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Grafico 3.5 – Costo annuale di un chip designer (2005; dollari)

Cina Canada 9 28,2

Fonte: Elaborazione su dati Mansouri-Guilani (2005)

Grafico 3.5 – Costo annuale di un chip designer (2005; dollari)

-50.000 100.000 150.000 200.000 250.000 300.000 350.000

Cina India Taiwan Corea del Sud

Irlanda Canada Stati Uniti

Fonte: Elaborazione su Mansouri-Guilani (2005)

Per avere un ulteriore confronto del costo della manodopera si può considerare il costo annuo di un chip designer, figura che può essere impiegata non solo nel settore in questione. Questo tipo di lavoratore può venir preso come esempio di riferimento, in quanto è presente in quasi tutto il settore ICT. Come si nota dal grafico 3.5 l’India con i suoi 30.000 dollari di costo annuo è preceduta solo dalla Cina, la quale sostiene un costo

tra i 24.000 e i 28.000 dollari annui, gli altri paesi superano i 50.000 e gli Stati Uniti sfiorano i 300.000 dollari all’anno.

L’India ha la terza più grande rete di telecomunicazioni fra le economie emergenti ed è fra le 10 reti principali del mondo e una popolazione superiore al miliardo, secondo solo alla Cina, ed è la quinta economia in termini di parità di potere d’acquisto dopo gli Stati Uniti, il Giappone, la Cina e la Germania. Più del 60% della popolazione indiana è al di sotto dei 25 anni d’età e questa presenza di persone giovani, attive e dinamiche è un altro fattore positivo per la localizzazione dell’industria di software. Si stima che entro il 2010 il più alto numero di anglofoni al mondo risiederà in India. Con il suo tasso di crescita del PIL del 9,2% sta divenendo la terza più grande economia del mondo, preceduta da USA e Cina ed è emersa come l’economia più dinamica al mondo con la crescita trainata principalmente dai software, dai servizi IT e dall’outsourcing. L’economia indiana è molto variegata, infatti nella sua struttura interna convivono l’agricoltura tradizionale e quella moderna, l’artigianato e diverse nuove industrie ed infine una moltitudine di servizi di supporto. Le industrie IT, ed in particolar modo il software, si sono riconosciute come il settore trainante nell’economia indiana, ma rappresentano ancora una minima parte del PIL, se paragonate ai settori dell’agricoltura e al manifatturiero, quindi si intuisce che il potenziale presente non è stato ancora interamente sviluppato (Gonpatre, 2005).

3.4.2 – Tendenze in atto in India

Ora verranno illustrate la situazione attuale del settore indiano del software e le sue peculiarità, iniziando dall’analisi più generale del mercato IT che occupa un posto di rilevanza strategica sia in termini di ricavi derivanti da esportazioni, sia in termini occupazionali, impiegando ogni anno migliaia di giovani ingegneri informatici dell’ICT.

Questa condizione rende l’India, come si è visto, uno dei centri dell’high-tech più sviluppati al mondo. Nel 2004 il comparto dell’IT ha generato più di 15 miliardi di dollari di vendite di software e hardware (erano solo 250 milioni di dollari nel 1991), ed ha creato, nello stesso periodo, 92.000 posti di lavoro diretti e oltre 250.000 indiretti. Si prevede che entro il 2008 l’IT conterà per il 7,7% del PIL e il 35% delle esportazioni totali. I luoghi deputati all’esportazione indiana relativi al settore IT sono gli Stati Uniti, il Canada e l’America Latina per un complessivo 63% sul totale delle esportazioni. Le esportazioni

destinate all’UE costituiscono il 26%, al Giappone, spetta invece, il 4% (Indo-Italian Chamber of Commerce and Industry, 2007).

