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La politica economica tedesca del Terzo Reich: commercio internazionale, riarmo e direzione dell’economia nazionale.

1.1 L’integrazione dell’economia tedesca nel mercato mondiale continua a rappresentare il principale problema affrontato dalla Germania in sede di politica economica anche durante il Terzo Reich. Il nazionalsocialismo lo affrontò sin dal 1933 elaborando una specifica risposta nazionale improntata ai concetti di ‘Wirtschaftslenkung’, ‘Wirtschaftsführung’ (‘direzione economica’) e autarchia. La politica economica nazionalsocialista si declinava all’interno di una complessiva strategia politica di matrice anti-americana, in vista della costruzione di un Grande spazio europeo di dimensioni continentali che, sotto il dominio tedesco, permettesse alla Germania di riequilibrare la propria inferiorità rispetto agli Stati Uniti e all’Impero britannico. La ritirata degli Stati Uniti dagli affari europei dopo il 1929 rese possibile la vittoria della strategia aggressiva e revisionista promossa dal nazionalsocialismo . Se sotto la guida di Stresemann la Germania aveva adottato una 90

linea strategica incentrata sull’alleanza con gli Stati Uniti e sulla forza del suo export per bilanciare l’ostilità di Francia e Regno Unito e rivedere i termini della pace imposta a Versailles, l’abbandono del Gold standard da parte di Roosevelt nel 1933 e il disimpegno americano dall’economia europea posero definitivamente fine alla cooperazione inter-atlantica tra le due potenze capitalistiche. Con la Grande depressione e l’abbandono del Gold standard anche da parte del Regno Unito (1931) erano definitivamente naufragati i tentativi condotti negli anni Venti per ristabilire l’ordinamento internazionale che aveva preceduto la Grande guerra. Dopo il 1929 la crisi interna ai singoli paesi (deflazione, disoccupazione) veniva ad intrecciarsi alla crisi dell’integrazione economica internazionale (protezionismo, crisi del commercio mondiale, fine del Gold standard) . 91

È in relazione allo specifico rapporto di fattori nazionali e internazionali che si definisce la posizione tedesca negli anni Trenta e che possono essere lette con profitto sia la politica economica del regime, sia le scelte decisive della sua politica estera. Tale rapporto vede emergere in maniera sempre più drammatica il contrasto tra gli Cfr. A. TOOZE, The Wages of Destruction. The Making and Breaking of the Nazi Economy, Penguin

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Books, London 2014, pp. 1-36.

Cfr. C.S. MAIER, La rifondazione dell’Europa borghese. Francia, Germania e Italia nel decennio

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successivo alla prima guerra mondiale, Il Mulino, Bologna 1999; R. BOYCE, The Great Interwar Crisis and the Collapse of Globalization, Palgrave Macmillan, London 2009; A. TOOZE, The Deluge: The Great War and the Making of the Global Order, 1916-1931, Penguin Books, London 2014; T. STRAUMANN, 1931: Debt, Crisis and the Rise of Hitler, Oxford University Press 2019.

obiettivi della politica di potenza nazista e la volontà di definire autonomamente una politica economica al servizio di tali obiettivi nel contesto economico nazionale e internazionale dell’epoca. È sempre con la contraddizione già emersa negli anni Venti tra il nazionalismo della politica e il carattere internazionale dell’economia che la Germania nazista deve fare i conti non solo per risolvere la crisi economica e ma per riaffermare il primato politico tedesco in Europa. Questa contraddizione emerge con chiarezza in relazione ai problemi posti dal commercio estero e dalla politica monetaria. Come è stato sottolineato da diversi studiosi, entro questi due ambiti è possibile misurare l’effettiva incapacità del regime di elaborare una coerente strategia di lungo periodo che fosse in grado di rispondere sia al problema dell’integrazione economica internazionale (della Germania nel mercato mondiale e nello spazio europeo), sia a quello del suo futuro ordinamento monetario . 92

