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Il diffuso metodo della lottizzazione

Nel documento EDILIZIA URBANISTICA ESPROPRI (pagine 33-37)

Q UEL CHE RIGUARDA L ' URBANISTICA

2. Che cosa tratta l'urbanistica

2.6. Il diffuso metodo della lottizzazione

Come già fatto cenno nel paragrafo precedente, ha preso corpo l’utilizzo di moduli consensuali adottati dalla Pubblica Amministrazione nel suo esercizio nei rapporti con i privati, in materia di urbanistica; utilizzo che ancora oggi per alcuni aspetti viene discussa dalla dottrina.

Trattasi, dunque, di convenzioni urbanistiche, cioè, accordi tra Pubblica Amministrazione e privati finalizzati alla realizzazione di beni urbanistici. In altre parole, in ambito urbanistico il bene pubblico da perseguire consiste nel corretto e nell'ordinato sviluppo del territorio.

Interviene anche la giurisprudenza a dare una definizione delle convenzioni, asserendo che le stesse hanno lo scopo di garantire alla edificazione del territorio minime di infrastrutture pubbliche e una normale qualità del vivere di un aggregato urbano. Si può, pertanto, dalle stesse prescindere solo quando tali condizioni siano altrimenti rispettate, giacchè in caso di rilascio di concessione edilizia in area non urbanizzata, gli interessati verrebbero abilitati all’utilizzo dell’intera proprietà a fini privati, scaricando interamente sulla collettività i costi consegnati alla realizzazione di infrastrutture per i nuovi insediamenti (Tar Campania, Salerno sez. II, 18.3.2008, n.

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Le origini delle convenzioni di lottizzazione derivano dallo strumento di frazionamento, inizialmente, di un terreno, per una agevole utilizzazione a fini edilizi. Infatti, costituisce lottizzazione l’assoggettamento di un’area, avulsa da aggregati abitativi, ad un processo di urbanizzazione, mediante la realizzazione di manufatti per la residenza e di opere di urbanizzazione, necessari a soddisfare le elementari esigenze di vita, con l’emersione di un disegno di conferire un nuovo assetto ad una porzione di territorio comunale (Cons. Stato, sez IV, 9.11.1993, n. 980, cons. St. 1993, I, 1400).

Ma è con la legge 6.8.1967 n. 765 (la cosiddetta legge Ponte) che vengono introdotti, novellando l’art. 28 della legge n. 1150 del 1942, due principi fondamentali: da un lato, la necessaria armonizzazione delle scelte lottizzatorie con quelle di pianificazione generale effettuate dal Comune; dall’altro lato, la partecipazione dei privati costruttori alla realizzazione delle infrastrutture necessarie ed al pagamento dei relativi oneri.

La possibilità di procedere alla lottizzazione dipendeva dal rilascio di un apposito provvedimento autorizzativo da parte del Comune, a sua volta, subordinato al concorrere di due condizioni: l’esistenza di uno

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strumento urbanistico generale e la stipula di una convenzione con cui il privato si assume puntuali oneri patrimoniali connessi alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, fornendo, altresì, adeguate garanzie del relativo adempimento. La preesistenza del piano urbanistico generale si rende necessaria perché in esso è contenuta l’indicazione sia dei terreni nei quali la lottizzazione è vietata in modo assoluto, sia di quelli nei quali essa non è necessaria come intervento preventivo sia dei terreni soggetti a tale obbligo, ossia in cui è consentita l’edificazione solo previa lottizzazione.

In particolare, ci si occupa delle convenzioni di lottizzazione, definite come una fattispecie tipica di accordo. Ma la dottrina ritiene che questo assunto non è così pacifico; le soluzioni prospettate dalla stessa dottrina sono molteplici e differenziate, tutte concordi solo sul fatto che le convenzioni di lottizzazione sono fattispecie complesse in cui convivono un atto di pianificazione territoriale ed un’intesa tra Amministrazione e privati, potendosi configurare un contratto connesso ad un provvedimento.

