelava che una variazione (∆) dell’espressione mHLA-DR tra la misurazione al giorno 1-2 e quella del giorno 3-4 <1,2% rimaneva associata con lo sviluppo di sepsi. 33

Monitorando per 15 giorni i pazienti ustionati gravi mostravano tutti una ridotta espressione di mHLA-DR 2-3 giorni dopo l’ustione, ma dopo 4-6 giorni tale espressione aumentava nei soggetti che sarebbero sopravvissuti e rimaneva bassa nei non survivors. Al 7-10 giorno i pazienti che sarebbero andati incontro a shock settico secondario mostravano livelli significativamente più bassi di mHLA-DR rispetto ai pazienti che andavano incontro a guarigione senza complicanze settiche.32

Fattore predittivo di mortalità

Studi successivi si sono concentrati sul potere predittivo dell’ mHLA-DR in termini di mortalità, in particolare, nella fase immunosoppressiva dello shock settico.

Studio di Monneret et al. del 2006 34valutava i livelli di espressione di mHLA-DR in pazienti con shock settico e concludeva che ridotti livelli di mHLA-DR sono predittivi di mortalità nei pazienti che superano le prime 48 ore dello shock settico. L’espressione di mHLA-DR veniva monitorata al giorno 1-2 dopo l’insorgenza dello shock settico e al giorno 3-4 e come outcome veniva considerata la mortalità a 28 giorni dall’insorgenza dello shock settico. Lo studio dimostrava che il nadir dell’espressione di mHLA-DR si osservava durante i primi 2 giorni dall’insorgenza dello shock

52 settico (come probabile conseguenza della CARS). In questo periodo non si riscontravano significative differenze nei valori di mHLA-DR dei soggetti sopravvissuti e quelli deceduti. Invece la differenza diventava altamente significativa al giorno 3-4 quando i sopravvissuti mostravano un aumento dei valori di mHLA-DR a contrario dei non-survivors (% monociti positivi per mHLA-DR 43% vs 18% con p < 0,001) . Con analisi di regressione multivariata logistica veniva anche individuato un cut-off di 30% per differenziare il diverso outcome: bassi livelli di mHLA-DR (<30%) erano indipendentemente associati con la mortalità. Dallo studio risultava come l’espressione di mHLA-DR fosse un fattore predittivo di outcome, paragonabile al SAPSII e migliore del SOFA. Quindi mHLA-DR veniva proposto per migliorare la stratificazione del rischio dei pazienti. Dallo studio emergeva come fosse la persistenza (oltre 48h) di bassi livelli di espressione di mHLA-DR predittiva sulla mortalità, piuttosto che il riscontro di tali livelli all’insorgenza dello shock settico. I diversi risultati sulla predittività dell’ mHLA-DR in base al tempo del campionamento spiegavano inoltre i risultati contrastanti su tale valore predittivo ottenuti da studi che monitoravano mHLA- DR in tempi diversi.

