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La “crisi della razionalità”

Dalle spinte della globalizzazione e della teoria economica della “deregolamentazione”, nonché delle pressioni economico-finanziarie che cominciavano ad essere preponderanti nella seconda metà degli anni Settanta del Novecento, nasce l’idea di rifondare il ruolo dello Stato.

Avanzando la tesi che questo - modificato l’ambiente esterno sia con l’inserimento di organismi sovranazionali e imprese transnazionali che con la fondazione di mercati finanziari interconnessi – non ha più il potere di controllare da solo il funzionamento del mercato e di intervenire per aggiustare il suo equilibrio nel caso di fallimenti in maniera ottimale per far fronte ai bisogni della popolazione e darne benessere (in quanto è fallito lo Stato stesso in termini di equilibrio economico), si giunge a determinare la sua “crisi della razionalità”.

Paragonata ad una crisi d’identità, la “crisi della razionalità” si basa sull’assunto che in un modello economico liberal-capitalista, il tipo di crisi sia di sistema; essa si manifesta nella forma di insoluti problemi di controllo da parte dello Stato sia nei modi di assumere decisioni precise sia nelle loro legittimazioni.

Per quanto riguarda il controllo, non è più lo Stato a regolare il fragile equilibrio fra domanda e offerta, ma – avendo ceduto la propria posizione di super partes al mercato tramite l’internazionalizzazione del debito sovrano – è il meccanismo del mercato e i vari attori che lo compongono ad influenzare sia la parte politica che la parte amministrativa.

Per quanto riguarda la razionalità e quindi la legittimità delle decisioni, «il sistema amministrativo non riesce a rendere compatibili e ad attuare gli imperativi di controllo che gli provengono dal sistema economico44» e di conseguenza non riesce a preservare

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F.GIACOMANTONIO, Nota su Habermas “La crisi della razionalità nel capitalismo maturo” (Bari, 1975) in “Dialettica e Filosofia”online, 2012

la “lealtà di massa” non più fondata sulla fiducia, ma che sfocia in due soluzioni: o sull’”apatica obbedienza” o sul continuo rinvio, da parte dell’organismo centrale, delle responsabilità a “poteri invisibili e occulti” qualora l’ambiente interno si mobilita45.

Se quindi, rilevando questi elementi, lo Stato prende atto della sua crisi interna non temporanea e derivata da fattori di tipo esogeno, come cambia la sua azione?

Si verificano due metodologie, una di carattere esterno e una di carattere interno.

1.4.1 Metodologia esterna

Il primo carattere può essere innanzitutto ricondotto ad una trasposizione dal paradigma di government, il cui termine dichiara un sistema di relazioni chiuso al cui vertice risulta essere presente come unico attore lo Stato accentratore che mantiene una gestione decisionale di tipo burocratico e gerarchico, alla governance con un sistema di relazioni aperte all’ambiente esterno al cui vertice non risulta esserci solo lo Stato, bensì altri attori/operatori economici (detti anche stakeholders o portatori d’interesse) che presidiano una posizione sovraordinata o sullo stesso livello, e che limitano l’azione dello Stato in quanto il processo decisionale non è più in toto affidato ad esso, ma diviene un procedimento basato su negoziazioni e compromessi tra i molteplici interessi dei vari portatori.

Un’altra caratteristica da sottolineare oltre al passaggio visto poc’anzi, è la modifica del modello di attuazione delle politiche pubbliche, basato dapprima sul meccanismo top- down, il quale seguiva un processo lineare dall’attuatore ai beneficiari, che si trasla in un meccanismo bottom-up, il quale sottende ad una logica inversa. Attraverso la pianificazione dal basso, aiutato nell’azione da tutti gli altri attori del sistema, lo Stato cerca così di intercettare i bisogni della collettività.

Inoltre ciò che determina un cambiamento verso l’esterno nell’azione della pubblica amministrazione, è anche l’introduzione del concetto di “valore pubblico”.

Considerando un ambiente aperto, il “valore pubblico” - a differenza della concezione aziendale del valore che per un’impresa è riconducibile alla capacità di creare un prodotto in misura al soddisfacimento della clientela – per la Pubblica Amministrazione risulta essere più complicato da raggiungere in quanto risponde sia alle logiche

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V.SORRENTINO,“Il potere invisibile. il segreto e la menzogna nella politica contemporanea”, Dedalo, Bari, 2011

economiche (quindi al mercato) sia alle logiche politiche che ai valori della società (riprendendo il concetto di “piramide del welfare”). Quindi è possibile affermare come il valore pubblico sia «il miglioramento del livello di benessere sociale di una comunità amministrata, perseguito da un ente capace di svilupparsi economicamente anche facendo leva sulla riscoperta del suo vero patrimonio, ovvero i valori intangibili quali, ad esempio, la capacità organizzativa, le competenze delle sue risorse umane, la rete di relazioni interne ed esterne, la capacità di leggere il proprio territorio e di dare risposte adeguate e la tensione continua verso l’innovazione46.»

Evidenziando tale definizione giungiamo a comprendere anche quale ruolo assegna la Pubblica Amministrazione al cittadino; in questo caso una “comunità amministrata”. L’ordinamento giuridico nel determinare il concetto di “cittadinanza” fa emergere due caratteri: la soggezione e la partecipazione. Il primo, inteso attraverso il rapporto tra Stato e cittadino, racchiude la sfera di sottomissione alle decisioni e rende il cittadino un beneficiario passivo delle prestazioni, mentre la partecipazione attiene al suo essere titolare di diritti e doveri.

Avendo superato sia la concezione di cittadino come suddito sia l’idea dell’intervento pubblico in suo favore - attraverso azioni riconducibili al paternalismo sia all’autoreferenzialità dettati dal modello burocratico . e avendo superato la presenza costante dello “Stato del benessere” in quanto esso è entrato nelle logiche del mercato, la concezione del cittadino che si forma all’interno del modello del New Public Management è quella di cittadino-cliente, in quanto lo Stato ricerca l’«ottimizzazione delle funzioni di tutela» e la «soddisfazione di bisogni collettivi», e sebbene si muova su un terreno completamente diverso dal settore privato, «l’esigenza che giustifica e rende necessario lo sviluppo di indagini di customer satisfation è quella di ascoltare e comprendere a fondo i bisogni che il cittadino-cliente esprime47.»

Ecco che quindi la customer satisfation48 assume un significato che si affianca al secondo carattere della cittadinanza ossia la partecipazione attiva, ed è per questo motivo il legislatore italiano ha fondato l’istituto degli URP (Ufficio di Relazioni al

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E. DEIDDA GAGLIARDO, “La creazione di Valore pubblico come nuovo paradigma per valutare le performance delle PA”, su https://www.forumpa.it/riforma-pa/la-creazione-di-

valore-pubblico-come-nuovo-paradigma-per-valutare-le-performance-delle-

pa/#:~:text=In%20sintesi%2C%20il%20Valore%20Pubblico,la%20capacit%C3%A0%20orga nizzativa%2C%20le%20competenze

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A. TANESE, G. NEGRO, A. GRAMIGNA, “La customer satisfaction nelle amministrazioni pubbliche. Valutare la qualità percepita dai cittadini”, Rubbettino, Roma, 2003

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Pubblico) a livello territoriale in modo da poter costruire attorno agli eventuali rilievi positivi o negativi le successive policies.

1.4.2 Metodologia interna

Alla luce di quanto affermato e se invece si assume la metodologia del carattere interno, nell’organizzazione pubblica – con la convinzione di contenere i costi, ridurre la spesa pubblica (nel nostro Paese aumentata durante gli anni Ottanta) e monitorare le prestazioni - si cominciano ad introdurre elementi che sono tipici della cultura aziendale come parametri e valutazioni delle attività svolte sotto il profilo della qualità e dell’efficienza con il controllo del processo sia dal punto di vista degli input (le risorse o le somme stanziate), sia degli output (il rendimento) che dei risultati ottenuti o servizi erogati in funzione degli obiettivi (outcome); si configura una struttura di tipo divisionale per cui ogni unità operativa è flessibile, assoggettata al controllo e alla gestione e deve rendere conto delle attività al dirigente/manager.

