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La nascita dell’ordoliberalismo è strettamente connessa alla formulazione di una specifica diagnosi della crisi tedesca tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta. Quella ordoliberale non si configura come una semplice indagine sugli effetti prodotti dalla crisi economica sulla società tedesca ma come una ricognizione delle dinamiche strutturali alla base della crisi di Weimar, tanto sulla scia dello scenario aperto dalla crisi economica mondiale del 1929, quanto alla luce dell’esperienza politica maturata nel corso degli anni Venti. L’ordoliberalismo si confronta infatti con la combinazione, storicamente determinata, di una doppia crisi: da un lato la crisi dello Stato tedesco, che affondava le sue radici nella sconfitta militare, nel crollo del Secondo Reich e nella nascita della repubblica democratica; dall’altro la crisi economica mondiale, i cui effetti devastanti mettevano in discussione la possibilità dello stesso sviluppo capitalistico.

1. La fine del laissez-faire e il fallimento dello Stato interventista: Walter Eucken e Alexander Rüstow.

Nel 1932 Walter Eucken e Alexander Rüstow pubblicavano quelli che diventeranno i due dei più importanti manifesti teorici dell’ordoliberalismo: da un lato Staatliche

Strukturwandlungen und die Krisis des Kapitalismus, un denso saggio pubblicato da

Eucken sul «Weltwirtschaftliches Archiv»; dall’altro Interessenpolitik oder

Staatspolitik?, il testo della relazione che Rüstow tiene a Dresda al convegno

“Deutschland und die Weltkrise”, promosso dal Verein für Sozialpolitik . Nei 1

rispettivi contributi, gli autori si confrontavano con gli esisti derivanti dalla fine del ‘laissez-faire’ pre-bellico e con la crisi dell’interventismo economico promosso dai governi weimariani durante gli anni Venti. Pur trattandosi di contributi di natura differente, entrambi delineavano in maniera molto netta l’ottica specifica con cui l’ordoliberalismo metteva a fuoco la fisionomia della crisi tedesca e ne tratteggiavano una possibile soluzione. Per questo motivo il valore paradigmatico di questi due testi fondativi del pensiero ordoliberale è stato riconosciuto con forza anche dopo la

W. EUCKEN, Staatliche Strukturwandlungen und die Krisis des Kapitalismus, «Weltwirtschaftliches

1

Archiv», Bd. 36, 2, 1932, pp. 297-321 (tr. it. Trasformazioni strutturali dello Stato e crisi del capitalismo,

«Filosofia politica», 1, 2019, pp. 23-44); A. RÜSTOW, Interessenpolitik oder Staatspolitik, in Schriften des Verein für Sozialpolitik, Bd. 187, Duncker & Humblot, München/Leipzig 1932, pp. 62-69.

caduta del nazionalsocialismo . Gli autori prendevano le distanze dal liberalismo pre-2

bellico (laissez-faire), ponendo l’accento sull’impossibilità di restaurare l’ordine economico e politico che ad esso si ispirava, sostenendo l’idea che le difficoltà dell’economia tedesca tra gli anni Venti e Trenta siano imputabili in ultima istanza alla fisionomia istituzionale della repubblica democratica. L’attenzione di Eucken e Rüstow era volta a criticare la specifica declinazione del nesso Stato e società che si è realizzato entro la democrazia parlamentare di Weimar. Al centro del discorso condotto dai due intellettuali ordoliberali vi era la convinzione che la crisi dovesse essere interpretata a partire dal fallimento dello Stato tedesco nel definire e proteggere un ordine politico e sociale che sia conforme al mercato e renda possibile un ordinato sviluppo capitalistico. Le crisi tedesca non affondava le sue radici profonde in dinamiche economiche e finanziarie ma nel fallimento dello Stato nel tutelare il mercato come generatore del legame e dell’ordine sociale.