Grafico 3.6 – L’India si specializza nei servizi (1980-2002; %)

Fonte: Jaffrelot (2005)

L’India ha attirato, tra il 1991 e il 2002, 24 miliardi di dollari di IDE nel settore del software, questo valore rimane 10 volte inferiore a quello che nello stesso periodo è arrivato in Cina dagli investitori internazionali, tuttavia il ritmo del cambiamento da alcuni anni sta accelerando, non solo a causa delle multinazionali delle tecnologie dell’informazione, ma anche grazie alle delocalizzazioni industriali. Va tenuto presente che l’India dal 2005 ha deciso di rispettare le normative della WTO in materia di brevetti e tecnologie dell’informazione.

New Delhi attualmente realizza il 20% delle esportazioni di computer nel mondo, inoltre le esportazioni di servizi risultano essere più ampie che in Cina (3,9% contro 2,9%), come viene evidenziato nel grafico 3.6. Il commercio e le esportazioni mondiali di servizi e di informatica in India hanno iniziato a crescere dagli anni ’90 e nell’ultimo caso hanno superato di molto quelle cinesi.

Nel 2002 oltre il 70% delle affiliate estere USA della R&S localizzate in Asia producono computer e prodotti elettronici. Il forte sviluppo di questo paese nel settore del software è in corso già da diversi anni, infatti nel 1999 solo il 20% della spesa in R&S delle filiali estere era in settori non manifatturieri, mentre nel 2002 si raggiunge il 75%. Il

software e la farmaceutica sono le 2 maggiori aree di ricerca delle IMN in India, paese dove la protezione IPR è molto forte.

Inoltre, non va dimenticato lo sviluppo di diverse imprese indiane che sono diventate soggetti globali e hanno formato alleanze e relazioni sub-contrattuali di R&S con altre IMN. I mercati di destinazione scelti dall’industria indiana di servizi IT-ITES (IT enabled services) si stanno sempre più allontanando dai paese anglosassoni, secondo una strategia che mira a sfruttare maggiormente i talenti locali per ridurre la dipendenza da una particolare area geografica. Sebbene per il momento l’America e l’Europa rimangono ancora i mercati di sbocco chiave per le esportazioni indiane di servizi IT, anche i guadagni provenienti dalle esportazioni in paesi diversi dagli Stati Uniti e dal Regno Unito continuano a crescere (ICE, 2007).

In India i diritti di proprietà dei programmi software sono coperti dalla legge sui diritti d’autore, di conseguenza, i diritti d’autore del software per computer sono protetti dalle clausole della legge indiana sui diritti d’autore del 1957. I principali cambiamenti nella legge sono stati emanati nel 1994 e sono in vigore dal 10 maggio 1995. Questi cambiamenti o emendamenti introdotti hanno reso la legge indiana sui diritti d’autore una delle più rigide nel mondo. Secondo la sezione 14 della legge, è illegale fare o distribuire copie di software con diritti d’autore senza autorizzazione adeguata o specifica. L’unica eccezione è stabilita dalla sezione 52 della legge, che permette una copia di riserva semplicemente come protezione temporanea contro la perdita, distruzione o danno alla copia originale. L’emendamento del 1994 alla legge sui diritti d’autore vieta anche la vendita o il noleggio di qualche programma software senza l’autorizzazione specifica dei titolari dei diritti d’autore. I trasgressori possono venire processati sia sotto il diritto civile, sia sotto quello penale (Indo-Italian Chambre of Commerce and Industry, Embassy of Italy New Delhi, SMAU, 2003).

Nell’anno fiscale 2006-07, l’industria IT dei software e dei servizi in India ha registrato un fatturato pari a 39,6 miliardi di dollari, con una crescita del 30,7% rispetto all’anno precedente. Inoltre NASSCOM11 (National Association of Software Services and Companies) prevede per il 2008 una crescita di servizi e software venduti del 24-27%, con un fatturato pari a 45-50 miliardi di dollari. L’industria indiana dei software e dei servizi continua a mantenere un ottimo andamento e rappresenta oggi una notevole opportunità. Il

