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I criteri di quantificazione della sanzione pecuniaria alla luce dei principi di effettività, proporzionalità e

3.7.1 La questione

Come si declinano i principi di proporzionalità e dissuasività rispetto alla valutazione dell’adeguatezza delle sanzioni amministrative in materia di pratiche commerciali scorrette? In questa sezione si analizzano i criteri di determinazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, alla luce dei principi europei di effettività, proporzionalità e dissuasività. Occorre brevemente accennare alla disciplina in materia, per poi identificare le principali questioni. La disciplina di diritto positivo si rinviene in particolare nell’art. 11 della l. 689/1981 secondo cui “nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell'applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all'opera svolta dall'agente per la eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche”. Tale norma si applica in generale rispetto alla determinazione della misura delle sanzioni amministrative salvo norme speciali che lo escludano, in ragione di quanto previsto dall’art. 12 della legge citata. In materia di pratiche commerciali scorrette poi, è l’art. 27 cod. cons. a richiamare esplicitamente l’art. 11 l. 689/81.

L’applicazione dell’art. 11, cit., è esclusa dall’art. 195 quinquies TUF per le sanzioni ivi previste nella parte V, titolo II76. Viene a tal proposito in rilievo l’art. 194 bis TUF, secondo cui rispetto alle sanzioni poste dal TUF, “la Banca d'Italia o la Consob considerano ogni circostanza rilevante e, in particolare, tenuto conto del fatto che il destinatario della sanzione sia persona fisica o giuridica, le seguenti, ove pertinenti: a) gravità e durata della violazione; b) grado di responsabilità; c) capacità finanziaria del responsabile della violazione; d) entità del vantaggio ottenuto o delle perdite evitate attraverso la violazione, nella misura in cui essa sia determinabile; e) pregiudizi cagionati a terzi attraverso la violazione, nella misura in cui il loro ammontare sia determinabile; f) livello di cooperazione del responsabile della violazione con la Banca d'Italia o la Consob; g) precedenti violazioni in materia bancaria o finanziaria commesse da parte del medesimo soggetto; h) potenziali conseguenze sistemiche della violazione; h-bis) misure adottate dal responsabile della violazione, successivamente alla violazione stessa, al fine di evitare, in futuro, il suo ripetersi”.

75 Il paragrafo che segue può essere letto insieme al § 4.3.2 in materia di discrezionalità amministrativa dell’autorità di enforcement,

in rapporto al sindacato giurisdizionale nell’ambito delle pratiche commerciali scorrette e dell’illecito anticoncorrenziale.

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Per quanto riguarda le sanzioni previste dal titolo VII del TUB, analogamente l’art. 144 quater TUB prevede che “nella determinazione dell'ammontare delle sanzioni amministrative pecuniarie o della durata delle sanzioni accessorie previste nel presente titolo la Banca d'Italia considera ogni circostanza rilevante e, in particolare, tenuto conto del fatto che il destinatario della sanzione sia persona fisica o giuridica, le seguenti, ove pertinenti: a) gravità e durata della violazione; b) grado di responsabilità'; c) capacità finanziaria del responsabile della violazione; d) entità del vantaggio ottenuto o delle perdite evitate attraverso la violazione, nella misura in cui essa sia determinabile; e) pregiudizi cagionati a terzi attraverso la violazione, nella misura in cui il loro ammontare sia determinabile; f) livello di cooperazione del responsabile della violazione con la Banca d'Italia; g) precedenti violazioni in materia bancaria o finanziaria commesse da parte del medesimo soggetto; h) potenziali conseguenze sistemiche della violazione”.

Occorre infine ricordare che in alcuni casi, ad esempio per quanto riguarda l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, è la stessa Autorità a limitare ulteriormente la propria discrezionalità, adottando dei provvedimenti che dettagliano le previsioni di cui al già citato art. 1177.

In questa sezione si guarderà dunque all’interpretazione dei criteri posti a livello legislativo che ha dato la giurisprudenza amministrativa, interpretandola alla luce del principio di proporzionalità e dissuasività delle sanzioni, di derivazione europea, che assumono una sicura importanza nello sviluppo dell’argomentare delle Corti. Lo si farà in materia di pratiche commerciali scorrette ma pari valutazioni potrebbero riguardare altri illeciti amministrativi commessi ai danni dei consumatori.

