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Onere della prova e tutela del consumatore nell’illecito anticoncorrenziale

- Dal punto di vista probatorio, come si riflette sul giudizio civile di risarcimento danni da illecito anticoncorrenziale l’accertamento contenuto nel provvedimento dell’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato?

- Quale significato assume il concetto di “effettività” nell’ambito del giudizio risarcitorio promosso dal consumatore danneggiato da illecito anticoncorrenziale?

2.1 Il contesto europeo e quello italiano

Questa sezione indagherà il tema dell’onere della prova in relazione al sistema delle tutele consumeristiche di derivazione europea, e dunque anche al rispetto dei relativi principi, con particolare riguardo a quelli di effettività e proporzionalità. Si è dunque guardato all’influenza della disciplina e della giurisprudenza europee rispetto alla distribuzione dell’onere della prova che, com’è noto, nel nostro ordinamento è regolato in linea generale dagli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c.

Il tema è di particolare interesse in quanto, al pari della rilevazione officiosa della nullità, mette in luce l’incidenza delle regole processuali rispetto alla soddisfazione dell’interesse tutelato dal diritto sostanziale. Gli specifici settori oggetto di analisi sono i giudizi di responsabilità della banca, o dell’intermediario finanziario per violazione di obblighi di informazione, la garanzia di conformità prevista dalla Direttiva 99/44/CE, nonché l’ambito dell’illecito anticoncorrenziale.

La distribuzione dell’onere della prova in senso favorevole per il consumatore risponde a necessità di riequilibrio, di fronte a una asimmetria di potere fra consumatore e professionista, come è anche per i poteri di rilevazione officiosa da parte del giudice. A differenza di quanto visto nel capitolo 1 però muta la tecnica: qui non si introduce un soggetto terzo – il giudice, e per suo tramite, in definitiva, lo Stato – che interviene “a sostegno” del consumatore, ma si riequilibrano i poteri delle parti, ponendo in una posizione di svantaggio la parte che gode di una posizione di forza.

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2.2 Onere della prova nei giudizi di responsabilità della banca o dell’intermediario finanziario per violazione degli obblighi di informazione

2.2.1 La questione e i riferimenti normativi

Come possono incidere i principi europei di proporzionalità, effettività e dissuasività sulla distribuzione dell’onere della prova dell’inadempimento degli obblighi informativi, per come disegnata dal legislatore e dalla giurisprudenza italiani?

La questione che si affronta in questa sezione è quella della distribuzione dell’onere della prova rispetto alla violazione di obblighi informativi da parte di un intermediario finanziario o di un creditore nell’ambito del credito al consumo. Il tema è da declinarsi sia rispetto alla prova dell’inadempimento degli obblighi informativi, sia rispetto all’esistenza del nesso causale fra tale inadempimento e il danno prodotto.

Si è scelto di trattare congiuntamente della giurisprudenza in materia di credito al consumo e in materia di investimenti, anche in presenza di diversi riferimenti normativi, in ragione dell’unitarietà della questione da un punto di vista teorico, nonché del possibile accostamento delle funzioni di tali obblighi. Si rende però necessario un breve richiamo della disciplina normativa, che permetta di leggere la giurisprudenza avendo sempre presente il quadro di diritto positivo in cui si sviluppa.

Per quanto attiene al credito al consumo, la disciplina di riferimento è, a livello europeo, l’art. 5 della Direttiva 2008/48/CE, che prevede degli obblighi di informazione nella fase precontrattuale, volti a permettere al consumatore di “raffrontare le varie offerte al fine di prendere una decisione con cognizione di causa in merito alla conclusione di un contratto di credito”; le informazioni sono fornite al consumatore su un supporto durevole e attraverso un modulo allegato alla direttiva. Nell’ambito del diritto nazionale, la norma di recepimento è l’art. 124 TUB, che prevede che detti obblighi di informazione debbano permettere al consumatore “il confronto delle diverse offerte di credito sul mercato, al fine di prendere una decisione informata e consapevole in merito alla conclusione di un contratto di credito”.