La politica economica del regime rappresentava il tentativo di coniugare tra loro tre diversi obiettivi politici, all’interno di un contesto segnato da forti limiti e pressioni internazionali: il riarmo della Germania (per riaffermare il suo primato politico in Europa e nel mondo), il rilancio della congiuntura economica interna (per risolvere il problema della disoccupazione di massa), il mantenimento del valore del marco ai livelli pre-crisi (per mantenere l’ordine sociale e con esso il consenso interno del regime). Con l’introduzione del ‘Nuovo piano’ nell’agosto del 1934 da parte di Hjalmar Schacht (Presidente della Reichsbank e Ministro dell’economia del Reich), la Germania introduceva un nuovo sistema di controlli statali sul commercio estero: controllo delle importazioni, trattati bilaterali con i singoli paesi, sovvenzioni statali all’export (fondamentale per assicurare alla Germania le necessarie riserve di valuta straniera per acquistare sui mercati internazionali le materie prime di cui essa aveva bisogno per il riarmo) . L’obiettivo di fondo era di limitare le importazioni 93

(cresciute durante la ripresa della congiuntura interna all’inizio dell’anno) e mettere al sicuro la bilancia dei pagamenti con l’estero dopo la grave crisi dei primi mesi del 1934 che aveva visto ridursi drammaticamente le riserve di valuta straniera a disposizione della Reichsbank. Mantenendo la parità formale del marco con l’oro e perfezionando il sistema di controlli valutari introdotti già nel 1931 da Brüning, la Germania optava per l’isolamento internazionale del marco a tutela della sua stabilità interna. Da questa decisione, mantenuta nel corso di tutti gli anni Trenta, sarebbe risultata una una forte differenza tra il valore interno e quello internazionale della moneta tedesca, differenza da cui sarebbero state fortemente svantaggiate le esportazioni tedesche. Il mancato allineamento del valore del marco (all’interno della Germania e sui mercati internazionali) lo rendeva una moneta troppo forte e quindi poco appetibile nel commercio con gli altri paesi. Se nel 1931 Brüning e Luther avevano scelto la deflazione interna e il mantenimento della parità formale del marco con l’oro (al posto di una svalutazione del marco per mantenere la stabilità dei cambi e favorire una ripresa trainata dall’export), anche nel 1934 il regime si decide contro

Cfr. A. TOOZE, The Wages of Destruction, cit.; P. FONZI, La moneta e il Grande spazio. Il progetto

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nazionalsocialista di integrazione monetaria europea 1939-1945, Unicopli, Milano 2011. Cfr. ivi, pp. 33-41; A. TOOZE, The Wages of Destruction, cit., pp. 67-98.

la sua svalutazione in favore del perfezionamento dei sistema di controlli statali sul commercio estero introdotti in precedenza . 94

Se il regime si era di fatto impegnato ad amministrare l’isolamento internazionale dell’economia tedesca, sul piano interno si assiste alla mobilitazione delle risorse economiche nazionali per sostenere il riarmo del paese. Mobilitazione che il regime si assunse la responsabilità di organizzare (attraverso varie tappe, come il piano quadriennale del 1936) nei forti limiti imposti dal contesto internazionale, prestando grande attenzione al tempo stesso all’esigenza di tutelare un alto livello di consenso politico interno . Come è stato osservato, il riarmo tedesco nel corso degli 95

anni Trenta ha rappresentato il più grande processo di ridistribuzione delle risorse economiche nazionali a scopi militari avvenuto fino ad allora in tempo di pace all’interno di un paese capitalistico . La direzione statale dell’economia, così come i 96

controlli valutari, il razionamento della materie prime e il controllo del commercio estero costituivano gli strumenti necessari per realizzare in maniera efficiente la mobilitazione delle risorse nazionali a scopi militari entro i limiti internazionali che pesavano sull’economia tedesca.

