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Neoliberalismi a confronto: il Colloquio Walter Lippmann e la questione di un nuovo ordine per l’economia mondiale

1.1 Durante gli anni dell’esilio lontano dalla Germania, Wilhelm Röpke e Alexander Rüstow proseguirono il proprio impegno per la definizione di un nuovo paradigma capace di rinnovare la tradizione liberale e di valere come un’alternativa concreta nei confronti del socialismo, del comunismo e dei regimi di destra. È nel 1938, in occasione del Colloquio Walter Lippmann a Parigi, che il loro impegno ottenne un importante riconoscimento internazionale e ebbe l’occasione di mettersi alla prova confrontandosi con i principali economisti e intellettuali liberali dell’epoca. Röpke e Rüstow furono invitati a prendere parte ai lavori del convegno intitolato al giornalista americano Walter Lippmann. Come è stato messo in luce il convegno rappresenta una tappa fondamentale per comprendere la storia del neoliberalismo novecentesco che tuttavia merita di essere analizzata al di fuori di schemi teleologici. La diversità delle esperienze e delle posizioni ivi espresse merita di essere compresa all’interno del contesto degli anni Trenta e non alla luce vicende politiche degli anni Ottanta e Novanta del secolo . L’analisi del contributo che i due intellettuali tedeschi 1

hanno fornito durante i lavori del Colloquio permette non solo di apprezzare il percorso compiuto negli anni Trenta da quegli ordoliberali che non accettarono il regime nazista ma anche di confrontare alcuni tratti specifici dell’ordoliberalismo con quelli propri di altre correnti e scuole neoliberali che si ritrovarono a Parigi nel 1938. Attraverso tale confronto occorre decifrare in maniera adeguata le differenze e i punti di contatto che emersero durante il dibattito tra l’ordoliberalismo e le altre componenti del Colloquio, in particolare la scuola austriaca rappresentata da Ludwig

Cfr. J. REINHOUDT, S. AUDIER, The Walter Lippmann Colloquium. The Birth of Neo-Liberalism,

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Palgrave Macmillan, London 2018, pp. 3-4. Per l’elenco dei partecipanti al Colloquio cfr. ibidem, pp. 53-78. Sul Colloquio Walter Lippmann nella storia del neoliberalismo si vedano anche P. DARDOT, C. LAVAL, La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, Derive Approdi, Roma 2013, pp. […]; Q. SLOBODIAN, Globalists. The End of Empire and the Birth of Neoliberalism, Harvard University Press, Cambridge-London 2018, pp. 76-85. Su Walter Lippmann e l’ordoliberalismo cfr. A. SIMONCINI, Un neoliberale a Parigi. Walter Lippmann e gli ordoliberali, «Scienza&Politica», 57, 2017, pp. 53-68.

von Mises e Friedrich von Hayek, e gli esponenti liberali francesi come l’economista Jacques Rueff e il filosofo Luis Rougier . 2

Lungi dall’interrompersi, l’attività intellettuale di Röpke e Rüstow durante l’esilio si rivolse ad approfondire i temi e le istanze che erano emerse all’interno delle analisi svolte durante la crisi di Weimar. Istanze che, come nel caso della Scuola di Friburgo, entrambi gli intellettuali sentivano la necessità di sviluppare all’interno di un nuovo e rinnovato paradigma liberale. Al momento della partecipazione al Colloquio Röpke aveva lasciato da un anno la Turchia, dove aveva trovato rifugio insieme a Rüstow nel 1933. Nel 1937 Röpke aveva ottenuto un posto di docente al

Graduate Institute for International Studies di Ginevra dove erano presenti anche

Mises e William Rappard, cofondatore dell’istituto. Negli anni Trenta il Graduate

Institute di Ginevra si stava affermando come uno dei principali centri di

aggregazione degli intellettuali liberali in Europa: oltre a Mises e Röpke, Rappard invitò a tenere lezione a Ginevra anche anche Rougier, Robbins e Hayek Nel 1937 3