Nell’ambito dell’intermediazione finanziaria, è la Direttiva 2014/65, all’art. 24, a prevedere gli obblighi informativi, che hanno ad oggetto le “imprese di investimento, ai relativi servizi, gli strumenti finanziari e le strategie di investimento proposte, le sedi di esecuzione e tutti i costi e oneri relativi”. Occorre poi citare il Regolamento delegato 2017/565/UE (artt. 44 e ss.), che dettaglia gli obblighi di cui all’art. 24. In ambito nazionale, l’art. 21 TUF prevede un obbligo di diligenza correttezza e trasparenza, nonché di “acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati” e di “utilizzare comunicazioni pubblicitarie e promozionali corrette, chiare e non fuorvianti”, mentre è l’art. 23 TUF a prevedere che “nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l'onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta”. La normativa di dettaglio è ora il “Regolamento intermediari”, adottato con delibera n. 20307 del 15 febbraio 2018 dalla Consob26, che richiama anche il Regolamento 2017/565/UE.

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2.2.2 Cass. Civ., 28 febbraio 2018, n. 4727

2.2.2.1 Il fatto, gli argomenti delle parti, e i precedenti gradi di giudizio

V.L. e C.E. agiscono in giudizio ai fini del risarcimento del danno per la perdita di capitale investito in obbligazioni, contro la Banca Popolare di Milano, in ragione della violazione di obblighi informativi da parte della banca. Il Tribunale di Lecco aveva affermato la responsabilità della banca, ritenendo che il comportamento tenuto fosse contrario a quanto previsto dall’art. 21 TUF, in materia di obblighi informativi, e valutando la sussistenza “di un nesso di regolarità causale con l’illecito contrattuale accertato”. La Corte di Appello adita ha al contrario escluso la sussistenza del nesso causale fra l’inadempimento della banca e il danno patito dagli appellati, in ragione del fatto che la violazione degli obblighi informativi non aveva inciso sulla decisione dell’investitore, “orientato da un intento speculativo”. La Corte di Appello, a quanto risulta dalla sentenza dei Giudici di legittimità, pone a fondamento della decisione principalmente due elementi di fatto. Il primo è la circostanza per cui “già nella fase antecedente la conclusione del contratto di compravendita di strumenti finanziari la sig.ra C. era stata avvisata dei rischi connessi all'investimento in titoli obbligazionari ma aveva comunque preferito le obbligazioni XX in considerazione della maggior rendita garantita”; il secondo il fatto che dopo un anno dalla sottoscrizione dei titoli obbligazionari, “la funzionaria della banca aveva avvertito l’investitrice che la situazione del mercato finanziario era mutata e che i titoli XX erano privi di rating”. Quest’ultima circostanza, secondo il giudice dell’appello, è da considerarsi interruttiva del nesso di causalità e il danno deve “essere ascritto a fatto proprio dei danneggiati che, pur informati sull'aggravamento delle condizioni del mercato, avevano deciso di mantenere l’investimento”.

I clienti propongono ricorso in Cassazione, facendo valere la violazione degli artt. 21 e 23 del TUF, nonché gli art. 26, 28, e 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, applicabile ratione temporis, deducendo come primo motivo che la Corte d’Appello avesse applicato in modo non corretto i “principi che disciplinano il nesso causale e non averne ritenuto la sussistenza sull'erroneo presupposto che l'eventuale violazione degli obblighi informativi non avrebbe inciso sulla decisione del cliente”. I clienti osservano che è irrilevante e generica l’informazione data successivamente all’investimento, in quanto “relativa soltanto al rischio di una flessione della quotazione del titolo, non al default dovuto al fallimento dal quale è conseguita la perdita del capitale investito”. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 28 e 30 del Reg. Consob 11522/1998, in quanto “l’intermediario non ha assolto agli obblighi informativi indicati nelle norme citate, anche sotto il profilo delle informazioni da richiedere ai fini della definizione del profilo di rischio dell’investitore. Viene sottolineato che i ricorrenti hanno prima sottoscritto l’ordine di acquisto e successivamente il contratto quadro, elemento che indica il deficit di acquisizione di informazioni richiesto dalle disposizioni regolamentari”.

Con il terzo motivo è dedotto vizio di motivazione rispetto all’accertamento sulla mancanza del nesso di causalità.