1.1 Nel marzo del 1929 Eucken aveva espresso al suo amico e collega Rüstow l’esigenza di una interpretazione sistematica delle singole questioni economiche emerse nel corso del dibattito politico weimariano. «Il mio intento scientifico - scriveva Eucken - è quello di giungere, attraverso l’analisi dei singoli fatti, a una teoria unitaria che sia vicina alla realtà e di applicare poi questa teoria a problemi concreti. Il tempo della impetuosa creazione di grandi sistemi è ormai finito. Il compito di oggi è quello di raggiungere risultati sicuri. Si tratta di un compito che è impossibile perseguire attraverso rapide costruzioni teoriche ma solo attraverso analisi meticolose dei singoli fatti» .3 La crisi economica mondiale che investe la Germania all’inizio degli anni Trenta rappresenterà di lì a poco per Eucken la sfida teorica e politica con cui misurarsi. In Staatliche Strukturwandlungen und die Krisis

des Kapitalismus, Eucken si cimentava con tale compito e leggeva la crisi in

relazione alla storia costituzionale tedesca e all’evoluzione del rapporto tra Stato e società che in essa si riscontra. Le grandi questioni sollevate dalla crisi del 1929 per l’economista di Friburgo andavano al di là di una dimensione puramente economica: la crisi del capitalismo e le sue origini, la possibilità di un nuovo ciclo di sviluppo capitalistico, la sfida rappresentata dall’economia di piano sovietica richiedevano di essere collocati nel quadro della storia universale (Universalgeschichte). Non erano solo le dinamiche economiche congiunturali ad attirare infatti l’attenzione di Eucken. Solo ponendole in relazione ai processi politici e sociali sarebbe stato possibile comprendere se le forze alla base dello sviluppo capitalistico fossero ancora in grado di sostenerlo dopo il 1929. La questione di fondo posta da Eucken nel suo saggio riguardava i fondamenti statuali e sociali (staatlich-gesellschaftlichen Grundlagen)

Cfr. R. PTAK, Vom Ordoliberalismus zur Sozialen Marktwirtschaft. Stationen des Neoliberalismus in

2

Deutschland, Springer, Wiesbaden 2004, p. 33.

Eucken a Rüstow, 27 marzo 1929, cit. in U. DATE, Walter Euckens Weg zum Liberalismus. 1928-1934, 3

del capitalismo, la cui esistenza era stata radicalmente messa in discussione . La tesi 4

sostenuta da Eucken nel 1932 era che la crisi, così come si era declinata in Germania, non fosse da imputare al venir meno dei fattori che sono alla base dello sviluppo economico in senso stretto (imprenditori e innovazioni tecnologiche), ma dipendeva dal mutamento della cornice socio-politica entro cui cui il capitalismo in passato si era affermato.

Per sostenere questa tesi, Eucken doveva dimostrare in primo luogo che il capitalismo tedesco non aveva perso la sua spinta propulsiva per motivi endogeni, ossia che la crisi tedesca non derivava né da una crisi dello spirito imprenditoriale né dal venir meno di innovazioni tecnico scientifiche. Ponendosi sulla scia di Schumpeter, Eucken individuava infatti nella figura dell’imprenditore (Unternehmer) il principale soggetto alla base dello sviluppo capitalistico, come colui che introduce combinazioni innovative dei fattori produttivi, sia sul versante organizzativo che su quello tecnico . Per rispondere alla domanda 5 «se oggi siano ancora presenti come in passato imprenditori che dispongono della volontà e delle capacità di porsi alla guida dello sviluppo (Füher der Entwicklung zu sein)» l’economista di Friburgo faceva riferimento alle condizioni specifiche dell’economia tedesca dei primi decenni del secolo. Se da un lato si era assistito a un marcato indebolimento dell’autentico spirito imprenditoriale presso la grande industria tedesca organizzata in cartelli e monopoli (poiché in essa si privilegiavano la ricerca della stabilità e della sicurezza, a scapito della libera concorrenza), da un altro le qualità imprenditoriali erano ancora presenti in quei settori industriali esposti alla concorrenza, privi di protezioni e orientati all’export (industrie metalmeccaniche, meccanica di precisione, tessili, alimentari) . 6 Eucken richiamava l’attenzione sulla concorrenza e le logiche di mercato e riscontrava in esse le condizioni indispensabili per l’emergere di figure imprenditoriali dotate di dinamismo, capacità di adattamento e di innovazione. Laddove erano presenti grandi concentrazioni industriali organizzate in cartelli e monopoli (siderurgia, miniere, chimica) oppure laddove la presenza di dazi offriva protezioni dalla concorrenza straniera, lo spirito imprenditoriale incontrava limiti strutturali alla sua diffusione e alla sua affermazione. Nonostante ciò, Eucken era convinto che il successo della maggior parte delle imprese tedesche dipendesse ancora dal dinamismo imprenditoriale, il quale aveva svolto un ruolo cruciale nel

