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Pensare per ordini: il paradigma della Scuola di Friburgo

Quella dell’ordinamento dell’economia tedesca rappresenta la questione centrale per l’ordoliberalismo anche durante gli anni del Terzo Reich. Se la fisionomia liberale e conservatrice dell’ordoliberalismo aveva preso corpo durante la crisi di Weimar, è solo dopo l’avvento al potere del nazionalsocialismo che il paradigma teorico ordliberale viene sviluppato in maniera sistematica. Il 9133 segnava l’apertura di quella che può essere considerata la fase più propriamente costruttiva nella definizione del paradigma ordoliberale di ordine dell’economia. Specialmente negli scritti pubblicati in questa fase da Walter Eucken e Franz Böhm, la teoria ordoliberale si approfondiva e assumeva quella forma sistematica che sarà ripresa in forma canonica negli anni del secondo dopoguerra. Questo approfondimento avvenne in una fase cruciale per lo sviluppo del pensiero liberale del Novecento, sia all’interno di un processo di differenziazione di diversi gruppi e scuole nazionali (tedesca, austriaca, francese inglese e americana), sia con la nascita della prima rete internazionale degli intellettuali liberali con il Colloquio Walter Lippmann a Parigi nel 1938.

Se prima del 1933 gli ordoliberali avevano concentrato la propria attenzione sulle contraddizioni dello ‘Stato totale’ e sulla definizione di una strategia politica per il superamento della sua crisi, con la nascita del Terzo Reich il problema della difesa dell’ordine borghese e del capitalismo passavano in secondo piano. La critica del pluralismo degli interessi e il richiamo alla ‘Stato forte’ non era più al centro delle preoccupazioni degli ordoliberali rimasti in Germania . Le speranze nutrite da 1

Eucken, Böhm, Rüstow e Müller-Armack in una riorganizzazione neoliberale dell’economia tedesca (come programma di un governo presidiale guidato da Brüning o von Papen) erano naufragate con la fine di Weimar. Il nazionalsocialismo aveva dimostrato di possedere autonomamente l’energia politica necessaria per tagliare il nodo di Gordio rappresentato della crisi: superato il pluralismo e neutralizzato i conflitti presenti nella società tedesca, la minaccia socialista e comunista era stata definitivamente scongiurata, almeno sul versante politico interno. La definizione di un ordinamento sociale fondato sull’economia di mercato (Verkehrwirtschaft) e la definizione della funzione specifica della politica al suo interno si trovano ora al centro degli interessi degli ordoliberali che durante gli anni Trenta non presero la strada dell’esilio, ma scelsero di restare in Germania (Eucken, Böhm, Müller-Armack). Questi ultimi accettarono il nuovo regime come la realizzazione, perseguibile nelle condizioni storiche date, di quello ‘Stato forte’ che essi avevano auspicato durante la crisi di Weimar, seppur con altre forme e contenuti Si vedano al riguardo i contributi raccolti nel numero monografico dedicato all’ordoliberalismo dalla rivista

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politici. Le opere sistematiche di Böhm e Eucken (Die Ordnung der Wirtschaft als

geschichtliche Aufgabe und rechtsschöpferische Leistung 1937, Grundlagen der Nationalökonomie 1940) così come il manifesto programmatico della Scuola di

Friburgo (Unsere Aufgabe, 1937) costituiscono l’esempio più indicativo dello sforzo compiuto a questa altezza per lo sviluppo di una nuova teoria liberale dell’ordine.

Il paradigma elaborato nella seconda metà degli anni Trenta (precisamente tra il 1937 e il 1940) faceva uso delle principali acquisizioni maturate durante la crisi di Weimar, sviluppandole tuttavia nel quadro di una nuova strategia coerente con il regime e la sua politica economica. In questa fase l’ambizione che muove la sintesi e lo sviluppo della teoria ordoliberale non è unicamente teorica ma, come era emerso già durante la crisi di Weimar, anche di natura politica. Come si è visto, l’impegno dei membri della Scuola di Friburgo non si traduce in una immediata militanza politica nel regime (Böhm e Eucken non si iscrissero alla NSDAP, mentre Müller-Armack fu l’unico ordoliberale ad essere suo membro, pur senza occupare posizioni di primo piano) ma si è tradotto nel tentativo di esercitare un influsso sulla politica economica tedesca alle prese con la riorganizzazione dell’economia nazionale ed europea tra la fine anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta.