Come si è anticipato, lo sviluppo della politica economica nazista si svolse all’insegna dei concetti di ‘Wirtschaftslenkung’ e autarchia. Concetti che se da un lato esprimevano indubbiamente una funzione ideologica e propagandistica (dal momento in cui il nazionalsocialismo si proponeva come rappresentante di una ‘terza via’ tra comunismo e liberalismo), dall’altro riassumevano il primato politico rivendicato dallo Stato sull’economia al fine di organizzare la produzione a scopi militari e per controllare in maniera esclusiva il livello di integrazione e di dipendenza della Germania dal mercato mondiale . La direzione e il controllo statale dell’economia 97

non trovavano dunque unicamente una motivazione di carattere ideologico ma rappresentavano in primo luogo degli strumenti necessari dal punto di vista pratico per il raggiungimento degli obiettivi politici del regime, sostenendo il riarmo tedesco all’interno dei forti vincoli internazionali e al tempo stesso garantendo la stabilità interna della società tedesca (il concetto di ‘crisi cumulativa’ introdotto da Mason è indicativo al riguardo) . Se il controllo statale e l’autarchia risultavano dunque 98

Cfr. ivi, pp. 55-56, dove si mette in luce il passaggio da una funzione creditizia della politica commerciale

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nel 1931 (controlli sul commercio come strumento per bloccare la fuga di capitali all’estero) a una funzione monetaria nel 1934. Sulla ragioni e sugli effetti della politica monetaria adottata da Brüning e Luther si vedano: A. TOOZE, The Wages of Destruction, op. cit., pp. 16-23; P. STRAUMANN, 1931: Debt, Crisis and the Rise of Hitler, cit. Sul primato della stabilità monetaria coltivato dalla Reichsbank si vedano i diari di Hans Luther, Vor dem Abgrund. Reichsbankspräsident in Krisenzeiten 1930-1933, Berlin 1964, p. 241.

Sul piano quadriennale del 1936 cfr. A. TOOZE, The Wages of Destruction, cit., pp. 203-243.

95

Cfr. ivi, pp. 659-660.

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Sulla dottrina economica nazista cfr. L. HERBST, Die Totale Krieg und die Ordnung der Wirtschaft. Die

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Kriegswirtschaft im Spannungsfeld von Politik, Ideologie un Propaganda 1939-1945, Deutsche Verlags- Anstalt, Stuttgart 1982, pp. 13-30; H. JANSSEN, Nationalökonomie und Nationalsozialismus. Die deutsche Volkswirtscahftslehre in den dreißiger Jahren des 20. Jahrhundert, Metropolis, Marburg 1988; I. KERSHAW, Che cos’è il nazismo? Problemi interpretativi e prospettive di ricerca, Bollati Boringhieri, Torino 2001, pp. 68-92; P. FONZI, La moneta e il Grande spazio, cit., pp. 25-30.

Cfr. T.W. MASON, La politica sociale del Terzo Reich, Bruno Mondadori, Milano 2006.

strumenti indispensabili per il regime, la dottrina economica nazista rimase sempre vaga e non si preoccupò di chiarire in maniera sistematica i propri fondamenti teorici. Il rapporto tra lo Stato e l’economia, così come gli strumenti adottati dal regime per condurre la sua politica economica, mantennero il loro carattere provvisorio e incompiuto nel corso di tutti gli anni Trenta e durante la guerra. Nonostante i numerosi piani di riforma e riorganizzazione avanzati, la scelta definitiva sull’ordinamento futuro dell’economia tedesca e sulla sua forma (pratica e ideologica) venne infatti rimandata alla conclusione della guerra.

