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Il riparto di competenze dell’AGCM e dell’AGCOM in materia di pratiche commerciali scorrette

4.2 Effettività della tutela e coordinamento tra autorità amministrative e giurisdizionali Il problema delle

4.2.1 Il riparto di competenze dell’AGCM e dell’AGCOM in materia di pratiche commerciali scorrette

4.2.1.1 Le questioni

Come incide il principio di effettività sul coordinamento tra più autorità amministrative istituite per la protezione dei diritti dei consumatori, es. l’AGCM e l’AGCOM? Richiede un sistema di competenze mutuamente esclusive o altre e diverse forme di coordinamento?

Prima ancora di affrontare il tema del rapporto tra tutela amministrativa e tutela giurisdizionale, occorre prendere in considerazione l’ipotesi in cui le autorità amministrative di enforcement siano più d’una. L’ipotesi è ben presente al legislatore europeo, posto che il recente Regolamento sulla cooperazione nella protezione del consumatore (Reg. UE/1294/2017) impone in ciascuno Stato membro l’istituto dell’ufficio unico di collegamento in quanto deputato a coordinare i diversi meccanismi di protezione del consumatore in quello Stato (v. art. 3, n. 7).

Il tema analizzato in questo paragrafo attiene al rapporto fra la normativa generale in materia di pratiche commerciali scorrette e disciplina specifica relativa ad uno specifico settore, nei casi esaminati quello delle comunicazioni. Tale questione porta con sé la definizione dell’ambito delle competenze delle Autorità preposte all’attuazione della regolamentazione, e dunque l’AGCM e l’AGCOM. Il tema delle competenze inerisce al coordinamento e alla cooperazione tra autorità di enforcement e, per questa via, all’effettività della tutela del consumatore: per un verso, la compresenza di più autorità consente un intervento più capillare; per l’altro, la necessità di definirne il rispettivo ambito di operatività e i dovuti meccanismi di coordinamento rende più complesso l’accesso alle tutele.

La norma europea di riferimento in tema di pratiche commerciali scorrette è l’art. 3 della Direttiva 2005/29/CE, secondo cui “in caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici”, norma che è stata attuata in Italia attraverso diversi interventi legislativi, che saranno presi in considerazione nel paragrafo attinente alla giurisprudenza italiana.

Rispetto alla prospettiva che si utilizza in questo Casebook, l’interpretazione del rapporto di specialità fra i diversi ambiti normativi, nonché della distribuzione delle competenze fra le Autorità amministrative può essere letto in rapporto agli artt. 38 CDFUE e 169 TFUE, che prevedono un livello elevato di protezione dei consumatori nelle politiche dell’Unione. Più in generale il tema è quello della declinazione del principio di specialità previsto dalla direttiva in modo coerente con la garanzia di una tutela effettiva e con il principio di effettività.

4.2.1.2 Cons. Stato ad. plen., n. 3 e 4, 9 febbraio 2016 - Cons, Stato ad. plen., n. 4, 9 febbraio 2016

4.2.1.2.1 Il fatto e gli argomenti delle parti

I provvedimenti in commento hanno ad oggetto una vicenda che, pur coinvolgendo due distinti operatori di telefonia mobile (nello specifico, Vodafone e Wind), si sviluppa per entrambi perfettamente in parallelo, essendo originata dalle medesime circostanze, affrontata nei medesimi termini e sfociata in una duplice coppia di provvedimenti gemelli emessi dal Consiglio di Stato: le due sentenze non definitive analizzate nel presente paragrafo e le due successive ordinanze di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia (Cons. St., sez. VI, nn. 167 e 168, 17 gennaio 2017) che saranno approfondite a seguire.

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La vicenda trae origine dalla sanzione amministrativa pecuniaria irrogata dall’AGCM, con due distinti provvedimenti, nei confronti dei due operatori economici riconosciuti responsabili di una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 24, 25 e 26 lett. f), cod. cons.

La pratica contestata dall’Autorità consiste nell’omessa informazione agli acquirenti di carte SIM dell’esistenza di servizi accessori preimpostati, quali i servizi di navigazione internet e di segreteria telefonica, con automatico addebito dei relativi costi agli utenti inconsapevoli.

Entrambi gli operatori telefonici impugnano le rispettive condanne dinanzi al competente Tar del Lazio, che, con sentenze distinte ma di uguale tenore, accoglie i ricorsi proposti.

Le argomentazioni dei ricorrenti condivise dal Giudice amministrativo fanno leva sul dettato dell’art. 19, co. 3., cod. cons., ai sensi del quale “In caso di contrasto, le disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette prevalgono sulle disposizioni del presente titolo e si applicano a tali aspetti specifici”.

