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I rischi digitali del lavoro

La digitalizzazione ed il Cloudify NoiPA

4.2 Il divario digitale: come arginarlo?

4.2.3 I rischi digitali del lavoro

La ricostruzione dei principali rischi che stanno emergendo non si arresta al solo tessuto epidermico della società, ma la digitalizzazione - secondo un’analisi condotta da Manfred Weiss154 (2018) – non avrà difficoltà a penetrare nei già porosi scenari dell’impianto giuslavoristico.

Le sfide che dovranno essere condotte ed affrontate riguardano non solo i processi lavorativi - come ad esempio il cambiamento nella presenza fisica del lavoratore nel posto di lavoro - ma anche la stessa azienda che assume ad oggi il nome di “impresa 4.0” all’interno della quale si giungerà ad utilizzare (sia nell’ambito industriale che dei servizi) macchine intelligenti, o smart, con il ricorso a sistemi cyber-fisici che coinvolgeranno la produzione, la logistica e la gestione degli uffici con possibili conseguenze nella perdita dei posti di lavoro sostituiti dall’automazione.

In questi casi vi deve essere la consapevolezza che tale progresso apporterà negativamente la crescita di rischi psicosociali ai quali si dovrà rispondere con nuove forme di tutela di salute e sicurezza, e con politiche attive non solo in termini di riqualificazione professionale, ma di ascolto attivo del territorio per mappare e prevedere i fabbisogni professionali futuri in modo da costruire e sostenere nel tempo

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M.WEISS, “Digitalizzazione, smart working e politiche di conciliazione”, in Diritto delle Relazioni Industriali, n. 3/2018, Giuffrè ADAPT University Press

bacini locali di competenze professionali e capitale umano155, nonché lo sviluppo di analisi di competenze individuali.

Tutto questa elaborazione è indispensabile perché nella seconda fase della digitalizzazione, ossia l’”economia della conoscenza”, nascerà la necessità – per i lavoratori – di acquisire nuove competenze da adattare continuamente ai processi. I due canali principali della seconda fase sono infatti uno lo specchio dell’altro, in quanto se lo Stato riuscirà a puntare sulla centralità della persona nel percorso dell’apprendimento continuo (lifelong learning), per orientarsi a modelli diversi di organizzazione e migliori condizioni lavorative, questo permetterà alla conoscenza e al capitale umano di essere fattori chiave per assicurare la sostenibilità di aziende, occupazione e benessere.

Quindi concependo la conoscenza (knowledge managament) come una disruptive

innovation, ossia un’innovazione che crea un nuovo mercato e in maniera dirompente

rompe gli spazi già creati - sia perché non è più una risorsa scarsa, ma è infinitamente condivisibile, ha una carattere cumulativo perché produce esternalità positive ed è un bene non escludibile in quanto la sua diffusione rende più agevole la fruizione – è responsabilità dello Stato assicurare che il benessere nell’economia della conoscenza si sviluppi attraverso la “partecipazione cognitiva” dei lavoratori, ovvero «la volontà e la capacità di acquisire, condividere ed utilizzare la conoscenza (propria e dell’organizzazione) per migliorare i luoghi di lavoro, i prodotti e i processi produttivi ed organizzativi156

Il terzo scenario, individuato nell’analisi di Weiss, è lo sviluppo della platform

economy, l’economia delle piattaforme.

Come già scritto all’inizio del capitolo, la prima fase della digitalizzazione, nella quale ci troviamo ancora, ruota attorno alla creazione di tali spazi cyber-fisici e nel mondo del lavoro le piattaforme possono essere distinte in due categorie: le interne, a cui hanno accesso solo i lavoratori di una particolare azienda e fungono da supporto, e le esterne, aperte a qualunque persona abbia determinati requisiti.

Il problema non nasce tanto nelle prime, anche se si devono tener comunque in considerazione i dati personali che viaggiano all’interno, ma nelle piattaforme esterne che sono create sia per realizzare le prestazioni attraverso la rete (si veda ad esempio il

155 Secondo l’OCSE è «l’insieme delle conoscenze, abilità, competenze e attributi degli

individui che facilitano la creazione di benessere personale, sociale ed economico»

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L. TRONTI, “Economia della Conoscenza, innovazione organizzativa e partecipazione cognitiva: un nuovo modo di lavorare”, in Economia&Lavoro, n. 3/2015, pp. 7-20

ruolo della telemedicina157 durante la pandemia) sia per la ricerca di offerte di lavoro, nelle quali attraverso il costante monitoraggio dell’applicazione il lavoratore risponderà alla richiesta del consumatore eseguendo una prestazione lavorativa fisica (tipici esempi sono le app per le consegne a domicilio di generi alimentari o quelle di sharing).

Nasce proprio da quest’ultima tipologia la difficoltà di scindere se tali lavoratori debbano essere ricondotti alla fattispecie di lavoro autonomo o a quella di lavoro subordinato e di conseguenza - anche solo questo - comporta incertezza sia sulle tutele sia sul regime previdenziale da applicare. Sempre più spesso ci saranno lavoratori ibridi con caratteristiche tipiche sia dell’una sia dell’altra fattispecie.

In questo caso Weiss propone quattro soluzioni tra le quali: il ripensamento della nozione di subordinazione, cercando di ampliare l’ambito oggettivo di applicazione; la definizione di una categoria intermedia o solo per tali lavoratori (ipotesi aporistiche) e l’eventuale estensione delle tutele ai lavoratori autonomi. Secondo però le visioni illuministiche di Marco Biagi (1950-2002), il vantaggio nell’affrontare tale cambiamento avrebbe dovuto prevedere la costruzione di una dimensione sussidiaria sempre meno indotta dall’attore pubblico, in quanto lo Stato avrebbe dovuto porre solo le basi in maniera permissiva e non definitiva, lasciando alle parti sociali la possibilità di gestire il tutto comunque all’interno di quella cornice.

Partendo da queste previsioni, in Italia si è giunti così a ripensare alla nozione di adempimento dell’obbligazione lavorativa e a determinare che se la prestazione presenta i caratteri dell’autonomia si applica la legge 22 maggio 2017, n. 81, invece se la prestazione è continuativa e coordinata ci si riconduce all’art. 2, co. 1 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81158.

Quel che è certo adesso è che anche le piattaforme sfidano il diritto del lavoro e rappresentano un altro elemento di destrutturazione innovativa esogena che attenua, come visto, i confini fra lavoro autonomo e lavoro subordinato e relativizza i concetti di

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In questa fase è cambiato il paradigma anche nell’ambito della sanità, infatti la “digital

health” prevede la sempre più completa digitalizzazione dei processi sanitari, sia dei documenti

medici sia nella creazione di cartelle cliniche e di dossier elettronici sostenuto anche dal sistema delle ricette elettroniche. La telemedicina ha lo scopo di fornire consulenze mediche a distanza equamente a tutti i cittadini con forme di domiciliarità attraverso l’offerta di servizi che migliorano la fruibilità delle cure, dei servizi di diagnosi, oltre al costante monitoraggio di parametri vitali del paziente che soffre di malattie croniche.

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Cfr. Op. E.RAIMONDI, “Il lavoro nelle piattaforme digitali e il problema di qualificazione della fattispecie”, in Labour&Law Issue, vol. 5, n. 2/2019 e P. TULLINI, “Economia digitale e lavoro non standard”, in Labour&Law Issue, vol. 2, n. 2/2016

luogo e tempo di lavoro incidendo sul sinallagma funzionale della subordinazione. Ancora, esse comportano una intensificazione dei tempi e dei ritmi lavorativi perché possono provocare serie ripercussioni negative sulla salute e sicurezza in quanto le tecnologie comprimono la sfera privata ed extra-professionale anche nel rafforzamento dei controlli a distanza sull’attività del lavoratore.

Per altri aspetti le piattaforme cambiano anche l’impianto imprenditoriale: mentre le imprese tradizionali saranno sempre più indotte a modificare la struttura, gli stili di

management ed il knowhow aziendale, non è detto che le imprese cosiddette “digital native”, come le famose startup, riescano a mantenere il passo dell’innovazione. In

alcuni settori159 infatti si registrano già riduzioni nella loro vita media derivate – e accentuate durante la pandemia – da cali di investimento e di domanda.