11 Associazione Nazionale delle Aziende di Software e di Servizi, ha l’obiettivo di facilitare il commercio e gli affari nel settore del software, nei servizi IT e nell’e-commerce, incoraggia la ricerca, promuove la formazione nel settore, l’ocupazione e lo sviluppo dell’economia indiana. Collabora con il governo centrale indiano e con i governi locali nella definizione delle politiche relative all’ICT.

settore dell’IT in generale è il più redditizio dell’economia indiana; nel 2004 con un giro di affari intorno ai 15,5 miliardi di dollari e un totale di occupati pari a 800.000 unità, ha rappresentato circa il 3% del PIL del paese. Nel 2008 i ricavi generati dall’industria tecnologica dovrebbero raggiungere gli 80 miliardi di dollari, fornire 4 milioni di posto di lavoro e avere un’incidenza sul PIL pari al 7%, secondo stime della NASSCOM.

L’industria del software indiana è caratterizzata da una forte propensione all’esportazione, dovuta principalmente a 2 fattori, in primo luogo la presenza di una numerosa comunità indiana nella Silicon Valley americana12, che pratica da anni l’outsourcing informatico a favore delle imprese indiane e, in secondo luogo, dalla limitatezza del mercato domestico, che solo dall’inizio di questo decennio ha iniziato a crescere in modo sostanziale. Uno studio della NASSCOM stima che nel 2008 l’India avrà 2 milioni di ingegneri nel solo settore informatico, indispensabili per mantenere il ruolo di leadership mondiale nel settore. Si deve però evidenziare la diversa composizione del mercato indiano ICT per le esportazioni e quello domestico: mentre il primo è principalmente orientato verso i software, nel mercato interno si registra un’importante componente hardware (2,4 miliardi di euro nell’anno 2000-01). Attualmente al valore annuo delle esportazioni di software indiano ha raggiunto i 10 miliardi di dollari e il numero delle imprese ICT ha registrato un incremento dell’85% dal 2000 al 2006. E’

importante considerare il ruolo dell’India come meta favorita dalle società per l’outsourcing, ma soprattutto il recente fenomeno secondo il quale l’India stessa delocalizza il suo stesso outsourcing. Le grandi imprese del settore IT stanno costruendo i cosiddetti outsourcing campuses in paesi come Cina, Vietnam e Romania dove i vantaggi di costo sono ancora più consistenti.

3.4.3 – Politiche intraprese dal governo indiano

Nell’ultima parte di questo paragrafo si analizzeranno le politiche che il governo indiano ha intrapreso dagli anni ’90 ad oggi per attrarre investimenti nel paese. A supporto delle aziende che investono in India ci sono istituti di R&S reputati internazionali come l’Indian Institute of Technology, l’Indian Institute of Science, l’Indian Institute of

12 Nome coniato nel 1971 da un giornalista per indicare la parte meridionale della S. Francisco Bay Area, per la fortissima concentrazione di industrie legate ai semiconduttori e ai computer, basati appunto sul silicio.

Chemical Technologies e il Centre for Drugs Research che rivestono un fondamentale ruolo di collegamento tra i diversi attori del SIN indiano.

Le innovazioni tecnologiche hanno creato i presupposti per la rivoluzione ICE (Information-Technology, Communication and Entertainment) che è attualmente in atto in India, questa ha permesso una competizione dinamica offrendo le condizioni di base per un ambiente multispecilizzato. La costante crescita economica (nell’ultimo decennio il PIL è cresciuto in media di quasi il 6% l’anno) e l’ambiente favorevole per gli investimenti sono il risultato di un processo di riforme e di liberalizzazione del mercato iniziato nel 1991, quando l’India è entrata a far parte del GATT13, e tuttora in atto.

Immagine 3.1- I 35 stati federali dell’India

Fonte: Tomasello (2006)

13 General Agreement on Tariffs and Trade, era un accordo internazionale firmato nel 1947 in Svizzera inizialmente da 23 paesi, per stabilire un sistema multilaterale di relazioni commerciali con lo scopo di favorire la liberalizzazione del commercio mondiale. Questa organizzazione è stata sostituita al termine dell’Uruguay Round del 1994 dalla WTO, entrata in vigore il 1° gennaio 1995.