Cfr. W. EUCKEN, Trasformazioni strutturali dello Stato e crisi del capitalismo, cit. pp. 23-24.

4

Cfr. J. SCHUMPETER, Teoria dello sviluppo economico (1911, 1934), Firenze, Sansoni 1971; ID.,

5

L’imprenditore e la storia dell’impresa. Scritti 1927-1949, Bollati Boringhieri, Torino 1993. Su Schumpeter cfr. N. DE VECCHI, Schumpeter viennese. Imprenditori, istituzioni e riproduzione del capitale, Torino, Bollati Boringhieri 1993; R. SWEDBERG, Joseph A. Schumpeter. Vita e opere, Bollati Boringhieri, Torino 1998; A. ZANINI, Joseph Schumpeter. Teoria dello sviluppo economico e capitalismo, Bruno Mondadori, Milano 2000; ID., Filosofia ed economia. Fondamenti economici e categorie politiche, Bollati Boringhieri 2005, pp. 204-270; T.K. McCRAW, Prophet of Innovation. Joseph Schumpeter and Creative Destruction, Havard University Press, Cambridge (Mass.) and London 2007; A. ZANINI, Principi e forme delle scienze sociali. Cinque studi su Schumpeter, Il Mulino, Bologna 2013; G. BERTA, L’enigma dell’imprenditore (e il destino dell’impresa), Il Mulino, Bologna 2018, pp. 51-72.

Cfr. W. EUCKEN, Trasformazioni strutturali dello Stato e crisi del capitalismo, cit., pp. 25-26. 6

sostenere lo sviluppo industriale della Germania ancora negli anni Venti . Per Eucken 7 non aveva dunque senso parlare di crisi dello spirito imprenditoriale in senso stretto. Il problema consiste semmai nei fattori che minacciavano la sua diffusione. Lo spirito imprenditoriale (e quindi il capitalismo) non poteva fare a meno del mercato e della concorrenza. La difesa del capitalismo richiedeva dunque la loro tutela.

Un discorso analogo viene svolto sul versante dello sviluppo tecnologico. Nell’economia tedesca, sottolineava Eucken, non si assisteva a un venir meno di innovazioni tecnologiche. Nonostante la fine dell’«età eroica dell’inventore» (la seconda metà dell’Ottocento), l’organizzazione sistematica della ricerca scientifica e tecnologica aveva prodotto nuovi risultati in quantità crescente. La maggior parte delle imprese tedesche si è poi dimostrata in grado di cogliere e sfruttare le opportunità offerte da queste innovazioni. All’economia tedesca, identificata da 8 Eucken con il capitalismo tout court, non mancavano dunque nemmeno le energie e il dinamismo necessari a sostenere la sua crescita. La burocratizzazione e la feudalizzazione della figura imprenditoriale (fenomeni connessi alla nascita di monopoli e cartelli industriali), anche accompagnate da una ipotetica riduzione delle innovazioni, non avrebbero condotto in ogni modo alla fine del capitalismo in quanto tale, ma avrebbero segnato il passaggio da una sua forma dinamica a una forma stazionaria . 9

Questa rapida ricognizione dello stato dell’economia tedesca risultava funzionale a Eucken per sostenere la tesi che si trova al centro del saggio, secondo cui le cause all’origine della crisi del capitalismo (identificato direttamente con il sistema industriale tedesco, sic.!) erano da ricercarsi nei mutamenti del quadro politico e sociale avvenuti in Germania.