Con questo dunque si afferma la “cultura manageriale” o management. Tendenzialmente il termine indica «l’insieme di azioni da porre in essere affinché un’organizzazione possa perseguire gli obiettivi prefissati nella pianificazione e compiere scelte riguardanti le relazioni tra i suoi elementi costitutivi», ma essendo l’obiettivo principale di un’organizzazione pubblica il perseguimento di interessi pubblici, non può essere in ogni aspetto aziendalizzata, ma può solo influenzare, indirizzare e modificare i comportamenti dei dipendenti pubblici attraverso la loro regolamentazione, il controllo per obiettivi (relativamente alla performance) e la standardizzazione di competenze e valori con i quali si definisco i caratteri del personale assunto o da assumere49

L’evoluzione, quindi, è connessa anche alla graduale acquisizione degli strumenti della programmazione e pianificazione aziendale che assumono rilevanza in quanto la prima identifica gli obiettivi da realizzare, mentre la seconda traduce in informazioni quanto è stato definito nei documenti programmatici come guida per la realizzazione della performance e come insieme di atti strategici.

Sebbene nella Pubblica Amministrazione sia complesso corrispondere le entrate alle uscite, in quanto l’equilibrio economico tra queste voci di spesa non permette di

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Elaborato su dispense prof. Adolfo Brega (Università degli Studi di Teramo), “Superamento della burocrazia e New Public Management” e “1.7 I modelli di management come risposta alla crisi della macchina amministrativa”

giungere all’utile o alle perdite d’esercizio come nel sistema aziendale, essa deve comunque assicurare che la gestione delle risorse economiche segua il cosiddetto “modello delle tre E”: efficienza, efficacia ed economicità, quali componenti concreti che discendono dall’art. 97 della Costituzione.

Se in termini aziendali l’efficienza è la capacità di rispondenza fra le risorse e i prodotti finiti, all’interno della Pubblica Amministrazione può essere di due tipi: “esterna” - se «riguarda la capacità dell’ente di valutare le richieste provenienti dalla comunità e dal territorio» - ed “interna” se «riguarda l’utilizzo delle risorse al fine di ottenere i migliori rendimenti ed un’elevata produttività.»

Il termine efficacia invece «si deve poter riferire al raggiungimento dello scopo o del fine e considera la capacità di un processo di produrre un risultato qualitativamente adeguato sia in termini di grado di raggiungimento degli obiettivi, sia di livello di soddisfazione dei cittadini e dei portatori d’interesse, sia di capacità del servizio di rispondere, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, alla domanda dei medesimi.» L’ultimo concetto riguarda l’economicità espressa come «capacità di garantire l’equilibrio tra costi e proventi della gestione, inteso quindi quale equilibrio durevole a valere nel tempo secondo i principi aziendali50.»

Riconoscendo alla Pubblica Amministrazione di conseguenza un carattere professionale, si introducono successivamente in maniera graduale a partire dall’inizio degli anni Novanta – precisamente con la Legge n. 142/1990 a titolo “Ordinamento delle autonomie locali” – una serie di principi che determinano sia la valorizzazione dell’autonomia degli Enti Locali sia la separazione tra responsabilità politiche (in capo agli organi eletti) e gestionali (in capo ai dirigenti), che sfoceranno nel decentramento funzionale ed amministrativo, radicando sempre più le logiche concorrenziali sottintese all’idea che agli organi di livello inferiore possono essere conferite competenze di organi di livello superiore. Dalle riforme volte alla razionalizzazione della Pubblica Amministrazione prende forma anche la “responsabilizzazione” sia del personale pubblico sia dei dirigenti amministrativi che assumono da questo momento un ruolo simile al manager di un’azienda privata.

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Definizione dei termini di efficacia, efficienza ed economicità sono ripresi da “I principi contabili per gli enti locali” (2004) del Ministero dell’Interno, Osservatorio per la Finanza e la Contabilità degli Enti Locali [punto 8]