Più recentemente nello studio di Wu et al.35, condotto su pazienti ammessi in UTI con diagnosi di sepsi severa, venivano misurati i livelli di mHLA-DR in 3 tempi diversi: all’ammissione, al 3° e al 7° giorno di degenza in terapia intensiva e messi in relazione con la sopravvivenza a 28 giorni. Oltre ai valori assoluti dei livelli di mHLA-DR, venivano messi in relazione con l’outcome anche le variazioni dei livelli con ∆mHLA-DR3= mHLA-DR3-mHLA-DR0; ∆mHLA-DR7= mHLA-DR7-mHLA-DR0; ∆mHLA-DR7-3= mHLA-DR7-mHLA-DR3. Dall’analisi con curva ROC risultava che fossero indicatori affidabili per l’outcome di sepsi severa ∆mHLA-DR3 e ∆mHLA-DR7, cioè il delta tra i valori all’ammissione e al 3°giorno di degenza e tra l’ammissione e il 7° giorno di degenza, piuttosto che l’espressione di mHLA-DR misurati singolarmente al 3° o 7° giorno. In particolare un valore di ∆mHLA-DR3 di 4,8% permetteva una discriminazione tra survivors e non con una sensibilità del 89% e una specificità del 93,7%; in modo analogo un valore di ∆mHLA-DR7 di 9%permetteva la discriminazione con una sensibilità del 85,7% e una specificità del 90% (pazienti con ∆ mHLA-DR3 ≤ 4,8% e con ∆ mHLA-DR7 ≤9% avevano una maggiore mortalità). La media delle variazioni di mHLA-DR aumentava significativamente nel gruppo dei survivors nel tempo: i delta erano dal giorno 0 al giorno 3 e al giorno 7 di 6,45 e 16,90 rispettivamente (P < 0,05). Gli autori concludevano pertanto che, in corso di sepsi severa, il monitoraggio dei cambiamenti dell’ mHLA- DR nel tempo può risultare più vantaggioso per predire la mortalità rispetto alla misurazione di un singolo valore di mHLA-DR e quindi facilitare l’identificazione dei pazienti a maggior rischio di mortalità.

53 Tuttavia per alcuni autori il ruolo predittivo sul rischio di mortalità di bassi livelli di mHLA-DR come rimane controverso. 36

Fattore predittivo infezioni secondarie

Altri studi, invece, hanno focalizzato l’attenzione sul possibile nesso tra una ridotta espressione di mHLA-DR e l’insorgenza di infezioni nosocomiali (definite come infezioni che insorgono dopo 48 ore in ospedale ed in particolare in terapia intensiva, ICU-acquired) in diverse popolazioni di pazienti ammessi in UTI.

In pazienti, ammessi in UTI con SAPS II >15, i livelli di mHLA-DR misurati entro i primi 3 giorni di degenza erano ridotti in tutta la popolazione in studio, anche se maggiormente nei pazienti con sepsi (p 0,0001). Bassi livelli di mHLA-DR erano associati con la mortalità in tutta la popolazione (p 0,003), ma non quando aggiustato sul SAPS II. Tuttavia nei pazienti con una degenza > 7 giorni, una minor rapidità del recupero di mHLA-DR si associava ad una più alta incidenza di infezioni secondarie. Quindi, per una data gravità, mHLA-DR non si dimostrava un marker predittivo di sepsi, ma un debole trend di recupero di mHLA-DR era associato ad un aumentato rischio di infezioni secondarie.37

In particolare in uno studio di Landelle et al. 38 condotto su pazienti con shock settico venivano misurati i livelli di mHLA-DR al 3°-4° e al 6°-9° giorno dopo l’insorgenza dello shock. I pazienti venivano sottoposti a screening quotidianamente per infezioni nosocomiali in 4 siti (per infezioni polmonari, infezioni del tratto urinario, del circolo ematico e correlate ai cateteri) durante i 28 giorni successivi all’insorgenza dello shock. I risultati dello studio confermavano innanzitutto la predittividità sulla mortalità a 28 giorni dei livelli di mHLA-DR al 3°-4° giorno, essendo tali valori diminuiti in tutti i pazienti con shock settico rispetto ai valori normali, ma minori nei soggetti non- survivors rispetto ai survivors (33 vs 67; p< 0,001). Inoltre le percentuali di mHLA-DR risultavano significativamente minori in pazienti che contraevano infezioni nosocomiali. Infatti i soggetti che non sviluppavano NI avevano livelli significativamente più alti di mHLA-DR, suggerendo un miglior recupero dello stato immunitario. Quindi la ridotta espressione di mHLA-DR si rivelava un fattore predittivo significativo per il rischio di NI, sia nella fase iniziale dello shock settico (3°-4° giorno), sia in una fase successiva (6°-9°giorno). Da notare che lo studio dimostrava come, dopo gli aggiustamenti per le variabili cliniche, livelli di mHLA-DR al giorno 3°-4° ≤ 54% e ,in modo simile, al giorno 6°-9° ≤ 57% rimanevano indipendentemente associati per lo sviluppo di NI secondarie. I risultati dello studio erano in linea con studi precedenti che analizzavano il rapporto tra livelli di mHLA-DR e infezioni nosocomiali seppur in popolazioni diverse. Ad esempio Grienay et al.37

54 avevano documentato che nei pazienti in UTI con una durata di permanenza > 7 giorni, un minor recupero (minor rapidità del recupero) di mHLA-DR era associato ad una maggior incidenza di infezioni secondarie.