2.2.2.2 Interesse leso

Rispetto all’individuazione dell’interesse leso, è senz’altro almeno quello ad un investimento consapevole, anche considerando che la disciplina è volta a colmare l’asimmetria informativa esistente fra l’investitore e l’intermediario. Ed infatti si legge nella pronuncia della Corte di Cassazione che “l’intermediario finanziario ha l’obbligo di fornire all'investitore un’informazione adeguata in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente e che, quindi, l’assolvimento di tale obbligo implica la formulazione, da parte dell'intermediario medesimo, di indicazioni idonee a descrivere la natura, la quantità e la qualità dei prodotti finanziari ed a rappresentarne la specifica rischiosità”. In un altro passo dell’arresto si legge che “all’investitore è rimesso il potere decisionale di stabilire il grado di aleatorietà

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dell’investimento che intende sostenere, ma soltanto a condizione che l’investimento corrisponda al suo profilo personale, desumibile dalle informazioni assunte sulla tipologia di propensione all'investimento finanziario e soprattutto sia frutto di una scelta informata e consapevole in concreto del rapporto rischio rendimento, in relazione alla peculiarità del prodotto e alla sua effettiva rischiosità, con particolare riferimento al pericolo della perdita del capitale investito. Tale ultima informazione deriva da un complesso di fattori specifici e non soltanto in generale dalla categoria di prodotti finanziari negoziati o che compongono una gestione patrimoniale”.

Si può affermare che sia in gioco anche la tutela di un interesse generale, l’integrità dei mercati finanziari. Tale interesse, che si rinviene anche nella stessa lettera dell’art. 21 TUF, e la cui rilevanza è stata sottolineata anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella pronuncia n. 26724, del 19 dicembre 200727. Nella pronuncia in esame la tutela di tale interesse emerge anche dal riferimento all’importanza della valutazione del profilo dell’investitore rispetto agli investimenti da proporgli, nonché dall’argomentazione della Corte di Cassazione, secondo cui “le fattispecie contrattuali descritte nel D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 1 sono governate da una rete di norme imperative relative a requisiti di validità e ad obblighi cogenti riguardanti le prestazioni dovute, in particolare dall'intermediario, che conformano il regolamento d'interessi tipizzato dal legislatore, limitando la flessibilità endocontrattuale sia nel momento genetico che in quello attuativo del contratto”.

2.2.2.3 Rimedio

Il rimedio è quello risarcitorio, con alcune regole peculiari in materia di onere probatorio. Con riguardo all’onere della prova dell’assolvimento dell’onere informativo, questo è a carico dell’intermediario, e, afferma la Corte, “non corrisponde alla mera assenza di negligenza, ma deve concretizzarsi nella prova positiva della diligenza, mentre l’investitore è tenuto ad allegare specificamente il deficit informativo ed a fornire la prova dell’esistenza di un pregiudizio patrimoniale dovuto all’investimento od agli investimenti eseguiti”.

Di particolare interesse sono le osservazioni della Corte rispetto al nesso causale. Secondo i Giudici di legittimità “l’investitore deve allegare e provare che la perdita patrimoniale è eziologicamente riconducibile, anche in via non esclusiva, (la concorrenza di altri fattori o della condotta del creditore determinerà effetti sulla attribuzione della responsabilità per intero o parziariamente) alle caratteristiche di rischiosità del prodotto non conosciute”. Se l’onere della prova in ordine alla sussistenza del nesso causale è in capo all’investitore, questo può essere assolto anche in via presuntiva, in ragione della violazione degli stessi obblighi informativi. Si legge a tal proposito nella pronuncia che “al riscontro dell'inadempimento degli obblighi di corretta informazione consegue, secondo l’orientamento prevalente di questa Corte, l’accertamento in via presuntiva del nesso di causalità tra il detto inadempimento e il danno patito dall'investitore; presunzione che spetta all'intermediario vincere attraverso la prova di aver correttamente adempiuto. Occorre, peraltro ribadire, quanto al rapporto fra violazione degli obblighi informativi e produzione del danno, che nella prestazione del servizio di negoziazione di titoli, qualora l’intermediario abbia dato corso all’acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi, ed il cliente non rientri in alcuna delle categorie di investitore

qualificato o professionale previste dalla normativa di settore, non è configurabile alcun

concorso di colpa di quest’ultimo nella produzione del danno, nè, a fortiori, può ascriversi efficacia interruttiva del nesso di causalità alle sue scelte”. Aggiunge la Corte che “la prova del nesso causale non può dirsi eliminata dal mero rilievo del profilo “speculativo” dell’investitore, ovvero dalla sua elevata propensione al rischio, dovendo escludersi che quest'ultimo possa accettare anche i profili di rischiosità del prodotto finanziario che gli sono ignoti e dei quali alleghi la conoscenza o la prevedibilità in capo all'intermediario,

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contrattualmente obbligato ad essere preventivamente informato”. In altri termini, in presenza degli indici individuati dalla Corte (inadempimento degli obblighi informativi, come già presunto, inquadramento dell’investitore come non qualificato), il giudice presume l’inconfigurabilità del concorso di colpa dell’investitore quale possibile interruzione del nesso causale tra inadempimento e danno, nesso di cui dunque si presume l’esistenza.

