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La strategia politica ordoliberale: ‘Stato forte’ e neutralizzazione del conflitto

Alla diagnosi ordoliberale della crisi tedesca corrispondeva la formulazione di una specifica strategia politica volta al suo superamento. Tale strategia, nelle sue diverse elaborazioni, era incentrata sul ripensamento in chiave liberale della fisionomia dello Stato e sulla ridefinizione del suo ruolo in relazione alla società. Questo ripensamento si collocava all’altezza del problemi della emersi nel corso degli anni Venti e aggravatisi drammaticamente sulla scia della crisi economica mondiale: la minaccia della guerra civile, l’instabilità della società pluralistica, le esigenze del sistema produttivo tedesco entro e i limiti dell’interventismo economico weimariano.

1. Lo ‘Stato forte’: Eucken, Rüstow, Böhm e Röpke

1.1 Al termine del saggio pubblicato nel 1932 sul «Weltwirtschaftliches Archiv», Walter Eucken delineava due possibili scenari per il futuro della Germania. Il percorso intrapreso dalla repubblica di Weimar rischiava di condurre il paese verso una crisi irreversibile. Le masse politicizzate e i soggetti favorevoli all’interventismo economico rappresentavano i principali vettori del disordine tedesco. Nel caso in cui questi non fossero stati contenuti, o ancora meglio arrestati, la crisi economica si sarebbe aggravata ulteriormente. Eucken era implicitamente convinto che con un mercato distorto e con la competizione politica tra i partiti sull'orlo della guerra civile non sarebbe potuto emergere un nuovo equilibrio interno al paese. Le possibilità di un ulteriore peggioramento dell’economia tedesca erano dunque concrete. In tal caso la crisi del capitalismo tedesco sarebbe stata definitiva, e con essa la sua degenerazione in forme semi-feudali o, peggio ancora, sovietiche . Al tempo stesso Eucken 1

contemplava una possibile via di uscita da questa deriva.

«Se però lo Stato - scrive Eucken - riconosce i grandi pericoli che derivano dal suo intrecciarsi con l’economia, se trova la forza di liberarsi dall’influenza delle masse e di allontanarsi in ogni modo dall’economia, se gli riesce inoltre di costruire un sistema di Stati bilanciato al posto del caos internazionale provocato dai trattati di pace, allora nei

Cfr. W. EUCKEN, Trasformazioni strutturali dello Stato e crisi del capitalismo, cit., pp. 40-41.

paesi di antico capitalismo si potrà aprire la via per un ulteriore e più robusto sviluppo di una nuova forma di capitalismo.»2

Le sorti politiche della Germania e quelle del capitalismo tedesco, come abbiamo già sottolineato, erano strettamente intrecciate e non potevano essere separate nell’ottica liberale e conservatrice adottata da Eucken e dagli altri economisti. Il superamento politico della crisi tedesca sarebbe stato possibile solo se lo Stato fosse riuscito a riconquistare quell’autonomia rispetto alle masse e alla sfera economica, di cui aveva goduto in passato e che aveva perduto definitivamente con la ‘totale Mobilmachung’ durante la Prima guerra mondiale. Lo stato tedesco doveva dunque ritrovare la forza per riguadagnare una posizione autonoma e distinta rispetto a quella società entro cui si muovevano forze e si agitavano conflitti (politici ed economici) che non erano capaci di ricomporsi spontaneamente entro un equilibrio ordinato. La sfiducia di Eucken nei confronti del laissez-faire ottocentesco, non solo come dottrina economica ma come dottrina politica, era totale. Solo uno Stato che fosse stato abbastanza forte per ristabilire una chiara distinzione tra sé e la società sarebbe stato in grado di riassumere quella funzione ordinatrice che rappresentava la condizione essenziale per la buona salute del capitalismo. Al di fuori di un siffatto Stato non vi poteva essere ordine per la società tedesca. Solo uno Stato capace di svolgere una autonoma funzione ordinatrice nei confronti della società e del mercato poteva mettere quest’ultimo nella condizione di funzionare secondo le sue logiche (libera concorrenza e sistema dei prezzi) e di svilupparsi.