In sostanza, invocando il principio di specialità – enunciato dall’art. 19, co. 3, cod. Cons. e, ancor prima dall’art. 3, par. 4, della Direttiva n. 2005/29/CE – i ricorrenti rilevano l’incompetenza dell’Autorità Antitrust ad emettere la condanna impugnata, scaturendo questa da una condotta disciplinata dalla normativa settoriale di derivazione europea concernente il settore delle comunicazioni elettroniche, presidiato in via esclusiva dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM).

Il fulcro della questione esaminata risiede infatti nel rapporto tra la disciplina generale delle pratiche sleali (affidata al Codice del consumo, d.lgs. n. 206/2005) e la disciplina settoriale di tutela dei consumatori (nella fattispecie dettata dal Codice delle comunicazioni elettroniche, d.lgs. n. 259/2003) e, di conseguenza, nel rapporto tra le due autorità amministrative poste a presidio dei rispettivi ambiti normativi.

L’Autorità soccombente impugna la decisione del Tar, deducendo l’errata interpretazione del principio di specialità nella parte in cui il Giudice di primo grado dichiara l’incompetenza della AGCM “ad intervenire in applicazione delle disposizioni generali, a prescindere dalla verifica circa l’esistenza di un effettivo contrasto tra discipline”.

Il ricorso in appello è assegnato alla VI Sezione del Consiglio di Stato che, in considerazione dell’esigenza di conciliare l’orientamento tenuto dallo stesso Consiglio di Stato con le modifiche legislative intercorse sul punto, rimette la questione all’Adunanza Plenaria.

Al riguardo, occorre infatti sottolineare che nel momento in cui la VI Sezione è investita del ricorso coesistono nell’ordinamento, per un verso, l’orientamento espresso dal Consiglio di Stato a partire dalla sent., ad. plen., n. 11, 11 maggio 2012 (che stabilisce “l’incompetenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ad applicare la disciplina sulle pratiche commerciali scorrette nei settori in cui la tutela del consumatore è attribuita ad un’autorità regolamentare”) e, per altro verso, l’art. 27, co. 1 bis, cod. cons., introdotto con d.lgs. n. 21/2014, che, in apparente contrasto, sancisce che “Anche nei settori regolati, ai sensi dell'articolo 19, comma 3, la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, fermo restando il rispetto della regolazione vigente, spetta, in via esclusiva, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che la esercita in base ai poteri di cui al presente articolo, acquisito il parere dell'Autorità di regolazione competente”.

Tale conflitto è risolto dall’Adunanza Plenaria, con le motivazioni che saranno di seguito illustrate, con il riconoscimento della competenza dell’AGCM a reprimere anche condotte illecite riconducibili al settore specifico delle comunicazioni elettroniche.

4.2.1.2.2 Interesse / diritto leso

La condotta contestata agli operatori è qualificata dall’AGCM come “pratica commerciale in ogni caso aggressiva”, in quanto “idonea a determinare un indebito condizionamento tale da limitare considerevolmente, e in taluni casi addirittura da escludere, la libertà di scelta degli utenti in ordine all’utilizzo e al pagamento dei

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servizi preimpostati, (…), determinando, inoltre, una possibile decurtazione automatica derivante dalla fruizione di servizi onerosi che il consumatore non ha richiesto in maniere consapevole, anche con riferimento al profilo tariffario più aderente alle proprie esigenze”.

4.2.1.2.3 Il rimedio

Accertata l’illiceità della pratica, l’AGCM condanna entrambi gli operatori economici, all’esito dei rispettivi procedimenti, al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria.

Gli operatori condannati lamentano il difetto assoluto di competenza dell’Autorità Antitrust ad esercitare tale potere sanzionatorio. Il Consiglio di Stato risolve la questione affermando che “la competenza ad irrogare la sanzione per “pratica commerciale considerata in ogni caso aggressiva” è sempre individuabile nell’Autorità Garante della Concorrenza e del

Mercato”.

4.2.1.2.4 Gli argomenti

L’analisi dell’Adunanza Plenaria, chiamata ad esprimersi sulla portata interpretativa dell’art. 27, co. 1 bis, cod. cons., prende le mosse dalla scissione della condotta illecita in due distinti momenti. Il Collegio riscontra infatti, per un verso, una violazione di obblighi informativi, in quanto tali suscettibili di sanzione da parte dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, e, per altro verso, “la realizzazione di una pratica anticoncorrenziale vietata ben più grave per entità e per disvalore sociale”, la cui repressione è affidata dall’ordinamento all’Autorità Antitrust. Si è di fronte dunque all’esistenza di una duplicità di norme applicabili, che il Consiglio di Stato interpreta come “ ipotesi di specialità per progressione di condotte lesive che, muovendo dalla violazione di meri obblighi informativi comportano la realizzazione di una pratica anticoncorrenziale vietata ben più grave per entità e per disvalore sociale, ovvero di una pratica commerciale aggressiva”. Scrive dunque il supremo giudice amministrativo che “si realizza quindi nell'ipotesi in esame, sempre ai fini dell'individuazione dell'Autorità competente, più che un conflitto astratto di norme in senso stretto, una progressione illecita, descrivibile come ipotesi di assorbimento-consunzione, atteso che la condotta astrattamente illecita secondo il corpus normativo presidiato dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni è elemento costitutivo di un più grave e più ampio illecito anticoncorrenziale vietato secondo la normativa di settore presidiata dall'Autorità Antitrust appellante”.

Detto altrimenti, se “la violazione dei predetti obblighi informativi di per sé non è sufficiente ad integrare la fattispecie di illecito concorrenziale” questa è invece ravvisabile nella “condotta del pagamento immediato o differito di prodotti che il consumatore non ha richiesto, che costituisce, ai sensi dell’art. 26 del Codice del Consumo citato, pratica commerciale considerata in ogni caso aggressiva” e che giustifica, proprio in quanto condotta assorbente dell’altra, il riconoscimento dell’esclusiva competenza dell’AGCM.

Ad avviso dell’Adunanza Plenaria, tale conclusione non si pone in alcun modo in contrasto con la pronuncia fondativa dell’orientamento del Consiglio di Stato sul punto, nella quale a ben vedere è precisato che “per escludere la possibilità di un residuo campo di intervento di Antitrust occorre anche verificare la esaustività e la completezza della normativa di settore” (Cons. St., ad. plen., n. 11/2012). Secondo l’Adunanza Plenaria “Proprio attuando tale ultimo inciso nel caso di specie, si può evidenziare, alla luce di quanto appena descritto, che il comportamento contestato all’operatore economico con il provvedimento Antitrust impugnato in questa sede non è per nulla interamente ed esaustivamente disciplinato dalle norme di settore, che non comprendono affatto un’ipotesi di illecito come quella considerata, ovvero una “pratica commerciale considerata in ogni caso scorretta”, ricostruita sulla base dei processi inferenziali sopra descritti”. La stessa conclusione è raggiunta in cui un caso in cui la sovrapposizione riguardava la disciplina europea in materia di trasporto aereo e quella in materia di pratiche commerciali scorrette (Cons. Stato, 30 settembre 2016, n. 4048).

Tanto chiarito, il Collegio prosegue la sua analisi evidenziando la necessità di procedere comunque ad un revirement parziale del suddetto orientamento, tale da consentire l’adozione di un criterio di specialità “per fattispecie concrete” in luogo del più rigido “criterio di specialità per settori”.

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L’applicazione di quest’ultimo, avvallata dalla precedente giurisprudenza109 conduce infatti a difficoltà interpretative, e a conseguenti vuoti di tutela portando ad affermare la competenza esclusiva dell’AGCOM, e la disciplina in materia di comunicazioni, rendendo non applicabile la disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette. Il problema della creazione dei vuoti di tutela è noto alla Commissione europea, che non a caso ha avviato una procedura di infrazione (n. 2013-2169)110 nei confronti della Repubblica Italiana per inadeguata applicazione dell’art. 3, par. 4, della Direttiva n. 2005/29/CE “poiché, in sostanza, nell’ordinamento italiano non sarebbe correttamente applicato il principio della “lex specialis” contenuto nella direttiva, che regola il coordinamento tra tale disciplina (a carattere transettoriale) e le normative specifiche di settore” con la conseguenza che “in Italia non vi sarebbe alcuna autorità indipendente competente a far rispettare la direttiva pratiche commerciali sleali nel settore delle comunicazioni elettroniche”.

Infine, l’Adunanza Plenaria evidenzia come proprio l’obiettivo di superare la citata procedura di infrazione sia all’origine dell’emanazione dell’art. 27, co. 1 bis, cod. cons., il quale altro non farebbe che confermare quanto già desumibile da una corretta lettura del consolidato orientamento del Consiglio di Stato.

4.2.1.3 Cons. Stato, n. 167, 17 gennaio 2017 – rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia nel giudizio di rinvio a seguito di Cons. Stato ad. plen. n. 4, 9 febbraio 2016.

4.2.1.3.1 Il fatto e gli argomenti delle parti

Le presenti ordinanze costituiscono il seguito della vicenda processuale di cui alle sent. nn. 3- 4/2016 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. Condividono pertanto con queste il medesimo contesto fattuale e le stesse identiche argomentazioni delle parti.

Anche in questo caso si contrappongono dunque, da un lato, i due operatori di telefonia mobile, fermi nel sostenere l’incompetenza dell’AGCM ad emettere la condanna comminata nei loro confronti, e, dall’altro lato, l’Autorità sanzionante, riconosciuta invece dalla stessa Adunanza Plenaria titolare del potere di reprimere anche condotte sussumibili sotto la disciplina di settore delle comunicazioni elettroniche.

Nella fase di prosecuzione del giudizio dinanzi alla Sezione remittente, gli operatori economici insistono sulla necessità – già rilevata dinanzi all’Adunanza Plenaria – di deferire alla Corte di Giustizia UE la questione pregiudiziale in ordine alla ricostruzione del principio di specialità codificato dall’art. 3, par. 4, della Direttiva 2005/29/CE.

Preso atto della richiesta, la VI Sezione rinvia alla Corte di Giustizia i quesiti di parte (“in parte riformulati d’ufficio da questo collegio”).

4.2.1.3.2 Interesse / diritto leso

La condotta sanzionata è qualificata come “pratica commerciale in ogni caso aggressiva”, nei termini già illustrati nell’analisi delle sent. nn. 3-4/2016 dell’Adunanza Plenaria.

4.2.1.3.3 Rimedio

Il rimedio conseguente all’accertamento dell’illiceità della pratica consiste nella condanna degli operatori economici al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria.

4.2.1.3.4 Gli argomenti

A giudizio della VI Sezione “la decisione sulla questione dell’individuazione dell’Autorità competente ad esercitare i poteri sanzionatori in ordine alla pratica commerciale scorretta di cui è causa non può che passare attraverso la risoluzione delle questioni di compatibilità con l’ordinamento euro-unitario della disciplina dei

109 Su cui si veda il § 4.2.1.4. 110 Su cui si veda il § 2.2.1.4.

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rapporti tra disciplina “consumeristica” generale e disciplina “consumeristica” settoriale di cui all’art. 27, co. 1- bis, Codice del Consumo”.

Le domande di pronuncia pregiudiziale a tal fine sottoposte alla Corte di Giustizia vertono, sostanzialmente, intorno all’interpretazione della nozione di “contrasto” e del principio di specialità di cui alla Direttiva n. 2005/29 CE (che – ricordiamo – all’art. 3, par. 4, dispone: “In caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime”).

Merita un cenno anche l’aspetto relativo all’ammissibilità del presente rinvio pregiudiziale, disposto dalla Sezione del Consiglio di Stato a seguito del pronunciamento dell’Adunanza Plenaria sullo stesso oggetto del contendere.

A tal proposito, la Sezione remittente tiene a precisare che “Nel caso di specie, all’ammissibilità del rilievo della questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE da parte di questa Sezione non osta la circostanza che sull’oggetto del contendere si sia espressa l’Adunanza plenaria”. Ad avviso del Collegio, l’ammissibilità del rinvio poggia anzitutto sulla circostanza per cui “A fronte di una richiesta di rinvio espressamente formulata dalle parti, il Consiglio di Stato, nella sua veste di giudice di ultima istanza, (…), ha l’obbligo di dare seguito alla relativa richiesta (ex art. 267, comma 3, TFUE)”. Fornendo un’ulteriore argomentazione, il Collegio ritiene infine che l’“autorità dello stare decisis” – propria della funzione nomifilattica delle pronunce dell’Adunanza Plenaria – “secondo una recente sentenza della Corte di Giustizia UE (sentenza 5 aprile 2016, in causa C-689/13, Puligienica Facility Esco) è cedevole in caso di sospettato contrasto della sentenza dell’Adunanza plenaria con il diritto euro-unitario”.

4.2.1.3.5 Le questioni pregiudiziali

Il Consiglio di Stato solleva le seguenti questioni pregiudiziali “di compatibilità con l’ordinamento euro- unitario del citato art. 27, comma 1-bis, Codice del consumo”, affermando che queste si rendono opportune “anche alla luce dell’interpretazione al riguardo fornita dall’Adunanza plenaria con la sentenza n. 4/2016”:

a) se la ratio della direttiva ‘generale’ n. 2005/29/CE quale ‘rete di sicurezza’ per la tutela dei consumatori, nonché il considerando 10 e l’articolo 3, comma 4, della medesima direttiva n. 2005/29/CE, ostino ad una disciplina nazionale che riconduca la valutazione del rispetto degli obblighi specifici, previsti della direttiva settoriale n. 2002/22/CE a tutela dell’utenza, nell’ambito di applicazione della direttiva generale n. 2005/29/CE sulle pratiche commerciali scorrette, escludendo, per l’effetto, l’intervento dell’Autorità competente a reprimere una violazione della direttiva settoriale in ogni ipotesi che sia suscettibile di integrare altresì gli estremi di una pratica commerciale scorretta/sleale;

b) se il principio di specialità sancito dall’articolo 3, comma 4, della direttiva n. 2005/29/CE debba essere inteso quale principio regolatore dei rapporti tra ordinamenti (ordinamento generale e ordinamenti di settore), oppure dei rapporti tra norme (norme generali e norme speciali), oppure, ancora, dei rapporti tra Autorità preposte alla regolazione e vigilanza dei rispettivi settori;

c) se la nozione di «contrasto» di cui all’articolo 3, comma 4, della direttiva n. 2005/29/CE possa ritenersi integrata solo in caso di radicale antinomia tra le disposizioni della normativa sulle pratiche commerciali scorrette e le altre norme di derivazione europea che disciplinano specifici aspetti settoriali delle pratiche commerciali, oppure se sia sufficiente che le norme in questione dettino una disciplina difforme dalla normativa sulle pratiche commerciali scorrette in relazione alle specificità del settore, tale da determinare un concorso di norme (Normenkollision) in relazione ad una stessa fattispecie concreta;

d) Se la nozione di norme comunitarie di cui all’articolo 3, comma 4, della direttiva n. 2005/29/CE abbia riguardo alle sole disposizioni contenute nei regolamenti e nelle direttive europee, nonché alle norme di diretta trasposizione delle stesse, ovvero se includa anche le disposizioni legislative e regolamentari attuative di principi di diritto europeo;

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e) Se il principio di specialità, sancito al considerando 10 e all’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29/CE, e gli articoli 20 e 21 della direttiva 2002/22/CE e 3 e 4 della direttiva 2002/21/CE ostino ad una interpretazione delle corrispondenti norme di trasposizione nazionale per cui si ritenga che, ogniqualvolta si verifichi in un settore regolamentato, contenente una disciplina ‘consumeristica’ settoriale con attribuzione di poteri regolatori e sanzionatori all’Autorità del settore, una condotta riconducibile alla nozione di ‘pratica aggressiva’, ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29/CE, o ‘in ogni caso aggressiva’ ai sensi dell’Allegato I della direttiva 2005/29/CE, debba sempre trovare applicazione la normativa generale sulle pratiche scorrette, e ciò anche qualora esista una normativa settoriale, adottata a tutela dei consumatori e fondata su previsioni di diritto dell’Unione, che regoli in modo compiuto le medesime ‘pratiche aggressive’ e ‘in ogni caso aggressive’ o, comunque, le medesime ‘pratiche scorrette’.

4.2.1.4 La giurisprudenza italiana

Occorre ripercorrere le tappe principali dell’excursus giurisprudenziale che ha condotto alle pronunce appena esaminate.

Nel farlo, bisogna dar conto del fatto che sui rapporti fra diverse autorità indipendenti la giurisprudenza amministrativa si era già espressa. Infatti, il parere del Consiglio di Stato n. 3999 del 2008 era intervenuto sui limiti delle competenze dell’AGCM e della Consob in materia finanziaria, e nella pronuncia n. 720 del 31 gennaio 2011 il supremo giudice amministrativo aveva affrontato il tema del rapporto fra AGCM e AEEG. In quest’ultima decisione il Consiglio di Stato afferma l’applicabilità della disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette anche in presenza di una regolamentazione di un’altra Autorità (AEEG), sulla base della considerazione per cui “il principio di specialità di cui all’art. 19, comma 3, d.lgs. n. 206/2005 opera solo laddove esista una compiuta ed organica disciplina della materia”.

In tale filone giurisprudenziale si inquadrano anche quelle sentenze che attengono al rapporto fra le competenze dell’AGCM e dell’AGCOM.

Si può qui ricordare l’ordinanza n. 5526/2011 della VI Sezione del Consiglio di Stato, che rinvia la causa davanti all’Adunanza Plenaria in ragione della “incertezza interpretativa” dovuta all’esistenza di due diverse Autorità e “data la presenza” in ciascun complesso di disciplina “di norme di divieto e di sanzione di pratiche commerciali scorrette, suscettibili di essere riferite ai medesimi soggetti in veste di operatori economici e di consumatori finali”. Anche ai fini dell’analisi di tale giurisprudenza alla luce