2.2.2.4 Gli argomenti

Oltre a quanto già visto, è opportuno sottolineare come la Corte, qualificando come “imperativo” il regime previsto in ordine all’onere della prova, afferma che l’“obbligo positivo specifico” dell’intermediario in ordine alla prova del puntuale adempimento degli obblighi informativi, “sarebbe sostanzialmente vanificato se si ritenesse che verso l'investitore c.d. “speculativo” (…) l'intermediario non sia tenuto a fornire le informazioni relative al grado di rischio di perdita del capitale derivante dalla tipologia specifica del prodotto proposto ed acquistato. Al contrario si deve ritenere che il grado di rischio sia direttamente proporzionale al livello di puntualità delle informazioni.”

In ordine al nesso causale rileva la Corte che “l’esclusione del nesso causale desunta dalla Corte territoriale dalla c.d. prova controfattuale ­ ovvero dal convincimento relativo all’ininfluenza del comportamento giuridicamente imposto rispetto alla scelta dell’investimento – integra la violazione del richiamato sistema integrato di protezione dell’investitore che permea la disciplina normativa dalla fase precontrattuale fino alle conseguenze dannose dell'esecuzione degli ordini d'investimento, prescrivendo una rigida conformazione delle prestazioni di carattere informativo a carico dell'intermediario, in ordine alle quali deve indefettibilmente essere fornita la prova positiva per evitare le conseguenze risarcitorie (o solutorie) dell’inadempimento”.

2.2.3 La giurisprudenza italiana

La pronuncia appena esaminata deve essere inserita all’interno del contesto ordinamentale italiano, in particolare per quanto attiene alle presunzioni. Occorre qui distinguere fra la presunzione, legale, circa la prova dell’adempimento degli obblighi informativi da parte dell’intermediario, e la prova della sussistenza del nesso causale che, nell’interpretazione della Corte di Cassazione, può essere data per presunzioni fondate sullo stesso inadempimento di obblighi informativi.

A tal proposito, e citando la pronuncia della Corte di Cassazione n. 19417 del 3 agosto 2017, è opportuno sottolineare che “l’accertamento positivo dell'adempimento degli obblighi informativi esclude alla radice la domanda risarcitoria per difetto della condotta illecita esclusa dalla prova liberatoria della condotta diligente della banca”, mentre l’interruzione del nesso causale “presuppone l'inadempimento, quanto meno in astratto, della banca” e porta con sé “l’inidoneità eziologica di tale comportamento a realizzare l’evento pregiudizievole lamentato”.

2.2.3.1 L’art. 23 TUF e l’onere della prova circa l’adempimento degli obblighi informativi Rispetto alla prova dell’adempimento degli obblighi informativi, una volta che il cliente abbia allegato in modo specifico l’inadempimento28, sta all’intermediario provare “l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico e di aver agito (…) con la specifica diligenza richiesta” (Cass. Civ. 19 gennaio 2016, n. 81029). Rispetto alla prova della diligenza non si ritiene sufficiente che l’intermediario abbia consegnato un prospetto informativo al cliente, in quanto si tratta “di documento predisposto (…) nei riguardi della generalità degli investitori potenzialmente interessati”, e considerando che “gli obblighi di informazione imposti all’intermediario che presta un servizio di investimento a favore della clientela al dettaglio si pongono su un piano diverso in quanto funzionali a servire

28 Sul punto Cass. Civ., 15 settembre 2017, n. 21462. 29 Fra le molte, anche Cass. Civ., 19 ottobre 2012, n. 18039.

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al meglio l’interesse del singolo cliente, anche in considerazione delle sue caratteristiche soggettive, il che richiede un grado di diligenza ben superiore e che non può esaurirsi, sic et simpliciter, nella messa a disposizione del prospetto informativo relativo all’emissione” (ACF, 18 settembre 2017, n. 50).

