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Il Testo Unico ha affermato la generale sottoposizione al fallimento e alle altre procedure concorsuali delle partecipate pubbliche come conseguenze dell’insolvenza delle stesse, tracciando anche la procedura per l’adozione preventiva di piani volti ad evitare l’insolvenza nei casi di difficoltà finanziarie.

In passato, prima dell’introduzione del TU, in materia di società a partecipazione pubblica, le società caratterizzate da tratti pubblici erano disciplinate da disposizioni disseminate in vari testi normativi. Lo stato dell’arte, in caso di insolvenza, era contraddistinto per le società partecipate da soggetti pubblici dalla sottoposizione allo statuto dell’imprenditore commerciale e pertanto al fallimento132, quali enti di diritto privato, mentre estranea all’area della fallibilità è la species delle società in house, trattandosi di mere articolazioni degli enti pubblici soci133.

La norma134stabilisce espressamente che, le società partecipate sono soggette alla disciplina fallimentare e al concordato preventivo, e se vi sono le condizioni, all’amministrazione straordinaria135. Il principio vale per tutte le partecipate, ossia, anche per le controllate e per le in house, rispetto alle quali il concetto è implicitamente ribadito136 con l’introduzione, per il caso di

131Come previsto dall’art. 21 del d.lgs. 175/2016 al comma 3

132 Cass., SS.UU., 27 settembre 2013, n. 22209: “la scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a società di

capitali, e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entr ano in rapporto ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità”.

133L’art.1,della legge fallimentare, prevede l’esclusione degli enti pubblici dal perimetro dei soggetti fallibili.La qualificaz ione dell’in

house come mera organizzazione interna della Pubblica Amministrazione titolare della partecipazione pubblica, e dunque come “organo” dell’ente, comporterebbe infatti l’applicazione del regime delle Pubbliche Amministrazioni, con conseguente estraneità al fallimento. Cfr. Cass., SS.UU., 25 novembre 2013, n. 26283, che ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti sull’azione di responsabilità esercitata dalla Procura presso detta Corte quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali da essi cagionati al patrimonio di una società in house. Ciò in quanto le società in house non costituiscono un’entità al di fuori dell’ente pubblico, il quale infatti ne dispone come una propria articolazione interna, tanto che “la distinzione tra socio (pubblico) e società (in house) non si realizza più in termini di alterità soggettiva […] L’uso del vocabolo società qui serve solo allora a significare che, ove manchino più specifiche disposizioni di segno contrario, il paradigma organizzativo va desunto dal modello societario. Di una società di capitali, intesa come persona giuridica autonoma cui corrisponda un autonomo centro decisionale e di cui sia possibile individuare un interesse suo proprio, non è più possibile parlarne [...] perché hanno della società solo forma esteriore ma costituiscono in realtà delle articolazioni della Pubblica Amministrazione da cui promanano e non dei soggetti giuridici a d essa esterni e da essa autonomi”.

134Art.14, del d.lgs. 175/2016 comma 1.

135Il riferimento è all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi di cui al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270

e del decreto legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito,con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39.

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dissesto della società, di un limite per le amministrazioni socie ad operare nel settore della fallita. Difatti, il legislatore, ha previsto che nei cinque anni successivi alla dichiarazione di fallimento di una “società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti” (vale a dire, appunto, di una società in house)137 le amministrazioni pubbliche controllanti non possono costituire nuove società, né acquisire o mantenere partecipazioni in società che gestiscono i medesimi servizi di quella dichiarata fallita. Il TU ha superato la nota bipartizione attinente alla sottoposizione delle società a partecipazione pubblica alle procedure concorsuali. A fronte di ciò è, tuttavia, prevedibile come la soggezione delle società in house al fallimento possa trasformarsi in un possibile escamotage per scaricare sui creditori sociali i debiti che, di fatto, sono di competenza dell’amministrazione pubblica socia138, trattandosi le società in house di mere articolazioni degli enti pubblici soci senza alcuna alterità soggettiva. Il legislatore, una volta definito il principio generale, ha, da un lato, disciplinato per le società a controllo pubblico139 le ipotesi di crisi aziendale, dettando specifiche

