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Le origini del Benessere Organizzativo

Benessere Organizzativo ed Individuale

3.1 Le origini del Benessere Organizzativo

Nei paragrafi precedenti si è avuto modo di comprendere come la società attuale sia in divenire e come per reagire ai nuovi rischi e ai nuovi bisogni si siano implementati strumenti affidati alle aziende o agli individui a favore della protezione sociale e quindi come si stia agendo per la generalità dei casi.

Si reputa però sia il caso di non sostenere solo tale impostazione, ma sia anche produttivo un approfondimento rispetto alle disposizioni di legge in materia di salute e sicurezza non solo nei posti di lavoro ma anche per il lavoratore stesso; il fatto cioè che i nuovi rischi e bisogni non siano presenti solo nel macro sistema societario ma essi siano il risultato di rischi e bisogni presenti nel micro e in particolare nell’individuo. Il concetto di “protezione”, sviluppato da sempre tramite i canali tracciati dapprima dal concetto di “sicurezza” e poi dalla “salute”, deve la sua nascita all’interno dei luoghi di lavoro. Anche se all’inizio del ventesimo secolo l’organizzazione lavorativa, dettata da logiche tayloriste o fordiste, era indirizzata al conseguimento dei migliori risultati e la visione del lavoratore era limitata alla sua concezione di attore passivo che si doveva adattare agli stimoli di tipo economico, quindi “sottomesso”, grazie ai primi interventi di Elton Mayo (tra il 1930 e il 1945) si osservarono i lavoratori da un’altra prospettiva ossia si diede maggiore attenzione ai fattori connessi agli infortuni e alle malattie sviluppando le prime interrogazioni sulla salvaguardia della loro integrità fisica.

Tra il 1950 e il 1960, dove le condizioni lavorative erano improntate alla rinascita industriale e sociale del dopoguerra, si cominciò ad osservare il dipendente come un soggetto attivo. Grazie al contributo offerto dallo psicologo Abraham Maslow - il quale propose la “teoria dei bisogni”, con la quale analizzava i bisogni da quelli fisiologici alla sicurezza fino all’autorealizzazione, ponendoli in una piramide - si comprese l’esigenza sia di far interagire l’individuo con l’ambiente di lavoro (comunque non in maniera dinamica) sia di inserire il concetto di salute non solo fisica, ma anche mentale, considerando fattori o conseguenze non direttamente causate dall’uso improprio degli strumenti utilizzati, ma anche tutte le cause relative o derivanti dall’insoddisfazione

oppure dalla mansione protratta nel tempo ed usurante.

Successivamente negli anni Settanta grazie alle azioni dei sindacati si traslò l’idea da modelli incentrati sulle cure del lavoratore alla prevenzione di infortuni e malattie studiando nel dettaglio sia la qualità della sicurezza che il contesto lavorativo, nel quale opera il lavoratore, sostenuti da sempre non solo da fattori endogeni, ma anche esogeni (come ad esempio quelli sociali) e quindi conferendo il pieno riconoscimento alla sicurezza della salute; tale teoria prese il nome di “health protection”.

In un’ottica comparativa in cui la protezione e il dare sicurezza sono compiti basilari in una società in termini di effettività e congruità fra l’attuazione delle politiche, le risorse stanziate e gli strumenti utilizzati, negli anni Ottanta si teorizzò la necessità di rinnovare il sistema muovendo dalla sola prevenzione contro gli infortuni - in una struttura lavorativa idonea - alla fondamentale collaborazione anche del lavoratore grazie alle azioni di prevenzione dei suoi comportamenti (“health promotion”). Ecco che dunque, in tale panorama, la salute ricopre non solo il significato di assenza di malattie o di infortuni, ma identifica uno stato di benessere fisico e psicologico nello sviluppo delle capacità personali in linea con i grandi cambiamenti nella coscienza dei bisogni, degli standard di vita sia degli individui che nelle organizzazioni.

Anche negli anni Novanta si assiste ad un cambiamento dal quale deriva il concetto di “benessere organizzativo”. Esso trova il suo principio nell’applicazione della psicologia nei contesti lavorativi con l’obiettivo di migliorare ulteriormente la vita lavorativa, la protezione, la sicurezza e la promozione della salute sostenuta soprattutto dallo psicologo P. W. Raymond che nel 1990 introdusse l’Occupational Health Psychology, psicologia della salute occupazionale, come conglomerato della psicologia della salute (health psychology) e della salute pubblica negli ambienti di lavoro (public health).

Dunque il benessere organizzativo accompagna nel tempo una nuova prospettiva nella tutela della salute nei luoghi di lavoro incentrando il raggio d’azione in tre direzioni: nell’ambiente di lavoro; nel lavoratore e nella sua famiglia - quest’ultima come portatrice di elementi positivi o negativi della condizione iniziale dell’individuo – per superare ulteriormente la dicotomia fra individuo ed organizzazione in un sistema più dinamico. Ci si concentra innanzitutto sull’ambiente lavorativo perché la tutela si muove dalla salute del singolo alla salute della comunità lavorativa considerata nel suo insieme come espressione del funzionamento propositivo dell’intera organizzazione; quindi poi si ritiene di dover applicare una logica che dalla safety - sicurezza oggettiva –

passi alla security - sicurezza soggettiva – non approfondendo le tutele per l’emersione del danno ma esplicitando una valutazione dei rischi a monte. Il secondo focus riguarda l’ulteriore convergenza sulla figura del lavoratore in quanto le dinamiche dell’ambiente lavorativo possono e devono garantire il benessere dei lavoratori che ne fanno parte e viceversa, ampliando così la conoscenza dei rischi anche a quelli psico-sociali dell’individuo attraverso la quale si forma così una dinamica di interazione più funzionale tra il contenuto del lavoro - nella sua gestione ambientale ed organizzativa – e le competenze ed esigenze dei dipendenti, che se non soddisfatte potenzialmente potrebbero arrecare danni fisici e psicologici non solo a lui, ma anche ai colleghi.