L’assunto di fondo condiviso da Böhm e Eucken alla fine degli anni Trenta risiedeva nell’idea che per ordinare l’economia e la società tedesca del Terzo Reich non fosse più sufficiente lo ‘Stato forte’ ma fosse necessaria una decisione politica costituente in favore dell’economia di mercato (la Verkehrwirtschaft). Sull’importanza e sulla necessità di tale decisione per le sorti del capitalismo tedesco gli ordoliberali intesero richiamare l’attenzione contando sia sull’assenza di una precisa dottrina economica nazionalsocialista, sia sull’autorevolezza che a loro derivava in qualità di rappresentanti ufficiali della scienza giuridica ed economica . 2

Come si cercherà di illustrare attraverso l’analisi del manifesto della Scuola di Friburgo e delle principali pubblicazioni di Eucken e Böhm, quello ordoliberale rappresenta il tentativo di ricollocare le scienze della società (economia e diritto) come fattori costituzionali all’interno della vita politica nazionale tedesca dopo la crisi del ‘laboratorio borghese’ che si era consumata definitivamente con la caduta del Secondo Reich . Mediante una concezione sistematica dell’economia politica, 3

analoga a quella elaborata da Adam Smith nella Ricchezza delle nazioni (1776), negli anni Trenta gli ordoliberali si candidavano a svolgere il ruolo costituzionale che nella seconda metà dell’Ottocento i giuristi tedeschi avevano svolto all’interno del ‘laboratorio borghese’.

Sull’assenza di una chiara e coerente dottrina economica nazionalsocialista cfr. J. SCHUMPETER, Storia

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dell’analisi economica. III. Dal 1870 a Keynes, Bollati Boringhieri, Torino 1990, pp. 1415-1418; P. FONZI, La moneta nel Grande spazio, cit., pp. 26-28.

Cfr. P. SCHIERA, Il laboratorio borghese. Scienza e politica nella Germania dell’Ottocento, Il Mulino,

3

Bologna 1987, pp. 77-116; M. RICCIARDI, Tempo, ordine, potere. Su alcuni presupposti concettuali del programma neoliberale, in «Scienza&Politica», 57, 2017, pp. 12-13.

1. Scienza e costituzione: il programma politico della Scuola di Friburgo

È nel 1937 che Walter Eucken e Franz Böhm, insieme al giurista Hans Grossmann- Doerth, pubblicano e firmano il manifesto programmatico di quella che in futuro verrà conosciuta come la Scuola di Friburgo. Intitolato Il nostro compito (Unsere

Aufgabe), il manifesto del 1937 riassumeva i punti centrali attorno a cui si sviluppa il

programma politico e culturale degli intellettuali ordoliberali rimasti in Germania durante gli anni del Terzo Reich . Il manifesto vide la luce nello stesso anno in cui 4

vennero pubblicati numerosi testi che in quella fase ebbero un rilievo significativo nello sviluppo del pensiero neoliberale: Die Lehre von der Wirtschaft di Röpke (scritto durante gli anni in esilio in Turchia), Monetary Nationalism and International

Stability di Hayek, Economic Planning and International Order di Robbins e il

celebre libro di Walter Lippmann The Good Society . Lungi dal presentare al pubblico 5

tedesco un semplice progetto di ricerca scientifica, privo di ambizioni e legami con la politica (come spesso si è sostenuto), il manifesto ordoliberale venne allegato come prefazione al primo volume della collana Ordnung der Wirtschaft, la collana che era stata progettata da Eucken, Böhm e Grossmann-Doerth come il principale strumento al servizio della neonata Scuola di Friburgo e della sua politica culturale . 6