137 Cfr. CdS, parere n. 968/2016, ove si sottolinea che l’espressione “società a controllo pubblico titolari di affidamenti diretti di

contratti pubblici” è identificativa dell’in house. Tali società sono, come detto, una longa manus dell’amministrazione socia, ossia,la società si identifica sostanzialmente, con l’amministrazione, tanto che quest’ultima esercita sulla società un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e, a tal fine, gli amministratori della società sono privi di autonomia gestionale, posto che obiettivi strategici e decisioni significative spettano, per definizione, al socio pubblico, come esplicitato dal TU all’art. 2, lett. c). Il requisito del controllo analogo, infatti, postula la netta prevalenza del pubblico nel capitale e l’adozione di meccanismi tali da deformare l’assetto organizzativo della società disciplinata dal codice civile: il consiglio di amministrazione viene svuotato di significativi poteri gestionali, restando mero esecutore delle determinazioni della governance degli enti soci, cui devono spettare poteri più incisivi di quelli di norma riconosciuti dal diritto societario alla maggioranza sociale (così che le decisioni più importanti della società siano preventivamente sottoposte all’esame e all’approvazione del socio pubblico). La società in house deve inoltre essere immune da qualsiasi vocazione commerciale, perché longa manus dell’amministrazione socia, la quale reperisce prestazioni a contenuto negoziale non sul mercato, ma al proprio interno, servendosi di un proprio ente strumentale giuridicamente distinto sul solo piano formale, in deroga ai principi di concorrenza.

L’ammissibilità del ricorso all’in house providing è stata affermata per la prima volta dalla Corte di Giustizia Europea, con la sentenza del 18 novembre 1999, nota come Sentenza Teckal, che ha precisato i confini all’interno dei quali l’affidamento dire tto può ritenersi consentito e non in contrasto con il libero mercato. Innanzitutto, tra i requisiti necessari ai fini della configurazione dell’in house vi sono:

- la partecipazione interamente pubblica;

- l’esercizio da parte dell’ente committente di un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi;

- lo svolgimento dell’attività prevalentemente a favore dell’amministrazione controllante, requisito questo da valutare sulla base del fatturato realizzato.

I lineamenti distintivi dell’in house rispetto alla giurisprudenza consolidata della Corte europea, sono stati in parte modif icati, quando l’in house è stato positivizzato dall’art. 12, Direttiva 2014/24/UE, dall’art. 17, Direttiva 2014/23/UE e dall’art. 28, Direttiva 2014/25/UE:

- ammettendo, eccezionalmente, “forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata”;

- stabilendo nella misura superiore all’80% l’entità dell’attività che la società deve svolgere in favore dei soci pubblici.

138Il che, a sua volta, rischia di essere un boomerang per simili forme organizzative, posto che i terzi - che, escludendo la fallibilità,

potevano fare affidamento sull’obbligo del socio pubblico di ripianare le perdite e quindi (implicitamente) soddisfare i creditori - potrebbero, venuta meno tale tutela, avere più di una remora a contrattare con le in house, tanto più se già fortemente indeb itate. Di Russo D.,Crisi di impresa e insolvenza delle società a partecipazione pubblica, in Riforma delle società a partecipazione pubblica, Azienditalia 10/2016.

Anche il CdS, nell’esprimere parere sullo schema di Testo Unico ha segnalato l’opportunità di qualche accorgimento, evidenzia ndo che “la Commissione si limita a segnalare come l’art. 18, comma 1, lett. i) della legge delega preveda la possibilità di piani di rientro per le società con bilanci in disavanzo con eventuale commissariamento’. Si potrebbe, pertanto, introdurre un sistema diversificato per le società a controllo pubblico e soprattutto per le società in house”.

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procedure per prevenirne l’aggravamento, correggerne gli effetti ed eliminarne le cause140, dall’altro ha ripreso la regola già fissata art. 6, comma 19, d.l. 78/2010, convertito in legge 122/2010141, riferita alle società partecipate, anche se non controllate, da amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 3, legge n. 196/2009, vale a dire le amministrazioni che rientrano nel consolidato pubblico.