A proposito della modulazione in concreto dell’obbligo informativo, la Corte di Cassazione afferma che “le informazioni da trasmettere al cliente debbono essere concrete e specifiche, come propriamente ritagliate sul singolo prodotto di investimento; e che le stesse vanno date comunque, in via indipendente dalle peculiari caratteristiche di esperienza dell'investitore e di peso dell'investimento rispetto al patrimonio complessivamente investito” (Cass. Civ., 16 febbraio 2018, n. 3914). Le informazioni devono inoltre “essere modellate alla luce della particolarità del rapporto con l’investitore, in modo da soddisfare le specifiche esigenze proprie di quel singolo rapporto” (Cass. Civ., 25 giugno 2008, n. 1734030). A tal proposito la pronuncia della Corte di Cassazione del 12 aprile 2016, n. 8089 dà un’impostazione di fondo distinguendo fra un “contenuto oggettivo ed uno soggettivo” degli obblighi di informazione. Rispetto al profilo soggettivo osserva la Corte che questo “condiziona la valutazione dell’assolvimento dell'obbligo informativo, costituendo uno degli indicatori dell’adeguatezza, ma non lo esaurisce”, e non “non può determinare l'eliminazione dell'obbligo legale d'informazione a carico dell'intermediario o la sua riconduzione entro clausole di stile, dovendosene valutare l’assolvimento in primo luogo in considerazione della natura ed entità (…) degli investimenti nonché della tipologia e della rischiosità dei medesimi”. Per quanto riguarda il contenuto oggettivo, questo “non può essere determinato esclusivamente alla stregua del profilo soggettivo dell'investitore, quando quest'ultimo non sia operatore professionale, ma deve essere anche caratterizzato da un nucleo di dati oggettivamente riferibili agli investimenti che si intendono proporre contrattualmente ed eseguire”.

Ai fini del corretto adempimento degli obblighi di informazione, sta all’intermediario il compito di “attivarsi per ottenere una conoscenza preventiva adeguata del prodotto finanziario alla luce di tutti i dati disponibili che ne possano influenzare la valutazione effettiva della rischiosità (quali la solvibilità dell'emittente, il contenuto del prospetto informativo specifico destinato agli investitori istituzionali, le caratteristiche del mercato ove il prodotto è collocato), senza che si possa giustificare il deficit delle informazioni da lui assunte sulla base della dimensione locale di esso e della non partecipazione diretta alla vendita dei titoli, sia di fornire un'informazione sulle caratteristiche del prodotto concreta e specifica” (Cass. Civ., 2 novembre 2017, n. 26064). In tale prospettiva la Corte sottolinea come la “dimensione locale” o la non partecipazione diretta alla vendita dei titoli dell’intermediario non possa giustificare la mancata conoscenza, nello specifico, del prodotto che si offre all’investitore non professionale; in questo senso “non è rilevante (…) che l’intermediario [sia] in possesso di ulteriori informazioni rispetto a quelle fornite, ma che altri dati non [siano] disponibili” (Cass. Civ., 3 aprile 2017, n. 8619).

Salvo i casi in cui la prova dell’avvenuto adempimento degli obblighi di informazione deve essere per legge fornita per iscritto, in generale la Corte di Cassazione ha affermato che la prova può essere data anche per testimoni31.

2.2.3.2 La valutazione circa l’appropriatezza dell’operazione e la prova dell’adempimento degli obblighi informativi

Un profilo di interesse è quello che attiene all’onere della prova nel caso in cui il cliente abbia sottoscritto un documento che contiene un avvertimento circa l’inappropriatezza dell’operazione. Occorre qui però brevemente ripercorrere i mutamenti che incidono sulla disciplina di riferimento.

30 Fra le altre, si vedano anche Cass. Civ., 7 luglio 2017, n. 16861; Cass. Civ., 31 marzo 2017, n. 8314. 31 Sul punto, Cass. Civ., 9 agosto 2017, n. 19750.

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La giurisprudenza che si citerà si è sviluppata in relazione all’art. 29 del Reg. Consob 11522/98 (cd. “Regolamento intermediari”), che prevedeva che “gli intermediari autorizzati si astengono dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione” e che detti intermediari, “quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla