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4. L’esclusione dallo status di rifugiato per aver commesso un crimine contro la pace,

4.3. Crimini contro l’umanità

Le ipotesi previste dall’art. 1 (F)(a) come spiegato nel paragrafo introduttivo sono da intendere “nel senso degli strumenti internazionali contenenti disposizioni relative a siffatti crimini”.

Gli atti ricompresi nei crimini contro l’umanità sono definiti all’art. 6 (c)63 dello Statuto del Tribunale militare internazionale e richiamano in via analogica i crimini di guerra. Il concetto di crimini contro l’umanità richiama condotte fondamentalmente inumane e intenzionali dirette a causare “grandi sofferenze o gravi danni all'integrità fisica o alla salute fisica o mentale”64.

Ai tempi dell’approvazione della Convenzione di Ginevra si riteneva che i crimini contro l’umanità potessero essere commessi solo in contesti di conflitto, mentre con lo Statuto di Roma della CPI si è chiarito che questi possono avvenire anche al di fuori di un contesto bellico “nell'ambito di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili, e con la consapevolezza dell'attacco”65.

Con riguardo alla responsabilità individuale nei crimini contro l’umanità, il Tribunale militare internazionale ha ritenuto che questa possa sussistere in capo ad un individuo anche nel caso in cui l’ordine di uccidere o torturare derivi da un’autorità statale. Il Tribunale di Norimberga non ha accettato l’argomento per cui il diritto internazionale riguarda solo le azioni di Stati sovrani, e che coloro i quali hanno compiuto suddette azioni sono protetti dalla dottrina della sovranità di Stato. Il Tribunale ha infatti affermato che gli individui hanno obblighi internazionali che superano il dovere di obbedienza imposto dallo Stato, e che coloro i quali violano le leggi di guerra non possono ottenere l’immunità, anche se hanno

63 Vengono definiti crimini contro l’umanità all’art. 6 (c): “l’assassino, lo sterminio, la riduzione in schiavitù,

la deportazione e qualsiasi altro atto inumano commesso ai danni di una qualsiasi popolazione civile, prima e durante la guerra, ovvero le persecuzioni per motivi politici, razziali o religiosi, quando tali atti o persecuzioni - abbiano costituito o meno una violazione del diritto interno del paese dove sono state perpetrate - siano state commesse nell'esecuzione di uno dei crimini rientranti nella competenza del Tribunale, o in connessione con uno di siffatti crimini”. Questa stessa definizione fu alla base dell’approvazione sia della Convenzione del 9 dicembre 1948 per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, sia della Convenzione Internazionale sull’Eliminazione e la Repressione del Crimine di Apartheid.

64 Statuto di Roma della CPI art. 7 (1)(k). 65 Statuto di Roma della CPI art. 7 (1).

agito nel rispetto di un ordine dell’autorità statale, se lo Stato che ha autorizzato l’azione ha a sua volta violato i propri obblighi derivanti dal diritto internazionale66.

Le Quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 contengono riferimenti specifici alla responsabilità individuale nel caso dei crimini contro l’umanità, disponendo ad esempio che vengano portate avanti indagini e processi contro coloro che hanno commesso, o ordinato, gravi violazioni delle Convenzioni67. L’applicabilità del principio della responsabilità individuale nei crimini contro l’umanità è ampiamente riconosciuta anche dai manuali di diritto militare degli Stati per le proprie forze armate68. Il punto è ribadito dall’art. 27 dello Statuto di Roma della CPI in cui si stabilisce che la qualifica ufficiale di capo di Stato o di governo, di membro di un governo o di un parlamento, di rappresentante o di agente di uno Stato “non esonera in alcun caso una persona dalla sua responsabilità penale per quanto concerne il presente Statuto e non costituisce in quanto tale motivo di riduzione della pena”. Il superiore gerarchico può essere ritenuto responsabile per le azioni criminali commesse dal subordinato, che a sua volta non può essere ritenuto responsabile, se: a) la persona aveva l’obbligo legale di ubbidire agli ordini del governo o del superiore in questione; b) la persona non sapeva che l'ordine era illegale; c) l’ordine non era manifestamente illegale69. Nella stessa disposizione è previsto che l’ordine di commettere un genocidio o crimini contro l'umanità sia manifestamente illegale e non vi sia giustificazione possibile.

Sul tema della responsabilità individuale deve essere tracciata una distinzione tra la mera appartenenza ad un’organizzazione, statale o non statale, che ha posto in essere crimini contro l’umanità, e una sostanziale complicità nelle azioni da parte dell’individuo. Lo stesso Tribunale di Norimberga ha infatti ritenuto la mera appartenenza insufficiente a raggiungere la responsabilità70.

66 Si veda la Sentenza del Tribunale Militare Internazionale di Norimberga in cui si afferma testualmente che

“individuals have international duties which transcend the national obligations of obedience imposed by the

individual state. He who violates the laws of war cannot obtain immunity while acting in pursuance of the authority of the State if the State in authorizing action moves outside its competence under international law”.

67 Si veda ad esempio l’art. 49 della Convenzione per il miglioramento delle condizioni dei feriti e dei malati

delle Forze armate in campagna, Ginevra, 12 agosto 1949.

68 Su questo basti fare riferimento a The Manual of the Law of Armed Conflict del Ministero della Difesa della

Gran Bretagna, del 2005.

69 Art. 33 dello Statuto della CPI.

70 Si veda A.GRAHL-MADSEN, The Status of Refugees in International Law, Volume I, Refugee Character,

Nella sentenza Ramirez71 la Corte Federale canadese propose una sorta di test in tre fasi per l’accertamento della responsabilità individuale: 1) appartenenza all’organizzazione che ha commesso crimini internazionali in modo continuativo; 2) partecipazione personale e consapevole; 3) incapacità di dissociarsi dall’organizzazione alla prima occasione disponibile. Sempre la Corte Federale canadese, nel più recente caso Valère72, ha aggiunto che la “accettazione passiva” non è sufficiente ad integrare i presupposti per l’esclusione dalla protezione e che il grado militare dell’individuo è rilevante nella valutazione, specificando, infine, che, sebbene la legge non richieda che le persone si mettano in grave pericolo per uscire dall’organizzazione in questione, non possono nemmeno essere considerate degli “amoral robots”.

Come sopraccennato anche agenti non statali possono commettere crimini contro l’umanità, e in Sivakumar, la Corte canadese, ripercorrendo la dottrina e la giurisprudenza sul punto, ha incluso tra i possibili soggetti che si possono macchiare di crimini contro l’umanità anche gli individui privati73.