Cfr. ibidem. Sul ciclo espansivo della seconda metà degli anni Venti cfr. C.S. MAIER, La rifondazione 7

dell’Europa borghese, cit., pp. 383-664; H.A. WINKLER, La Repubblica di Weimar 1918-1933. Storia della prima democrazia tedesca, cit., pp. […]; A. TOOZE, The Deluge, cit., pp. 353-510.

Cfr. W. EUCKEN, Trasformazioni strutturali dello Stato e crisi del capitalismo, cit., pp. 24-26. Riferendosi 8

esclusivamente al contesto tedesco, Eucken dava per scontata la presenza continua dell’innovazione tecnologica al centro dello sviluppo capitalistico e non si interrogava sull’esigenza di sostenerla e promuoverla adeguatamente laddove, per varie ragioni, essa venisse meno o fosse assente. Lo stato avanzato della tecnologia tedesca era stato reso possibile dalla politica specifica di sostegno alla scienze applicate promossa dal Secondo Reich a partire dalla seconda metà dell’Ottocento (cfr. SCHIERA, Il laboratorio borghese. Scienza e politica nella Germania dell’Ottocento, Il Mulino, Bologna 1987). Eucken evitava dunque di porre in maniera esplicita il problema della competizione tecnologica e del ruolo decisivo dello Stato nel sostenere la ricerca scientifica e indirizzare l’innovazione tecnologica. In generale, Eucken si limitava a toccare, senza approfondirlo, il tema centrale del rapporto tecnica-politica come invece avevano fatto, con prospettive diverse, Walther Rathenau e Ernst Jünger. Cfr. E. JÜNGER, La mobilitazione totale (1931), in ID., Foglie e pietre, Adelphi, Milano 1997; ID., L’operaio. Dominio e forma (1932), Guanda, Parma 1991; W. RATHENAU, Zur Kritik der Zeit, Fischer, Berlin 1912; ID., L’economia nuova (1918), Einaudi, Torino 1976; ID., Lo Stato nuovo e altri saggi, Napoli, Liguori 1980.

Cfr. W. EUCKEN, Trasformazioni strutturali dello Stato e crisi del capitalismo, cit., pp. 24-26. Quello 9

della burocratizzazione rappresenta un tema centrale nel dibattito tedesco sulla politica e la società nei primi decenni del Novecento. Il processo di burocratizzazione aveva conosciuto uno straordinario approfondimento in tutti gli stati e nelle economie capitalistiche del mondo. Imprescindibile al riguardo è la riflessione di Max Weber. Sul potere burocratico cfr. M. WEBER, Economia e società, Edizioni di comunità, Roma, 1980, vol. 1, pp. 212-220, vol. 4., pp. 58-101; sul rapporto critico tra politica e apparati burocratici in Germania cfr. ID., Parlamento e governo. E altri scritti politici, Einaudi, Torino 1982.

«È venuta meno l’antica organizzazione statuale e sociale dei popoli, all’interno della quale si era dispiegato il capitalismo - scrive Eucken - e al suo posto è subentrata una nuova e diversa organizzazione che intralcia pesantemente il funzionamento del meccanismo capitalistico e che frena o rende impossibile il suo sviluppo. Soltanto il riconoscimento di questi mutamenti storico-politici permette di comprendere correttamente l’attuale condizione del capitalismo» . 10

Sgombrato il campo dalle ipotesi favorevoli a un esaurimento ‘endogeno’ della dinamica capitalistica, Eucken poteva dedicare i suoi sforzi a ricostruire la storia costituzionale tedesca, con particolare attenzione a fare emergere le diverse declinazioni del rapporto tra Stato e capitalismo. Storia costituzionale che culminava con la figura dello ‘Stato totale per debolezza’ delineata da Carl Schmitt nel Custode

della costituzione (1931) . Tale figura riassumeva per Eucken il fallimento dello 11 Stato tedesco tanto nel tutelare le condizioni dello sviluppo capitalistico quanto nel governare le dinamiche connesse alla modernizzazione della società tedesca. Questa parabola storica viene ricostruita in maniera schematica attraverso tre tappe principali, ciascuna della quali corrisponde a tre diverse figure e modalità di articolare il rapporto tra Stato e società: lo Stato assolutista di Ancien Régime, lo Stato liberale dell’Ottocento e lo ‘Stato economico’ (Wirtschaftsstaat) del Novecento.

