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Cosa si può migliorare nella condivisione dei conte nut

Appare chiaro che c’è ancora molto da fare in questa sezione della web strategy. Esiste una certa difficoltà da parte dei musei ad accettare che la condivisione delle infor- mazioni possa avere un valore aggiunto per il museo, nonostante le positive esperienze del Rijksmuseum di Amsterdam, del Museum of Modern Art (MOMA), le cui collezioni sono scaricabili da Github e del Metropolitan Museum of Art (Met) o ancora il programma open content del Getty Museum potrebbero insegnare quanto questo tipo di politica sia percor- ribile e a lungo termine vantaggiosa. Aprire le proprie collezioni, non significa solo incre- mentare la visibilità online delle stesse ma rendere accessibili i contenuti a tutti come afferma Loic Tallon del Metropolitan Museum of Art: “In our digital age, the Museum’s audi- ence is not only the 6.7 million people who visited The Met’s three locations in New York City this past year, but also the three-billion-plus internet-connected individuals around the world. Adopting the CC0 designation for our images and data is one of the most effec- tive ways the Museum can help audiences gain access to the collection and further its use by educators and students, artists and designers, professionals and hobbyists, as well as creators of all kinds. I am particularly delighted to be launching the Museum’s CC0 policy in collaboration with Creative Commons, Artstor, DPLA, Pinterest and the Wikipedia community, and for their support in bringing the Museum’s collection to their users”21.

Le politiche del MiBACT in materia di liberalizzazione dei dati, in merito alla norma- tiva vigente, sembrano essere, come afferma Laura Moro, “su un doppio binario: da un lato la pubblicazione dei dati come forma di trasparenza e accountability; dall’altro il riuti- lizzo dei dati come incentivo per la crescita e lo sviluppo (e molte attese ci sono in tal senso riguardo ai dati del patrimonio culturale).”22

Se da un lato il D.L. 31 maggio 2014, n. 83, noto come “Art Bonus” con la sua entrata in vigore ha sancito la libera riproduzione di tutti i beni culturali tranne per finalità che prevedono il lucro23 dall’altro l’accordo siglato nel 2018 con la Bridgeman Images24, che ha

acquisito, in forma temporanea e non esclusiva, immagini del patrimonio culturale di 439

21 Intervista a Loic Tallon https://www.metmuseum.org/press/news/2017/open-access

22 Intervista a Laura Moro su Agenda Digitale https://ww.agendadigitale.eu/cittadinanza-digi- tale/MiBACT-cosi-gli-open-data-della-cultura-creano-crescita-e-sviluppo

23 Garacci http://temi.repubblica.it/micromega-online/democrazia-della-cultura

24 Accordo tra DG Musei e Bridgeman Images Srl http://musei.beniculturali.it/wp-content/ uploads/2018/04/Accordo-quadro-Direzione-generale-Musei-e-Bridgeman-Images-Srl.pdf

musei e luoghi della cultura per la loro riproduzione indiretta, distribuzione e commercia- lizzazione internazionale, pone dei limiti al libero riuso.

In un’ottica di riuso globale dei dati e delle informazioni anche all’esterno della singola istituzione le licenze aperte che favoriscono anche l’uso commerciale dei conte- nuti (CC-BY-SA, CC0), rappresentano un importante strumento di condivisione della cono- scenza e di partecipazione attiva del pubblico alla cultura.

Il pubblico dominio e il libero riuso, sono mezzi fondamentali per rendere accessibili le collezioni e i patrimoni culturali. Lo scenario europeo, nonostante la Direttiva 2013/37/ UE sul riuso dei dati nel settore pubblico, è molto diversificato e di difficile applicazione a causa delle diverse normative nazionali, mentre nel mondo museale anglosassone e nord-europeo vengono assunte delle posizioni sempre più aperte.

Il motivo che spinge i musei alla diffusione online delle proprie collezioni, anche con licenza di pubblico dominio, non è solamente quello di incrementare la visibilità delle collezioni ma quello rendere accessibile a tutti i patrimoni così come testimoniano gli esempi citati del MOMA e del Met.

A livello nazionale un grande lavoro di apertura dei dati è quello che da qualche anno sta portando avanti L’ICCD, tramite anche la piattaforma del Catalogo in Open data. Grazie all’apertura dei dati relative alle schede di catalogo è stato possibile realizzare il bot di Telegram ArcheoArte, su cui ricercare e geo-localizzare le informazioni degli oggetti schedati.

Probabilmente da parte delle istituzioni si potrebbe / dovrebbe “osare” sperimen- tando nuove forme e formule di condivisione dei contenuti legate alle diverse tipolo- gie di licenza di uso dei dati, anche a scopo commerciale instaurando anche un nuovo tipo di rapporto con gli utilizzatori di quei dati. Inoltre il monitoraggio di queste nuove formule di condivisione aiuterebbe a comprendere l’efficacia o meno della sperimenta- zione fino a giungere a dei possibili modelli replicabili e scalabili da parte dei diversi isti- tuti. Infine come afferma Mirco Modolo “la volontà di imporre un diritto d’autore sui gene-

ris sul pubblico dominio finisce per tradursi nella rinuncia a priori a veicolare una immagine rinnovata e più inclusiva del rapporto istituzioni/società in armonia con tendenze cultu- rali che altrove, fuori dall’Italia, sembrano essere già felicemente decollate” (Modolo 2018,

p. 85). Del resto i benefici per il museo nell’adottare licenze aperte sono diversi come ci ricorda Loic Tallon quando afferma che rilasciare le immagini pubblico dominio (CC0) ha reso la collezione del Met più accessibile online, ha portato da quattro milioni di visite al mese a diciassette milioni in due anni, ha permesso di integrare dei dati con quelli presenti su altre piattaforme con un forte aumento del coinvolgimento, ha inoltre ispi- rato nuove forme artistiche25. Motivazioni e risultati che sono confermati anche dalla poli-

tica di apertura del Rijskmuseum ed illustrati nella ricerca Democratising the Rijksmuseum

Why did the Rijksmuseum make available their highest quality material without restrictions, and what are the results? (Pekel 2014).

25 https://www.metmuseum.org/blogs/now-at-the-met/2019/met-microsoft-mit-art-o-

BUONE PRATICHE