Con riferimento a queste ultime, il TU ha previsto il divieto alle amministrazioni socie, salvo quanto previsto dagli artt. 2447 e 2482-ter del codice civile, di142:

- effettuare aumenti di capitale; - effettuare trasferimenti straordinari; - concedere aperture di credito; - rilasciare garanzie;

a favore delle società partecipate143che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio o abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite, anche infra-annuali. Come detto, la disposizione è rivolta non a tutte le amministrazioni pubbliche144 ma solo a quelle suscettibili di rientrare nel consolidato pubblico145; la ratio è impedire la copertura della perdita registrata dalla società partecipata mediante le modalità sopra elencate, suggerendo, all’opposto, l’adeguamento delle condizioni del contratto di servizio e la spesa virtuosa per investimenti, ferma la necessità che tali interventi siano funzionali al conseguimento dell’equilibrio finanziario nell’arco di un triennio146.

L’applicazione della normativa civilistica in materia di riduzione obbligatoria del capitale per perdite, resta impregiudicata, ossia occorre ricostituire il capitale minimo, o porre in liquidazione la società, al fine di evitare una completa erosione del capitale sociale, a danno dei creditori147, dovuto

140Come previsto dall’art. 14 del d.lgs. 175/2016comma 2, 3, 4. 141Nel contempo abrogato dall’art. 29, lett. l), del Testo Unico 142Come previsto dall’art. 14, del d.lgs 175/2016 comma 5

143 La norma esclude espressamente gli istituti di credito e le società quotate; quanto a queste ultime, nel silenzio della disposizione,

le quotate sarebbero state comunque escluse dal perimetro di applicazione, stante il principio generale per cui le disposizioni del TU si applicano anche alle società quotate solo se espressamente previsto (art.1, comma 5).

144Come indicate nell’art. 2, del d.lgs. 175/2016 lettera a). 145 Ai sensi dell’art. 1, comma 3, legge196/2009

146 La copertura delle perdite della società partecipata costituisce per l’ente locale una spesa da iscrivere a bilancio nel Titolo I,

relativo alle spese correnti, e non nel Titolo II, relativo alle spese in conto capitale/per investimenti.Di Russo D.,Crisi di impresa e

insolvenza delle società a partecipazione pubblica, in Riforma delle società a partecipazione pubblica, Azienditalia 10/2016. 147Pertanto deve concludersi che nelle società pubbliche partecipate da amministrazioni di cui all’art. 1, comma 3, legge 196/20 09,

non quotate, qualora si verifichi la fattispecie ivi descritta (per tre esercizi consecutivi perdite di esercizio ovvero utilizzazione di riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali) e contestualmente la perdita per oltre un terzo del cap itale con riduzione dello stesso al di sotto del limite legale, i divieti posti dalla nuova disciplina non escludono l’applicazione obb ligatoria della normativa codicistica. Quindi, comunque si dovrà convocare senza indugio l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale e il contemporaneo aumento del medesimo (fino all’importo minimo di capitale) o la trasformazione della società, altrimenti s i dovrà procedere allo scioglimento della stessa. Cfr. Corte conti, Sez. contr. Piemonte, 21 ottobre 2010, n. 61. La Corte chiarisce che nel caso in cui “si opti per una riduzione ed un contestuale aumento del capitale sociale, per quanto l’art. 2447 faccia riferime nto ad una

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al proseguimento dell’attività. Il divieto sancito al comma 5 dell’art.14 del TU può definirsi relativo in quanto gli interventi previsti possono essere consentiti, pre-autorizzazione, su richiesta dell’amministrazione interessata, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri148, al fine di salvaguardare la continuità nella prestazione di servizi di pubblico interesse149, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico e la sanità. In deroga a quanto esposto con riferimento al divieto, appena menzionato, sono consentiti i trasferimenti straordinari a fronte di:

- convenzioni;

- contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse;

- realizzazione di investimenti,

purché le misure150siano previste in un piano di risanamento approvato dall’Autorità di regolazione di settore (ove esistente) e comunicato alla Corte dei conti151che preveda il raggiungimento dell’equilibrio finanziario entro tre anni.