Se la sua figura è alquanto controversa in dottrina, nondimeno è la posizione assunta dagli studiosi in ordine alla sua natura giuridica.

Secondo alcuni studiosi si tratta di un atto di natura privatistica (Galletto 1989, 359); ed in questo ambito taluno addirittura azzarda che le convenzioni hanno natura privatistica in quanto soggetti ad un cosiddetto vincolo di scopo (Manfredi 2001, 138).

Altri, invece, ritengono che trattasi di un accordo dettato dall’art. 11 della l. n. 241 del 1990 in quanto la convenzione è conseguente ad un pregresso atto di pianificazione (Urbani, Civitarese Matteucci 2000; 341); altri, ancora, pur conservando un pensiero pubblico, affermano che la convenzione abbia natura di contratto ad oggetto pubblico (Pericu 2001, 1697). Vi è tra gli studiosi chi se ne discosta integralmente dalla classifica di cui sopra e sostiene che la convenzione urbanistica non presenti né i caratteri privati, né pubblici né di accordo (Dugato 1993, 970).

Sono i giudici amministrativi che si cimentano in diverse teorie, legate anche alla loro competenza giurisdizionale o meno.

Sulle prime la Suprema Corte a Sezioni Unite riconosce nelle convenzioni di lottizzazione accordi sostitutivi, affermando che proprio tali convenzioni hanno costituito, in anticipo rispetto alla legge sul procedimento il paradigma concettuale degli accordi (Cass. sez.

un. 1.2.2000, n. 8).

Altre pronunce giurisprudenziali sostengono che la convenzione di lottizzazione conclusa dalla Pubblica Amministrazione col privato

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interessato al rilascio di una concessione edilizia non assume valenza privatistica ed autonoma rispetto all’atto autoritativo di concessione, ma si inserisce nel procedimento amministrativo finalizzato al rilascio di essa, essendo imposta dalla Pubblica Amministrazione come momento necessario di tale procedimento e condizionando l’adozione del provvedimento (Cass. sez.un.

7.2.2002, n. 1763).

2.7. Perequazione

Con l’espressione “perequazione” si intende definire quella tecnica urbanistica che attribuisce un valore edificatorio uniforme a tutte le proprietà prescindendo dall’effettiva localizzazione e dall’imposizione di vincoli di inedificabilità apposti dall’Amministrazione per garantirsi degli spazi destinati ad opere collettive.

Come osserva la dottrina più autorevole, per perequazione urbanistica si intende quella tecnica di conformazione del territorio e delle proprietà immobiliari per cui il piano regolatore deve ripartire in maniera equa i vantaggi e gli svantaggi derivanti dalla pianificazione urbanistica. In altre parole, con essa si persegue lo scopo di distribuire equamente, tra i proprietari di immobili interessati dalla trasformazione oggetto della pianificazione urbanistica, diritti edificatori e obblighi nei confronti del Comune o di altri Enti pubblici aventi titolo. Il principio di perequazione consente all’Amministrazione pubblica di acquisire gratuitamente dai privati, in cambio di vantaggi loro riconosciuti, aree da destinare ad opere di pubblica utilità (Bartolini 2011).

Ma il principale problema, osservato dalla dottrina, concerne il fatto che la tecnica della perequazione e, comunque, il principio che essa esprime, ancora oggi, nonostante la diffusa prassi, non ha trovato assorbimento in nessuna legge dello Stato.

Il meccanismo perequativo, quale tecnica nuova pianificatoria, si identifica con l’individuazione di un insieme di aree di proprietà privata (definite comparto) e all’interno di queste aree viene attribuito un identico valore edificatorio, inferiore, però, al limite minimo di edificabilità. Il che comporta ad incentivare ciascun proprietario a procurarsi altrove la differenza volumetrica per potere esercitare all’occorrenza il proprio diritto all’edificazione.

Nel mentre, sempre con il medesimo meccanismo vengono individuate le aree destinate ai servizi ed ad opere di pubblica utilità i cui proprietari possono decidere autonomamente di cedere senza corrispettivo in denaro tali aree al Comune. O viceversa, i proprietari

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delle aree destinate ad edificazione privata ristorano i proprietari delle aree con destinazione pubblica acquistando da questi ultimi i diritti edificatori.