Complessivamente questi dati suggeriscono che lo sviluppo e ancor di più la persistenza nel tempo di uno stato di immunosoppressione siano da considerare importanti fattori di rischio per lo sviluppo di infezioni nosocomiali secondarie nei pazienti in UTI, oltre ai consueti fattori di rischio (ad esempio esposizione a dispositivi invasivi), e che i livelli di mHLA-DR possono essere utilizzati per valutare lo stato di immunosoppressione. I pazienti con ridotti livelli di mHLA-DR dovrebbero essere considerati immunodepressi e quindi potrebbero beneficiare di strategie mirate ad abbattere il rischio infettivo (screening per infezioni e precauzioni per limitare altri fattori di rischio come dispositivi invasivi o cross-trasmissioni).

Figura 10. Espressione del mHLA-DR misurato con citofluorimetria: a) gating CD14/SCC rappresentato con

dot-plot per identificare i monociti; b) istogrammi lineari che rappresentano la percentuale dell’HLA-DR sui monociti

È interessante accennare anche ai recenti studi che vedono nell’utilizzo della qRT-PCR una nuova promettente tecnica per andare a studiare l’espressione di mHLA-DR , soprattutto per ovviare i limiti della citofluorimetria, che, non essendo considerata una tecnica per analisi di urgenza, solitamente non è accessibile 24/7. In uno studio di Cazalis et al. sono stati studiati i livelli di espressione dell’mRNA di 5 geni correlati al MHC di classe II misurati con qRT-PCR confrontandoli con l’espressione di mHLA-DR misurata attraverso citofluorimetria. È stato dimostrato un valore prognostico per CD74 (catena invariante antigene-associata HLA-DR), la cui ridotta espressione correla con una maggiore mortalità a 28 giorni in seguito a shock settico. Attualmente queste tecniche necessitano di esser testate in studi più ampi e non possono esser sostitutive della misurazione di mHLA-dr con citofluorimetria, ma si dimostrano promettenti. 39, 40

55 2)Espressione del CD64 sui neutrofili

L’antigene di membrana CD64 è un recettore ad alta affinità per la frazione costante delle catene pesanti IgG (FcγRI) che si trova espresso normalmente sui monociti e solo a bassi livello sui neutrofili in condizioni normali.

L’espressione del CD64 sui neutrofili è regolata in modo proporzionale al grado della risposta infiammatoria a processi infettivi o danni tissutali significativi clinicamente. In seguito all’attivazione dei neutrofili da citochine proinfiammatorie viene sovraespresso significativamente entro poche ore (4-6) e, alla scomparsa dello stimolo, l’espressione del CD64 torna ai livelli basali in pochi giorni.

Recentemente l’espressione del CD64 sui neutrofili si è dimostrato un marker molto sensibile (>95%) e specifico per infezioni sistemiche e sepsi. 41, 42

Inoltre CD64 neutrofili è uno dei molti cambiamenti antigenici correlati all’attivazione manifestati dai neutrofili durante la normale fisiopatologica risposta infiammatoria acuta. Comunque l’espressione del CD64 differisce da cambiamenti paralleli delle espressioni incrementate di CD45R e CD11b/18, cosi come alla perdita di CD16, CD62L, e CD66b, nel fatto che la normale espressione sui neutrofili di CD64 è trascurabile. In aggiunta, l’espressione del CD64 sui neutrofili è stabile a temperatura ambiente per più di 30 ore, a contrario della labile espressione del CD11b e di altri antigeni neutrofilici. 26