3.7.2 Cons. Stato, 16 agosto 2017, n. 4011

3.7.2.1 Il fatto e gli argomenti delle parti

La pronuncia in esame trae origine dalla segnalazione all’AGCM di una pratica commerciale scorretta consistente nella mancata indicazione, tanto nell’ambito del messaggio pubblicitario quanto sulla confezione di imballaggio, della effettiva composizione di un indumento (un accappatoio), verificabile esclusivamente attraverso la lettura dell’etichetta interna del prodotto. All’esito dello svolgimento dell’istruttoria, l’Autorità ravvisa la violazione degli artt. 21 e 22 cod. cons. e, per l’effetto, vieta la diffusione ulteriore della pratica commerciale scorretta e irroga alla società responsabile una sanzione amministrativa pecuniaria.

La società condannata ricorre pertanto dinanzi al Tar del Lazio, sostenendo la liceità della propria condotta e lamentando, in merito all’entità della sanzione applicata, la mancata valutazione da parte dell’Autorità dell’effettiva gravità della pratica commerciale esaminata. In particolare, la ricorrente contesta l’omessa considerazione sia della portata oggettiva della pratica posta in essere sia, sul piano soggettivo, dei ricavi conseguiti dall’impresa per effetto dell’attuazione della stessa.

Accogliendo queste argomentazioni, il Tar, pur confermando la scorrettezza della pratica, riduce l’importo della sanzione originariamente comminata.

L’AGCM impugna dunque la sentenza di primo grado, rilevando l’esattezza del proprio operato in sede di quantificazione della sanzione. Ad avviso dell’Autorità, infatti, la determinazione del quantum della sanzione prescinde anzitutto, sul piano oggettivo, dalla considerazione di un eventuale pregiudizio cagionato in concreto dalla pratica scorretta; inoltre, sul piano soggettivo, la sanzione pecuniaria deve essere parametrata sulla base del fatturato complessivo dell’impresa

77 Si vedano gli articoli 24 ss. dell’allegato alla delibera ARG/com 136/2011, disponibile all’indirizzo:

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responsabile e non già sulla base del solo introito derivante dalla commercializzazione del prodotto oggetto della pratica censurata.

Il Consiglio di Stato, aderendo alle argomentazioni proposte dall’AGCM, accoglie l’appello. 3.7.2.2 Interesse/diritto leso

Nel convalidare la posizione dell’Autorità, il Consiglio di Stato riconduce la condotta commerciale in questione nell’alveo di “quelle condotte che, in quanto ingannevoli o omissive, sono potenzialmente idonee ad influenzare e a orientare le scelte del consumatore, compromettendone la libertà di scelta e di autodeterminazione sulla base di inesatte o di incomplete rappresentazioni”.

In particolare, alla luce dell’originario accertamento della AGCM, la pratica integra una violazione degli art. 21 e 22 del cod. cons., che sanzionano, rispettivamente, ogni azione idonea a indurre in errore il consumatore medio sulle reali caratteristiche del prodotto nonché ogni omissione di informazioni rilevanti di cui il consumatore medio deve venire a conoscenza per maturare una decisione consapevole.

3.7.2.3 Rimedio

Con provvedimento confermato in grado d’appello, l’Autorità adita inibisce la continuazione della pratica commerciale scorretta e condanna la società responsabile al pagamento di una sanzione pecuniaria determinata alla luce dei criteri dettati dall’art.11 della l. 689/1981.

Al riguardo, appare opportuno evidenziare che il potere sanzionatorio esercitato nel caso di specie trova fondamento nell’art. 27, co. 9, cod. cons., ai sensi del quale “con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, l’Autorità dispone inoltre l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 5.000.000 di euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione”; inoltre, in forza dell’espresso richiamo di cui al co. 13 della predetta disposizione, la quantificazione della sanzione è operata in applicazione dei parametri di cui all’art. 11, l. 689/1981, secondo cui “nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell'applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all'opera svolta dall'agente per la eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche”.

3.7.2.4 Gli argomenti

Le motivazioni esposte dal Consiglio di Stato muovono dalla considerazione della ratio sottesa alla normativa di riferimento, volta a prevenire l’attuazione di pratiche commerciali scorrette attraverso la disincentivazione delle imprese dal commetterle. Tale ratio, a giudizio del Collegio, deve essere tenuta in debito conto in sede di quantificazione della sanzione pecuniaria, con almeno un duplice ordine di conseguenze.