Il superamento della crisi non passava per Eucken attraverso specifiche ricette per la politica economica tedesca ma chiamava in causa la ridefinizione della posizione e del ruolo dello Stato nei confronti della società. Lungi dall’essere assenti nella sua riflessione, le misure per una politica economica liberali erano possibili solo entro un certo tipo di Stato. È sulle loro condizioni di possibilità che verteva l’attenzione di Eucken. La strategia politica a cui egli accennava, infatti, era una strategia incentrata sullo Stato: era partire dallo Stato che doveva essere superata l’estrema debolezza propria dello ‘Stato totale’ weimariano e dovevano essere neutralizzati i conflitti sorti al suo interno. Quella che Eucken delineava era una strategia politica che vedeva nello ‘Stato forte’ la condizione di possibilità per modernizzare l’economia in chiave liberale, sottraendola tanto ai conflitti collegati alla lotta di classe, quanto agli interessi corporativi e protezionistici di svariati settori dell’industria e dell’agricoltura tedesca. Strategia che se da un lato puntava ad escludere come nemiche dell’ordine la ali estreme dell’arco politico weimariano (sia la KPD sia la NSDAP) e con esse il rischio della guerra civile, al tempo stesso escludeva la SPD come il principale artefice dello ‘Stato economico’ tedesco. Se la logica e gli scopi di questa strategia erano espressi molto chiaramente, se i suoi nemici erano impliciti nella sua formulazione, Eucken non si pronunciava in merito ai soggetti capaci di tradurla in un piano concreto di azione politica, così come non si esprimeva sui possibili mezzi atti realizzarla entro la confusa situazione politica del 1932, tra la fine del governo Brüning e l’inizio del governo di Papen. Come era

Ivi, p. 41. 2

possibile l’evoluzione di quello che Schmitt aveva definito ‘Stato totale per debolezza’ in uno ‘Stato forte’ capace di segnare una netta separazione con la società? Dove attingere la forza per compiere questo salto? Quale soggetto politico avrebbe potuto coglierne la drammatica necessità e farsene carico? Nel formulare quello che risulta essere un autentico imperativo (imperativo che risulta essere tanto categorico quanto astratto), Eucken taceva sull’energia politica indispensabile per realizzare tale strategia, sulla sua origine, sui suoi possibili portatori e sulla sua collocazione entro il quadro politico e costituzionale di Weimar.

1.2 Strutturalmente equivalente a quella avanzata da Eucken, ma più ricca e articolata nonostante la sua rapida formulazione, era la strategia formulata da Rüstow in Interessenpolitik oder Staatspolitik (1932). Anche Rüstow era convinto del fatto che il superamento della crisi economica mondiale sollevava una questione di natura politica e costituzionale per la Germania. «Io sono dell’opinione - esordiva Rüstow - che il nostro destino non risiede nell’economia ma nello Stato e che lo Stato è anche il destino della stessa economia» . Tra il controproducente interventismo economico 3 (una «una medicina dal sapore dolce ma che ha definitivamente mostrato i suoi risultati catastrofici») e la scelta di non intervenire, lasciando l’economia tedesca al suo libero corso, Rüstow individuava nello ‘Stato forte’ una terza modalità di concepire il rapporto tra politica ed economia. Lo ‘Stato forte’, senza alterare le dinamiche del mercato, si poneva esclusivamente il compito di tutelarne attivamente i principi fondamentali, al fine favorire il superamento della crisi mediante il mercato stesso. Quella delineata da Rüstow nel 1932 intendeva essere una forma innovativa di «interventismo liberale» («liberale Interventionismus») che, restando fedele all’impianto analitico della teoria economia neoclassica, nutriva profonda sfiducia sia nei confronti dell’interventismo economico weimariano sia verso l’idea liberale secondo cui il mercato sarebbe in grado di raggiungere spontaneamente una situazione di equilibrio senza costi insostenibili per la politica e la società nel suo complesso . «Il nuovo liberalismo - scriveva Rüstow - […] richiede uno Stato forte, 4 uno Stato al di sopra dell’economia, uno Stato al di sopra degli interessi» . 5

Allo ‘Stato forte’ («starker Staat») era affidato il compito di affermare e garantire un bene comune superiore agli interessi particolari che avevano declinato in chiave interventista la sua politica economica. Come recita il titolo dell’intervento al convegno di Dresda, la Germania si trovava a dover scegliere tra una ‘politica degli interessi’ e una ‘politica dello Stato’. Una risposta adeguata alla crisi economia mondiale richiedeva per Rüstow una decisione in favore dello ‘Stato forte’, una decisione in favore di una ‘politica dello Stato’ (Staastspolitik). Allo «Stato come preda», vittima del cattivo pluralismo, Rüstow contrapponeva il paradigma dello ‘Stato forte’: «uno Stato che sta al di sopra dei singoli gruppi e dei singoli interessi, uno Stato che si sottrae dal coinvolgimento negli interessi economici, laddove questo