In questo contesto non furono assenti diverse istanze di liberalizzazione provenienti da svariati settori dell’economia e della società tedesca, tra cui il gruppo degli intellettuali ordoliberali raccolti all’interno della Scuola di Friburgo. Ciò che accomunava questi gruppi era l’intenzione di mettere in discussione secondo un approccio costruttivo e in sede strettamente tecnica (il nazionalsocialismo non veniva mai messo in discussione politicamente) le forme del controllo statale sul commercio estero e sul mercato interno. Il commercio estero e la crescente burocratizzazione dell’economia nazionale rappresentavano infatti un enorme problema di carattere pratico (come impedire che il controllo statale soffocasse le esportazioni di diversi settori produttivi? come tutelare margini per la concorrenza nel mercato interno? come assicurare la competitività delle merci tedesche all’estero? come ripartire in maniera efficiente le risorse scarse tra i diversi settori dell’economia nazionale?) e al tempo stesso un problema di carattere ideologico, relativo al modello di ordine sociale che il regime aveva in mente per la Germania (come fare in modo che l’economia tedesca non diventasse interamente pianificata dallo Stato?).

Se l’impegno degli economisti ordoliberali fu generalmente rivolto a favorire una riorganizzazione complessiva dell’economia nazionale restituendo un ruolo centrale al mercato, negli anni Trenta non mancarono altre proposte avanzate da esponenti del mondo industriale per riformare il sistema che regolava il commercio estero. Tra i progetti orientati a favorire una una maggiore liberalizzazione e a riallineare gradualmente il valore interno del marco a quello esterno (mediante una svalutazione controllata) al fine di incentivare le esportazioni tedesche, ricordiamo il Piano Krogmann (1934), il Piano Popitz (1936) e il memorandum (1936) fornito a Hermann Göring da Carl Gordoler, Commissario per i prezzi e futuro cospiratore contro il regime nel lugli 1944 . Queste istanze di liberalizzazione facevano leva sul 99

carattere provvisorio e incompiuto del sistema di controllo e direzione dell’economia messo in opera al fine di modificarlo. Tuttavia, all’interno della competizione tra i diversi centri di potere del regime, questi progetti non ebbero successo dal momento che da un lato essi avrebbero richiesto una decisione chiara e definitiva sull’ordinamento economico tedesco e sulla forma della sua integrazione al mercato mondiale (decisione che il regime non era intenzionato o non era in grado di compiere), dall’altro avrebbero compromesso due priorità politiche irrinunciabili, comportando un rallentamento del ritmo del riarmo e un svalutazione competitiva del marco.

Cfr. P. FONZI, La moneta e il Grande spazio, cit., pp. 78-87; A. TOOZE, Wages of Destruction, cit., pp.

99

1.2 Nel corso degli anni Trenta quello degli economisti ordoliberali con il Terzo Reich si caratterizza come un rapporto di lealtà sul piano pratico . Lealtà che prese 100

forma nell’insegnamento universitario e nella collaborazione, prima e durante la guerra, con l’amministrazione dell’economia tedesca. Lealtà e collaborazione ordoliberale che, occorre specificare, non affondava le proprie radici in motivi ideologici di carattere nazionalsocialista ma nell’implicita identificazione del regime con una possibile declinazione storica di quello ‘Stato forte’ le cui caratteristiche erano stato delineate durante la crisi di Weimar. In quanto critici sia del liberalismo ottocentesco sia della pianificazione economica, gli economisti ordoliberali si trovavano in una posizione particolare da cui, pur non collocandosi all’interno dell’orizzonte ideologico nazista, risultava loro possibile promuovere l’esigenza di una riforma definitiva della struttura del capitalismo tedesco. Come è stato osservato, la distinzione ordoliberale di Stato e società non era solo compatibile con la vaga concezione nazionalsocialista di direzione dell’economia (Wirtschaftsführung) ma risultava anche funzionale a definire le forme della riorganizzazione concreta del rapporto di Stato e mercato . La collaborazione ordoliberale con determinati settori 101

dello stato e dell’impresa tedesca si svolse dunque in chiave costruttiva al fine di orientare e influenzare la riorganizzazione dell’economia tedesca che il regime aveva intrapreso a scopi politici e bellici sin dalla sua nascita.