In primo luogo, al fine di assicurare una tutela effettiva, l’Autorità è tenuta a valutare l’incidenza potenziale della pratica commerciale sulle scelte dei consumatori, a prescindere dalla concreta causazione di un danno. In altri termini: “la natura di illeciti di pericolo, e non di danno, delle condotte in questione comporta che l’Autorità, nell’accertare il carattere scorretto e ingannevole della pratica, è chiamata a valutare l’impatto della condotta posta in essere con riguardo al potenziale condizionamento dell’autodeterminazione del consumatore”, atteso che “il legislatore ha inteso anticipare la soglia di tutela del consumatore al momento dell’approccio pubblicitario al prodotto, disponendo che già in tale sede debba esservi un’adeguata, chiara e veritiera informazione”.

In secondo luogo, al fine di assicurare la proporzionalità e la dissuasività della sanzione, l’Autorità deve determinare il quantum della condanna assumendo come parametro di riferimento la dimensione economica dell’operatore. Nel richiamare l’orientamento della Corte di Giustizia

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sul punto (sentenza Nemzeti, 16 aprile 2015, C-388/13), il Consiglio di Stato precisa che, affinché la sanzione assolva a una concreta funzione deterrente, “l’accertamento della violazione ai fini della quantificazione della sanzione non deve, pertanto, essere valutato in base ai ricavi conseguiti attraverso la commercializzazione del prodotto oggetto della condotta illecita, ma avendo invece quale punto di riferimento il diverso criterio del fatturato complessivo realizzato dal professionista nell’ultimo anno”.

3.7.3 La giurisprudenza italiana

Occorre collocare il caso appena esaminato all’interno della giurisprudenza nazionale che si è sviluppata rispetto alla modulazione della misura della sanzione.

3.7.3.1 La misura della sanzione nella giurisprudenza amministrativa

Si può a tal proposito richiamare la sentenza Tar Lazio, n. 12709 del 10 novembre 2015, in cui il Tribunale afferma che, al fine di quantificare la sanzione, occorre valutare “il comportamento posto in essere dall’operatore rispetto alla diligenza professionale richiesta alla stregua della normativa di riferimento, sia la descritta potenzialità lesiva della predetta prassi commerciale per le sue possibili diffuse ricadute economiche sui consumatori”. Tale indirizzo è dal giudice amministrativo posto a confronto con l’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia nel caso Nemzeti78, richiamando la parte in cui i Giudici di Lussemburgo pongono l’accento sulla necessità che le sanzioni siano “adeguate ed efficaci”; il Tar ricorda che dunque queste devono “assolvere ad una concreta funzione dissuasiva, prendendo in debita considerazione fattori quali la frequenza della pratica addebitata, la sua intenzionalità o meno e l'importanza del danno che ha cagionato al consumatore”.

Con riguardo ai parametri in base a cui la giurisprudenza valuta la proporzionalità della sanzione, si può richiamare Cons. Stato, n. 4378, del 19 settembre 2017, in cui il supremo giudice amministrativo afferma l’opportunità di un’interpretazione dei parametri di quantificazione di cui all’articolo 11 della Legge n. 689/81 che valorizzino, “la diffusività dei messaggi pubblicitari censurati (suscettibili di raggiungere un considerevole numero di consumatori), l’ampiezza della campagna pubblicitaria ed il carattere reiterato dei messaggi, la durata della campagna pubblicitaria, il carattere insidioso della pratica commerciale in ragione del carattere vulnerabile dei consumatori (…), la dimensione economica e la notorietà professionale dell’impresa”. Di interesse anche la pronuncia Tar Lazio, n. 14102, del 16 dicembre 2015, in cui il giudice amministrativo valuta la gravità in relazione alla diffusione della condotta fra i consumatori, nel caso di specie rivolta a “una platea indiscriminata di consumatori via internet”, tenendo conto della durata della violazione. Il Tribunale si sofferma poi sull’importanza della valutazione della proporzionalità della sanzione “in relazione al fatturato globale della ricorrente”79, anche tenuto conto della “funzione dissuasiva da riconoscere alle sanzioni amministrative in questo campo”. Rispetto alla rilevanza della dimensione economica si può richiamare anche Tar Lazio, 4 giugno 2012, n. 5026, nel quale il giudice amministrativo ha affermato che “il parametro della dimensione economica - che va sicuramente considerato in quanto incluso tra i criteri di carattere generale dettati dall’art. 11 della l. n. 689 del 1981, senza che tuttavia l’Autorità sia tenuta ad una puntuale considerazione delle quote di mercato (a differenza di quanto avviene, ad esempio, in materia di tutela della concorrenza) - non solo assicura gli effetti deterrenti della sanzione, ma è anche idoneo, di per sé, a rendere più efficace la comunicazione pubblicitaria e, pertanto, ad aggravarne la valenza lesiva”. Sul punto pare opportuno citare anche Tar Milano, 15 dicembre 2015 n. 2654, relativa a una sanzione comminata dall’AEEG, secondo cui rispetto alla valutazione circa le “condizioni economiche dell’agente”, “è ovvio che il fatturato (…) sia rilevante; pur tuttavia la sanzione pecuniaria (…), non può assurgere ad una sorta di “sanzione punitiva” legata soltanto alla dimensione aziendale, dovendo comunque essere sempre commisurata all’illecito in concreto posto in essere”.