Röpke pubblicava due saggi in cui approfondiva in forma sistematica gli studi economici condotti tra gli anni Venti e Trenta sulle crisi e i cicli economici, Die Lehre

von der Wirtschaft e Die wirtschaftlichen Elemente des Friedensproblems . Oltre a 4

proseguire il suo confronto con Keynes e con la prima edizione della General Theory, Röpke poneva l’accento sull’esigenza di un rinnovamento del liberalismo che fosse in grado di rappresentare una risposta efficace tanto alle economie pianificate (Germania e Unione Sovietica in primis) quanto alla frammentazione nazionale del mercato mondiale dopo la Grande depressione . 5

Agli occhi della comunità accademica internazionale Röpke rappresentava uno dei principali intellettuali tedeschi critici del nazionalsocialismo e impegnati nella Jacques Rueff (1896-1978), economista liberal-conservatore e funzionario francese. Consigliere tra gli anni

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Venti e Trenta di Raimond Poicarré, Pierre-Etienne Flandin e Pierre Laval. Nel secondo dopoguerra fu giudice presso la Corte di giustizia europea (1952-1962), sostenitore del Trattato di Roma (1957) e a partire dal 1958 consigliere economico di Charles De Gaulle. La sua opera principale è L’Ordre sociale (1945) in J. RUEFF, Oeuvres Complètes, vol. IV, Plon, Paris 1979. Su Rueff si vedano G. MINART, Jacques Rueff. Un libéral français, Odile Jacob, 2016 (con prefazione di Wolfgang Schaüble); Cfr. J. REINHOUDT, S. AUDIER, The Walter Lippmann Colloquium, cit., pp. 74-76. - Louis Rougier (1889-1982), filosofo e professore universitario francese. Fu membro del Circolo di Vienna di cui introdusse la filosofia a Parigi negli anni Trenta. Di orientamento mercatamente conservatore e anticomunista, durante la Seconda guerra mondiale collaborò con il maresciallo Pétain. Oppositore della Quinta Repubblica e della decolonizzazione dell’Algeria, negli anni Sessanta radicalizzò le sue posizioni stringendo rapporti con la ‘nuova destra’ francese e con Alain De Benoist. Tali rapporti non compromisero tuttavia i suoi legami con gli intellettuali liberali francesi come Rueff. Cfr. J. REINHOUDT, S. AUDIER, The Walter Lippmann Colloquium, cit., pp. 73-74.

Lezioni confluite rispettivamente in: F.A. HAYEK, Monetary Nationalism and International Stability, cit.;

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L. ROUGIER, Les mystiques économiques: comment l’on passe des démocraties libérales aux états totalitaires, Libraire de Médicis, Paris 1938.

W. RÖPKE, Die Lehre von der Wirtschaft, Springer, Wien 1937; ID., Die wirtschaftlichen Elemente des

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Friedensproblems, Polygraphischer Verlag, Zürich 1937. Sul Graduate Institute di Ginevra si veda Q. SLOBODIAN, Globalists, cit., pp. 7-8, 183-185.

Sul rapporto di Röpke con Keynes si vedano: J. REINHOUDT, S. AUDIER, The Walter Lippmann

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Colloquium, cit., pp. 14-16; R. FÈVRE, Was Wilhelm Röpke Really a Proto-Keynesian?, in P. COMMUN, S. KOLEV (eds.), Wilhelm Röpke (1899-1966). A Liberal Political Economist and Conservative Social Philosopher, Springer 2018, pp. 109-120.

definizione di un nuovo paradigma liberale che fosse all’altezza dei problemi e delle sfide del presente. In quest’ottica deve leggersi nel 1938 l’invito di Röpke a discutere a Parigi The Good Society di Walter Lippmann (in occasione della sua traduzione francese) insieme ai principali intellettuali liberali europei. In merito alla partecipazione di Röpke e Rüstow al Colloquio, è nostro interesse concentrarsi su tre insiemi di questioni: il contributo specifico fornito dai due intellettuali ordoliberali in relazione ai temi principali del colloquio; i punti di contatto tra l’ordoliberalismo e gli esponenti francesi e le differenze con la scuola austriaca; lo sviluppo di una riflessione neoliberale nel corso degli anni Trenta sul problema del governo dell’economia mondiale.