A. RÜSTOW, Interessenpolitik oder Staatspolitik, cit., p. 62. 3

Cfr. ivi, pp. 64-65. 4

Ivi, p. 69. 5

coinvolgimento si è verificato» . Al particolarismo degli interessi occorreva dunque 6 contrapporre il carattere universale dello Stato, in linea con la tradizione giuridica tedesca. Se lo ‘Stato totale’ weimariano si era rivelato uno Stato debole, che interveniva in maniera puntuale nell’economia nazionale attraverso dazi, sovvenzioni e l’amministrazione politica di prezzi e salari, lo ‘Stato forte’ doveva sottrarsi dal peso degli interessi corporativi e dei partiti politici per condurre una politica indipendente in vista del bene comune. Lo ‘Stato forte’ doveva dunque ristabilire quella distinzione tra sfera statale e sfera sociale che era scomparsa con i processi di democratizzazione della società e della costituzione tedesca introdotti a Weimar tra il 1918 e il 1919 (suffragio universale, parlamentarismo e legge elettorale proporzionale).

«Questa autoriflessione - scrive Rüstow - questo ritirarsi su di sé da parte dello Stato, questa autolimitazione come fondamento della propria autoaffermazione rappresentano il presupposto e l’espressione della sua indipendenza e della sua forza. Solo in questo modo lo Stato può tornare ad essere forte, può tornare ad essere autonomo, può tornare ad essere neutrale (occupando una posizione superiore [im Sinne des höheren Ganzen werden]) e superiore non attraverso la violenza e il dominio ma attraverso l’autorità e la capacità di direzione politica [Führertum]» .7

Lo ‘Stato forte’ rappresentava dunque per Rüstow la chiave di volta per superare la crisi tedesca aggravata dal fallimento dello ‘Stato totale’ weimariano. Il bene comune a cui lo ‘Stato forte’ doveva provvedere risiedeva nella tutela del corretto funzionamento del mercato e dei suoi principi (libera concorrenza, sistema dei prezzi, politica anti monopolisitica). Soltanto mettendo il mercato nella condizione di funzionare secondo i suoi principi (quindi senza abbandonarlo all’anarchia del conflitto tra capitale e lavoro da un lato, e dalle pressioni corporative e monopolistiche dall’altro), solo conducendo una politica commerciale di libero scambio sarebbe stato possibile fare uscire la Germania dalla situazione di stallo politico e di isolamento internazionale in cui si trovava nel 1932 e superare così la crisi economia mondiale . Così come una coerente politica economia liberale richiede 8 alle sue spalle lo ‘Stato forte’, allo stesso tempo lo ‘Stato forte’ non avrebbe potuto essere interventista o paleo-liberista, ma avrebbe dovuto condurre una politica coerente con la libera concorrenza. ‘Stato forte’ e ‘interventismo liberale’ si implicavano reciprocamente nella strategia ordoliberale.

Quella svolta dallo ‘Stato forte’ era dunque una funzione trascendentale nei confronti del mercato e dell’ordine sociale. Tramite tale funzione lo Stato non tutelava solo il mercato ma lo metteva nella condizione di integrare pienamente i cittadini entro un ordine sociale giusto («eine richtig und organisch konstruierte

Verfassung») . Se al mercato era affidato il compito di generare il legame sociale 9

Ivi, p. 68. 6 Ivi, p. 68. 7 Cfr. ivi, p. 69. 8 Cfr. ivi, p. 68. 9

proprio di una società ordinata, lo ‘Stato forte’ rappresentava la condizione di possibilità di questo processo. Quello che Rüstow stava implicitamente suggerendo era che tanto lo Stato quanto il governo dovevano essere sottratti al controllo politico dei partiti tramite il parlamento, per essere messi nella condizione di esprimere una linea di azione autonoma e indipendente. Se nel parlamento tedesco si rispecchiava infatti la conflittualità presente nella società, allora occorreva impedirlo. Allo stesso modo, la ‘Staatspolitik’ a cui pensava Rüstow implicava necessariamente la neutralizzazione dei conflitti che attraversavano uno Stato che risultava ormai indistinguibile dalla società tedesca e ne aveva assunto il disordine interno.