78 Si veda sul punto il § XX.

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La funzione dissuasiva della sanzione nell’argomentazione del Tribunale assume particolare rilevanza; questa viene interpretata alla luce del già citato caso Nemzeti80. Si legge a tal proposito nella sentenza del Tar che le sanzioni devono essere “adeguate ed efficaci e dunque assolvere ad una concreta funzione dissuasiva, prendendo in debita considerazione fattori quali la frequenza della pratica addebitata, la sua intenzionalità o meno e l'importanza del danno che ha cagionato al consumatore” (nello stesso senso anche Tar Lazio n. 3101 dell’11 marzo 2016).

Di interesse anche la pronuncia Cons. Stato, del 13 febbraio 2018 n. 911 che si trova a giudicare della proporzionalità di una sanzione irrogata dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas all’Enel in ragione della violazione del Testo integrato delle disposizioni dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas in materia di qualità dei servizi di distribuzione, misura e vendita. Il supremo giudice amministrativo ha affermato la violazione del principio di proporzionalità, in quanto la sanzione non è proporzionata rispetto alla non gravità del fatto. Ancora in materia di sanzioni irrogate dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas, è di particolare interesse la pronuncia del Consiglio di Stato, n. 4580, del 15 luglio 2010, in cui si afferma che rispetto all’individuazione del parametro per valutare la dimensione economica dell’impresa ai fini della proporzionalità della sanzione “la scelta di fare riferimento, per quantificare la sanzione, al fatturato anziché all’utile netto è legittima in quanto (…) il fatturato appare più idoneo a rivelare la capacità economica dell’impresa. Basti considerare che l’utile di bilancio potrebbe essere determinato in maniera non elevata per variati motivi (anche solo fiscali), che spesso il momento di irrogazione della sanzione non coincide con quello dell’approvazione del bilancio di esercizio, e, infine, che il bilancio potrebbe chiudere anche in perdita (il che renderebbe impossibile applicare la sanzione)”. Chiaramente il giudice amministrativo tende a garantire non solo la proporzionalità ma anche la dissuasività della sanzione, posto che il riferimento a un parametro facilmente “manovrabile” da parte dell’impresa potrebbe ridurre la forza dissuasiva della sanzione.

3.7.3.2 La misura della sanzione nella giurisprudenza civile

Rispetto ai giudizi che si incardinano davanti al giudice ordinario, si possono richiamare l’art. 195 TUF e 145 TUB, che prevedono la giurisdizione del giudice civile81.

Con riguardo ai giudizi civili, e rispetto alla misura della sanzione, è opportuno ricordare l’orientamento secondo cui il giudice dell'opposizione a provvedimento sanzionatorio, nel sindacato sull'ammontare della pena pecuniaria, è autonomamente chiamato a controllarne la rispondenza alle previsioni di legge, e, pertanto, non è soggetto a fissi parametri di proporzionalità, correlati al numero ed alla consistenza degli addetti, potendo reputare congrua l'entità della sanzione inflitta dall'autorità amministrativa sulla base di una molteplicità di incolpazioni anche quando ritenga insussistente una di esse, ove esprima, come nella specie, un apprezzamento di sostanziale ininfluenza della medesima di quest'ultima sulla complessiva gravità dei fatti (o sempre che, come pacificamente nel caso in esame, siano rispettati i limiti di legge)” (Cass. Civ. 4 novembre 2011, n. 16498; nello stesso senso Cass. Civ. 2 aprile 2015, n. 6778; Cass. Civ. 7 aprile 2017, n. 9126). Parzialmente simile è l’indirizzo secondo cui “in tema di sanzioni amministrative pecuniarie, quali appunto quelle per violazione della legge bancaria, ove la norma indichi un minimo e un massimo della sanzione, spetta al potere discrezionale del giudice determinarne l’entità entro tali limiti, senza esser tenuto nemmeno a specificare in sentenza i criteri adottati nel procedere a detta determinazione” (Cass. Civ., 9546, 18 aprile 2018).