A partire da questa data il governo indiano ha progressivamente aperto il proprio sistema economico all’economia globale. Si sono semplificate politiche, procedure e aspetti normativi, i governi dei 35 stati federali che compongono il paese (vedi immagine 3.1) sono stati incoraggiati a entrare in competizione tra loro per attrarre nuovi investimenti stranieri.

Lo sviluppo dell’India è stato unico nel suo genere, invece di adottare la classica strategia asiatica basata sulle esportazioni di prodotto labour-intensive e sui bassi prezzi dei prodotti manifatturieri, ha puntato piuttosto sul mercato domestico, sui consumi, sui prodotti high-tech e sui servizi (settore che ha raggiunto circa il 30% del commercio totale). I servizi sono un settore cosiddetto growth-inducing, poiché presentano maggiori collegamenti intersettoriali backward e forward, che gli permettono di stimolare la crescita anche negli altri settori. E’ in grado non solo di condurre ad una maggiore crescita dell’output prodotto dal settore manifatturiero, ma anche di migliorare la produttività in tale settore.

Gli IDE sono ora consentiti in quasi tutti i settori di attività, previa comunicazione informativa dell’investitore alla Reserve Bank of India, ma è sotto il profilo fiscale che si sono sviluppate le più grandi novità, infatti, localizzare la propria impresa in India è oggi sempre più conveniente: le aliquote dell’imposta sulle società sono state ridotte dal 55% al 35% per le imprese nazionali e dal 65% al 40% per quelle estere.

Inoltre sono stati introdotti incentivi fiscali per promuovere le esportazioni, la sviluppo delle infrastrutture, dell’IT e della ricerca che arrivano a garantire una totale esenzione di imposta per il 100% degli utili d’impresa. Gli incentivi non sono solo per le grandi IMN, infatti il governo indiano riconosce una serie di agevolazioni fiscali anche per le piccole industrie14 per il loro contributo alle esportazioni e al livello di occupazione.

Tutte le suddette agevolazioni messe in atto dal governo mirano a canalizzare gli investimenti in particolari settori, a promuovere lo sviluppo di aree arretrate e a incoraggiare le entrate in valuta pregiata attraverso investimenti in unità produttive orientate all’esportazione. Per favorire ulteriormente le esportazioni sono previsti trattamenti speciali per le unità produttive che operano nelle cosiddette SEZ (Special Economic Zones), in parchi tecnologici per l’hardware e il software e per le società interamente orientate all’esportazione. Le imprese che rientrano in una di queste categorie beneficiano di un’esenzione fiscale del 100% sugli utili derivanti dalle esportazioni di beni

14 Si considera “piccola industria” un’unità produttiva il cui investimento in capitale fisso, impianti e macchinari non supera i 10 milioni di rupie (circa 20.00 euro).

per un periodo di 5 o 10 anni, non sono soggette ai dazi sulle importazioni di beni e materie prime, sono inoltre esenti o beneficiano di riduzioni in relazione alle altre imposte indirette dovute sui beni e servizi acquistati. Va anche sottolineato che gli investimenti compiuti in India dalle principali IMN del settore informatico hanno essenzialmente lo scopo di internalizzare il vantaggio di costo, concentrando nel sub-continente parte delle attività a più basso valore aggiunto. Le società indiane hanno trovato fino ad oggi difficoltà a risalire la filiera, cioè a specializzarsi nelle fasi produttive a più alta redditività. Al contrario il loro dominio d’azione resta lo sviluppo di software la cui architettura di base viene configurata altrove (Indo-Italian Chamber of Commerce and Indutry, Embassy of Italy New Delhi, SMAU 2003).