Il paradigma dello ‘Stato forte’ delineato da Rüsotw sollevava inevitabilmente alcune questioni di fondo a cui purtroppo egli non forniva risposta. Entro quali condizioni era possibile l’affermazione dello ‘Stato forte’ in Germania? Come decidersi per una ‘politica dello Stato’ che mettesse fine a quella ‘politica degli interessi’ che aveva segnato la crisi tedesca? Come avrebbe potuto lo Stato tedesco spogliarsi del suo carattere ‘totale’ per occupare una posizione superiore alla società e amministrare costantemente i meccanismi del mercato? Come neutralizzare il conflitto politico e sociale che sta dilaniando la Germania e affermare la posizione superiore e distinta dello Stato sulla società? Rüstow era ben consapevole del fatto che «lo Stato non può essere sospeso nel vuoto ma deve appoggiarsi a qualcosa» . 10 Lo ‘Stato forte’ non poteva prescindere da un fondamento di carattere etico-morale, suggeriva Rüstow, fondamento che egli individuava nel desiderio di essere governati onestamente e conformemente a principi generali. Tale principio etico sarebbe stato presente in ogni cittadino accanto alle pulsioni egoistiche e rappresentava il «criterio decisivo per una costituzione giusta e costruita in maniera organica» . Su questo 11 punto riaffioravano le convinzioni giovanili di Rüstow e la sua passata adesione al socialismo etico e religioso. La convinzione secondo cui l’integrazione dei cittadini entro un ordine sociale giusto non avvenga solamente entro una dimensione artificiale ed esteriore ma richieda anche un fondamento di tipo etico e religioso radicato all’interno dei soggetti, non verrà mai abbandonata da Rüstow. Se da un lato lo ‘Stato forte’ non poteva fondarsi solo sull’autorità ma affondava le sue radici anche un siffatto fondamento di carattere etico, dall’altro Rüstow non si pronunciava riguardo l’energia politica necessaria alla decisione tra ‘politica dello Stato’ e ‘politica degli interessi’. Chi sarebbe stato in grado di sciogliere positivamente il dilemma davanti a cui si trova la Germania nel 1932? Dove risiedeva l’energia politica da mobilitare al fine di compiere una simile decisione sovrana? Come Eucken, Rüstow si impegnava a delineare i contorni della strategia politica ordoliberale, senza indicare soggetti, mezzi e modalità indispensabili per tradurla nella realtà politica tedesca.

Se in occasione del convengo di Dresda Rüstow aveva delineato con chiarezza la fisionomia dello ‘Stato forte’, la critica al parlamentarismo e ai partiti politici era già stata formulata nel 1929, in occasione di un dibattito pubblico con il giurista socialdemocratico Hermann Heller, Theodor Heuss (deputato del DDP e futuro primo Presidente della Repubblica federale tedesca) e Joseph Winschuh. Nella sua

Ivi, p. 68. 10

Ivi, p. 68. 11

relazione, intitolata Die Diktatur innerhalb der Grenzen der Demokratie e tenuta il 5

luglio 1929 presso la Deutsche Hochschule für Politik di Berlino, Rüstow aveva infatti esposto le sue ragioni a favore di una riforma in chiave presidenziale della repubblica tedesca . Pur essendosi svolta all’interno di un contesto politico differente 12

rispetto a quello in cui si sarebbe tenuto il congresso del 1932 (la crisi di Wall Street sarebbe scoppiata ad ottobre, Stresemann era ancora in vita e il governo Müller non si era ancora sciolto), nella discussione a cui prense parte Rüstow a Berlino erano stati messi in evidenza i problemi legati alla formazione delle coalizioni di governo su cui si era retto, fino a quel momento, il precario equilibrio di Weimar. Le criticità interne dello ‘Stato totale’ weimariano e del sistema dei partiti erano già state messe a fuoco da Rüstow prima che la Grande depressione colpisse la Germania. Insieme all’amico e collega Eucken, anche egli si collocava tra le voci critiche dei partiti e tra i sostenitori della necessità di affrancare il Cancelliere del Reich dal controllo parlamentare. In questo senso, alcuni dei tratti caratteristici dello ‘Stato forte’ affondavano le radici nella proposta di riforma costituzionale avanzata da Rüstow nel 1929.

Al centro della sue critiche vi erano i governi di coalizione e il ruolo svolto dai partiti nella loro formazione. «I governi di coalizione - affermava lapidario Rüstow - si fondano sul principio del mercimonio (Kuhhandels)» . Il comportamento dei 13 partiti era infatti improntato al trasformismo e all’opportunismo. Essi, denunciava l’economista, non erano mai responsabili politicamente della loro condotta: tramite accordi e compromessi risultava loro sempre più conveniente sostenere determinati interessi particolari senza assumersi la responsabilità politica della linea generale adottata dal governo. Per questo motivo non esistevano partiti di governo, capaci di assumersi le responsabilità connesse all’esercizio di tale funzione. Esistevano solo partiti di opposizione: nelle coalizioni di governo ogni partito intendeva far valere il proprio peso per sostenere i suoi interessi e ostacolare in caso contrario l’azione degli alleati . L’esercizio della funzione di governo risultava fortemente instabile a causa 14 della demagogia dei partiti, dei loro compromessi, dei veti reciproci e della loro irresponsabilità politica. Il sistema parlamentare weimariano conduceva così verso «una stabile e continua disintegrazione politica, verso lo scioglimento permanente di quelle forze politiche che si mantengono nel cuore dello Stato e che fanno dello Stato lo Stato, di quelle forze insomma che costituiscono lo Stato» . 15

