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Benessere Organizzativo ed Individuale

3.4 I piani di welfare aziendale

Come affermato in conclusione del primo capitolo, le aziende stanno orientando il cambiamento sociale. Infatti nell’implementare politiche aziendali al loro interno seguono le logiche sottese alla responsabilità sociale d’impresa (RSI o CSR), secondo le quali l’azienda manifesta la volontà di intervenire per gestire efficacemente le problematiche di impatto etico e sociale.

Essere “socialmente responsabili” non significa solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche investire nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate. Da qui discende il benessere individuale dei lavoratori, il quale diventa una voce importante nella creazione di valori sociali ed etici che spingono al miglioramento anche dell’intera azienda e di conseguenza aumenta il benessere organizzativo.

Da questa premessa, i “piani di welfare aziendale” si caratterizzano come ulteriore soluzione alla crisi del welfare pubblico, ma non sostituiscono le azioni che provengono dallo Stato, anzi cercano di creare un forte legame fra le istituzioni di ogni natura, secondo i criteri offerti dalla sussidiarietà circolare.

Secondo la definizione, i piani di welfare aziendale sono complessi di azioni strutturate, progettate ed attivate da un’azienda - o in maniera unilaterale, da parte del datore di lavoro, oppure in esecuzione di accordi o contratti collettivi già in essere – per l’erogazione di beni e servizi allo scopo di soddisfare le esigenze, nonché favorire i dipendenti o i loro familiari nella conduzione della loro vita quotidiana129.

A differenza del semplice pacchetto di beni e servizi, dettati dalla famosa nozione di welfare aziendale, i piani di welfare si caratterizzano soprattutto per la loro vera e propria pianificazione strategica attraverso le diverse fasi del processo di implementazione.

Affinché un piano di welfare sia efficace, esso deve innanzitutto prevedere un’attenta analisi dei bisogni dei dipendenti che avviene attraverso la fase definita come “analisi della popolazione aziendale e i loro fabbisogni”. Tale primo step presuppone dunque una ricerca, sia qualitativa che quantitativa, delle esigenze dei lavoratori rapportate agli obiettivi che devono essere perseguiti dall’azienda, nella prospettiva che tale indagine possa essere utilizzata, come caposaldo, sia per la risoluzione di problematiche

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A.MAURO, “14. Piano di welfare” in “Welfare aziendale: dizionario breve a cura di ADAPT e AIWA”, 2014

all’interno dell’azienda, ma anche per gestire le risorse umane nel favorire la coesione sociale e responsabilizzare il personale, nonché incrementare la produttività.

La seconda fase, declinata con il nome di “progettazione”, ricopre un ruolo fondamentale in quanto l’azienda instaura un dialogo con i prestatori di lavoro per capire se le analisi svolte dall’azienda, nella prima fase, siano in linea con le loro preferenze e necessità; successivamente si vaglia se il piano di welfare risulta fattibile inserendo anche i flexible benefits, tenendo conto della normativa vigente in merito. Seguono poi le fasi di “implementazione”, per comprendere se le politiche hanno avuto successo o come rivisitarle, e il “monitoraggio”, allo scopo di rilevare la soddisfazione generale dei dipendenti.

Alla luce di tutto ciò, il piano di welfare diviene leva per attrarre, trattenere e motivare le risorse umane dell’azienda; infatti possono essere declinati diversi vantaggi: a) per l’impresa, in quanto aumenta il livello di fidelizzazione, engagement e retention dei dipendenti e mantiene il knowhow aziendale; b) migliora di conseguenza il clima aziendale con l’aumento della produttività e della motivazione dei collaboratori, mentre diminuiscono i tassi di assenteismo e turnover; c) per i dipendenti perché vengono supportati nell’affrontare i nuovi rischi sociali e psico-sociali e ottengono un notevole potere d’acquisto, inoltre ottimizzano la gestione del tempo (attraverso la work-life balance) e di conseguenza aumentano il benessere individuale e familiare. Per concludere, il piano di welfare – se collocato all’interno del processo di ricalibratura del welfare pubblico e più in particolare nel “secondo welfare” – favorirebbe anche il territorio in quanto l’azienda, creando esternalità positive, contribuirebbe al miglioramento di questo costruendo relazioni o progetti di cooperazione (network) fra organismi di diversa natura per generare servizi laddove lo Stato non è in grado di intervenire. Afferma sul punto Tiraboschi: «l’auspicio è che dietro ogni politica di welfare aziendale ci sia una forte tensione a costruire nuove reti di protezione per le persone che lavorano che è un’altra cosa da inseguire semplici vantaggi fiscali130

Nell’implementare i piani di welfare, l’azienda accetta di rispondere agli artt. 2 e 41 della Costituzione in quanto da una parte adempie, assieme allo Stato, i doveri di solidarietà sociale e dall’altra concorre, grazie a tale iniziativa economica libera, a non

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R.GRAUSO,“Welfare aziendale, gig economy ed il giuslavorista del futuro: i nuovi orizzonti del diritto del lavoro – Intervista al prof. Michele Tiraboschi”, intervista del 28 giugno 2018

recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana comprendendo di essere un partner sociale attento ai bisogni e alle problematiche dei giorni nostri.

I piani di welfare quindi divengono un’opportunità di conciliazione e sicurezza per i lavoratori in quanto possono creare: servizi “salva-tempo” come ad esempio asili nido, temporary shop, servizi di lavanderia, mensa aziendale o servizi di sharing, ossia attività per minimizzare gli spostamenti ed ottimizzare così il tempo; servizi per i figli dei dipendenti come babysitting, borse di studio, rimborso per i libri di testo, abbonamenti per il trasporto pubblico; servizi per aiutare i dipendenti nella prevenzione di patologie favorendo stili di vita sani ed evitandogli il sovraccarico di stress; polizze assicurative per la copertura di eventuali spese sanitarie. Nel periodo di astensione per maternità, alcune aziende hanno proposto alle lavoratrici di poter comunque rimanere aggiornate rispetto al lavoro sia tramite mail che report; invece per agevolare ed incoraggiare le donne al rientro nel posto di lavoro, dopo il periodo di maternità, altre aziende hanno proposto loro corsi di aggiornamento o momenti di “terapia” psicologica per aiutarle nella conciliazione vita-lavoro.

Di conseguenza si può comprendere come i piani di welfare non dovranno più essere osservati in termini di integrazione reddituale, ma come opportunità di sostegno alla conciliazione e alla sicurezza del lavoratore131.

3.5 L’impianto giuridico a favore del miglioramento del Benessere