Quanto alle società a controllo pubblico152, l’art. 6, al comma 2, introduce l’obbligo di predisporre specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale e di informarne l’assemblea nell’ambito della relazione annuale sul governo societario153, quest’ultima da predisporre annualmente a chiusura dell’esercizio sociale, dovrà essere pubblicata contestualmente al bilancio di esercizio. Qualora nell’ambito di tali programmi di valutazione del rischio154emergano uno o più indicatori di crisi aziendale, l’organo amministrativo della società è chiamato ad adottare senza indugio un idoneo piano di risanamento, dal quale emergano i provvedimenti necessari a prevenire l’aggravamento della crisi, correggerne gli effetti ed eliminarne le cause155. La mancata adozione di provvedimenti adeguati costituisce grave irregolarità ai sensi dell’art. 2409 del codice civile156.

cifra ‘non inferiore al minimo’, in ossequio alla speciale nuova disciplina non si debba procedere ad un aumento del capitale superiore al minimo”.

148Adottato su proposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto con gli altri Ministri competenti. Il decreto è

soggetto a registrazione della Corte dei conti.

149 Per i quali devono intendersi i “servizi di interesse generale” stante il combinato disposto degli artt. 4, comma 2, lett. a) e 2, lett.

h) ed i), del Testo Unico.

150 Novità rispetto alla precedente formulazione di cui all’art. 6, comma 19, D.L. n. 78/2010

151 La comunicazione - secondo la norma - va effettuata “con le modalità di cui all’art. 5”. Si è in presenza però di un difetto di

coordinamento, visto che l’art. 5, al comma 3 – nella versione uscita dal secondo passaggio in CdM - non contempla più il procedimento che prevedeva il potere della Corte di formulare rilievi entro 30 giorni e di chiedere chiarimenti.

152Art 2 del d.lgs 175/2016 lettera m) 153Art. 6 del d.lgs. 175/2016 comma 4

154 La norma fa riferimento a “programmi di valutazione del rischio di cui all’art. 6, comma 3”, ma si tratta dell’ennesimo difetto di

coordinamento, posto che i programmi in questione sono menzionati all’art. 6, comma 2.

155Art. 14 del d.lgs. 175/2016 comma 2

156 L’art. 14, comma 3, in realtà recita: “Qualora si determini la situazione di cui al comma 1”; ma tratta di un evidente refuso , posto

che il comma 1 fissa il principio della soggezione di tutte le società a partecipazione pubblica alle procedure concorsuali, nel cui ambito non è prospettabile l’applicazione dell’art. 2409 Cod. civ. Il rinvio del comma 3 deve intendersi quindi riferito al s ituazione di cui al comma 2, che considera, appunto, l’emersione di uno o più indicatori di crisi aziendale nell’ambito dei programmi di valutazione del rischio (che infatti l’art. 6, comma 3 prevede per le società a controllo pubblico).

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Peraltro, il legislatore del Testo Unico esclude che possa considerarsi provvedimento adeguato157 la previsione di un ripianamento delle perdite da parte delle amministrazioni socie, quand’anche, in concomitanza di un aumento di capitale o del trasferimento straordinario di partecipazioni o al rilascio di garanzie o in qualsiasi altra forma giuridica, ad eccezione del caso in cui tale intervento sia accompagnata da un piano di ristrutturazione aziendale dal quale risulti la comprovata sussistenza di concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività svolte. Il piano aziendale ricopre il ruolo di piano di risanamento di cui al comma 2158, e può essere adottato anche in deroga ai limiti previsti dal comma 5, a carico delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 3, legge 196/2009.

157 L’art. 14, comma 4. La norma dice “adeguato i sensi dei commi 1 e 2”; ma deve leggersi “ai sensi dei comma 2 e 3”; cfr. nota che

precede.