A. RÜSTOW, Diktatur innerhalb der Grenzen der Demokratie (1929), «Vierteljahrshefte für

12

Zeitgeschichte», 1959, 1, pp. 85-111. La relazione venne tenuta nell’ambito di un ciclo di seminari serali (Ausspracheabenden) dal titolo Probleme der Koalitions-Politik organizzati presso la Deutsche Hochschule

für Politik di Berlino. Prima di Rüstow erano stati invitati a parlare anche W. Schwarz (“Regieren durch Parteien-Koalition im deutschen Parlamentarismus, 21 giugno 1929), C. Schmitt (“Der Mangel eines pouvoir neutre im neuen Deutschland”, 28 giugno 1929) e H. Heller (“Demokratische und autokratische Formen der Staatswillensbildung, 2 luglio 1929).

A. RÜSTOW, Diktatur innerhalb der Grenzen der Demokratie, cit., p. 91. 13

Cfr. ivi, p. 91.

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Ivi, p. 92.

Se questo stato di cose non fosse cambiato, sosteneva Rüstow, in Germania «la situazione è matura per una dittatura» . Di qui la necessità di una riflessione su come 16 articolare una possibile riforma costituzionale in grado di evitare il collasso dello stato tedesco. Dopo aver passato in rassegna le quattro forme possibili di direzione politica previste dalla costituzione di Weimar che erano state commentate da C. Schmitt nella sua Dottrina della costituzione (parlamentare, di gabinetto, del Presidente e del Cancelliere), Rüstow formulava la sua proposta di rafforzamento della posizione del Cancelliere del Reich . Quest’ultimo, secondo quanto espresso 17 dall’articolo 56 della costituzione di Weimar, aveva il compito di stabilire l’indirizzo politico generale e solo entro tale indirizzo i singoli ministri erano da considerarsi indipendenti. Tuttavia, una volta formato il gabinetto su incarico del Presidente del Reich, il Cancelliere restava di fatto un rappresentante del governo, per giunta senza portafoglio. Rüstow richiamava l’attenzione sugli scarsi poteri di cui disponeva il Cancelliere che, diversamente dai suoi ministri del suo gabinetto, era politicamente responsabile del suo operato davanti al Parlamento. Quello della assenza di responsabilità era un tema ricorrente nelle sue critiche al sistema tedesco: l’irresponsabilità dei partiti, dei ministri, dei demagoghi, delle corporazioni era uno dei elementi alla base dell’instabilità e della crisi tedesca. La responsabilità nei confronti dello Stato rappresentava per Rüstow un requisito fondamentale per ogni forza che aspiri a governare. La posizione del Cancelliere e la sua capacità di direzione politica richiedevano dunque di essere rafforzate, ad esempio, mediante l’introduzione del requisito della maggioranza qualificata per il voto di sfiducia. Se questa misura non fosse risultata sufficiente a garantire un governo stabile, al Cancelliere del Reich sarebbero stati concessi i pieni poteri per un periodo di tempo limitato. Si sarebbe trattato, specificava Rüstow, del «mantenimento della democrazia» attraverso l’esercizio di una dittatura limitata nel tempo («eine Diktatur

mit Bewährungsfrist»). Dittatura che da un lato avrebbe visto il Cancelliere affrancato

dal controllo del parlamento e dei partiti, mentre dall’altro gli avrebbe consentito di costruire il proprio consenso appellandosi direttamente al popolo tedesco . 18 Sarebbero state dunque indispensabili al Cancelliere indiscutibili doti carismatiche per esercitare nel quadro così delineato. Il Cancelliere avrebbe infatti mobilitato il consenso popolare interpretando la funzione dell’«uomo forte» (starker Mann) capace di assumersi le responsabilità di governo senza compromessi . 19

Le reazioni degli interlocutori di Rüstow alla Deutsche Hochschule für Politik furono discordanti: al parere favorevole di Winschuh seguì quello più equilibrato di