In pazienti ammessi in UTI con sospetto di sepsi è stata dimostrata una maggiore specificità del CD64 sui neutrofili rispetto alla procalcitonina nell’individuare i soggetti affetti da sepsi. Misurando i livelli di CD64 sui neutrofili e la procalcitonina sui campioni ematici di pazienti ammessi in UTI con sospetto di sepsi e su soggetti sani veniva evidenziato che livelli di CD64 ≥2398 molecole per cellule (cut off determinato con analisi ROC) e di PCT > 0,5 ng/ml erano indicativi per sepsi. Tuttavia l’espressione di CD64 mostrava una maggiore specificità (minor numero di falsi positivi: soggetti con colture negative ed aumento di CD64= 5 vs soggetti con aumento di PCT= 27). Inoltre nessuno dei controlli sani presentava valori di CD64 > del cut-off, mentre alcuni avevano livelli di PCT ≥ 0,5ng/ml. 41

I primi risultati mostrano che la misurazione del CD64 neutrofili può permettere ai medici di interrompere le terapie antibiotiche se negativo entro 24 ore dal sospetto di infezione, senza aspettare i risultati microbiologici definitivi. Questi risultati preliminari necessitano di esser confermati in coorti di pazienti più grandi, che includano gruppi di controllo adeguati con SIRS. 43

56 Deve esser ancora chiarito il ruolo del CD64 nel differenziare infezioni batteriche e virali, poiché CD64 è elevato anche in alcune infezioni virali.

Inoltre il CD64 è stato riportato da diversi autori come indicatore della gravità della sepsi : pazienti con shock settico mostravano generalmente livelli di CD64 più alti rispetto alla sepsi severa e molto più alti rispetto alla sepsi o alla SIRS. È stato dimostrato anche che un’adeguata terapia antibiotica comportava una rapida riduzione dell’indice CD64, in parallelo con un miglioramento delle condizioni cliniche dei pazienti in studio. 42

Dal momento che l’espressione di CD64 è stabile nel sangue EDTA per almeno 24 ore a temperatura ambiente, è ben adatto per esser utilizzato in ogni laboratorio clinico che può aver accesso alla citofluorimetria a flusso.

Sono state recentemente proposte anche nuove tecniche per permettere una misurazione quantitativa rapida e precisa dell’espressione del CD64 neutrofili ed in particolare è al momento disponibile un kit diagnostico (Leuko64). Il dosaggio Leuko64 può esser eseguito su contatori di sangue che utilizzano i principi della citofluorimetria a flusso. Questo test è quasi completamente automatico, i risultati sono disponibili rapidamente (<20 minuti) e il dosaggio può esser effettuato 24/7 senza tecnici esperti in FCM. In futuro quindi la valutazione del CD64 sui neutrofili potrebbe diventare un’indagine routinaria per la diagnosi precoce delle infezioni.

Tuttavia i diversi cut-off, la diversa misura dei livelli di espressione (molecole/cell o percentuale) e i diversi strumenti per la misurazione (FCM o Leuko kit 64) utilizzati negli studi comportano la necessità di ulteriori tests prima di utilizzare il CD64, come unico marker di sepsi, nella pratica clinica.

3)Natural killer

Il valore predittivo in termini di mortalità dei linfociti NK nella sepsi severa è stato preso in considerazione recentemente, benché il loro ruolo nella patogenesi della sepsi sia ormai noto da tempo.

Nello studio condotto da Andaluz-Ojeda et al. su pazienti con sepsi severa venivano monitorati diversi parametri immunologici, tra cui i linfociti NK definiti come CD3+CD16+CD56+, in tre tempi diversi dopo l’ammissione in UTI. Lo studio dimostrava che la conta assoluta delle cellule NK , così come la loro percentuale sulla popolazione totale dei linfociti, misurata nel primo giorno dopo il

Nel documento Il monitoraggio immunologico nella sepsi (pagine 48-62)

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