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Cosa pensano i giudici

Nel documento EDILIZIA URBANISTICA ESPROPRI (pagine 37-40)

Q UEL CHE RIGUARDA L ' URBANISTICA

2. Che cosa tratta l'urbanistica

2.8. Cosa pensano i giudici

La giurisprudenza ammette la possibilità di introdurre la perequazione in assenza di specifiche previsioni normative.

Non si può non osservare, però, il fatto che la stessa giurisprudenza pone in rilievo come esista nell’ordinamento urbanistico, non meno che in tutto il diritto pubblico, in applicazione del più generale principio di legalità, un inderogabile principio di nominatività e tipicità degli strumenti urbanistici.

Il che significa che la Pubblica Amministrazione, in genere, non può adottare od approvare una figura di piano di organizzazione del territorio che non corrisponda per presupposti, competenze, oggetto ed effetti ad uno schema già predeterminato, in via generale ed astratta, da una norma principale dell’ordinamento (Cons. St. sez. IV, 7.11.2001, n. 5721, RGE, 2002, I, 151).

Il fatto che, per quanto riguarda la perequazione, non vi sia riscontro normativo statale o regionale, questo va ricercato nel contenuto essenziale del piano regolatore generale.

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Infatti, a voce dei giudici, è indubbio che l’art. 7 della legge urbanistica, laddove prevede che il piano regolatore generale deve indicare la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona, esprime l’adesione del legislatore nazionale alla tecnica pianificatoria dello zoning (Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 19.12.2001, n. 1286, www.giustizia-amministrativa.it).

Orbene, i giudici hanno affrontato positivamente la questione del superamento della zonizzazione rigida, rilevando come nella legislazione più recente in materia urbanistica emergano indicazioni ed istituti che privilegiano scelte ispirate al criterio dell’integrazione funzionale. Detto criterio è strettamente correlato alla tecnica pianificatoria perequativa.

D’altra parte, la stessa dottrina, che si conforma all’orientamento favorevole della giurisprudenza, sostiene che la perequazione si inserisce entro la trama dello zoning (Boscolo 2003, 3, 348).

La tecnica di pianificazione ispirata al principio della perequazione urbanistica prevede che le proprietà inserite in un determinato ambito di intervento siano investite contemporaneamente del beneficio dell’edificabilità e del peso di contribuire all’elevazione della qualità urbana generale e si estrinseca nella formazione di comparti entro cui i proprietari sono trattati tutti in modo identico (Tar Campania Salerno, sez. I, 7.8.2003, n. 844).

Ma l’equa distribuzione dei diritti edificatori ha una valenza di carattere urbanistico.

Ha il solo obiettivo di evitare che il beneficio collettivo derivante dalla pianificazione sia sopportato solamente da alcuni dei proprietari degli immobili, mentre altri, in analoga condizione di fatto e di diritto al momento di approvazione dello strumento urbanistico generale, beneficiano, direttamente o indirettamente, solo di consistenti utilità economiche.

Di recente la giurisprudenza ha ritenuto che lo strumento del comparto edificatorio si presta ad una redistribuzione forzosa dei volumi edificabili, essendo proprie del medesimo anche le finalità tipicamente ascrivibili alla c.d. urbanistica perequativa, la quale intende riconoscere a tutti i terreni chiamati ad usi urbani un diritto edificatorio la cui entità sia indifferente alla destinazione d'uso, ma dipenda invece dallo stato di fatto e di diritto in cui essi si trovano al momento della formazione del piano regolatore generale (Tar Campania Salerno sez. I 5.7.2002, n. 670, Foro amm. Tar 2002).

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Ne discende che tale tecnica ha un fondamento tipicamente consensuale, consente di evitare sperequazioni indotte dalla pianificazione e fa sì che ogni intervento sia effettivamente preceduto e compensato dal reperimento di aree da destinare a verde.

A ragion del vero, le pronunce giurisprudenziali hanno offerto notevole contributo alla definizione di perequazione, soprattutto, nel tentativo di conformare il metodo perequativo ai principi che informano l’ordinamento giuridico.

Anche la Corte costituzionale alla fine degli anni novanta dà un significato alla perequazione quali vincoli che importano una destinazione realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi attuabili anche dal privato e senza necessità di previa ablazione del bene (Corte cost.

20.5.1999, n. 179).

Ma un interessante apporto contributivo sulla vicenda viene dato dal Consiglio di Stato il quale avverte che la reiterazione dei vincoli di espropriazione non può prescindere dalla presenza di una congrua e specifica motivazione sulla perdurante attualità della previsione, comparata con gli interessi privati, motivazione conseguente allo svolgimento delle indagini necessarie per accertare i presupposti; la motivazione, in tale ipotesi, quale eccezione alla generale regola che non impone l’obbligo di motivazione per gli atti a carattere generale, va ancorata ad una serie di parametri obiettivi, dovendo essere evidenziate, oltre alla persistenza dell’interesse pubblico e alla sua attualità, le specifiche ragioni del ritardo che hanno determinato la decadenza del vincolo, la mancanza di possibili soluzioni alternative o di perequazione fra i proprietari espropriabili e,dunque, la ineluttabilità della scelta dell’area già vincolata, la serietà e affidabilità della realizzazione nei termini previsti delle opere di cui trattasi, con la precisazione delle iniziative mediante le quali il procedimento ablativo verrà portato a compimento ed, infine, la ragionevole dimostrazione, sulla scorta della situazione dei luoghi, che la rinnovazione del vincolo sulla stessa area è necessaria per realizzare l’opera o l’intervento pubblico (Cons. stato. Sez IV 16.10.2006, n. 6171, Foro amm. Cds, 2006, 2776).

Il grande aiuto offerto dai giudici non si conclude. Notevole è l’argomentazione che viene data dai giudici lombardi in materia di cessione perequativa prevista dall’art. 11, commi 1 e 2 della l.r. n.

12/05 ed alternativa all’espropriazione. Infatti, essa non prevede l’apposizione di un vincolo pre-espropriativo sulle aree destinate a servizi pubblici ma prevede che tutti i proprietari, sia quelli che

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possono edificare sulle loro aree sia quelli i cui immobili dovranno realizzare la città pubblica, partecipino alla realizzazione delle infrastrutture pubbliche attraverso l’equa ed uniforme distribuzione di diritti edificatori indipendentemente dalla localizzazione delle aree per attrezzature pubbliche e dei relativi obblighi nei confronti del Comune. La cessione compensativa, invece, si caratterizza per l’individuazione da parte del pianificatore di aree, destinate alla costruzione della città pubblica, rispetto ai quali l’Amministrazione non può rinunciare a priori al vincolo ed alla facoltà imperativa ed unilaterale di acquisizione coattiva delle aree (Tar Lombardia Milano 7.9.2009, in Red amm. Tar 2009, 9)

Nel documento EDILIZIA URBANISTICA ESPROPRI (pagine 37-40)

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