Questo sistema considerato da taluni “la nuova frontiera dell’urbanistica” solleva numerose perplessità in quanto si ritiene che l'istituto della perequazione urbanistica postuli la valorizzazione del ruolo dell’Ente comunale, tanto da potersi paventare il rischio che la sua sistematica e generalizzata applicazione possa, addirittura, ribaltare la tradizionale pianificazione “a cascata”, così come concepita dalla legge urbanistica fondamentale, in apparente ossequio al principio di sussidiarietà che, come noto, privilegia la competenza degli Enti più vicini alla comunità territoriale. Anzi, la perequazione urbanistica appare più precisamente espressione del principio di sussidiarietà orizzontale, che comporta l’attribuzione ai privati di una sorta di ruolo di supplenza (la cosiddetta autoamministrazione), essendo richiesto loro, nel quadro di un rapporto collaborativo con il Comune, di assumere il ruolo di veri protagonisti del teatro urbanistico (Sabbato 2010, www.giustizia-amministrativa.it).

La funzione incentivante che presenta la previsione perequativa rispetto all’adesione dei proprietari agli obiettivi collettivi si esprime attraverso strumenti urbanistici che cercano di rendere partecipe il privato all’attuazione del disegno urbanistico anche oltre gli obiettivi egoistici che egli è razionalmente orientato a perseguire.

Sicuramente il legame che si instaura all’interno dei comparti perequativi consente di evitare il ricorso all’esproprio e di assicurare l’effettiva realizzazione degli interventi di urbanizzazione. Il che significa che la localizzazione, entro un piano perequativo, non ha dunque valenza di vincolo preordinato all’ablazione, ma ha unicamente la funzione di predeterminare gli obiettivi collettivi a cui è subordinato il perseguimento dei vantaggi che i privati possono ottenere con le trasformazioni edilizie (Boscolo 2005, 1334).

2.7.1. La previsione di altri modelli

Oltre al modello perequativo classico sopra descritto, la dottrina contempla un secondo modello che rispetto al primo presenta una variante che è quella che prevede l’edificabilità attribuita anche ad aree esterne al comparto, le quali possono contribuire alla trasformazione dello stesso. E sul punto, i giudici amministrativi sostengono della legittimità della variante parziale al piano regolatore generale che, al pari dei "programmi integrati d'intervento" di cui all'art. 16 l. 17 febbraio 1992 n. 179, non si ispiri a criteri di rigida

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zonizzazione del territorio, ma ad una utilizzazione più flessibile del suolo, introducendo meccanismi perequativi, definendo le potestà edificatorie su tutte le aree di trasformazione che si trovino nella medesima situazione urbanistico-giuridica, richiedendo ai proprietari di organizzarsi in comparti edificatori cedendo una quota proporzionale per i bisogni collettivi, valorizzando i valori ambientali (Tar Emilia Romagna, Bologna sez. I 14.1.1999, n. 22, Foro amm.

1999, 2234; RGU, 2000, 6).

E’ previsto un terzo modello che è quello generalizzato o, comunque, esteso ad una parte rilevante delle aree di espansione o di trasformazione, che contempla l’uso di parametri di edificabilità convenzionali bassi ed uniformi per categorie di aree del territorio comunale sulla base dello stato di fatto e di diritto esistente. Questo modello prevede una differenza tra l’edificabilità conseguente al riconoscimento della capacità edificatoria uniforme, riservata pertanto ai privati, e quella maggiore che è necessaria per il raggiungimento degli obiettivi posti dal piano. Le censure che si muovono alla previsione di quest’ultimo modello concerne la necessità di una definizione normativa dei poteri della Pubblica Amministrazione che definisca i valori convenzionali di edificabilità dei suoli oltre ad un problema di riserva di legge ex art. 42 cost. sulla previsione dei modi di acquisto e godimento della proprietà

Nel documento EDILIZIA URBANISTICA ESPROPRI (pagine 33-37)

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