Come emergerà attraverso l’analisi, il manifesto ordoliberale presentava precisi connotati ideologico-politici. Le coordinate politiche e culturali della Scuola di Friburgo negli anni Trenta meritano di essere distinte tanto dal nazionalsocialismo quanto da quelle degli ordoliberali tedeschi in esilio (Röpke e Rüstow) e dei principali intellettuali europei riunitisi a Parigi in occasione Colloquio Walter Lippmann. L’impegno politico degli intellettuali rimasti in Germania, come si cercherà di illustrare, non può essere concepito in maniera apologetica, in chiave di semplice opposizione interna al regime (pur nella indiscutibile distanza teorica che separa l’ordoliberalismo dal nazionalsocialismo) ma come una strategia volta a influire dall'interno sullo sviluppo della politica economica tedesca.

Cfr. F. BÖHM, W. EUCKEN, H. GROSSMANN-DOERTH, Unsere Aufgabe (1937) in F. BÖHM, Die

4

Ordnung der Wirtschaft als geschichtliche Aufgabe und rechtsschöpferische Leistung, Kohlhammer, Stuttgart-Berlin 1937, pp. VII-XXI (tr. it., Il nostro compito, in Il liberalismo delle regole. Genesi ed eredità dell’economia sociale di mercato, a cura di F. Forte, F. Felice, Rubbettino, Soveria Mannelli 2010, pp. 3-20). Sulla lettura del manifesto della Scuola di Friburgo come programma di ricerca indipendente cfr. N. GOLDSCHMIDT, M. WOHLGEMUTH, Nascita ed eredità della tradizione friburghese, in Il liberalismo delle regole, cit., pp. 24-27.

Cfr. W. RÖPKE, Die Lehre von der Wirtschaft, Springer, Wien 1937; F.A. HAYEK, Monetary Nationalism

5

and International Stability, Longmans, London 1937 (trad. it. Nazionalismo monetario e stabilità internazionale (1937), Rubbettino, Soveria Mannelli 2015); L. ROBBINS, Economic Planning and International Order, Macmillan, London 1937; W. LIPPMANN, The Good Society, Atlantic Monthly Press, New York 1937.

All’interno della collana Ordnung der Wirtschaft nel corso degli anni Trenta furono pubblicati altri tre

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volumi di economisti appartenenti alla Scuola di Friburgo: H. GESTRICH, Neue Kreditpolitk, Kohlhammer, Stuttgart-Berlin 1936; F. LUTZ, Das Grundproblem der Geldverfassung, Kohlhammer, Stuttgart-Berlin 1936; L. MIKSCH, Wettbewerb al Aufgabe. Die Grundzüge Heiner Wettbewerbornung, Kohlhammer, Stuttgart-Berlin 1937.

Se tra il 1929 e il 1933 la crisi tedesca era stata messa a fuoco indagando il nesso che legava la dimensione internazionale della Grande depressione a quella nazionale della crisi di Weimar, nella seconda metà degli anni Trenta il programma della Scuola di Friburgo non si caratterizzava più attraverso la critica allo ‘Stato totale’ e il richiamo diretto allo ‘Stato forte’ ma attraverso la messa in discussione della tradizione tedesca dell’Ottocento e della sua eredità all’interno dello scenario politico aperto dal Terzo Reich. Dopo il 1933 l’ordoliberalismo si sviluppa attraverso un programma politico e culturale che metteva a fuoco alcuni dei principali caratteri di lungo corso della storia tedesca, al di là della crisi di Weimar (ormai archiviata dal punto di vista politico) e della Grande depressione. È sulla fisionomia del liberalismo tedesco dell’Ottocento e sul ruolo degli intellettuali tedeschi (in relazione al rapporto di scienza e politica) che la Scuola di Friburgo concentrava la sua attenzione nel momento in cui definiva la propria posizione all’interno del regime.

