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La procedura espropriativa: occupazione bene

Nel documento EDILIZIA URBANISTICA ESPROPRI (pagine 55-58)

I VINCOLI ESPROPRIATIVI

4. Che cosa significa espropriare

4.4. La procedura espropriativa: occupazione bene

Posto che la Pubblica Amministrazione gode della potestà ablatoria nell’esercizio della quale la stessa incide su una situazione giuridica del destinatario, comprimendola e limitandola unilateralmente, la dottrina e, soprattutto, la giurisprudenza hanno ravvisato delle ipotesi in cui l’Amministrazione occupa un bene, come previsto dall’art. 49 del testo unico, per esigenze legate al procedimento espropriativo, ma quel bene non rientra nell’oggetto del processo (occupazione strumentale) oppure occupa un bene del privato illegittimamente in assenza del provvedimento amministrativo o decorsi i termini di efficacia (occupazione appropriativa) oppure occupa un bene del privato per realizzare un’opera pubblica in assenza provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità o già annullato o decorsi i termini di efficacia (occupazione usurpativa) (Garofoli 2012, 369).

Già da diverso tempo i giuristi hanno affermato che ormai le suddette distinzioni tradizionali hanno quasi del tutto perso significato, soprattutto, sotto il profilo della giurisdizione e della prescrizione del

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diritto al risarcimento. Ed aggiungono che entrambe le fattispecie sopra descritte ricadono nel quadro dell’illecito comune e, segnatamente, nello schema generale di cui all’art. 2043 c.c., ed ora con la legge 21.7.2000, n. 205 nel campo applicativo di cui all’art. 30 del codice del processo amministrativo.

A ragione del vero, la promulgazione della menzionata legge ha, in qualche modo, unitamente al pronunciamento storico della Cassazione (Cass. sez. un. 22.7.1999, n. 500), smorzato le resistenze fino a quel tempo presenti in tema di ammissibilità, in via generale, del risarcimento degli interessi legittimi. Si era introdotto, soprattutto, a voce dei giudici, la possibilità di ottenere il ristoro degli interessi oppositivi ricorrendo alla costruzione della “riespansione”, per effetto dell’annullamento dell’atto lesivo, di un vero e proprio diritto soggettivo indebitamente compresso (Cass. sez. un.

18.11.1992, n. 12316).

Oggi la questione presenta altri risvolti ed, in particolare, l’art. 7 c.p.a.

affermando, nell’individuare quale oggetto della giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi (art. 7 c.p.a.),sembra ammettere che il legislatore possa attribuire al giudice amministrativo anche materie nelle quali vengano in gioco soltanto diritti soggettivi, al di là della loro compresenza e del loro intreccio con interessi legittimi.

A quel punto si analizza il tipo di tutela risarcitoria che interessa la fattispecie. E qui interviene il pensiero dominante della giurisprudenza secondo cui, posto che la tutela per equivalente costituisce un minus rispetto a quella in forma specifica, il giudice può disporre il risarcimento in via pecuniaria a fronte di una domanda di risarcimento in forma specifica, senza che ciò comporti violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Vale a dire, che per quanto concerne il problema se l’esistenza di cause ostative all’adempimento, sull’Amministrazione gravava l’obbligo di restituire l’area occupata e detenuta illegittimamente, e tale circostanza non poteva essere ignorata dal giudice nel valutare la domanda degli appellanti tendente, appunto, ad ottenere la reintegrazione nel possesso del bene. Il diritto alla restituzione del bene, conseguendo automaticamente all’annullamento degli atti ablatori, è sorretto da una causa autonoma, che lo rende insensibile alle vicende della diversa domanda di risarcimento dei danni. Ne consegue che ai motivi aggiunti proposti dagli appellanti non poteva riconoscersi lo scopo e l’effetto di introdurre un nuovo thema decidendum, che avrebbe richiesto il rispetto di termini per l’esercizio del diritto di difesa, posto che il petitum relativo alla restituzione era

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già implicito nella domanda di annullamento degli atti ablativi, per un titolo estraneo al danno ed al possibile ristoro del medesimo. La circostanza che gli appellanti, impropriamente, abbiano fatto costante riferimento alla tematica del “risarcimento” non impedisce al giudice di attribuire agli atti processuali il significato rispondente ai principi di diritto che regolano la materia. La giurisprudenza, infatti, afferma che, se il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato sancito dall’art. 112 del c.p. c., applicabile anche nel processo amministrativo, impedisce al giudice di rilevare fatti non dedotti dalle parti e implica il divieto di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nelle domande, non preclude, però, nell’ambito della situazione fattuale allegata dal ricorrente, una valutazione giuridica autonoma e difforme rispetto a quella prospettata (Cons. St., Sez..