Tutte le politiche che sono state attuate nel campo dell’ICT fanno parte di un più ampio piano che vuole trasformare l’India, entro il 2010, in una superpotenza nel campo tecnologico che raggiunga l’obiettivo di 50 miliardi di dollari di esportazioni di software; a tal proposito il governo ha istituito l’ESC (Consiglio Nazionale per lo Sviluppo dell’Esportazione dell’Elettronica e del Software), come agenzia che funge da collegamento per la promozione dello scambio di tecnologie ed elettronica tra l’India e il resto del mondo. Il governo dell’India nel corso dell’ultimo decennio ha quindi, da una parte ridotto considerevolmente le procedure burocratiche per le aziende del settore informatico e, dall’altra, iniziato una politica di sostegno al settore garantendo, come si è detto, incentivi fiscali di varia natura. Inoltre, il governo indiano ha formato un nuovo ministero per la tecnologia dell’informazione che ha intrapreso importanti provvedimenti verso la promozione dell’industria nazionale e la piena realizzazione degli imprenditori indiani di IT (Borzumati, Laureti, 2005). E’ possibile evidenziare diverse iniziative in atto:

- Area Tariffaria Domestica: quando l’azienda vende all’interno del paese può essere costituita in qualsiasi zona dell’India, non si applicano i dazi all’importazione e viene consentita l’esportazione;

- Zone Economiche Speciali (SEZ): sono aree industriali esenti dalla legislazione sull’import-export, a patto che la produzione sia dedicata esclusivamente all’esportazione;

- Export Processing Zones (EPZ): in queste zone non vengono applicati dazi all’importazione e viene concesso uno speciale rimborso fiscale decennale, senza che venga applicata alcuna restrizione alla vendita sul mercato interno;

- Export Oriented Units, vengono applicate le stesse condizioni delle EPZ, ma possono essere localizzate ovunque;

- Software Technology Parks (STP): realizzati nel 1990, hanno l’obiettivo di promuovere e facilitare le esportazioni di software, non vengono applicati dazi all’importazione di tutti i beni capitali e vengono riconosciuti forme di rimborso fiscale per i primi 10 anni di attività e disponibilità di infrastrutture avanzate per le telecomunicazioni e informatiche (Indo-Italian Chamber of Commerce and Indutry, Embassy of Italy New Delhi, SMAU 2003).

L’industria indiana dell’IT, in particolar modo quella del software è un’industria dinamica e di successo, è uno dei settori che cresce più rapidamente nel panorama economico indiano, questo mercato ospita aziende affermate come IBM, Intel, Microsoft, Oracle, Cisco, Sun HP, Alcatel, ma anche tante aziende innovative e all’avanguardia nello specifico, come Juniper, Dell, Compaq, Cerent e Tellabs. Non vanno tralasciate poi le industrie locali che si sono create una posizione a livello mondiale come Infosys, Wipro, Satyam, TCS e Pentafour di cui si tratterà in seguito (Camera di commercio indiana per l’Italia, 2001).

Il fenomeno che si è sviluppato in India sembra quindi dovuto ad un insieme di fattori e ai benefici accumulati in 15 anni di riforme pro-mercato, uniti ad una politica macroeconomica stabile che ha reso gli imprenditori indiani sufficientemente fiduciosi da espandere la propria attività e investire. La sua economia sta diventando più equilibrata, con la creazione di un maggior numero di posti di lavoro, una crescita commerciale più rapida e un conseguente maggior impatto sullo scenario internazionale.

Il mercato indiano nell’ultimo periodo è stato protagonista di uno sviluppo molto simile a quello cinese, ma si mostra più accessibile alle imprese straniere sotto svariati aspetti, tra i quali, come si è detto, un vasto bacino di consumatori domestici, una diffusa padronanza dell’inglese, una rete di imprenditori che possono operare senza forti ingerenze statali, agevolazioni fiscali e la grande quantità di forza lavoro qualificata. Tutti questi fattori hanno trasformato l’India nel centro dell’innovazione mondiale nel settore del software e questo è ancora più evidente a Bangalore, la cosiddetta “città giardino” del paese.

3.5 – Il distretto tecnologico di Bangalore

Bangalore si trova nella parte meridionale dell’altipiano del Deccan, è la capitale dello stato del Karnataka, come si vede dall’immagine 3.2, ed è situata a 920 metri s.l.m.

(sul livello del mare). Bangalore è il centro culturale, commerciale ed industriale di questo stato, ma è anche considerata la capitale indiana dell’IT, infatti viene anche chiamata la

“Silicon Valley dell’India”.

Immagine 3.2 – Il distretto di Bangalore

Fonte: Bultrini (2005)

Bangalore con i suoi 6 milioni di abitanti (raddoppiati in 10 anni), è la quarta città del paese, seconda per indice di alfabetizzazione e al primo posto per tasso di sviluppo economico e tecnologico. All’interno di questa città che rappresenta la bandiera nella

“New India” convivono contrasti e grosse disparità economiche, infatti la ricchezza è concentrata per ora in pochi settori e il 42% della popolazione indiana vive ancora al di sotto della soglia di povertà. Si parla comunemente di “due Indie” che procedono a velocità diverse. I tassi di crescita medi del paese non riflettono la situazione economica del paese nel suo insieme. Le regioni più ricche crescono ad un ritmo 3 volte più veloce di quelle più povere e sono anche quelle più efficienti nel ridurre la povertà. Un altro grave ostacolo alla crescita indiana è l’occupazione, che non è aumentata alla stessa velocità del tassi di sviluppo dell’economia (Bultrini, 2005).

Il problema più evidente del mercato del lavoro indiano è l’alto tasso di informalità, oltre il 92%. La città inoltre è diventata da anni la discarica mondiale per la spazzatura tecnologica dell’occidente, qui arrivano attrezzature obsolete per essere disassemblate e riciclate. Questo mercato non regolamentato da nessuna legge ambientale sta mettendo in serio pericolo l’ecosistema e solo recentemente è stata istituita dal governo una commissione incaricata dello smaltimento del cosiddetto “e-waste”. Bangalore è tra i primi 11 centri tecnologici a livello mondiale nella classifica dell’UNDP; la concentrazione delle aziende informatiche è iniziata a partire dagli anni ’80, con l’apertura degli uffici della Texas Instruments, ma è nell’ultimo decennio che è avvenuto il passaggio da centro mondiale dei call-center a centro della conoscenza. Non si effettua più solo outsourcing dei processi industriali guidati dal basso costo del lavoro anche per la manodopera più qualificata; nonostante ciò il 90% delle operazioni di delocalizzazione sono ancora oggi legate a questioni di costo. La Silicon Valley indiana sta, nel corso degli anni, sorpassando

Il problema più evidente del mercato del lavoro indiano è l’alto tasso di informalità, oltre il 92%. La città inoltre è diventata da anni la discarica mondiale per la spazzatura tecnologica dell’occidente, qui arrivano attrezzature obsolete per essere disassemblate e riciclate. Questo mercato non regolamentato da nessuna legge ambientale sta mettendo in serio pericolo l’ecosistema e solo recentemente è stata istituita dal governo una commissione incaricata dello smaltimento del cosiddetto “e-waste”. Bangalore è tra i primi 11 centri tecnologici a livello mondiale nella classifica dell’UNDP; la concentrazione delle aziende informatiche è iniziata a partire dagli anni ’80, con l’apertura degli uffici della Texas Instruments, ma è nell’ultimo decennio che è avvenuto il passaggio da centro mondiale dei call-center a centro della conoscenza. Non si effettua più solo outsourcing dei processi industriali guidati dal basso costo del lavoro anche per la manodopera più qualificata; nonostante ciò il 90% delle operazioni di delocalizzazione sono ancora oggi legate a questioni di costo. La Silicon Valley indiana sta, nel corso degli anni, sorpassando