Il programma della Scuola di Friburgo prendeva le mosse dalla percezione di una crisi di portata epocale, che andava al di là della crisi di Weimar e della Grande depressione. Al centro di tale crisi vi erano i principi dell’età borghese e l’ordinamento politico dello spazio nazionale tedesco, così come si era affermato in Germania nel corso del XIX secolo. Erano la crisi definitiva del ‘laboratorio borghese’ dopo la caduta del Secondo Reich e la fallimentare esperienza weimariana a rappresentare il punto di partenza della riflessione di Eucken, Böhm e Grossmann- Doerth. Nel manifesto del 1937 veniva denunciata la crisi di quel particolare rapporto che in Germania aveva legato tra loro scienza e politica, liberalismo e conservatorismo e su cui lo stato nazionale unitario aveva gettato le sue fondamenta . 7

A partire dalla fine del XIX secolo la scienza giuridica e l’economia avevano perso progressivamente quella funzione costituzionale che in precedenza ne aveva garantito il prestigio sociale e le aveva rese delle componenti fondamentali nella definizione dell’ordine politico tedesco.

«In Germania - recita il manifesto ordoliberale - queste due scienze [diritto ed economia] non esercitano più alcuna influenza rilevante sulle decisioni fondamentali di natura giuridico-politica ed economica. Chi afferma che sia sempre stato così si sbaglia. Un tempo il diritto e l’economia politica erano forze formative che esercitavano un’influenza considerevole - per esempio sulla ricostruzione del sistema giuridico ed economico che ebbe luogo in tutti i paesi civili dopo la fine del XVII secolo.»8

In Germania le scienze sociali e dello Stato si formano nel contesto del dibattito post-illuministico sulla

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formazione della nuova classe dirigente e accademica tedesca, per poi svilupparsi negli anni del consolidamento dello Stato nazionale unitario e della moderna società industriale. Cfr. R. KOSELLECK, La Prussia tra riforme e rivoluzione (1791-1848), Il Mulino, Bologna 1988; I. CERVELLI, Liberalismo e conservatorismo in Prussia. 1850-1855, Il Mulino, Bologna 1983; M. STÜRMER, L’impero inquieto. La Germania dal 1866 al 1918, Il Mulino, Bologna 1993, pp. 167-193; P. SCHIERA, Il laboratorio borghese, cit.; ID., Profili di storia costituzionale. I: Dottrina politica e istituzioni, Morcelliana, Brescia 2011, pp. 67-104; ID., Profili di storia costituzionale. II: Potere e legittimità, Morcelliana, Brescia 2012, pp. 255-274, 299-326, 359-376. Non deve essere trascurato, inoltre, il contributo fornito dalla geografia alla definizione dello spazio politico tedesco nel corso del XIX secolo. Si veda al riguardo I. CONSOLATI, La prospettiva geografica. Spazio e politica in Germania tra il 1815 e il 1871, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2016.

F. BÖHM, W. EUCKEN, H. GROSSMANN-DOERTH, Unsere Aufgabe, cit., p. 3. 8

Se nel ‘laboratorio borghese’ la scienza tedesca (nelle sue declinazioni applicate alla società e allo Stato) aveva rappresentato uno dei principali fattori costituzionali dell’ordinamento politico (prima prussiano, poi imperiale), nel corso del Novecento essa non si era dimostrata più in grado di produrre efficaci mediazioni politiche e sociali, e di valere quindi come fattore d’ordine per la Germania. I giuristi e gli economisti tedeschi, come sottolineavano gli esponenti della Scuola di Friburgo, non erano più stati capaci di esprimere un punto di vista tecnico e indipendente (rispetto ai gruppi di interessi e dai partiti politici) sul sistema complessivo rappresentato dalla società e dell’economia nazionale. La denuncia ordoliberale agli esponenti delle due scienze era molto netta e si collegava alla critica del pluralismo weimariano:

«Se lo Stato segue i consigli di tali parti interessate, allora le decisione politiche, economiche e giuridiche - che sono basate su una conoscenza dei grandi principi organizzativi delle attività economiche, che derivano in questo sistema generale e da esso derivano la propria importanza - vengono sostituite da decisioni che contrastano con l’analisi sistematica dell’economia e riducono un sistema ben regolato al caos.»9

Giuristi ed economisti, lamentavano gli ordoliberali, avrebbero finito per subordinare la propria azione a quell’insieme conflittuale di interessi particolari che era caratteristico dello ‘Stato totale’. Alla visione sistemica che è propria della scienza e che ne determina la sua vocazione e funzione costituzionale nel ‘laboratorio borghese’, era subentrata una serie di interessi e approcci parziali ai problemi della nazione tedesca.

Il manifesto richiamava quindi l’attenzione sull’esigenza di una riflessione generale sullo Stato attuale e sul ruolo svolto dalle scienze sociali in Germania. All’interno della vita politica tedesca il diritto e l’economia sarebbero state detronizzate con conseguenze molto gravi. Secondo Eucken, Böhm e Grossmann- Doerth occorreva riaffermare la funzione costituzionale delle scienze della società all’interno del contesto politico nazionale. Se da un lato l’eredità ottocentesca veniva fortemente criticata (sia per la sua fisionomia specifica, improntata allo storicismo, sia per gli esiti politici di cui viene considerata corresponsabile), dall’altro gli ordoliberali continuavano a guardare al ‘laboratorio borghese’ come al modello a cui ispirarsi per riaffermare la funzione ordinatrice del diritto e dell’economia. Seppure all’interno di un contesto scientifico e politico mutato, per gli esponenti della Scuola di Friburgo l’economia e il diritto non potevano non ricoprire un ruolo costituzionale, non potevano smettere di svolgere quella funzione ordinatrice della società che può essere garantita solo dall’approccio sistematico della scienza.

La polemica ordoliberale nei confronti dell’eredità ottocentesca non chiamava in causa soltanto il pluralismo (che avrebbe compromesso l’indipendenza politica degli intellettuali) ma anche lo storicismo sotto le cui insegne si era sviluppata. Era la specifica declinazione storicista assunta della scienze sociali nella seconda metà dell’Ottocento a dover essere criticata, secondo i redattori del manifesto, se si voleva ristabilire il loro status precedente. Lo storicismo avrebbe contribuito alla diffusione di un atteggiamento relativista e fatalista presso gli intellettuali tedeschi. Questi

Ivi, p. 4. 9

avrebbero così «perso la bussola, il punto archimedeo per orientare la comprensione della realtà» .10 In una prima fase, mosso dall’ambizione di comprendere la natura mutevole della realtà e delle istituzioni di un popolo, lo storicismo tedesco aveva avuto il merito di ampliare gli orizzonti propri delle scienze sociali (al riguardo vengono citati, come esempi positivi, il giurista Friedrich von Savigny e l’economista Friedrich List) . In seguito, tuttavia, la storicismo avrebbe perso la sua capacità di 11

offrire un punto di vista universale e complessivo sulla società tedesca. Era il venir meno di quella «forza interna tacitamente operosa» che von Savigny ravvisava nel diritto ad essere denunciata dalla Scuola di Friburgo. Facendo dello sviluppo storico il proprio «punto di riferimento assoluto», i giuristi dell’Ottocento avevano progressivamente rinunciato ad esercitare la propria funzione politica e sociale in maniera creativa. Davanti alle profonde trasformazioni del tessuto economico e sociale della Germania, lo storicismo aveva accettato in maniera fatalistica i cambiamenti in corso nella società, limitandosi a registrare sul piano legale la loro affermazione.

Per gli ordoliberali, quello rappresentato dallo storicismo costituiva un problema di carattere politico che investiva il ruolo e la funzione svolta dagli intellettuali tedeschi all’interno ‘laboratorio borghese’.

«Siamo storici abbastanza da considerare il fatalismo storicista per quello che realmente è: un segno di debolezza da parte di certi intellettuali. Secondo il loro intelletto insicuro non riescono a trovare la forza di affrontare il compito di condizionare gli eventi e, di conseguenza, si relegano al ruolo di osservatori. Nel tentativo di giustificare il loro atteggiamento, lavorano regolarmente con costruzioni e dottrine storiche che sono del tutto irrealistiche. Soprattutto, non riescono ad apprezzare l’enorme varietà delle forze che condizionano la storia.» 12

Alla scuola storica del diritto e dell’economia veniva attribuita l’idea secondo cui non si debba influire sull’evoluzione della società e che «lo sviluppo economico dovesse essere accettato come dato» . Lo storicismo e il liberalismo economico ottocentesco 13 condividevano inoltre la stessa fiducia nelle virtù nel progresso e nella capacità di autoregolazione del mercato. Come esempio al riguardo, gli autori del manifesto citavano la mancata introduzione di una legislazione anti-trust volta a tutelare la concorrenza e regolare la formazione dei cartelli. Agli occhi degli ordoliberali questo rappresentava uno dei principali fallimenti del liberalismo tedesco nel governare lo sviluppo capitalistico, tutelando le condizioni istituzionali per la sua riproduzione

Ivi, p. 6. 10

Su Savigny si vedano G. MARINI, Friedrich Carl von Savigny, Guida, Napoli 1978; M. FIORAVANTI,

11

Giuristi e costituzione politica nell’Ottocento tedesco, Giuffrè, Milano 1979. Su List si vedano: J.A. SCHUMPETER, Storia dell’analisi economica II. Dal 1790 al 1870, Bollati Boringhieri, Torino 1990, pp. 607-617; W.O. HENDERSON, Friedrich List: Economist and Visionary 1789-1846, Frank Cass, London 1983.

F. BÖHM, W. EUCKEN, H. GROSSMANN-DOERTH, Unsere Aufgabe, op. cit., p. 10. 12

Ivi, p. 8. 13

equilibrata . Lo storicismo sarebbe stato dunque stato all’origine di 14 quell’atteggiamento diffuso tra giuristi ed economisti che ha condotto ad accettare la nascita delle grandi concentrazioni di potere economico e dei cartelli industriali nel corso della seconda metà dell’Ottocento, senza interrogarsi sulla loro conformità ai principi di mercato e più in generale al quadro complessivo dell’economia tedesca. Le conseguenze di tutto ciò sarebbero emerse in maniera drammatica durante la crisi di Weimar. «Di fronte a un atteggiamento fatalista - denunciavano gli autori del manifesto - il giurista può solo adeguarsi alle condizioni economiche. Non sente di avere la forza per influenzarle» . Nel «fatalismo» storicista si individuava dunque 15 l’origine della crisi del nesso scienza-politica che nell’Ottocento era stato alla base dello stato nazionale tedesco.

La scuola storica dell’economia (di cui Sombart e Schmoller erano i principali esponenti) e il marxismo rappresentavano per l’ordoliberalismo i principali eredi dello storicismo e come tali furono oggetto di aspre critiche. Contro Marx (a cui si attribuiva la concezione secondo cui lo sviluppo tecnico-economico rappresenti l’«unico fattore determinante di ogni processo storico») gli ordoliberali intendevano riaffermare «il potere della scienza di essere una forza vitale» e con esso quello degli intellettuali capaci di interpretare la propria funzione in senso costruttivo all’interno della realtà sociale e istituzionale. Emblematico in questo senso è il richiamo ordoliberale all’esempio fornito da Karl von Stein e Otto von Bismarck. Con la loro azione di statisti entrambi avevano offerto la prova del ruolo decisivo che i «cambiamenti strutturali nel governo» e gli «eventi politici interni ed esterni» possono giocare nell’influenzare lo sviluppo economico di una nazione . È sulla scia 16 dei due statisti e riformatori prussiani che la Scuola di Friburgo definiva le coordinate politiche alla base del suo programma politico e culturale.

Alla scuola storica dell’economia, inoltre, non veniva attribuito solo