Per mettere a fuoco il contributo specifico di Röpke e Rüstow ai lavori del Colloquio occorre soffermarsi brevemente sulla cornice e sui punti al centro del programma. Nella rispettive relazioni di apertura (26 agosto 1938), Louis Rougier e Walter Lippmann avevano messo in evidenza le principali questioni su cui sollecitare il dibattito tra i partecipanti. La crisi del presente costituiva il punto di partenza comune. Lungi dall’essere riconducibile unicamente a fattori economici, si trattava di una crisi politica, sociale e culturale segnata dall’ostilità delle masse e degli intellettuali verso il liberalismo (identificato indebitamente con la dottrina del laissez-

faire) e dall’affermazione del socialismo e del fascismo come due modelli alternativi

ad esso . Il liberalismo si trovava così, secondo quanto sostenevano Rougier e 6

Lippmann, privo di alcuna prese reale sulle masse e sugli intellettuali (di destra e di sinistra) e quindi incapace di rappresentare una concreta alternativa politica ai regimi fascisti e al socialismo, accomunati dalla pretesa della pianificazione, parziale o totale, dell’economia. La questione della qualità e della modalità dell’intervento statale nell’economia e nella società diventava dunque centrale in vista di una revisione creativa del paradigma liberale capace di affrontare i problemi politici e sociali del presente . La definizione di una 7 «Agenda del liberalismo» richiedeva per Rougier la risposta a due questioni preliminari: se la crisi del liberalismo rappresentasse il risultato inevitabile del suo stesso sviluppo (come pretendevano i marxisti) e se il liberalismo fosse in grado di fornire una risposta ai bisogni di quelle masse che, con la Prima guerra mondiale, hanno definitivamente fatto il loro ingresso sulla scena politica europea. L’idea condivisa da Lippmann e Rougier era che il liberalismo sarebbe potuto sopravvivere solo se fosse stato in grado di elaborare nuovi strumenti per la risoluzione di tali problemi e di ripensare, a tale scopo, il ruolo attivo dello Stato. È su questo punto che gli organizzatori del Colloquio intendevano mettere alla prova la responsabilità e la funzione intellettuale dei partecipanti.

Nel quadro così definito da Rougier e Lippmann, Röpke e Rüstow intervennero in tre sessioni dei lavori, affrontando i seguenti temi: la questione dei monopoli, il

Cfr. J. REINHOUDT, S. AUDIER, The Walter Lippmann Colloquium, cit., pp. 97-98.

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Cfr. ivi, pp. 96-102 (Rougier), 103-115 (Lippmann).

problema del nazionalismo economico, i fattori culturali e sociali della crisi . Come è 8

stato adeguamento messo in luce, il gruppo di intellettuali che si incontrò al Colloquio Walter Lippmann vedeva al suo interno un insieme differenziato di posizioni che era legato a sensibilità ed esperienze diverse . Sul tema dei monopoli 9

Röpke e Rüstow si confrontarono con le posizioni della scuola austriaca. Per Mises e Hayek la nascita delle grandi concentrazioni industriali non era da attribuirsi al libero gioco degli agenti economici (e quindi al laissez-faire) ma all’insieme delle politiche antiliberali, promosse dai governi con finalità politiche differenti . La posizione dei 10

due intellettuali tedeschi, insieme a quella della maggioranza dei colleghi francesi, era critica nei confronti del liberalismo ottocentesco. Röpke e Rüstow distinguevano infatti una tendenza alla concentrazione che era immanente al processo economico e che era dovuta a esigenze organizzative e allo sviluppo tecnologico (e come tale risulta inevitabile), da una tendenza extra economica, neo-feudale e orientata alla rendita che doveva essere combattuta.