Alcuni tra i principali economisti ordoliberali rimasti in Germania dopo il 1933 misero a disposizione del regime le proprie competenze tecniche e scientifiche all’interno della quarta classe della Akademie für Deutsches Rechts, istituzione che aveva come suo scopo principale quello di «realizzare il programma nazionalsocialista nell’ambito generale del diritto e dell’economia»102. Presieduta a partire dal 1933 dall’economista nazionalsocialista Jens Peter Jessen, la quarta classe dell’accademia aveva un duplice obiettivo: 1) delineare soluzioni pratiche a problemi organizzativi e monetari connessi alla pianificazione economica; 2) definire possibili lineamenti del futuro ordinamento economico europea, in caso di vittoria nazista . Il 103

Cfr. D. HASELBACH, Autoritärer Liberalismus und Soziale Markwirtschaft. Gesellschaft und Politik im

100

Ordoliberalismus, Nomos, Baden-Baden 1991, p. 94.

Cfr. ivi, pp. 77-79; L. HERBST, Die Totale Krieg und die Ordnung der Wirtschaft, cit., pp. 148-149.

101

Citato in D. HASELBACH, Autoritärer Liberalismus und Soziale Markwirtschaft, cit., p. 275. 102

Jens Peter Jessen (1895-1944) economista tedesco, fu membro della NSDAP a cui si iscrisse nel 1930.

103

Dopo aver insegnato presso l’università di Göttingen, nel 1933 Jessen passò all’Institut für Weltwirtschaft di Kiel in qualità di direttore dell’istituto, in seguito all’espulsione dei docenti e ricercatori ebrei. Membro fondatore dell’Akademie für Deutsches Recht, nel 1935 Jessen divenne professore ordinario di scienze economiche e scienze dello Stato presso la Handelshochschule di Berlino. Direttore dello Schmoller Jahrbuch dal 1939, Jessen difese il diritto alla libera discussione in sede scientifica, promuovendo il confronto tra diverse linee in pensiero economico. Sospettoso nei confronti delle ingerenze politiche del partito nello sviluppo della scienza economica, Jessen coordinò i lavori della quarta classe dell’Accademica tedesca, promuovendo il lavoro di Walter Eucken al suo interno. Coinvolto nella congiura conto il Führer del 20 luglio 1944, Jessen fu giustiziato nel novembre dello stesso anno. Tra le sue opere economiche ricordiamo: J. JESSEN, Volk und Wirtschaft, Hanseatische Verlagsanstalt, Hamburg 1935; ID., Grundlagen der Volkswirtschaftspolitik, Hanseatische Verlagsanstalt, Hamburg 1937; ID., Der Handel als volkswirtschaftliche Aufgabe. Ein Beitrag zur Lehre vom Binnenhandel, Duncker & Humblot, Berlin 1940.

lavoro svolto dagli ordoliberali all’interno dell’accademia si svolse in stretto contatto con il Ministero dell’economia del Reich e con determinati settori del sistema produttivo tedesco, non solo al fine di elaborare soluzioni tecniche ai problemi posti in sede amministrativa ma anche di impedire e ostacolare la completa trasformazione dell’economia tedesca in una economia pianificata a scopi militari. Come è stato osservato, il ruolo di esperti che gli ordoliberali scelgono di giocare all’interno del regime assume un duplice significato: da un lato gli economisti si mettevano a disposizione della politica per la soluzione del problemi dell’economia tedesca e per la costruzione del nuovo ordine economico nazista; dall’altro, all’interno dello spazio riservato loro dal regime, individuavano i punti e i settori sensibili su cui esercitare la propria pressione e far valere la propria autorità scientifica al fine di influire concretamente sulle modalità reali di riorganizzazione dell’economia nazionale . 104