Nella prima età moderna, con la nascita e lo sviluppo dell’assolutismo il rapporto di Stato e società si era declinato all’insegna della distinzione reciproca. Nel quadro delineato da Eucken, in cui spicca la lezione dell’opera di Friedrich Meinecke, lo Stato rappresentava una sfera autonoma: conduceva una vita propria al fianco del popolo e della nazione e la sua sovranità venne riconosciuta dalla nobiltà e della borghesia solo dopo numerose lotte, senza per altro che si riuscisse a superare l’organizzazione della società per ceti . Gli interventi nella vita economica della 12 società facevano parte di una politica economica di carattere generale voluta dai principi per sostenere e stimolare il progresso economico. Era l’interesse generale dello Stato a orientare le decisioni alla base delle politiche mercantilistiche condotte dallo Stato di Ancien Régime. Eucken intendeva sottolineare che quello moderno era uno Stato che non voleva e non era in grado di regolare e dirigere la società nella sua interezza. L’assolutismo non avrebbe avuto l’ambizione di interferire con il corso dell’economia e le stesse misure mercantilistiche messe in campo tra XVII e XVIII secolo non giunsero mai al punto di mettere in discussione la distinzione tra la sfera statale e la sfera sociale. Quello di Eucken era dunque un giudizio positivo sulla tradizione cameralistica (da Kammer, l’organo deputato alla cura del patrimonio del principe e della finanza pubblica) e sullo Stato di polizia tedesco. Nella cameralistica convergevano infatti elementi di scienza dell’amministrazione e di scienza delle finanze che tra il XVII e XVIII secolo avevano sostenuto in Germania la pretesta

Cfr. W. EUCKEN, Trasformazioni strutturali dello Stato e crisi del capitalismo, cit., p. 301. 10

Cfr. C. SCHMITT, Il custode della costituzione (1931), Giuffrè, Milano 1981. 11

Cfr. W. EUCKEN, Trasformazioni strutturali dello Stato e crisi del capitalismo, cit., p. 27. Il riferimento a 12

Meinecke concerne il quinto capitolo di F. MEINECKE, L’idea della ragion di stato nella storia moderna (1929), Firenze, Sansoni 1970.

teorica e pratica di una scienza unitaria dello Stato . Quello che Eucken e più in 13 generale gli economisti ordoliberali apprezzavano del cameralismo era la concezione della politica non come ambito determinato dalla libertà individuale ma come tecnica di governo volta ad armonizzare e amministrare un bene già presente nella società e nelle sue dinamiche. In quest’ottica il rapporto con la libertà non si esprimeva nell’autodeterminazione politica dei soggetti ma nella dimensione giuridica dello Stato come tutore dall’alto dell’equilibrio sociale.

Il superamento della distinzione tra Stato e società risulta cruciale per comprendere l’evoluzione successiva dello Stato moderno. Eucken metteva l’accento sul carattere ambivalente dei processi di democratizzazione messi in moto dalla Rivoluzione francese. Da un lato, le idee democratiche avevano come obiettivo l’integrazione dei cittadini nella vita dello Stato, mediante il diritto di voto, la leva militare e l’abolizione dell’organizzazione della società per ceti; dall’altro lato, la diffusione del liberalismo produsse un ampliamento della sfera di libertà a disposizione degli individui, lasciando così la direzione dell’economia (Wirtschaftsführung) nelle mani delle forze imprenditoriali al di fuori dello Stato . 14 Se nel modello di Stato liberale emerso dalla Rivoluzione francese, Stato e società mantenevano ancora una netta distinzione reciproca, nel corso del XIX secolo si assiste invece a una marcata espansione tanto dello Stato quanto dell’economia capitalistica che condusse gradualmente alla politicizzazione dell’economia e alla nascita di quello che Eucken definiva lo ‘Stato economico’ (Wirtschaftsstaat). Questo processo di crescita simbiotica di Stato ed economia capitalistica rappresentava per l’economista di Friburgo la chiave per individuare le radici profonde della crisi tedesca. In Germania fu infatti lo Stato, di sua iniziativa, a superare quella distanza che in passato lo separava dalla società, inaugurando così una nuova fase storica che lo vedì impegnato a condurre una politica di intervento attivo nell’economia . 15