VI, 7 luglio 2003 n. 4032; Sez. IV, 23-03-2000, n. 1558) (Cons. St.

sez. V, 3.5.2005, n. 2095, www.giustizia-amministrativa.it);

ma, si aggiunge, che sussiste violazione, invece, qualora, al contrario, pronunciando su domanda di risarcimento per equivalente, il giudice disponga una restitutio in integrum.(Tar Palermo sez, II 1.2.2011, n.175).

4.4.1. Le oscillanti vedute dei giuristi

Altra corrente di pensiero giurisprudenziale osserva che, qualora venga formulata domanda giudiziale avente ad oggetto il risarcimento del danno derivante dall’occupazione acquisitiva, la successiva istanza di restituzione del terreno illegittimamente occupato rappresenta ammissibile emendatio libelli, considerato che la doppia azione risarcitoria e restitutoria costituisce espressione della tutela approntata dall’ordinamento in favore dell’amministrato, in base alla quale la tutela in forma specifica e quella per equivalente appaiono come mezzi concorrenti per conseguire la riparazione del pregiudizio subito (Cons. St. sez. IV 1.6.2011, n. 3331).

Con riferimento alla scelta fra le due forme di risarcimento, la giurisprudenza più recente è alquanto rigorosa anche in relazione alla possibile applicabilità delle eccezioni alla restituzione specifica previste dall’art. 2058, comma 2, cod. civ. (nell’evenienza in cui questa risulti eccessivamente onerosa per il debitore) e dall’art.

2933, comma 2, cod. civ. (se il ripristino comporti pregiudizio all’economia nazionale).

D’altra parte, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons.St.

29.4.20005, n. 2) che ha recepito i principi elaborati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel condannare l’istituto della

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“accessione invertita”, ha sostenuto che il giudice, chiamato a decidere su una controversia risarcitoria da occupazione sine titulo, deve, in prima battuta, disporre la restituzione del suolo abusivamente occupato (ove richiesto espressamente), e solo, in via eccezionale, previa valutazione della sussistenza dei presupposti di cui ai ricordati artt. 2058 e 2933 cod. civ., può, subordinatamente, condannare l’amministrazione al risarcimento per equivalente (Tar Salerno 13.7.2010, n. 10331).

Più specificamente, è stato ritenuto che i presupposti del comma 2 dell’art. 2058 cod. civ. possano sussistere quando il danneggiato non si sia limitato a chiedere la restituzione del suolo, ma abbia chiesto anche il ripristino dello status quo ante, fatta eccezione dell’ipotesi in cui i costi di ripristino risultano superiori al valore dell’opera realizzata sul suolo (Cons. St. 13.6.2011, n. 3561).

Diversa è l’ipotesi in cui il privato abbia chiesto unicamente il ristoro per equivalente; infatti, fino a tempi recenti dominava diffusamente l’opinione secondo cui tale condotta possa essere assimilata a una rinuncia con effetti abdicativi al diritto di proprietà del suolo illegittimamente occupato (Cons St. 30.11.2010, n. 8363).

Ma illustre giurista osserva che – pur concordandosi nel ritenere che la richiesta di risarcimento del danno solo per equivalente costituisca una manifestazione di disponibilità alla cessione definitiva del suolo - la teoria dell’atto abdicativo implicito è oggi per lo più respinta dalla giurisprudenza, siccome in contrasto con l’esigenza di tutela della proprietà, anche quale diritto fondamentale, la quale esige che l’effetto traslativo consegua a una volontà inequivoca del proprietario interessato (Greco 2012).

Nel documento EDILIZIA URBANISTICA ESPROPRI (pagine 55-58)

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