158 La norma prevede: “approvato ai sensi del comma 4”; ma trattasi di evidente refuso, posto che l’inciso è contenuto nello stes so

comma 4. In esito all’interpretazione sistematica dell’articolo, il rinvio va inteso come riferito al piano approvato ai sensi del comma 2.

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CAPITOLO 3

IL SISTEMA DEI CONTROLLI INTERNI NEGLI ENTI LOCALI Introduzione

Il sistema dei controlli degli enti territoriali si fonda sul principio dell’equiordinazione

costituzionale1 di tali enti con gli altri livelli di governo. Tale principio fa sì che l’ente abbia

capacità di verifica e di giudizio interno della propria attività.

Parallelamente, accanto al riconoscimento costituzionale dell’autonomia degli enti territoriali, si è venuto via via a ridurre il ruolo dei controlli esterni, sia con l’eliminazione dei controlli preventivi di legittimità, caratterizzati da un’impostazione di tipo gerarchico, e pertanto lesiva dell’autonomia dei vari enti territoriali, sia con il ridimensionamento del ruolo della Corte dei Conti, che ha conservato le proprie funzioni di controllore esterno attraverso un rapporto di tipo collaborativo.

L’attuale contesto dinamico e le successive evoluzioni normative comunitarie2 hanno imposto al legislatore riflessioni sull’adeguatezza dei controlli in essere e sulla necessità di migliorarli o integrarli, anche in ragione del principio del coordinamento della finanza pubblica - ai fini del raggiungimento degli obiettivi nazionali sulla base degli impegni comunitari - che ha determinato, da un lato, la previsione di vincoli sempre più stringenti alle politiche di bilancio (introduzione del principio costituzionale del pareggio di bilancio all’art. 81 della costituzione) degli enti territoriali e, dall’altro, l’intensificazione, in controtendenza

1 ll principio di equiordinazione fra lo Stato e le altre istituzioni territoriali, enunciato dal primo comma dell’articolo 114

Cost. sancisce la pari dignità, o l’equiordinazione, non solo tra enti locali e Regioni, ma tra enti locali, Re gioni e Stato, come istituzioni tutte costitutive della Repubblica. “Tra le innovazioni più rilevanti introdotte dalla legge costituzionale n. 3 del

2001 possiamo certamente annoverare il principio di sussidiarietà (articolo 118) e il principio di equiordinazione fra lo Stato e le altre istituzioni territoriali (articolo 114). Considerati congiuntamente, nel loro sinergico e combinato disposto , essi contribuiscono a ridefinire, in modo assai più netto e limpido, i caratteri “fondanti” della Repubblica italiana, come democrazia personalista e pluralista”, Bassanini F.(2007), La Repubblica della sussidiarietà Riflessioni sugli articoli 114 e 118 della Costituzione, in Astrid Rassegna n. 12

2 In particolare la prima elaborazione completa in tema di nozione è struttura di controlli interni risale al 1992, con la

pubblicazione del rapporto “Internal Control: Integrated Framework” da parte del Committee of Sponsoring Organizations

of the Treadway Commission (CoSO). Tale documento definisce il sistema di controllo interno come il processo formato da

un insieme di meccanismi, procedure e strumenti, adottati dalla direzione, per assicurare una ragionevole garanzia nel conseguimento degli obiettivi, i quali possono essere suddivisi nelle seguenti categorie:

- efficacia ed efficienza delle attività operative (Operations) - attendibilità del reporting finanziario (Reporting)

- rispetto del quadro normativo e regolamentare di riferimento (Compliance).

Il modello CoSO, sebbene nato e sviluppato con riferimento alle realtà azie ndali privatistiche, ha ispirato anche l’evoluzione dei controlli interni nel settore pubblico, rappresentando il benchmark principale per le linee guida elaborate sul tema dagl i

standard setter internazionali: l’International Organisation of Supreme Audit Institutions (INTOSAI) e la European

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rispetto al passato, del sistema dei controlli esterni sulla gestione finanziaria degli enti, affidato alla Corte dei conti3.