Occorre anche rammentare che rispetto alla decisione di merito non è previsto un secondo grado di giudizio; il ricorso in Cassazione circa la misura della sanzione pecuniaria modulata dal giudice

80 Si veda sul punto il § 3.7.4.

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dell’opposizione è proponibile “ove siano stati superati i limiti edittali della sanzione, oppure emerga dal provvedimento che non si sia tenuto conto dei parametri previsti dall’art. 11 della l. 689 del 1981, quali la gravità della violazione, la personalità dell’agente e le sue condizioni economiche” (Cass. Civ., 9546, 18 aprile 2018). In punto di valutazione delle condizioni economiche del soggetto destinatario della sanzione amministrativa, preme segnalare la sentenza della Corte di Cassazione, n. 12502/2018, che accoglie il ricorso di un amministratore di società di gestione del risparmio avverso la sentenza di appello, a sua volta avente ad oggetto l’impugnazione del provvedimento sanzionatorio della Banca d’Italia per carenze organizzative, dei controlli interni e dei prospetti contabili determinate dal consiglio di amministrazione. Pur non invocata espressamente, la sproporzione della sanzione rispetto al reddito effettivo del ricorrente e la mancata considerazione della documentazione da questi addotta sono alla base del rinvio alla Corte di appello per la rideterminazione della sanzione.

3.7.4 La giurisprudenza europea

È opportuno guardare al caso Nemzeti, deciso dalla Corte di Giustizia il 16 aprile 2015, C- 388/13. Qui la Corte afferma che le “disposizioni della direttiva sulle pratiche commerciali sleali sono concepite essenzialmente nell’ottica del consumatore quale destinatario e vittima di pratiche commerciali sleali”. E, se la direttiva lascia agli Stati membri la scelta circa i rimedi, questi devono essere “adeguat[i] ed efficaci, e le sanzioni in tal modo previste siano effettive, proporzionate e dissuasive” (nello stesso senso anche la sentenza Köck, del 17 gennaio 2013, C-206/11). Tali sanzioni, continua la Corte, devono rispondere al principio di proporzionalità, ed è “in tale contesto che potranno essere presi in debita considerazione fattori quali la frequenza della pratica addebitata, la sua intenzionalità o meno e l’importanza del danno che ha cagionato al consumatore”. Spetta dunque al giudice di merito il compito di valutare “se le conseguenze derivanti, in applicazione del diritto nazionale che recepisce la direttiva sulle pratiche commerciali sleali, dal divieto della pratica commerciale ingannevole utilizzata nella fattispecie dal professionista siano conformi ai requisiti di tale direttiva e, più specificamente, al principio di proporzionalità”.

Rispetto ai criteri di determinazione della sanzione, è opportuno richiamare, anche per comprendere le tendenze dell’ordinamento europeo, l’art. 9 del recente Regolamento UE 2017/2394 “sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori”, nella parte in cui prevede che le sanzioni irrogate per la violazione del Regolamento dalle Autorità amministrative debbano essere “effettive, proporzionate e dissuasive, conformemente alle prescrizioni delle norme dell’Unione sulla tutela degli interessi dei consumatori. In particolare, si tiene debito conto, se del caso, della natura, gravità e durata dell’infrazione in oggetto”.

3.7.5 Rilievi conclusivi e questioni aperte.

Si è visto in questa sezione come i principi di dissuasività e proporzionalità, principi generali del diritto europeo, possono incidere e influenzare l’interpretazione del diritto nazionale, e in particolare dei criteri di cui all’art. 11 della l. 689/1981, per esempio rispetto all’individuazione degli elementi di fatto da considerare nel tener conto della condizione economica dell’impresa. Il riferimento ai principi di proporzionalità e dissuasività potrebbe favorire il richiamo di parametri ulteriori rispetto a quelli menzionati nell’art. 11, cit., o comunque una sua maggiore specificazione. Si possono formulare, anche a titolo esemplificativo, le seguenti questioni: La gravità della violazione si estende anche alla gravità delle conseguenze? Il danno è parametro di quantificazione della sanzione amministrativa? È possibile su queste basi tenere in debito conto il numero di consumatori potenzialmente interessati o il numero di quelli effettivamente lesi?