«Non è la competizione a uccidere la competizione - afferma Rüstow - ma è la debolezza morale e intellettuale dello Stato che, ignorando per primo il suo ruolo di poliziotto del mercato e trascurando i suoi doveri in tal senso, permette alla competizione di degenerare e lascia che i suoi diritti siano abusati da predoni che danno il contributo definitivo a questa competizione degenerata» .11

Nell’ottica ordoliberale, già definita durante gli anni della crisi di Weimar e riaffermata da Rüstow durante il Colloquio, solo uno ‘Stato forte’ poteva garantire la concorrenza e il corretto funzionamento del sistema dei prezzi, vigilando il mercato e contrapponendosi agli interessi economici particolari.

Anche in relazione alla questione del nazionalismo economico Röpke riprendeva e sviluppava in maniera originale le critiche elaborate all’inizio degli anni Trenta. L’unità di analisi per Röpke era più da svolgersi in relazione ai singoli contesti nazionali ma era autenticamente globale (il capitalismo come sistema economico e mercato mondiale realizzatosi nel corso del XIX secolo). In quest’ottica il futuro del capitalismo e del liberalismo poteva essere assicurato solo nel quadro dell’integrazione delle economie nazionali su scala internazionale e nel suo governo. Röpke sollevava dunque il problema del contesto internazionale in cui era possibile la sopravvivenza del liberalismo come forza politica e lo sviluppo del capitalismo. L’intellettuale tedesco partiva dalla constatazione che il «clima» in cui il liberalismo ottocentesco si era sviluppato fino a a cambiare «la faccia del mondo» era venuto

Röpke e Rüstow intervengono entrambi alla sessione mattutina del 20 agosto (“L’agenda del liberalismo”);

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alla sessione mattutina del 27 agosto (“Il declino del liberalismo è imputabile a cause endogene?”) e alla sessione mattutina del 28 agosto (“Liberalismo e nazionalismo economico”); la sessione mattutina e pomeridiana del 29 agosto (“Cause psicologiche, sociali, politiche e ideologiche del declino del liberalismo”) vede un lungo intervento di Rüstow. Cfr. J. REINHOUDT, S. AUDIER, The Walter Lippmann Colloquium, cit., pp. 119-124, 139-147, 157-163.

Cfr. J. REINHOUDT, S. AUDIER, The Walter Lippmann Colloquium, cit., pp. 6-15.

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Cfr. ivi, pp. 120-21.

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Ivi, p. 124.

meno nel corso del Novecento. L’attenzione di Röpke era rivolta ai fattori extra- economici che avevano accompagnato il successo planetario della politica economica liberale. Il rallentamento del dinamismo proprio del capitalismo rappresentava un problema che non poteva essere affrontato al di fuori del nuovo contesto geopolitico e demografico caratteristico del Novecento, profondamente mutato rispetto a quello del secolo precedente. La conquista coloniale dei territori extra-europei da parte della

«razza bianca» si era conclusa («una nazione è costretta a strappare le sue colonie ad altre nazioni»), osservava Röpke, mentre il tasso di natalità delle nazioni di «razza bianca» era quasi stazionario, diversamente dalla crescita che si era verificata nel corso dell’Ottocento . Muovendo dalla considerazione che non esiste alcun motivo a 12 priori per ritenere che il capitalismo non potesse sostenere i bisogni crescenti di una popolazione mondiale crescente, Röpke sollevava la questione della possibilità di un «sistema ben ordinato» su scala mondiale. Se il nazionalismo economico rappresentava un ostacolo concreto alla costruzione di tale sistema ordinato dell’economia capitalistica su scala globale, le ragioni della crisi del sistema ottocentesco incentrato sulla Gran Bretagna e sul Gold Standard dovevano essere ancora indagate nella loro complessità. Il nazionalismo economico, sosteneva Röpke, era un fenomeno complesso che affondava le sue radici nei cambiamenti fondamentali che interessano l’intera struttura economica e sociale. La sua soluzione non poteva dunque poggiare unicamente sulla buona volontà di governanti, così come le sue cause non potevano semplicemente essere attribuite a una supposta cattiva volontà degli attori.

Alle cause culturali e sociali della crisi del liberalismo veniva dedicato un lungo intervento di Rüstow durante la sessione del 29 agosto. Come spiegare la generale perdita di consenso per il liberalismo che si è verificata dopo la Prima guerra mondiale? Se i vantaggi propri del sistema dell’economia di mercato erano indiscutibili a uno sguardo razionale, secondo l’intellettuale tedesco non era all’interno di un quadro puramente economico che si poteva comprendere il venir meno del consenso politico per il liberalismo. Quello economico rappresentava un punto di vista insufficiente, a suo avviso, per comprendere i bisogni culturali e sociali che definiscono una «condizione di vita soddisfacente» e la cui soddisfazione è alla base della concreta integrazione degli individui all’interno della società. «Con ciò si dimentica che l’uomo non vive di solo pane - affermava Rüstow - che esso è guidato dalla preoccupazione di ottenere e mantenere una condizione sociale che non è semplicemente proporzionale al suo livello di reddito e inversamente proporzionale alle ore di lavoro» . La crisi presente era essenzialmente una crisi dei legami sociali, 13 una «crisi vitale» che vedeva compromessa l’integrazione degli individui all’interno del corpo sociale . Il liberalismo era diventato parte integrante di questa crisi dal 14 momento che rappresentava uno dei fattori storici alla base di un percorso di disintegrazione sociale e atomizzazione degli individui. In assenza di uno ‘Stato forte’

Cfr. ivi, pp. 138-139. 12 Ivi, p. 158. 13 Cfr. ivi, p. 163 14

capace di tutelarne il funzionamento corretto, il mercato «è diventato il regno dell’atomizzazione in cui è assente ogni forma di integrazione vitale» . 15

Rüstow non intendeva tuttavia mettere in discussione la teoria liberale dell’economia di mercato (che ritiene sostanzialmente corretta) ma il fraintendimento antropologico e sociale delle esigenze degli individui come animali sociali. Quello dell’homo oeconomicus, sui cui si basa il modello dell’economia di mercato, rappresentava a suo avviso un paradigma ampiamente insufficiente per comprendere l’insieme di motivazioni ed esigenze (anche irrazionali) che caratterizzano le relazioni sociali tra individui e tra gruppi . La critica mossa da Rüstow era molto 16 netta al riguardo: «il liberalismo ha ignorato e trascurato, sfortunatamente, il ruolo centrale dei bisogni vitali e irrazionali tra cui, nello specifico, quello dell’integrazione sociale dell’uomo» . Rüstow sottolinea a più riprese che nella lotta contro i regimi 17 totalitari di destra e di sinistra il liberalismo non potrà prevalere mediante argomenti razionali in favore della maggiore efficienza dell’economia di mercato. Non era sul campo puramente economico che il liberalismo avrebbe riconquistato il consenso perso nella lotta politica. I regimi totalitari, infatti, avevano saputo offrire una risposta (non soddisfacente ma pur sempre una risposta nota Rüstow) a quelle esigenze di integrazione sociale che erano emerse in maniera prepotente con la Prima guerra mondiale . Atomizzazione e massificazione tuttavia non costituiscono una processo 18 inevitabile. «Non si deve commettere l’errore - sottolineava Röpke - di accettare l’esistenza del proletariato nella società come un fatto naturale» . Su questo punto 19 decisivo Röpke e Rüstow ponevano l’accento. Era sulla capacità di produrre integrazione e legame sociale che si giocava il futuro politico del liberalismo. A tal fine era necessario un rinnovamento del paradigma liberale, capace tanto di comprendere criticamente i propri errori, e quanto di elaborare strumenti in grado di soddisfare quel «bisogno vitale di integrazione» che è presente nella società e la cui tutela rappresenta un requisito fondamentale per l’ordinamento dell’economia e della società.