In questo quadro Bismarck rappresentava per Eucken la declinazione più virtuosa e storicamente determinata di questo processo. La politica economica condotta dal ‘cancelliere di ferro’ fu sempre infatti orientata secondo il criterio della Ragion di Stato. La politica economica bismarckiana venne sempre concepita come parte di un disegno politico complessivo improntato all’interesse generale dello Stato e alla sua difesa («l’interventismo di Bismarck fu dunque un interventismo della ragion di Stato») . Nonostante il ruolo attivo giocato dalla politica nei confronti della 16 sfera economica, lo stato tedesco con Bismarck era ancora in grado di esprime un punto di vista generale su una società in rapida evoluzione, nei confronti della quale non può più distinguersi nettamente come nei secoli passati. La politica commerciale di matrice liberale negli anni Sessanta, la politica di protezione doganale degli anni Settanta per il consolidamento fiscale del neonato secondo Reich, la politica sociale

Cfr. P. SCHIERA, Dall’arte di governo alle scienze dello Stato. Il cameralismo e l’assolutismo tedesco,

13

Giuffrè, Milano 1968; ID., Cameralismo, in Enciclopedia delle scienze sociali, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, Roma 1991, ad. vocem.

Cfr. W. EUCKEN, Trasformazioni strutturali dello Stato e crisi del capitalismo, cit., pp. 27-28. 14

Cfr. ivi, p. 28. 15

Ibidem. 16

in funzione antisocialista rappresentano tutte misure pensate per il rafforzamento dello Stato e non in funzione di interessi particolari. Questo rappresenta il punto di forza e il merito principale che secondo Eucken occorre riconoscere alla politica bismarckiana . Quello formulato da Eucken era inoltre un giudizio positivo sulla 17 tradizione dell’organicismo tedesco e della Allgemeine Staatslehre. Dietro l’idea di Stato capace di esprimere un punto di vista generale sulla società vi era la pretesa avanzata sia dalla cameralistica sia dall’organicismo secondo cui le contraddizioni sociali erano componibili per via amministrativa e che a partire dal primato dello Stato fosse possibile realizzare un equilibrio di questo con la società. Nella seconda metà dell’Ottocento l’organicismo non si era declinato più come pensiero cetuale (ständisch) ma esprimeva l’esigenza di pensare in maniera non meccanica e contrattualistica la compatibilità politica della società nello Stato. Rapporto tra Stato e società che l’organicismo declinava secondo due modalità alternative: da un lato nel pensiero dello Stato come espressione organica del popolo e della politica come potenza (Macht) che esprime efficacemente verso l’esterno nei rapporti internazionali; dall’altro nel pensiero dello Stato di diritto (Rechtsstaat), della politica come diritto che tutela l’unità e l’ordinabilità giuridica della società . 18

Fu l’uscita di scena di Bismarck a determinare per Eucken l’inizio della crisi. Con Bismarck la Germania perse sia quella «idea politica centrale che dominava tutti i suoi ambiti - quindi anche la politica economica - sia la forza e la volontà dorettova» . Il rapporto tra Stato e società si ribaltava rispetto alla sua declinazione 19 bismarckiana: non più in grado di svolgere una funzione di guida e direzione generale, lo Stato tedesco subì negativamente l’influsso dell’economia e della società in rapida evoluzione. Il processo che Eucken descrive con occhio critico vedeva la