Sin dal 1933 il Ministero dell’economia e la Reichsbank si avvalsero della collaborazione di tecnici ed esperti economici non necessariamente nazionalsocialisti, come gli esponenti della Scuola di Friburgo, al fine di controbilanciare la direzione ideologica impressa dal regime alla politica economica tedesca, prima con la politica di riarmo, poi, durante la guerra, nella riorganizzazione totale dell’economia nazionale ed europea a scopi bellici. Nel dibattito sulla politica economica il Ministero dell’economia e la Reichsbank si ponevano come i rappresentati dell’istanza oggettiva e tecnica contro quella ideologica propria del regime nell’amministrazione dell’economia nazionale e dei suoi rapporti con i mercati internazionali. Pur nel quadro di una generale condivisione di intenti, la direzione della Reichsbank e del Ministero dell’economia del Reich coltivarono stretti contatti con quei settori dell’economia tedesca i cui interessi e le cui esigenze erano contrari sia alla completa direzione statale dell’economia, sia alla, seppur vaga, idea nazista di socialismo ‘völkisch’. Tendenzialmente sospettosi, se non segretamente ostili (come gli ordoliberali) nei confronti del piano quadriennale lanciato dal regime nel 1936 e degli elementi di pianificazione economica che esso introduceva, tali settori condividevano l’interesse per la salvaguardia di spazi concorrenziali all’interno dell’economia nazionale e per un allentamento delle condizioni dettate dal piano sul sistema produttivo . È all’interno del quadro definito dalla presenza di differenti 105

centri di potere all’interno del regime, dalla loro competizione e dai diversi obiettivi che essi perseguivano che merita di essere inquadrata l’attività intellettuale degli ordoliberali in Germania dopo il 1933, la loro collaborazione con il regime e i loro obiettivi politici . 106

Cfr. D. HASELBACH, Autoritärer Liberalismus und Soziale Markwirtschaft, cit., p. 95.

104

Cfr. A. TOOZE, The Wages of Destruction, op. cit., pp. 99-134; P. FONZI, La moneta e il Grande spazio,

105

cit., pp. 76-87.

Sulla poliarchia del regime nazista si rimanda ai classici E. FRAENKEL, Il doppio Stato. Contributo alla

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teoria della dittatura (1941), Torino, Einaudi 1983; F. NEUMANN, Behemoth. Struttura e pratica del nazionalsocialismo (1942), Bruno Mondadori, Milano 2007. Si vedano inoltre: P. HÜTTENBERGER, Nazionalsozialistiche Polykratie, «Geschichte und Gesellschaft», 1976, 2, pp. 417-442; I. KERSHAW, Che cos’è il nazismo?, cit., pp. 93-120. Sull’evoluzione dallo ‘Stato totale’ weimariano allo Stato nazista si veda anche W. REINHARD, Storia del potere politico in Europa, Il Mulino, Bologna 2001, pp. 553-580.

All’interno dei gruppi di lavoro presenti nella quarta classe della Akademie für

Deutsches Rechts, i libri scritti da Eucken e Böhm nel corso degli anni Trenta

rappresentavano dei punti di riferimento teorici per molti membri . Il contributo 107

fornito da parte dei membri della Scuola di Friburgo alle discussioni di politica economica e monetaria non intendeva muoversi unicamente in un orizzonte teorico e accademico ma era rivolto ad esercitare un influenza pratica e concreta sulla pianificazione economica del regime durante la guerra. Se sul piano teorico e formale la posta in gioca era rappresentata della definizione specifica (e compatibile con le esigenze ordoliberali) di un paradigma economico nazionalsocialista (altrimenti vago e pericolosamente aperto a esiti anticapitalistici, considerata la crescente pianificazione dell’economia), sul piano materiale era la forma assunta dal futuro ordinamento dell’economia tedesca ed europea ad essere in gioco. I contributi forniti da Eucken e Böhm tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta devono essere letti alla luce di questo quadro, come il tentativo di sostenere le spinte alla liberalizzazione dell’economia tedesca e alla restituzione di un ruolo centrale del mercato nella sua futura riorganizzazione.

È sulla funzione della scienza economica che interveniva Eucken nel 1938 con