Come è stato notato, all’interno del Colloquio è necessario riconoscere la presenza di un insieme differenziato di posizioni che, in una fase di ridefinizione e rielaborazione, sarebbe un errore ricondurre all’interno di un supposto paradigma ‘neoliberale’ omogeneo e monolitico . All’interno di questo insieme variegato di 20 posizioni è opportuno mettere in luce le principali differenze emerse tra l’ordoliberalismo e la scuola austriaca, così come i punti di contatto con alcuni dei principali esponenti liberali francesi. È in contrapposizione a Mises e Hayek che, nel corso dei dibattiti, vengono alla luce gli elementi caratteristici della posizione ordoliberale al Colloquio. Posizione che si distingue in maniera netta rispetto a quella

Ivi, p. 161. 15 Ibidem. 16 Ivi, p. 162. 17 Cfr. ivi, p. 169. 18 Ivi, p. 181. 19 Cfr. ivi, pp. 6-15. 20

della scuola austriaca in merito a una questione teorica di fondamentale importanza come quella della natura dell’ordine del mercato. Quest’ultimo per gli ordoliberali, così come per la maggior parte dei partecipanti al Colloquio, non costituiva il prodotto spontaneo e naturale dell’azione competitiva degli attori economici come invece sostengono Mises e Hayek. Quello del mercato, così come il corretto funzionamento del meccanismo dei prezzi, è un ordine che si produce soltanto all’interno di una determinata cornice istituzionale e legale, organizzata intenzionalmente dallo Stato. Tale cornice richiede di essere di essere tutelata, difesa e aggiornata in relazione all’evoluzione sociale e al progresso tecnologico al fine di garantire uno sviluppo ordinato ed equilibrato del processo economico al suo interno . 21

Alla due diverse concezioni dell’ordine corrispondono due modi di intendere il ruolo dello Stato. Su questo punto si verificava una fondamentale distanza della scuola austriaca non solo con l’ordoliberalismo ma anche con Lippmann e Rougier. Quest’ultimo muoveva infatti da una forte critica alla fiducia liberale e fisiocratica in un ordine naturale e spontaneo del mercato come «Codes de la nature» . Anche da 22 parte sua Lippmann poneva l’accento sul necessario ripensamento del ruolo fondamentale dello Stato e non sulla riduzione delle sue funzioni. Per l’ordoliberalismo l’ordine economico presenta una indispensabile componente artificiale che richiede la presenza e l’azione dello ‘Stato forte’. Le differenti valutazioni del liberalismo pre-bellico, del laissez-faire, della natura dei monopoli sono sostanzialmente riconducibili alle due concezioni dell’ordine che si confrontano al Colloquio. Se da un lato la critica al socialismo e alla pianificazione economica sviluppata da Mises nel corso degli anni Venti rappresentava un punto di riferimento indiscusso e condiviso da tutti i partecipanti, dall’altro questi ultimi non condividono il radicale scetticismo e l’ostilità austriaca verso tutte le forme di interventismo economico come forme di pianificazione o di distorsione della concorrenza e del meccanismo dei prezzi.

L’atteggiamento antistatale in ambito economico era tuttavia minoritario tra i partecipanti del Colloquio. Al contrario, l’esigenza sottolineata da Lippmann e Rougier introducendo i lavori consisteva invece nell’elaborazione una nuova concezione dell’intervento dello Stato che fosse compatibile con la concorrenza e fosse capace al tempo stesso di superare i limiti del laissez-faire. Röpke e Rüstow si trovavano al riguardo perfettamente in linea non solo con i punti programmatici espressi da Lippmann e Rougier ma anche con la critica al laissez-faire e alla concezione astensionista dell’intervento statale mossa dall’economista inglese Lionel Robbins . Tale convergenza sul ruolo attivo dello Stato emerge anche all’interno del 23 dibatto sul nome con cui identificare la revisione creativa del liberalismo. Se Rüstow

Per una ricostruzione del difficile rapporto tra Mises e gli ordoliberali cfr. S. KOLEV, Paleo- and

21

Neoliberals: Ludwig von Mises and the “Ordo-interventionists”, in P. COMMUN, S. KOLEV (eds.), Wilhelm Röpke (1899-1966), cit., pp. 65-92.

Cfr. L. ROUGIER, Les mystiques économiques, cit.; J. REINHOUDT, S. AUDIER, The Walter Lippmann 22

Colloquium, cit., p. 18, 24.

Cfr. J. REINHOUDT, S. AUDIER, The Walter Lippmann Colloquium, cit., pp. 22-24; L. ROBBINS,